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Autore: Valerie Clark    08/03/2014    1 recensioni
‘'C’era una cicatrice sulla loro storia ormai finita; dopo tutta quella rabbia, non poteva che rimanere una cicatrice. E lei non era morta, non era più forte. Aveva solo una cicatrice.’'
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Di sospiri, video e lettere d’amore
 
 
Si porta la matita alla bocca, sospira. La rigira tra le dita lunghe e sottili, l’occhio le cade sull’anello che porta all’anulare, come una fede, come una promessa. Le viene da piangere solo a vederlo, quel dannato anello. Butta la via la matita e se lo toglie, troppi pensieri, troppi ricordi. Sospira di nuovo; da quando lei se n’è andata sospira spesso, troppo spesso. Sospira perché non sa cosa dire, perché avrebbe le parole ma le si sono incastrate in gola e non vogliono uscire.
Piange. Con la testa tra le mani, come i bambini, come gli stupidi, piange.
Si accende una sigaretta ed osserva il fumo salire lento verso il soffitto e impregnare l’aria. Finita, ne accende un’altra, e poi un’altra ancora. Ne fumavano tante, di sigarette, quando erano insieme. Si odiavano quando erano insieme, si odiavano al punto di volersi morte. Eppure si sentivano così vive. Ma no, gli sembrava sbagliato sentirsi vive facendo una cosa sbagliata. Non capivano quale fosse il confine, ma in ogni caso sentivano di averlo superato, di essere andate troppo oltre per tornare indietro.
Si alza di scatto, prende un foglio e recupera la matita; scrive. È l’unica cosa che la calma, scriverle lettere che non invierà mai.
 
‘Ciao Santana,
dove sei? Perché mi hai lasciata qui da sola, perché mi hai tolto tutto quello che avevo?’
 
Avrebbe così tante domande da farle, così tante domande che le lacerano il petto. Sente una lacrima rigarle il volto. Ma poi pensa che non vuole che Santana, la sua Santana, la veda in quello stato. Cancella tutto. Prende la gomma e cancella. Menomale che ha usato la matita. Santana avrebbe usato la penna, lei era più decisa, più sicura. Più forte. Lei avrebbe solamente preso una penna e un pezzo di carta e avrebbe scritto, senza mai cancellare; lei non aveva paura.
Riprova.
 
‘Ciao Santana,
mi manchi. Mi manca vederti tutti i giorni, mi manca guardarti, attraversare quei tuoi occhi così profondi.’
 
Sospira di nuovo.
Voleva scrivere la verità e invece si ritrova a dire parole su parole che non sono altro che bugie. Ma qual’era la verità? Che loro in comune non avevano niente, che si ritrovavano ad amarsi solo quando erano spoglie e ad odiarsi solo per un paio di vestiti addosso? Cosa le poteva dire se non una bugia?
 
‘Mi manca fare l’amore con te. Anzi, mi manca fare sesso con te. Non ci prendiamo in giro, il nostro non era proprio amore.
Mi manca ritrovarci da sole, troppo vicine, mi manca tutto. Mi mancano le tue mani che corrono sul mio corpo. Mi mancano le tue labbra sulla mia pelle, il tuo respiro affannato sulla mia schiena.’
 
Si ferma, non ha il coraggio di andare avanti. Come può sentire la mancanza di una cosa così sporca, così vuota?
Eppure le manca, le manca così tanto da ucciderla. E si vergogna per questo. Si vergogna per un sacco di cose; per essere andata a letto con ‘il nemico’, per il fatto che ‘il nemico’ fosse una ragazza come lei, per essere stata abbandonata come un cane.
Le viene da ripensare alla canzone che ha sentito alla radio poco prima; ‘Se non uccide, fortifica’ diceva. Secondo lei non era così, non era così per niente, neanche un poco. Ciò che non ti uccide non ti rende più forte, ti devasta solamente, ti lascia una cicatrice. E lei, le cicatrici, non le voleva. Le andavano bene i morsi, i lividi, i graffi, ma che poi sparissero. Le cicatrici le odiava. Odiava il fatto che le potessero vedere tutti, che non fossero più una cosa sua. Santana non lasciava cicatrici, non ne aveva mai lasciate.
Piega il foglio, non ha il coraggio di andare avanti. Lo ripone al suo posto, tra mille altre frasi lasciate a metà, tra mille altre lettere che non spedirà mai.
Cammina pesantemente verso il letto, quel letto che mesi prima aveva visto amore. Si stende e crede di essere mangiata dalla nostalgia, dal rimpianto, dalla tristezza. Invece è la rabbia che la divora, che la consuma. La rabbia di essere quello che è, di non essere all’altezza di essere diversa, di cambiare.
E la rabbia di aver perso, di aver perso miseramente. Di aver perso quella ragazza e ora, che si ritrova a fissare il soffitto con gli occhi pieni di lacrime, la sua dignità. Sente l’odio salirle dalle vene, dalle viscere, e attraversarle il corpo. Sente l’odio bollire e lo espelle nel solo modo che conosce in questo momento: con le lacrime. Lacrime calde.
Si rigira tra le coperte, prende a pugni il cuscino.
Non piange, non vuole più piangere.
Si alza, incrocia le gambe e si accende un’altra sigaretta. Prende la videocamera, l’accende, scorre nella memoria fino a trovare un video, il video. Era stata una sua idea filmarsi con Santana in un momento così intimo; la ragazza aveva riso, ‘Così almeno ti ricorderai sempre di me’ le aveva sussurrato poi, lasciandole piccoli e leggeri baci sul collo. E lei avrebbe voluto risponderle che non avrebbe mai potuto dimenticarsi di lei, che non le serviva un video per ricordarla.
Aspira e preme ‘play’. Sente Santana parlare, da quanto non sentiva la sua voce. Vede i corpi cercarsi, toccarsi, avvinghiarsi. Vede le mani correre fameliche sulla pelle dell’altra, i vestiti cadere veloci. Vede Santana accarezzarla piano, con dolcezza, perché sapeva che era così che le piaceva, e sente sé stessa gemere al suo tocco. Vede Santana girare gli occhi verso la videocamera e sorridere, e capisce di non poter vedere oltre. Non vuole vedere quella ragazza entrare dolcemente in lei, non vuole sentire i ‘ti amo’ sussurrati con paura. Alza lo sguardo al soffitto, strizza le palpebre per la rabbia e lancia la videocamera nell’angolo della stanza.
Piange. Con la testa tra le mani, come i bambini, come gli stupidi, piange.
Sente le loro voci registrate nel video e fa per spegnerlo. Ma poi si sofferma a guardare lo schermo. ‘Una cicatrice’  sospira notando la scheggiatura provocata dall’urto. C’era una cicatrice sulla loro storia ormai finita; dopo tutta quella rabbia, non poteva che rimanere una cicatrice. E lei non era morta, non era più forte. Aveva solo una cicatrice.
Recupera il foglio di prima, la matita. Scrive.
 
‘Ti prego, Santana; torna.’ 
   
 
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