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Autore: Stregatta    27/06/2008    0 recensioni
Bill richiuse la porta della camera con un calcio,innervosito. Quando non capiva qualcosa diventava furioso. E in quel momento non capiva nulla del comportamento del fratello,del mutamento avvenuto in lui da qualche giorno…
Eh, se solo sapessi a cosa stai per andare incontro, Bill Kaulitz... [ultimo capitolo + epilogo ]
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Placebo, Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVIII

XVIII



Brian si massaggiò una spalla, voltandosi appena per posare lo sguardo sulla porta socchiusa della camera di Tom, dalla quale alcuni raggi luminosi si davano alla fuga colpendo il muro del corridoio di fronte ad essi.
Sospirò, scuotendo la testa con un sorriso quieto, non privo di una leggera malinconia.
Così era successo, alla fine… Ciò che aveva intuito fin dall’inizio, e palesemente ignorato in nome solo del piacere che gli procurava intrattenere quell’amicizia con il ragazzo si era rivelato attraverso poche, confuse parole .

-Tu lo hai capito che ti amo,vero?-

Lo aveva capito eccome.

Si guardò attorno oziosamente, concentrando la propria attenzione su ogni particolare di quell’appartamento grazioso, piccolo, pulsante della presenza degli inquilini che ne usufruivano, anche in quell’istante.
C’era un po’ di Bill, in quella cucina splendente ed ordinata, c’era la sua incredibile mania per l’ordine e la pulizia.
C’era un po’ di Tom, in quel cappellino abbandonato sul divano con tranquilla noncuranza, completamente in antitesi con la precisione millimetrica del fratello.
Conosceva i gemellini solo da pochi mesi, eppure riusciva a riconoscere perfettamente i segni che le loro personalità avevano impresso in quell’ambiente…
Una foto dei Tokio Hotel al completo faceva bella mostra di sè appesa ad una parete ; era una foto vecchia, non dimostravano più di quattordici, quindici anni. Sorridevano in quella maniera piena, pulita che poteva appartenere solo a quel periodo della vita in cui il mondo è semplicemente un meraviglioso ed eterogeneo contenitore di cose colorate ed entusiasmanti.
Chissà quanto sarebbe costato un sorriso simile se fosse stato possibile acquistarlo…
Dio, ma perché era così sentimentale quella sera?


Bill aprì la porta di casa con lentezza, spingendola appena con la punta delle dita.
Entrando la richiuse con la stessa delicatezza, appoggiandovisi contro pesantemente e sospirando come se gli risultasse difficile respirare in maniera normale, come se l’aria si fosse fatta d’improvviso troppo densa per essere inalata senza sforzo.
Rimase per un istante con la schiena perfettamente aderente al pannello di legno freddo, gli occhi risolutamente chiusi sul suo tumulto interiore.
Cercò di appigliarsi al gelo concreto della porta per liberarsi del ricordo di ciò che era successo poco prima.
Non ricordava nemmeno con esattezza come fosse riuscito a tornare a casa, tanto la sua testa si rifiutava di concentrarsi su qualcos’altro che non fosse Michelle, le sue lacrime, la sua voce spezzata, la stanza d’albergo che offriva una cornice lussuosamente impersonale e neutra alla loro ultima discussione.

Gli unici rumori udibili nel silenzio della stanza erano l’abbaiare di un cane lontano, un antifurto impazzito da qualche parte giù in strada, il suo respiro…Ed un passo leggero proveniente da molto vicino.
Dall’interno dell’appartamento, per la precisione.
Bill spalancò gli occhi di scatto, spaventato, ed individuò immediatamente la sagoma di Brian stagliata contro il buio del corridoio.
Con il cuore ancora scalpitante di paura contro le sue costole, Bill emise un mormorio strozzato : - Che… Che ci fai tu qui? –
Brian si avvicinò al ragazzo, stringendosi nelle spalle con  noncuranza.
- Tom si è ubriacato di brutto, stasera… L’ho riaccompagnato a casa e sono rimasto con lui fino a quando non si è addormentato.-
L’uomo sorrise ironicamente, continuando : - Diciamo che tuo fratello è riuscito a stimolare il mio istinto paterno.-
Per un attimo Bill dimenticò i propri problemi personali, chiedendo con aria preoccupata : - Non si è sentito male, vero? –
Il suo interlocutore scosse il capo, replicando : - No, ma non riusciva a reggersi in piedi e non poteva tornare a casa da solo.-
Non c’era molto altro da dire.
Bill non aveva voglia di parlare, soprattutto non con lui.
L’unica cosa che desiderava era tuffarsi nel proprio letto, seppellire la faccia nel suo cuscino e magari versare qualche lacrima… O mordere la federa fino a strapparla, per sfogarsi su qualcosa che non avesse sensibilità e non potesse lamentarsi… O difendersi.
Ovviamente Brian, privo del dono della telepatia, non poteva intuire tutto ciò.
L’uomo guardava il tedesco con una strana espressione, senza che Bill capisse le sue intenzioni.
Alla fine sussurrò, con un tono insolitamente dolce : - Ci tieni davvero molto a lui…-
Bill, desideroso di porre fine a quella conversazione indesiderata, scrollò le spalle, rispondendo con voce rauca : - E’ mio fratello, e non voglio che soffra.-
Si resero entrambi conto di quanto quelle parole significassero in realtà, di tutte le verità sottintese e che mai avrebbero voluto svelare… Ma Brian cominciava ad essere stufo di segreti e misteri, e per la prima volta si sentì di parlare chiaro e tondo della situazione che stava coinvolgendo non solo lui e Tom, ma anche Bill.
- Tu credi che io sia in grado di farlo soffrire ? –
Bill sobbalzò, stupito da quella domanda.
Piantò gli occhi in quelli di Brian, notandone la risolutezza limpida e chiara… E capì che sapeva tutto.
Preso dalla sua personale frustrazione per via della freschissima rottura con Michelle, dovuta anche all’uomo che si trovava di fronte, Bill provò un moto di fastidio per quell’approccio diretto, e non si preoccupò di non apparire troppo gentile o diplomatico nel rispondere bruscamente con un’altra domanda  : - Lo sei ?-
Brian non battè ciglio, ignorando il tono poco amichevole del ragazzo, e mormorò con placida sicurezza, come se non ci fosse bisogno di specificare ulteriormente l’argomento del quale stavano parlando : - Sta facendo tutto da solo, Bill. Io non c’entro nulla.-
Forse era la sua tranquillità confrontata all’agitazione che lo scuoteva in quel momento.
Forse era il fatto che stesse declinando ogni responsabilità nei confronti di Tom e dell’amore che  provava per lui.
Forse era che anche in quel momento si sentiva le gambe molli di fronte a quello sguardo penetrante, così implacabile, così spietato nella sua calma cristallina, come se non stesse discutendo dei sentimenti di un diciottenne, ma di qualcosa di inutile e trascurabile.
Fatto sta che Bill avvertì un’onda anomala di rabbia montare dentro di sé, un accesso di ira bollente ed inarrestabile, un effetto domino provocato dagli avvenimenti di quella sera, dei giorni, dei mesi precedenti.
E scoppiò, letteralmente.
- Non c’entri nulla, Brian? Tu non c’entri nulla? – sibilò il giovane, calcando pesantemente la voce sul “ nulla” finale.
- Io non credo che tu sia talmente cieco o stupido da non accorgerti di quanto Tom ti vada dietro come un cane del cazzo, mendicando anche solo una briciola della tua attenzione…-
Brian schiuse le labbra, sbalordito dal discorso di Bill, che ormai sembrava aver perso il controllo di sé stesso, ringhiando furiosamente : - … oh, ma ovviamente tu sei innocente, Brian! Dopotutto hai solo permesso che fraintendesse il tuo atteggiamento e si illudesse di poter ottenere qualcosa di più che una birra con te il sabato sera… Povero, povero Brian, come posso essere così maligno nei tuoi confronti?-
- Bill…- lo chiamò sommessamente Brian, cercando di calmare il tedesco, che paonazzo in volto e con gli occhi fiammeggianti continuava imperterrito a bersagliarlo con il suo sfogo velenoso.
- La verità è che tu sei solo uno stronzo egoista ed insensibile, uno che si diverte ad avere attorno a sé una corte di ragazzi e ragazze sbavanti, magari dispensandoli di un’occhiata e addirittura della tua preziosissima “amicizia” come se fossero dei doni divini, godendo della loro cieca ammirazione nei tuoi confronti…-
- Bill, adesso smettila.-
- Dimmi, hai mai pensato che oltre il confine del tuo ego strabordante c’è tutto un mondo popolato di gente dotata di un cuore, e di una sensibilità, e di una dignità ? E che forse queste persone potrebbero rimanere ferite dalle tue manovre ? Ma no, ovviamente no, nel tuo piccolo mondo c’è posto solo per te e per tutti coloro disposti a leccarti i piedi e…-
Quando Brian lo afferrò per il bavero, schiacciandolo violentemente contro il muro del corridoio, Bill ebbe una fuggevole reminescenza della sera lontana in cui era stato aggredito da quel tanghero ubriaco fuori dal solito pub.
L’unica differenza era che in quel momento era proprio colui che lo aveva salvato in quel frangente ad averlo strattonato per la maglia e spinto contro la parete in maniera davvero inaspettata.
Il respiro caldo e leggermente ansimante di Brian solleticò il collo del giovane tedesco, che boccheggiò in preda allo stupore, dimentico della sua rabbia, mentre l’uomo pronunciava a denti stretti : - Adesso hai proprio esagerato, razza di idiota… Credi davvero di sapere cosa mi lega a tuo fratello ? E credi davvero di conoscermi ? Bè, indovina un po’… Tu di me non sai un cazzo. Mi hai dipinto come una specie di tirannello egocentrico e senza scrupoli, ma se fosse così credi forse che non avrei approfittato del fatto che un bel diciottenne fosse innamorato di me per farne ciò che volevo? E invece, guarda un po’ che strano, a me interessa solo la sua amicizia!-
Adesso era Brian a sfogare la sua furia, anche se in maniera molto più gelida e razionale dell’iperbolico turpiloquio del quale si era servito Bill in precedenza.
Il ragazzo giaceva arrendevole sotto il peso del corpo di Brian, senza la minima intenzione di ribellarsi ad esso, scrutando con occhi immensi il volto contratto dalla rabbia dell’uomo che intanto continuava a parlare, sussurrando astiosamente : - Già, ti sembra assurdo, vero ? Voglio dire, il concetto di “amicizia” dovrebbe essermi sconosciuto, secondo la profonda analisi che hai fatto della mia personalità… Ma credo che faresti meglio a correggere la tua visione della situazione tendendo presente una cosetta irrilevante : io sono un essere umano, Bill. Un fottutissimo essere umano. Mi piace circondarmi di amici, non di schiavetti decerebrati. E tuo fratello non è certo uno di questi. E’ una persona splendida, è positivo, è sincero, e quando stiamo insieme riesco a scordare anche solo per una serata che al mondo esiste anche chi, purtroppo, su di me ha il tuo stesso parere.-
Bill era sopraffatto da una miriade di emozioni contrastanti ; rabbia, vergogna, frustrazione…
Se solo fosse riuscito a stabilire il predominio di una sulle altre, forse  avrebbe potuto esprimere un pensiero coerente, una replica qualsiasi di fronte a quelle parole sensate e ragionevoli, seppure venate di rabbia cocente.
Avvertiva con lucidità i pugni di Brian premere contro il suo petto, le loro gambe sfiorarsi attraverso il tessuto dei pantaloni, il freddo dell’intonaco infiltrarglisi sotto la maglietta.
Si odiò immensamente, quando si inarcò contro Brian sfregandoglisi  addosso per liberarsi della sua presa, senza poter reprimere un moto di improvvisa eccitazione.
Ecco, l’unico pensiero davvero chiaro che si era delineato nella sua mente sconvolta era l’irresistibile voglia di stringersi ancora di più a lui, di abbassarsi sulla sua bocca per catturarla in un bacio, e un altro, e un altro ancora…
…ma l’unico modo in cui il tedesco reagì fu  ringhiare un : – Vaffanculo! -  con violenza disperata contro quel viso impassibile, prima di sgusciare via dalle sue braccia per andare a rifugiarsi di corsa in camera sua, chiudendosi con forza la porta alle spalle e scivolando seduto sul pavimento, coprendosi gli occhi mentre scoppiava a piangere in maniera convulsa ; fra i singhiozzi nervosi che lo facevano tremare come una foglia avvertì a malapena la porta di casa che veniva aperta e poi richiusa con uno scatto rumoroso.


Il ragazzo si addormentò ad un’ora estremamente tarda, mentre la fredda ed umida notte di Lipsia cominciava a sfumare in un alba di un pallido grigioperla ; riuscì a riposare pochissimo, agitato da incubi evanescenti e dai ricordi del sabato sera più brutto di tutta la sua vita.
Nonostante ciò, Bill era intenzionato a riprendere coscienza più tardi possibile, per non dover affrontare troppo presto anche la domenica più brutta della sua vita.


Al contrario del gemello, Tom si era alzato abbastanza presto, nonostante il mal di testa che pulsava rabbioso nelle sue tempie, un souvenir della sbornia presa qualche ora prima.
Era in preda ad un’eccitazione che lo rendeva irrequieto, ed era dovuta agli avvenimenti della sera precedente.
La sbornia, anche se terribile, non era riuscita a cancellare del tutto dalla sua mente il ricordo della sua stanza immersa nell’intima penombra di un abat-jour, della sua voce strascicata che confessava goffamente i propri sentimenti all’uomo che amava.
Proprio per questo si sentiva in balia di un’agitazione feroce : Brian sarebbe partito nel primo pomeriggio, dopo aver sistemato delle cose allo studio discografico, e quindi aveva poco tempo per spiegargli esattamente tutto ciò che sentiva nei suoi confronti in maniera lucida e comprensibile, in modo tale che le sue parole non potessero essere scambiate per un semplice sproloquio da ubriaco fradicio.

- Ti mancherà, vero ? – chiese Stefan ironicamente, rivolto verso la schiena di Brian che sostava di fronte alla finestra della saletta d’incisione, attorcigliandosi pensosamente una ciocca di capelli fra le dita nell’osservare le minuscole sagome di alcuni passanti che camminavano a passo rapido  sul marciapiede sottostante.
Chissà dove stavano andando così di fretta…
- Mhm? – mugolò l’uomo un istante più tardi, accorgendosi della domanda postagli dall’amico.
Il bassista sospirò, precisando : - Parlo del tuo “trono”…-
Brian sorrise, capendo che si stava riferendo a quell’adorabile poltroncina di cui era stato praticamente l’unico proprietario durante quelle lunghe settimane di registrazione.
- Dici che potrei portarmela via, se lo chiedessi con il dovuto garbo? – scherzò Brian, e Stefan replicò : - Bè, Steve potrebbe prenderla di soppiatto, mentre noi due distraiamo i proprietari dello studio con un bacio appassionato…-
Brian lo guardò con aria burlescamente circospetta, scuotendo il capo : - Olsdal, tu cominci davvero a preoccuparmi… Mica ti starai innamorando di me, eh?-
Il più alto dei due si strinse nelle spalle, commentando con aria innocente : - Non è colpa mia se sei così carino, Bri…-
I due stavano ancora ridacchiando del loro scambio di idiozie, quando entrambi notarono nello stesso momento che una snella figura li stava timidamente spiando sulla soglia della porta, torcendosi le dita in preda ad un evidente nervosismo.
- Ehi, Tom! – lo salutò giovialmente Stefan, andandogli incontro. – Sei da solo? –
Tom abbozzò un sorriso, rispondendo : - Sì… Non c’è stato verso di svegliare Bill, stamattina… Credo che abbia avuto una notte piuttosto “turbolenta”, se capisci cosa intendo…-
- Oh…- annuì il suo interlocutore, mentre Brian alle sue spalle si produceva in un lieve sorrisetto ironico, nell’udire quella frase.
Per un momento i tre non proferirono parola, consci dell’atmosfera di soffuso imbarazzo che li avvolgeva, e Stefan ritenne più saggio lasciare che a gestirla fossero i suoi compagni, uscendo dalla stanza con una scusa.

Brian avanzò lentamente verso il rasta, mormorando : - Allora… Come ti senti, oggi?-
Era una domanda atta unicamente a rompere il ghiaccio e avviare la conversazione, perciò Tom rispose meccanicamente : - Bene. – prima di pronunciare tutto d’un fiato, come se temesse che, indugiando ancora per un istante, i concetti che voleva riferire a Brian potessero disperdersi e non essere più ritrovati : - Senti, sono venuto qui per un motivo ben preciso… Tu stai per partire, e questa potrebbe essere l’ultima occasione per me di… Insomma, volevo solo che tu sapessi delle cose… E non so se siano le stesse che ti ho detto l’altra sera, ma di sicuro, anche se fosse così, è meglio che io te le ripeta da sobrio.-
L’uomo non ardeva di certo dalla voglia di udire quelle “cose”, ma comunque accennò il suo  consenso annuendo lievemente, e permettendo che Tom iniziasse il suo discorso.
- Io ti amo. Non mi sono mai trovato tanto bene con qualcuno, non ho mai avuto tanta voglia di stare accanto a qualcuno come ne ho di stare con te. Mi rendi felice anche solo sorridendomi, guardandomi, parlandomi…-
- Io ti rendo felice, Tom?- lo interruppe Brian in tono molto serio, quasi scettico, come se dubitasse di ciò che il ragazzo gli aveva appena confessato, e il tedesco replicò, stupito, come se si trattasse di un’ovvietà : - Sì, certo!  Per me sei… Indispensabile. Ho bisogno di te, di poterti vedere e sentire, e se non lo faccio mi sembra di andare in pezzi, e magari ti sembrerà un delirio da ragazzino, ma è la verità, e io…-
- Tom, ascoltami…-
- No, Brian, per favore, lasciami finire. Oddio, proprio non riesco a spiegarlo in maniera semplice… Io credo che tu sia l’uomo giusto per me. Credo che non si possa amare qualcuno più di quanto io amo te.-
Il ragazzo si avvicinò a Brian, fissandolo con gli occhi accesi di una luce ferma, limpida, mentre gli domandava, con tono sicuro : - E tu? Tu non provi la stessa cosa, per me? Non stai bene con me ? –
Grandioso, pensò Brian. Adesso si trattava solo di trovare le parole giuste per far si che il ragazzo comprendesse che il suo amore poteva anche essere ardente, puro e sincero, ma rimaneva comunque viziato da un enorme difetto : era esclusivamente e definitivamente unilaterale.
Dannazione, e pensare che tutti coloro che lo conoscevano lo consideravano uno con la risposta pronta!
- Io...- iniziò Brian, esitante : poi emise un sospiro rassegnato, rendendosi conto che non c’era un modo di indorare la pillola.
- Io trovo che tu sia un bravo ragazzo. Sul serio, sei intelligente, sei dolce, e sei di una trasparenza e di un’onestà assolutamente…Sconcertanti. La nostra amicizia per me è importantissima, perché con te non c’è bisogno di tenere alzata la guardia, di guardarsi le spalle per evitare un attacco. Riesci a farmi sentire a mio agio, mi sento me stesso, quando sto con te…-
Quando Brian tacque, Tom ridacchiò debolmente, dicendo : -… non so perché, ma sento che sta per arrivare un bel “ma”…-
Per l’ennesima volta il suo interlocutore si trovò a sospirare, passandosi lentamente una mano fra i capelli  e riprendendo con il suo discorso : - Esatto. C’è un “ma”. Prima di tutto, sei decisamente troppo giovane. Senza contare il fatto che sono impegnato, Tom. Ho una relazione che mi soddisfa pienamente e…-
- Ma anch’io potrei soddisfarti, Brian!- proruppe Tom impetuosamente.
Muovendo un passo in avanti riuscì ad arrivare abbastanza vicino a Brian da afferrargli le mani, fissandolo intensamente e affermando con convinzione : - Io potrei starti vicino, potrei amarti esattamente come lei … Se solo mi mettessi alla prova…-
- Tom, non è una questione di “mettere alla prova”! Io sono innamorato di Helena!– sbottò infine Brian, esasperato da quella conversazione che lo stava mettendo orribilmente a disagio.
Si pentì subito del tono di quell’uscita, perché Tom gli rivolse lo sguardo più sconcertato e deluso che avesse mai avuto occasione di vedere in vita sua.
Sembrava un pugile rintronato, sul punto di andare a tappeto.
- Quindi… Quindi… E’ finita? – sussurrò il rasta, sempre con quell’espressione attonita stampata sul volto, un dread sceso a coprirgli un occhio – il solito dread ribelle, si disse Brian.
L’uomo scosse la testa, sorridendo leggermente, nonostante la situazione.
- Non è finito nulla, Tom… Te l’ho detto anche ieri sera. Siamo amici, no ?-
Tom scostò la ciocca di capelli, portandola dietro all’orecchio… Un gesto che gli ricordò il giorno in cui aveva parlato con Brian davanti ad un disgustoso caffè annacquato, sentendosi al settimo cielo perché per la prima volta aveva realmente compreso la portata del sentimento che lo legava a quell’uomo…
E adesso, invece, si trovava lì, ad essere definitivamente scaricato da lui.
Il tedesco trovò appena la forza di annuire, accorgendosi che Brian era ad una distanza tanto breve da poter essere coperta dalla lunghezza di un braccio.
Provò una serie di brividi nell’incontrare i suoi occhi, così vicini, ed essi si moltiplicarono quando il suo sguardo cadde inesorabilmente più in basso, verso la bocca che tante volte aveva piacevolmente turbato i suoi sogni.
Gli venne in mente all’improvviso che, bè, almeno una cosa avrebbe potuto osare chiederla, visto che gli era rimasto ancora un residuo di amor proprio da pestare crudelmente sotto i piedi.
- Brian… Io… Ecco, lo so che ti sembrerà assurdo, però…- balbettò con tono appena percettibile Tom, rompendo il silenzio tra loro.
La risata di Brian scrosciò leggermente troppo frenetica per risultare dovuta solo alla pura e semplice ilarità  ; ancora rideva nel replicare : - Dovresti saperlo che io non sono uno che si lascia impressionare tanto facilmente… Dimmi.-
- Vorrei baciarti.-
La reazione dell’uomo a quella richiesta fu appena accennata, uno schiudere la bocca come per rispondere qualcosa ed un lieve guizzo nello sguardo ad indicare che quel qualcosa non era ancora affiorato alla sua mente in maniera concreta.
Decisamente il piccolo tedesco aveva trovato il modo di impressionarlo.
Tom tenne gli occhi ben saldi a terra, rifiutandosi di sollevarli anche nel continuare il suo discorso : -… ok. E’ evidentemente pazzesco, però… Vorrei sapere cosa si prova ad averti, anche solo per una volta.-
Dopo quelle parole Tom sollevò lo sguardo su quello di Brian, che ascoltava ammutolito il giovane.
Non c’era traccia di lacrime o disperazione per il modo in cui la sua illusione si era fragorosamente infranta, ma solo una determinazione limpida e disarmante nella sua ingenua fermezza.
Ingenuo, e dannatamente forte.
Quel ragazzo non sarebbe mai crollato davanti a nulla durante la sua esistenza, pensò Brian.
Sarebbe caduto prima o poi, certo, ma avrebbe sempre trovato il coraggio di rialzarsi, spolverandosi di dosso ogni residuo del suo capitombolo con una spallucciata.
Non avrebbe mai avuto paura di vivere, né di chiedere per ottenere ciò che voleva., come aveva fatto con quel bacio.
Un bacio che gli avrebbe concesso, decise Brian d’impulso.
Si avvicinò ulteriormente a Tom, sollevando il mento e chiudendo gli occhi senza dire una sola parola.
Il rasta emise un leggero sbuffo d’aria, interpretando giustamente il gesto come una resa al suo desiderio.
Con il cuore che scalpitava nel petto a velocità esorbitante, Tom gli prese il viso tra le mani, rimirandone per un attimo l’espressione rilassata.
Con lentezza riverente posò le sue labbra su quelle di Brian, mordicchiandogli con dolcezza quello inferiore.
Giocò per un po’ su quella superficie così delicata, così rossa e piena, prima di cercare di approfondire il contatto, e le sue mani scivolarono in basso, sul suo collo, disegnando poi il contorno delle sue clavicole sporgenti con i palmi prima di arrivare ad afferrargli le spalle con forza, mentre il bacio si faceva via via più appassionato e meno insicuro.
Non era come se lo aspettava… Era sicuramente meglio.
La stretta del ragazzo aumentò, mentre i suoi sensi minacciavano di offuscarsi, di perdersi nell’oblio vorticoso e bollente della passione che cominciava a non essere più tollerabile, affamata com’era di qualcosa di più di un unico bacio…
Proprio quello fu il motivo che spinse Tom a fermarsi, ad appoggiare teneramente la fronte su quella di Brian, mormorando ad occhi e denti serrati : - Sei proprio sicuro, Brian? –
- Sono sicuro, piccolo.-
Tom sorrise malinconicamente, scrollando le spalle : - Dovevo provarci.-
Quando si separarono Tom avvertì una sensazione improvvisa di gelo attraversargli il corpo, e per non soccombere a quel tremore che lo scuoteva si mosse rapidamente per raggiungere la porta ed uscire dalla stanza, senza azzardarsi nemmeno ad accennare un saluto nei confronti di chi lo incrociò in quell’istante.


Brian si stupì di quanto il tempo potesse decidere di accelerare o frenare la sua corsa nei momenti meno opportuni.
L’ora prestabilita per recarsi all’aeroporto ormai era prossima, e lui non si sentiva felice come pensava all’idea di tornare alla confortevole ed abituale atmosfera di casa sua.
Si sforzò di dirigere i suoi pensieri su Helena, sull’accoglienza che gli avrebbe riservato e su quanto gli era mancato il fatto di trovare qualcuno ad aspettarlo nel rincasare.
Ma sapeva che non era Helena il problema, se l’unica visione che occupava la sua mente, mentre ancora bighellonava in giro per gli studios dividendosi fra il suonare il piano e stravaccarsi un’ulteriore volta sul suo “trono”, era un unico flusso di spezzoni di pub, birre, risate giovanili, di gola, sincere… E uno sguardo brillante e concentrato che sembrava voler inglobare ogni particolare di sé per poterlo immagazzinare nel proprio cervello e non scordarlo mai più.
- Tutto solo ? – lo apostrofò una voce, il cui suono sembrava provenire direttamente dalla sua mente, tanto essa era correlata agli avvenimenti degli ultimi mesi.
Brian sollevò lo sguardo dai tasti del pianoforte.
Bill.
Fantastico, si disse sarcasticamente l’uomo.
Un’altra dose di ormoni adolescenziali impazziti… Doveva proprio essere il suo giorno fortunato.
- Già. – replicò recisamente, fissandolo negli occhi fermamente, proseguendo : - Credevo non saresti venuto…-
Bill gli dedicò un sorrisetto storto, avanzando verso di lui. – Non potevo lasciarti andare così, senza nemmeno essermi scusato per… Bè, lo sai.-
Brian inclinò il volto, affermando ironicamente : - No, non lo so.- e Bill arrossì leggermente per quell’allusione all’imbarazzante conversazione tenutasi fra loro nel backstage del Rock am Ring.
- Comunque accetto le tue scuse.- sillabò piattamente Brian, lasciando che i suoi polpastrelli scorressero sulla tastiera del piano a caso e che le note fluttuassero nell’aria indifferenti e slegate le une dalle altre.
Mentre proseguiva in quell’esercizio pigro, l’uomo mormorò distrattamente : - Non hai una bella cera.-
- Ho dormito poco, stanotte…- si giustificò Bill, stringendosi fra le spalle, e le immagini di quella notte, degli incubi, delle lacrime, di Michelle si riaffacciarono alla sua mente, mescolandosi con quelle riguardanti la ragazza tornata quella mattina nell’appartamento per riprendere le sue cose, il suo incarnato terreo, i suoi occhi gonfi e arrossati.
Si era sentito in colpa per lei, ma non aveva avuto la forza di rivelarglielo, sapendo che sarebbe stato inutile.
Suo fratello di certo non l’aveva aiutato a stemperare la tensione.
Appena rientrato in casa gli aveva rivolto solo un “ciao” soffocato, prima di chiudersi in camera sua, senza più dare segni di vita… Tranne della musica proveniente dallo stereo.
Non aveva avuto cuore di chiedergli quale fosse il problema, perché riusciva ad intuirlo benissimo da sè.
Dopo aver pranzato da solo, si era sentito incredibilmente triste.
Quella situazione faceva schifo, per tutti.
Aveva pensato anche a Brian, e il ricordo della loro lite aveva fatto affluire il sangue alle sue guance.
Si era detto che aveva esagerato nell’aggredirlo. Si era detto che non era davvero stata solo colpa sua.
Non era colpa di nessuno, se tutti quanti erano – compreso lui - solo esseri umani… Fottutissimi esseri umani.
Così, all’improvviso, aveva deciso di recarsi agli studi, pregando di trovare Brian per potersi scusare con lui.
E adesso era lì, a disegnare cerchietti inesistenti sul pavimento della saletta con il piede, l’imbarazzo che stagnava indisturbato fra di loro, appiccicoso ed asfissiante.
- Volevi dirmi qualcos’altro?- chiese Brian in tono neutro, avvicinandosi al compagno con i pugni bene affondati nelle tasche dei pantaloni.
Il tedesco sollevò leggermente il volto, e per la prima volta riuscì a sostenere con rassegnata tranquillità quello sguardo che era stato croce e delizia dell’ultimo periodo della sua vita.
Voleva dirgli qualcosa? Sì. Ma non sarebbe servito a nulla.
- No, e tu?- rispose Bill in un sussurro, provocando un debole sorriso da parte di Brian, che scosse il capo lentamente.
- Allora… Ci sentiamo, giusto?- pronunciò calmo l’uomo subito dopo.
Bill annuì, incamminandosi poi a passi lenti verso l’uscita.
Si arrestò. Si voltò.
I suoi occhi erano stranamente scuri, gravi.
A passi veloci annullò la distanza fra sé e Brian. Gli posò una mano sulla guancia, con dolcezza.
Brian non si mosse, stupito da quel dietrofront e dalla familiarità improvvisa acquisita dal ragazzo.
Ma non aveva ancora finito di meravigliarsi, perché Bill si sporse appena in avanti, sfiorandogli la bocca con le sue labbra, gli occhi che brillavano alterati da un sentimento inafferrabile.
A pochi millimetri dal volto di Brian, il tedesco esalò : - Arrivederci, Sweet Prince…-, scappando via in fretta qualche secondo più tardi.
L’uomo rimase attonito ed immobile nel centro della stanza, poi si riscosse con forza da quello stato d’animo.
Era stato baciato da due deliziosi gemellini nello stesso giorno.
Chiunque avrebbe sostenuto che, sì, quello doveva essere proprio il suo giorno fortunato.


Note dell’autrice : ultimo capitolo. Caspita, mi sembra impossibile, eppure eccoci qua.
Mhm, che tristezza =(...Ok, ok, adesso mi riuprendo XD! Comunque per i vari ringraziamenti vi rimando all’epilogo ^_^! Baci :****!





   
 
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