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Autore: SavannahWalker    08/03/2014    0 recensioni
"Così comincia un nuovo anno con tanti buoni propositi che non verranno mantenuti e le stesse sfighe. Un po' tutti speriamo che una semplice data possa attuare un cambiamento nelle nostre vite ed io sono la prima. 20 anni della mia vita passati a invocare qualche strana forza suprema, come sto facendo ora, con il mio bicchiere di plastica rossa in mano, seduta in un divanetto alquanto scomodo. Devo essere abbastanza ubriaca per intraprendere questo monologo ma infondo nessuno sta ascoltando i miei pensieri."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- CIAO! COME STAI? -


"Non mi sarei mai aspettato di vederla lì. Mi chiedo perché il destino sia così crudele da mettere sempre me nei  casini, ma non è colpa mia se lei non sa con che tipo di persone si frequenta. Non credevo che quello fosse il suo tipo, visto il suo caratteraccio pensavo fosse difficile da abbindolare. D'altro canto, non è affar mio."


Dieci minuti, dieci minuti di ritardo. Sapevo che le donne si fanno aspettare ma cominciavo a spazientirmi, volevo che questa cosa finisse il prima possibile. Girai a vuoto il cucchiaino sulla tazzina di caffè che avevo appena bevuto, indeciso se andar via o aspettare ancora per un po'. Sentii il campanellino sopra la porta suonare, entrò guardandosi intorno finché non mi notò. I nostri sguardi si incontrarono e lei alzò un sopracciglio, non sembrava sorpresa di vedermi. Mi raggiunse dopo aver ordinato da bere, si sedette e appoggiò i gomiti sul tavolo mettendo la testa fra le mani. Fece mezze sorriso mentre socchiudeva gli occhi e poggiava sul tavolo il bigliettino che le avevo lasciato nel giubbotto. Lo guardai con la coda dell'occhio senza dargli importanza. Sbuffai e scrollai le spalle. Non mi piaceva l'aria di sfida con cui mi stava guardando, non poteva di certo permettersi di comportarsi così dopo il casino che aveva combinato la sera prima.
«Ebbene?» chiese, con tono sarcastico.
La ignorai per qualche minuto, cercando le parole che andassero dritto al punto.
«Non mi interessa perché ieri sera eri in quelle condizioni, mi basta solo essere sicuro che il capo non sappia che ci siamo visti. Non voglio casini con il lavoro» risposi freddamente.
«Cosa ottengo in cambio del mio silenzio?»
Mi sporsi verso di lei «Non c'è nulla da contrattare» feci una pausa «Se parli contro di me, automaticamente verrai scoperta anche tu».
Sgranò gli occhi e sospirò, facendo segno di dissenso. Avevo ragione e non c'era modo di contraddirmi, posso vantarmi di essere abbastanza bravo a mettere le persone ai ferri corti e trarne vantaggio. Si lasciò andare sulla sedia e balbettò qualcosa sul fatto che comunque era in debito con me. Le spiegai che non volevo avere nessun tipo di rapporto con lei e che non era necessario sdebitarsi. Mi puntò un dito contro, aprendo la bocca ma non riuscì a trovare qualcosa che mi smentisse. Abbassò la testa e si portò le mani sulle ginocchia. Piegai la testa di lato, pensai che stesse per mettersi a piangere. Ero incappato in una situazione a dir poco assurda e non sapevo che fare. Presi un fazzoletto e glielo porsi, non era mia intenzione farlo ma mi limitai a comportarmi in maniera civile.
«Allora le conosci le buone maniere!» disse, dopo aver soffocato una risata «Credevo che non conoscessi la gentilezza, ti atteggi sempre da duro!»
Incrociai le braccia. Mi aveva fregato. 



***



Non so bene come ci sono finito su quel treno. Non so quale sinapsi del mio cervello mi abbia spinto a dire di sì, forse l'idea di fare una "gita fuori porta" senza pagare nulla. Se consideriamo che in quel periodo non di sponevo di molti contanti, non mi andava poi tanto male. Dopo un'ora arrivammo in questa piccola città che dava sul mare, la giornata era abbastanza calda e non nego che il posto era quasi di mio gradimento. Tutto sommato era tranquillo, non c'erano molto persone considerando che era meta prettamente turistica solo d'estate.
Arrivati alla spiaggia si tolse le scarpe e affondò i piedi sulla sabbia, aveva un sorriso che sembrava quello di una bambina. Camminammo senza parlare, giusto una parola ogni tanto per spezzare quel silenzio imbarazzante. Raccolse qualche conchiglia, riponendola in un sacchetto di tessuto turchese con la scritta "Sea" cucita in corsivo. Aveva lo stesso modo di porsi, arrogante ma scherzoso allo stesso tempo, di suo fratello ma in più di qualche occasione si lasciava andare ad un comportamento che rasenta l'infantile. Arrivammo alla fine della spiaggia dove c'era un molo e mi fece segno di seguirla. Ci sedemmo quasi a metà del ponte sovrastante il mare. Buttò la testa all'indietro, inspirando ad occhi chiusi. Ero sicuro che nascondesse molte cose dietro la semplicità in cui si atteggiava.
«Proprio non ti capisco sai?» disse, senza cambiare posizione «Di solito inquadro subito le persone, ma tu sei difficile da capire».
«Detto da te che non hai saputo stare alla larga da un tizio abbastanza discutibile» dissi in tono secco.
«Disse quello che sta con una ragazza abbastanza discutibile» rispose, alzando le mani sopra la testa.
«Non è la mia ragazza».
«Ah, no?» mi chiese curiosa.
Non le risposi, effettivamente non era una persona raccomandabile ma era una conoscenza che mi faceva comodo molto spesso. L'idea che lei la considerasse la mia ragazza mi urtava non poco. Perché le interessava saperlo? Per poi spifferare tutto al suo fratellone e mettermi i bastoni fra le ruote?
«Guarda che non ho intenzione di dire nulla a nessuno. Sarebbe alquanto imbarazzante ammettere di aver fatto una passeggiata con una persona così antipatica! Uno che non si spreca neanche a dirti "Ciao! Come stai?"»
La presi per un braccio e l'avvicinai a me «Nessuno ti ha obbligato a portarmi qui!» sbottai.
Il suo viso, a pochi centimetri dal mio, divenne rosso e sentii il suo respiro bloccarsi per qualche secondo. Girava gli occhi osservando tutto quello che la circondava, tranne me. Era decisamente a disagio, forse avevo esagerato, ma non poteva fregarmi di nuovo.
«Guarda caro, ti ricordi che eravamo anche noi così?»
In quel momento una coppia di anziani passò dietro di noi, dicendo quella frase, sorridendo alla scena a cui stavano assistendo. Entrambi spalancammo gli occhi e restammo inermi di fronte a tutte le cose che comportava una frase del genere. Come potevamo sembrare fidanzati?



***



Quando tornammo in città si era già fatto buio. La situazione era ancora talmente imbarazzante, nonostante fosse passata qualche ora, che scesi dal treno non sapevamo che dirci. Lei corrucciò le labbra mentre si arrotolava i capelli tra le dita, io tenevo una mano in tasca e l'altra sul collo. Nessuno dei due voleva cedere per primo ma dopo qualche minuto l'atmosfera si fece pesante. Decisi di andarmene verso l'uscita.
«U-uhmn, aspetta!» disse, esitante. Mi fermai, in attesa del resto della frase.
«G-grazie, davvero. Sia per l'altra sera, sia per oggi...» continuò. Mi voltai verso di lei, stava sorridendo timidamente tenendosi le mani dietro la schiena. Il suo ringraziamento era sincero, nessun comportamento di circostanza, era spontanea.
Le diedi due pacchette sulla testa «Non pensare che sia così facile abbindolarmi».
Si strinse tra le spalle e nascose il viso tra la sciarpa fina ma notai comunque che era arrossita nuovamente. Sembrava ancora più una bambina ma riusciva ad infondermi un po' di tenerezza, cosa che mi faceva alquanto strano visto la mia indole a non farmi toccare da qualsiasi cosa si avvicini ad un sentimento del genere. Prese una mia mano tra le sue, dopo avervi riposto conchiglia bianca, dicendo che dovevo accettarla come segno di tregua. Il contatto improvviso tra le nostre mani mi fece venire un brivido lungo la schiena e sentii le guancie infiammarsi. Fissai la conchiglia tenendo la testa bassa, se mi avesse scoperto sarei stato fregato per sempre!
Ultimamente mi trovavo spesso e volentieri in situazioni che non ero in grado di controllare. Come potevano essere solo coincidenze? In un modo o nell'altro, volgevano sempre in qualcosa di estremamente imbarazzante per entrambi. Mi arrovellavo il cervello con queste domande che mi tormentavano da un po'.
«Forse è giunto il momento di presentarsi seriamente, che dici?» disse, porgendomi la mano.
Io esitai, se ci presentavamo ufficcialmente questo faceva di noi dei conoscenti e successivamente avrebbe potuto diventare qualcos'altro, come amici. Per la prima volta non riuscii a valutare tutte le opzioni nascoste dietro un gesto del genere. Ora tutto dipendeva da un "sì" o da un "no", non avevo altre scelte a dispozione.
«Se proprio insisti... Il mio nome è...»
Non riuscii a finire la frase perché il treno di fianco a noi partì, facendo un gran casino.
   
 
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