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Autore: ElenCelebrindal    09/03/2014    1 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mae govannen, mellonea nîn

Mancavano solo due giorni alla nomina a capitano di Legolas, e il principe aveva passato la maggior parte del suo tempo libero studiando libri su libri per documentarsi in modo appropriato, mentre il resto della giornata lo trascorreva fuori, assieme alle guardie.
Era passata una settimana dal loro ritorno da Imladris, per volere di Legolas che non se la sentiva di ricevere la nomina così subito, senza un’adeguata istruzione e preparazione.
“Sei ancora a studiare? Forse dovresti fermarti, almeno fino a dopodomani”.
Thranduil l’aveva appena raggiunto nella sua stanza, approfittando di uno dei pochi momenti liberi che poteva concedersi, e stava cercando di convincere il figlio a riposarsi un po’.
Legolas chiuse il libro: “Non posso, adar. Mi hai detto tu che devo sapere tutto il possibile, quindi devo continuare”, disse, strofinandosi gli occhi con una mano.
Thranduil prese il libro dalle mani del figlio e lo posò sulla scrivania: “Allora adesso ti ordino di uscire da qui e fare una passeggiata nella foresta, senza pensare a nulla se non al tuo riposo. Ti preoccuperai dopodomani di tutto. Adesso volgi la mente altrove, iôn nîn”, replicò, mettendo poi una mano sulla spalla del figlio.
Legolas si alzò e sorrise: “Va bene. tornerò per l’ora di cena”, disse mentre usciva.
 
Legolas diede un’occhiata agli Elfi presenti: erano parecchi, più di quanti si aspettava.
Ma d’altronde le guardie erano davvero molte.
Il principe si sistemò meglio la sottile corona di mithril, raddrizzandola e impedendo ai suoi capelli di impigliarsi nel metallo, poi prese un profondo respiro e cercò di allentare la tensione.
Stava per essere nominato Capitano della Guardia, un titolo molto ambito dalla maggior parte degli Elfi del Boscoverde, e uno tra i compiti più impegnativi che esistevano.
Lisciò la veste argentea che indossava e diede uno sguardo alla sala dove si sarebbe svolta la cerimonia, poi distolse l’attenzione e ripassò a mente le parole che avrebbe dovuto rivolgere a suo padre.
Quando la voce del re risuonò, Legolas si preparò ad uscire, ripassando ancora una volta ciò che doveva dire, poi, quando Thranduil disse: “Legolas Thranduilion, fai il tuo ingresso e presentati al popolo di Eryn Galen”, il principe avanzò con passi misurati in mezzo a due ali di Elfi, sia donne che uomini, fino a trovarsi di fronte a suo padre.
Lì si inginocchiò, mentre Thranduil parlava nuovamente: “Un grande guerriero merita grandi titoli. Quali saranno le tue intenzioni, se verrai nominato Capitano?”.
“Le mie intenzioni saranno tra le più nobili osservate da questo popolo”, rispose Legolas, con voce ferma.
“Sulla tua vita e sulla terra in cui viviamo, giuri di portare sempre obbedienza al tuo sovrano?”.
“Amin gwesta sen” (Lo giuro).
“Giuri di mettere il tuo arco e la tua spada al servizio della giustizia?”
“Amin gwesta sen”.
“Giuri di dedicare la tua vita alla protezione di questo regno e, se necessario, della Terra di Mezzo?”
“Amin gwesta sen”.
“Allora alzati, Legolas Verdefoglia”.
Legolas si alzò, senza mai interrompere il contatto visivo con Thranduil.
“Io ti nomino Capitano della Guardia. Ora voltati, e accogli i tuoi guerrieri”.
Il principe si voltò, e tutte le guardie sollevarono le loro armi, suggellando la fine della cerimonia e dimostrando la loro lealtà al nuovo Capitano.
Quando la sala fu finalmente vuota, Thranduil poté tirare a sé il figlio, stringendolo in un abbraccio: “Sono fiero di te, ión nîn”, mormorò, sorridendo”.
“Hannon le, adar. Pensi davvero che sarò all'’altezza del compito che mi hai assegnato?”, disse Legolas, sciogliendo l’abbraccio ma continuando a tenere la mani su quelle di Thranduil.
Thranduil, senza smettere di sorridere, rispose: “Non pensare nemmeno per un momento di non poter essere all'’altezza di questo, Legolas. Le naa belegothar, galad nîn, ar naa curucuar” (Sei un possente guerriero, luce mia, e un abile arciere).
Legolas strinse di nuovo il padre, ma poi si congedò e fece ritorno alle sue stanze, mentre pensava al suo nuovo compito.
Avrebbe dovuto conciliare i suoi studi da principe con il fatto che era un Capitano, ma non se ne preoccupava molto, perché voleva impegnarsi al massimo per rendere fiero Thranduil, per essere il figlio che il re desiderava.
A questo era rivolta la sua mente mentre si cambiava d’abito, sostituendo gli abiti da cerimonia con quelli più pratici da guardiano, che indossava spesso.
Lanciò uno sguardo alla leggera armatura dorata, in un angolo della stanza, ma decise di non indossarla fino al giorno seguente, benché fosse forgiata con talmente tanta maestria che il peso era quasi impercettibile.
Indossò i suoi vambraci e, dopo essersi messo in spalla arco e pugnali, uscì dalle sale del Reame, determinato a non vedere nessuno oltre agli animali di Eryn Galen.
Vagò in mezzo agli alberi fino a quando la luce non fu svanita completamente, lasciandolo al buio tra le fronde.
Il principe non se ne preoccupò, poiché bastava la fievole luce della luna che filtrava attraverso le foglie perché riuscisse a vederci, e così non ebbe problemi a far ritorno alle Sale, benché procedette più lentamente, restio ad abbandonare la calma di quegli spazi aperti.
La notte trascorse come il vento, e il giorno dopo Legolas si svegliò con la consapevolezza che il suo compito iniziava in quel momento, e non avrebbe avuto scuse per non adempiere ai suoi doveri.
Indossò i soliti abiti, con l’aggiunta dell’armatura che gli era stata donata poco prima, e si stupì del fatto che fosse davvero incredibilmente leggera come pensava.
Mentre si allacciava gli stivali, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti”, fece il principe, quando ebbe raddrizzato la schiena.
Era una delle guardie: “Capitano, tuo padre il re desidera parlarti. Dovresti  recarti da lui il prima possibile”, disse.
Legolas annuì: “Grazie per aver riferito. Vado subito”, rispose, mentre l’elfo andava via.
Recuperò l’arco e uscì dalla sua camera, dirigendosi alla sala del trono velocemente, ma senza correre.
Quando arrivò dinanzi al trono di suo padre, il re congedò le guardie presenti e disse: “Hai risposto in fretta alla mia chiamata. Mi piace, è una buona qualità per un capitano”.
Era seduto sul suo trono, e non si mosse da lì, facendo capire a Legolas che ogni volta che gli avrebbe parlato in veste di capitano avrebbe dovuto ricordare che si trovava davanti ad un re, non solo a suo padre.
Il principe chinò leggermente la testa: “Perché mi hai fatto chiamare, adar?”, domandò.
“Volevo parlarti, prima che tu esca. Sono certo che hai riflettuto su cosa significhi essere Capitano e principe allo stesso tempo, ma vorrei dirti lo stesso due parole. So bene che dovrai stare spesso fino a tarda sera fuori di qui, ma questo non deve dissuaderti dai compiti di principe che hai. Devi riuscire a trovare anche il tempo per lo studio e dovrai riuscire anche a trovarti al mio fianco quando avrò delle cose importanti da insegnarti. Non è facile, lo capisco bene, poiché ci sono passato anche io, ma è ciò che ti chiedo. E ricorda, ogni qualvolta ordino a te di fare qualcosa in veste di Capitano, esigo che tu esegua sempre gli ordini. Altrimenti penseranno che non sei degno di essere chiamato tale e ti si rivolteranno contro. Non devi pensare di trovarti di fronte a tuo padre, ma solo di fronte al re degli Elfi. Hai capito?”.
“Si, ho capito, aran nîn”, rispose Legolas, chiamandolo per la prima volta re.
Thranduil annuì: “Molto bene. Vai ora”, ordinò, e il principe, dopo averli rivolto un leggero inchino, voltò le spalle al re e uscì: l’attendeva una giornata dura, ma si sarebbe dimostrato un buon Capitano.

Così passarono molti e molti anni, ma Legolas, quando arrivò all'’età di 2008 anni, cominciò a sentire il peso di essere Capitano e principe allo stesso tempo.
Quando non era assieme alle guardie tra gli alberi, oppure fuori dal Boscoverde per ordine del re, Legolas si ritrovava sempre sui libri, oppure assieme a suo padre, che ormai tutto era tranne che il padre che voleva.
Lo trattava quasi in tutto e per tutto come un semplice Capitano, gli rivolgeva raramente dei complimenti che andavano a toccare anche il suo spirito di figlio e il tempo che trascorrevano assieme come genitore e figlio era pochissimo.
Legolas aveva fatto altri viaggi, esplorando la Terra di Mezzo per quando gli venisse permesso, ma la maggior parte del tempo la passava tra i familiari alberi di Eryn Galen, e la vita era trascorsa così fino all'’anno 2251 della Terza Era, quando un giorno il principe prese la decisione di lasciare la guardia.
Tuttavia, quando lo riferì a suo padre, questo si adirò: “Come puoi chiedermi una cosa simile? Tu sei il miglior Capitano che io abbia mai avuto, non puoi semplicemente venire qui e dire che vuoi lasciare l’incarico. Non ci sono Elfi abbastanza qualificati, ora come ora. Mi dispiace, ma adesso non posso accontentarti”.
Ma non gli dispiaceva per niente, glielo si leggeva negli occhi.
E, per la prima volta in vita sua, Legolas sentì che era stato trattato ingiustamente: come poteva suo padre non capire come si sentiva in quel momento? Lui, che aveva fatto tanto per farlo sentire felice, lui che protestava sempre quando Oropher gli riservava lo stesso trattamento.
“Tu non capisci niente. Se tu comprendessi come mi sento adesso, non diresti che è impossibile sostituirmi solo perché non ci sono Elfi qualificati per questo compito. Tu vuoi che io sia il Capitano, TU lo desideri, quando ciò che voglio io è completamente differente! Pensavo che saresti stato un padre migliore, ma a quanto pare hai dimenticato che davanti a te non c’è solo un principe, o un Capitano, ma il tuo stesso figlio. Hai dimenticato di essere un padre, oltre che un re arrogante e presuntuoso!”.
Glielo urlò in faccia, incurante che potessero sentirlo, incurante delle conseguenze che quel comportamento avrebbe avuto.
Perché era stanco, Legolas, di non essere più trattato come una volta.
Non gli importava se quei pensieri fossero infantili: gli mancavano gli abbracci del padre, i suoi sorrisi e lue parole per confortarlo e farlo sentire bene.
Gli mancava suo padre.
Thranduil cercava di non mettersi ad urlare, e quando parlò, il suo tono di voce era pericolosamente vicino al collasso: “Come ti permetti di parlare a me in questo modo? Come ti permetti?! Non ti autorizzo ad affermare certe cose!”, disse, ma l’ultima frase la gridò anch’egli, perdendo la pazienza e alzandosi dal trono per ritrovarsi di fronte al figlio, che non batté ciglio.
“Non mi serve la tua autorizzazione per dire la verità! Tu sei arrogante e presuntuoso, non sei più il Thranduil che conoscevo e che era mio padre! Io sono tuo figlio, maledizione! TUO FIGLIO!”, replicò Legolas, urlando in faccia al padre tutta la sua rabbia.
Il re assunse un cipiglio pericoloso e disse, tornando a controllare la voce: “Hai oltrepassato ogni limite. Non vuoi essere più Capitano? Bene! Ma ti informò che passerai una settimana intera chiuso nelle segrete, e ringrazia che sono stato clemente!”.
Legolas lo guardò come pietrificato, mentre due guardie lo afferravano e lo portavano via.
Come poteva, Thranduil, fargli questo?
Quando aveva affermato che mai avrebbe fatto come Oropher con lui, che mai avrebbe seguito le orme del padre quando faceva qualcosa che non gli piaceva, come poteva farlo?
Solamente quando le sbarre si chiusero, Legolas ritrovò la capacità di muoversi, tuttavia rimase immobile dove si trovava, in piedi a guardare fuori dalla cella dove era stato rinchiuso.
Fu allora che le lacrime cominciarono a scendere sul suo volto, lente e silenziose, mentre il principe mormorava: “Come hai potuto dimenticarti chi sei, adar nîn?”.
Crollò in ginocchio e pianse tutto il dolore che provava, perché era stato rinchiuso dalla persona che amava di più al mondo, ma non era stato rinchiuso solo fisicamente.
La sua mente si rifiutava di accettare tutto quello, si rifiutava di credere che suo padre l’avesse abbandonato, e si chiuse in sé stessa, lasciando spazio solo alle ultime parole gentili che aveva udito da Thranduil, centinaia di anni prima: melin le.


[flashback]

La Mereth-en-Gilith era cominciata da poco e gli Elfi erano tutti felici di poter partecipare ancora una volta a quella magnifica festa, che commemorava la splendida luce degli astri di Elbereth.
Legolas se ne stava in disparte, fuori dalle sale del Reame Boscoso, sotto le fronde di uno degli alberi più imponenti del Bosco, e guardava pensieroso il cielo, tanto che si accorse della presenza del padre solo quando quello parlò: “Iôn nîn, aphado nîn. Anìron ya le tìrach i Land en Gilith na amin” (Figlio mio, seguimi. Desidero che tu veda la Radura delle Stelle con me).
Legolas ne rimase stupito: ricordava che, quando era un bambino, suo padre gli aveva promesso una cosa del genere, ma non credeva che sarebbe accaduto così presto.
Il principe sapeva che quel luogo ricordava a Thranduil la moglie molto più che ogni altro, e non credeva che sarebbe riuscito a rivederlo dopo quel poco lasso di tempo.
Perciò acconsentì e insieme, per un sentiero dove non c’era nessuno, arrivarono alla Radura delle Stelle.
Era la prima volta che Legolas vedeva il suo aspetto alla Mereth-en-Gilith, ed era un luogo bellissimo: vedendola, capì subito perché il padre avesse scelto quel luogo per dichiarare il suo amore a Vendë.
L’erba sembrava un tappeto d’argento liquido, che si increspava al lieve soffio del vento, ed era decorata da minuscoli fiorellini e punteggiavano l’ambiente, crescendo perfino sugli alberi, i cui tronchi parevano bianchi e le fronde scintillavano come metallo.
Padre e figlio si persero in quella meraviglia, calpestando quel prato soffice con i piedi scalzi.
Restarono fermi nella Radura per molto tempo: Legolas non riusciva a staccare gli occhi dalla meraviglia che li colmava, rifiutava di muoversi.
Senza farsi notare, si voltò verso il padre, che se ne stava in ginocchio al centro della Land en Gilith, con i palmi a terra e la testa china.
Poche lacrime solcavano le guance del re, e Legolas si avvicinò lentamente, abbracciandolo: “Piangi, adar nîn, non lasciare che la tua carica dire ti lasci senza emozioni. Stanotte siamo solo padre e figlio, e io ti sono vicino. Perciò, non trattenere le lacrime”, disse a voce bassa, stringendolo di più.
Thranduil lasciò le lacrime scorrere libere, lasciò che i dolci e amari ricordi lo invadessero, consapevole della presenza confortante del figlio.
Due sole parole arrivarono alle orecchie di Legolas: “Melin le”.
Ti voglio bene.
 
[fine flashback]

 
Per l’intera settimana Thranduil non volle parlare con nessuno, lasciando il trono vuoto ogni giorno e vietando chiunque di disturbarlo, nemmeno per una guerra in corso.
Sapeva di non poter revocare l’ordine di tenere chiuso suo figlio nelle segrete, per non dimostrare favoritismi, ma aveva dato quell’ordine in un momento di rabbia cieca.
Le parole di Legolas gli avevano fatto male, l’avevano ferito, ma forse avevano avuto quel’effetto perché erano vere, maledettamente vere.
E ora si pentiva di aver commesso lo stesso errore di Oropher, si pentiva di aver trattato in quel modo suo figlio, si pentiva di averlo abbandonato e di aver dimenticato di essere un padre.
Perché lui era un padre, oltre che un re, e Legolas era un figlio, oltre che un principe.


Questo agitava i suoi pensieri, mentre Legolas era solo in quella cella, a pensare e ripensare al comportamento di suo padre.
Dalla morte di Oropher era andato sempre peggiorando, fino a divenire il re che era, saggio e giusto, ma pur sempre arrogante e ossessionato da argento e gemme.
Non parlò e non accettò né cibo né acqua o vino per tutta la permanenza nelle segrete, mandando via le guardie ogni volta guardandole in modo gelido.
Aveva saputo che Thranduil non aveva intenzione di scegliere un nuovo Capitano, e così le guardie sierano dovute arrangiare nominando dei comandanti provvisori, ma l’organizzazione era difficile da gestire, soprattutto senza un re seduto sul trono.
“Puoi uscire”, gli disse un elfo dopo una settimana esatta, aprendo la porta della cella e scansandosi quando Legolas lo oltrepassò senza dire una parola, dirigendosi dritto alle stanze del re.
Non rivolse la parola a nessuno, e non si fermò per tutto il tragitto, determinato a parlare di nuovo con il padre.
E se non l’avesse ascoltato, sarebbe andato via direttamente.
Entrò senza bussare nelle stanze reali e sbattendosi la porta alle spalle, senza spostare lo sguardo da suo padre, ch’era di spalle davanti a lui.
“Adar?”, lo chiamò, senza però ricevere risposta.
Si sorprese non poco quando udì dei singhiozzi soffocati, e all'’improvviso si ritrovò stretto tra le braccia del padre, sentendo le sue lacrime bagnarli il volto così vicino al suo.
“Mi dispiace, mi dispiace”, gli sussurrò con la voce che tremava.
“Non meritavi quello che ti ho fatto, sono un padre orribile, non sono degno di essere chiamato tale, non sono degno di avere un figlio come te. Perdonami, se puoi”.
Legolas era incapace di parlare, si limitò a stringersi ancor di più a Thranduil, parlando con le parole della mente: “Ti perdono, adar. Ti voglio bene”.
Quando si separarono, disse: “Adar, adesso però dovresti tornare su tuo trono. Non puoi continuare a restare isolato qui. E…”.
“E dovrei trovare un nuovo Capitano? Questo stavi per dire?”, continuò il re al suo posto.
“Si. Te l’ho già detto, sono stanco, non voglio più quel titolo”.
“Molto bene, ne troverò un altro, allora. Avrei dovuto rispettare sin dal principio la tua scelta. Vai pure, Legolas, fai quel che desideri. Oggi non hai alcun incarico”.
“Hannon le, adar”, ringraziò il principe, prima di andare fuori, tra gli alberi, e ancor più lontano, al limite della foresta.
Impiegò del tempo, camminando a passo moderato, ma quando giunse in vista del confine settentrionale si sedette ai piedi di un grande albero, tra le radici che spuntavano dal terreno, e ivi rimase fino a tarda sera, quando l’unica luce che rischiarava il mondo era quella della luna crescente, quasi piena in tutto il suo splendore.
Solo allora decise che era giunto il momento di fare ritorno e si incamminò sulla via di casa, seguendo il sentiero più rapido che riuscì a trovare.
Giunse in poco tempo alla città nei pressi dell’ingresso delle Sale e, aspettandosi di trovarla deserta, si sorprese nel constatare che una bambina, di non più di dieci anni, scorrazzava tra gli alberi alla luce della luna, guardata a vista da un’elfa non molto lontana.
Legolas accantonò l’idea che potesse essere la madre, perché il suo aspetto era troppo diverso da quello della piccola, non c’era nulla che indicava parentela tra loro.
Era una bambina davvero strana, diversa da molti degli Elfi conosciuti da Legolas, probabilmente perché aveva i capelli rossi, una caratteristica rara tra gli Eldar.
Non restò a guardare molto tempo, poiché doveva tornare al palazzo, ma riuscì a chiederle il suo nome, quando si fermò davanti a lui: “Man eneth lîn?” (Qual è il tuo nome?).
Lei, guardandolo con i suoi occhi chiari, rispose: “Tauriel i eneth nîn, cund Legolas” (Il mio nome è Tauriel, principe Legolas).
Poi gli rivolse un enorme sorriso e tornò ai suoi giochi, mentre il principe faceva ritorno a palazzo, con un nuovo pensiero che gli attraversava la mente.


Thranduil trovò un nuovo capitano, aiutato da Legolas che conosceva molto bene ogni singola guardia, e la vita nel Reame Boscoso trascorse tranquilla, almeno fino all'’anno 2641 della Terza Era, quando anche l’altro capitano annunciò che aveva intenzione di ritirarsi.
La situazione rischiò di precipitare, perché nessuno si fece avanti per ricoprire quella carica, ma Legolas capì come risolvere tutto.
Prese suo padre in disparte e gli disse: “Adar, ci sarebbe qualcuno intenzionato a diventare Capitano della Guardia, ma purtroppo ora si trova ai confini meridionali”.
“E chi sarebbe? Ho mandato molti elfi ai confini meridionali, fammi capire”.
“Ricordi l’elfa che si è unita alla guardia tempo fa?”.
“Certo, Tauriel”.
“Lei. È una brava guerriera e ha la stoffa del Capitano. Potresti mandare qualcuno a chiamarla e vedere se accetta di diventare capitano”.
Thranduil scosse lievemente la testa: “Ha solo quattrocento anni, è molto giovane”, gli fece notare.
“Giovane, si, ma abile come pochi. Fidati di me, sarebbe perfetta”, replicò Legolas.
“Ci penserò e domani vedrò cosa fare. Per oggi, ordina a tutti di non sparpagliarsi per la foresta e occupare solo le postazioni fisse. Non vorrei problemi di scarsa organizzazione, com’è accaduto qualche tempo fa”.
“Be iest lîn, adar”, rispose Legolas, facendo come gli era stato chiesto.
Sperava che suo padre decidesse di nominare Tauriel Capitano della Guardia: era davvero un’ottima guerriera e un’eccellente stratega, anche se un po’ avventata a volte.
E non poteva negare, che era molto carina.

Alloooora, non parlerò troppo, non vi annoierò con le mie inutili chiacchiere. Chiedo solo pietà a chi non piace Tauriel, perché a me come personaggio non dispiace troppo. E non potevo lasciarla fuori, anche peché la parte dello Hobbit è più movieverse che altro, data la presenza esclusiva di Legolas nel film. 
E finisco ancora una volta ringraziando per l'ennesima volta (ma i ringraziamenti non sono mai abbastanza):

1) I miei carissimi lettori silenziosi

2) Ayumi_m, Elenwen, fredfredina, letizia2002, nadivolraissa, sara2001, Stana1 e solenne per aver aggiunto la storia alle preferite (o mantenuto tra le preferite, a seconda dei casi)
3) Anna Tentori, Chiaretta_6, Clar52a, Elenwen, ewan91, Medea_96, nadivolraissa e ReginadelleStelle per aver aggiunto la storia alle seguite (o, anche qui, per averla mantenuta)
4) Elenwen, nadivolraissa e Satana1 per averla mantenuta tra le ricordate

Che altro dire? Lasciate qui una recensione se vi va, anche se è di sole dieci parole ;)

Meneg suilad dalla vostra Elfa, al prossimo incontro *saluta con la manina*


Hannon le

ElenCelebrindal
 
   
 
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