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Autore: WasteNoTime    10/03/2014    3 recensioni
In un mondo dove la schiavitù è legalizzata ovunque, eccetto che in Europa, Kurt Hummel si trasferisce a Lima dopo aver passato sette anni a Parigi. L'idea di possedere una persona lo disgusta, ma presto incontrerà un ragazzo che gli farà cambiare idea. Kurt non vorrà nient'altro al mondo che poterlo avere.
Slave!Blaine.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
L'altra sera stavo cercando nuove FF  su fanfiction.net, e mi sono imbattuta in questa. Dire che l'ho letta in un giorno tutta d'un fiato è dire poco. E' davvero bella, e spero che  l'apprezziate anche voi. 
Passando ai dettagli tecnici, la FF è completa di 45 capitoli, ma considerando la mia valanga di cose da fare dovrete avere un po' di pazienza. Prometto di non farvi aspettare i secoli, ma se qualche volta ci metto un po' ad aggiornare, vi chiedo perdono in ginocchio sin da ora. 
Seguo molte traduzioni insieme, il che mi rende leggermente folle, I know, ma è una cosa che amo fare, e condividere quello che trovo e che mi piace, e riscontrare apprezzamenti è una cosa che fa sempre piacere. 
Finito lo sproloquio inutile, vi lascio.
Io sono Ronnie, anyway.

Link al capitolo originale: 
https://www.fanfiction.net/s/9331702/1/With-No-Moonlight
 

“Kurt, vieni, o faremo tardi,” un ragazzo guardava fuori dalla finestra della sua ormai dolorosamente vuota camera. Sentendo la voce del padre, diede un’ultima occhiata, poi lasciò il posto.
La stanza conteneva così tante memorie, ma era allo stesso tempo ora spoglia. Solo il suo letto e qualche mobile che avrebbero lasciato lì. Quella che una volta era decorata così attentamente, non rifletteva più la personalità del suo abitante; era bianca come il ragazzo si sentiva dentro.
Kurt Hummel stava lasciando la Francia. Lo sapeva da un po’, ma non lo faceva sentire meglio in alcun modo. Aveva una vita felice lì. Il suo diario era pieno di foto di lui con i suoi amici, insieme a biglietti di concerti, cartoline.. qualsiasi cosa avesse contato, nella loro amicizia. Aveva versato molto più di una lacrima, la notte in cui lo aveva sfogliato, prima di riporlo in uno degli scatoloni da spedire in America, e sperò soltanto che un nuovo diario, dedicato alla sua nuova vita, sarebbe stato ricco di bei ricordi come quello vecchio.
 
“Non faremo tardi,” disse fermamente quando finalmente raggiunse suo padre, pronto per partire, al piano di sotto. “Abbiamo tempo.”
“Non sai mai cosa potrebbe succedere lungo la strada,” replicò Burt Hummel.
Era un uomo a cui piaceva prendere precauzioni. Se ci fosse stata qualche possibilità di essere in ritardo, avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere, per scongiurarla. Essere in ritardo per il volo era qualcosa che non voleva sperimentare.
 
“Sì, sono sicuro che un’astronave aliena sulla strada ci impedirà di passare,” lo prese in giro Kurt, mentre lasciavano la casa, e il più vecchio chiudeva la porta.
“In quel caso saresti felice di essere uscito in anticipo, perché ci impiegheremmo un bel po’ per trovare un’altra strada per l’aeroporto,” Burt rise, passando velocemente dalla casa del vicino per lasciargli le chiavi, che poi le avrebbe lasciate all’agenzia che si sarebbe occupata della casa per tutto il tempo in cui avessero voluto affittarla ad estranei.
Era strano per entrambi i due, immaginare qualcun altro vivere nella loro casa, dormendo nei loro letti ma, a discapito di questo, era sempre meglio sapere che, se un giorno avessero voluto tornare, avrebbero potuto farlo, anche se era difficile, che succedesse.
 
Kurt si era trasferito in Francia a nove anni, un paio di mesi dopo che sua madre era morta di cancro. Il fratello di Burt, che aveva sposato una donna Francese, e aveva vissuto a Parigi per un po’, li aveva invitati a stare da loro, fino a che non si fossero ripresi dalla perdita. Quando erano sul punto di tornare in America, si resero conto che nessuno dei due voleva davvero andarsene, quindi Burt decise di trasferirsi in Europa definitivamente, e presto stavano costruendo una nuova vita lì, lontani dall’ Ohio.
 
Erano passati sette anni, e adesso era lì che stavano tornando. Era ironico come fosse stata la morte di qualcuno, a farli partire, e come adesso fosse la morte di un altro parente a costringerli a tornare. Era come se non avessero altra scelta, visto che, quando avevano scoperto che lo zio di Burt aveva lasciato i suoi affari al nipote, l’uomo dovette prendere una decisione. Visto che non stavano proprio così bene, economicamente, decisero cogliere quella possibilità, e tornare a Lima, per gestire il garage che ora gli apparteneva.
 
“Beh, saluta la tua vecchia casa,” Burt forzò un sorriso, e prese posto in macchina.
“Scommetto che ci hai fatto una lunga chiacchierata,” lo prese in giro Kurt, ma la sua voce lo tradì.
Burt pose una mano sulla sua spalle, e sospirò. “Lo so che è difficile andarsene, ma andrà tutto bene, te lo prometto.”
“Te lo ha detto la casa?” ghignò il ragazzo, sperando che il padre sarebbe stato al gioco, perché sapeva che avrebbe potuto cominciare a piangere.
L’uomo scosse la testa e avviò il motore.
 
Il viaggio verso l’aeroporto fu silenzioso. Nessuno disse una parola, persi nei loro pensieri, rivivendo i momenti migliori della loro vita in Francia. Proprio mentre salivano in aereo, Kurt promise a sé stesso di farsi nuovi, se non migliori ricordi.
 
 
 
 
Il volo durò un’eternità, almeno così sembrò a Kurt. Cercò di dormire, ma il sonno non arrivava e, mentre il pilota cominciava l’atterraggio, era stanco, e il suo corpo era indolenzito.
“Papà, svegliati, stiamo atterrando,” disse il ragazzo al padre, e Kurt aprì lentamente gli occhi, sbadigliando apertamente. “Stai cercando di mangiare la poltrona davanti a te?”
“Ha, ha, molto divertente,” replicò Burt, cercando di sedersi più comodamente.
“Signore, potrebbe, per favore, mettersi la cintura?” chiese la hostess educatamente, raggiungendoli durante il controllo. “Grazie.”
Una volta che si fu allontanata, Burt guardò il figlio, e Kurt fu sorpreso di vedere uno sguardo serio, sul suo viso. “Kurt, so che ne abbiamo già parlato un milione di volte..”
“Riguarda la schiavitù?” sospirò Kurt.
“Sì. So che sei consapevole della tratta degli schiavi, in America, ma una cosa è leggerlo su un libro, totalmente differente è doverlo vedere con i tuoi occhi.”
“Papà, vivevo qui, ricordi? Mi ricordo com’è,” disse Kurt, cercando di non alzare gli occhi al cielo. Ne avevano parlato così tante volte.
“Eri davvero troppo piccolo, per ricordare, Kurt. Sarà tutto diverso, adesso,” disse Burt. “Voglio soltanto che ne parli con me, se c’è qualcosa che ti sconvolge, va bene?”
“Come se non lo facessi tutto il tempo in ogni caso,” rise Kurt.
 
Una delle cose più belle della sua vita era il rapporto con suo padre. I suoi amici lo aveva sempre invidiato, perché poteva parlare con lui di qualsiasi cosa, sempre. Se l’uomo non lo avesse capito, si sarebbe limitato ad abbracciarlo, ed essere lì per lui, poi sarebbe andato su internet, avrebbe letto qualche articolo, o consultato qualche blog sugli adolescenti, fino a che non avesse potuto aiutare il figlio in qualche modo. Il ricordo del suo coming out era sempre nella sua mente.
 
“Ordiniamo della pizza,” suggerì Burt, una sera.
Kurt aveva quattordici anni, e stava cercando di raccogliere un po’ di coraggio per dire all’uomo di essere attratto dai ragazzi, e non dalle ragazze. Sapeva che suo padre aveva un grande cuore, e lo amava, ma aveva letto così tante storia, su internet, dove i genitori smettevano di amare i loro figli, dopo che erano usciti allo scoperto.
 
“Vuoi quella vegetariana o quella con la carne?”
Non era in quel modo che lo aveva programmato, ma non poteva più trattenersi, così semplicemente sbottò. “Sono gay.”
“E con la carne sia,” disse Burt, chiudendo il menù.
Kurt rimase alquanto scioccato, dalla risposta, e le lacrime cominciarono a cadere sul suo viso.
“Ora ascoltami,” disse suo padre, guardandolo dritto negli occhi. “Tu troverai un ragazzo, lo porterai da me, così che possa assicurarmi che sia abbastanza, per te. Mi hai capito?”
Il ragazzo annuì, e singhiozzò.
“Anche se non penso che esista qualcuno che possa mai essere alla tua altezza. Tu sei troppo per tutti loro,” disse Burt, avvolgendolo tra le braccia e stringendolo. “Ti voglio bene, ragazzo.”
“Ti voglio bene anche io,” cercò di dire tra le lacrime.
 
Quella notte, Burt poté sentire suo figlio piangere rannicchiato a letto, e Kurt poté sentire il vecchio computer dello studio acceso che lavorava rumorosamente, mentre suo padre digitava qualcosa lentamente, di tanto in tanto.
Nessuno dei due dormì, quella notte.
 
“Abbiamo mai avuto uno schiavo, quando vivevamo a Lima?” chiese Kurt dopo un po’, mentre l’aereo atterrava e rallentava sulla pista.
“No. Tua madre non credeva nel commercio degli schiavi, e io nemmeno,” disse, poi il silenzio cadde tra loro. “Hai mai voluto uno schiavo, Kurt?”
Kurt scosse la testa all’istante. “Mai.”
 
Quello che successe in seguito gli fece sapere che presto lo avrebbe voluto. 



 

Che dire, spero che vi sia piaciuto. I primi capitoli sono introduttivi, ma presto comparirà anche una certa figura di nostra conoscenza, che sono certa è quella che tutti voi aspetterete. 
Spero di poter presto leggere il vostro parere. Per qualunque cosa, commenti, consigli, ecc. sono a vostra disposizione. 
Un bacione!

 
  
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