Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |       
Autore: roro    28/06/2008    13 recensioni
«Kagome-chan? Ehi, Kagome? Guarda che è ora di andare».
«Mh?».
«Svegliati, dai. C’è InuYasha fuori dalla finestra!».
Spalancò gli occhi, si mise a sedere e per poco non cacciò un urlo – ah, sì, non che si aspettasse davvero di vedere InuYasha, eh. Era solo – niente di importante. Scosse il capo e guardò Sango. «Perché mi hai aspettata? Potevi andare. Non c’era bisogno di restare qui».
«Oh, invece sì. Era l'unica soluzione», sospirò l’altra, «non voglio che tu cada in un tombino perché impegnata a leggere quelle sciocche leggende. Sì, so che le ami visceralmente, ma riconoscerai anche tu che sono leggermente stupide. E una sacerdotessa non dovrebbe prendere tanto in considerazione certe storielle».

[Storia in revisione]
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Because of you.
[Capitolo 1]
 

  (Un giorno dopo la revisione del Prologo - oggi è il 7 aprile 2010 -, ho terminato anche quella del Primo Capitolo.
Insomma. Era una tragedia.
Sì-particella-affermativa privi di accento, dialoghi che non stavano né in cielo né in terra e... e niente. Ho rivisto.
Riscritto, per quanto concessomi, ma non mutato - se avessi potuto, questa storia ora sarebbe completamente differente -, e, beh, ho inserito parecchi spazi.
Il fatto è che prima era un... un... uhm. Come dire?
Sembrava un susseguirsi di amenità? Non si capiva cosa stessi dicendo? La storia si incespicava?
Ho cercato di rimediare, per quanto possibile, e di sistemare un po' il precedente lavoro. Spero vada meglio, sinceramente.
Al prossimo capitolo. <3

Ah, sì: ringrazio tutti quelli che avevano commentato il prologo. U____U E ovviamente quanti, a suo tempo, commentarono questo primo capitolo.
Non potete capire quanto la cosa mi riempia di gioia, davvero. Siete splendidi. XD)










 
 
 
 
 
«Kagome, bentornata, è pronto-».
«Scusa, mamma, non ho fame. Vado in camera mia, okay?».
 

Un gradino, due gradini, tre gradini. Poi la porta della stanza, la mano sulla maniglia, la spinta, l’uscio che si chiude con uno scricchiolio e la testa nascosta nel cuscino.
Allungò un braccio, tentoni – dove diavolo era finito il libro? – e sospirò solo quando le dita sfiorarono la rigida copertina.
«Ecco». Strinse il tomo al petto. «Ecco le mie Leggende. E sfido qualcuno a chiamarvi ancora libro-per-bambini, eh».
 

Le Leggende – versione integrale – Del Regno Di Goshinboku erano un regalo di suo padre. Un regalo di quelli che, pur avendo anni ed anni, e pur puzzando un po’ di muffa, fatichi a buttare e osservi con aria deliziata, compiaciuta.
Erano un dono prezioso e raro, semplicemente bello, e lei lo amava con tutta se stessa.
«Papà deve aver faticato parecchio», aggiunse, «per trovarti. In fin dei conti, si è dovuto avventurare in quella sottospecie di continente perduto. Okay, così facendo avrà pure guadagnato l’amicizia del re – e beh, ha ottenuto anche te, dato che sei un regalo del sovrano per la nostra famiglia –, ma ha comunque rischiato la vita».
E in quella spedizione, poi, non avevano neppure rinvenuto nulla: di quel castello tanto invidiato restava ben poco, solo qualche brandello delle mura. Poche statue, pochi resti, pochi abitanti.
Il regno di Goshinboku era sparito nel nulla.
…e di quel giardino? Del giardino reale? Di quel luogo d’incanto, tanto decantato nelle Leggende?
Suo padre aveva faticato non poco, a raccontarle la verità – era seccato tutto, le piante erano morte, le rose della regina Izayoi erano solo un vago ricordo. Qualche arbusto ancora persisteva, tenace, eppure non poteva che trattarsi dell’ultimo canto del cigno.
«Il tuo regno sta morendo e io non posso fare nulla. Se papà potesse vedermi», aprì di scatto il libro, «forse mi odierebbe. Dovrei fare qualcosa».
Oh.
Ah, sì. Certo.
InuYasha aveva gli occhi socchiusi, le labbra rosate e i capelli mossi dal vento. Era presentato così, in quel capitolo, e così era raffigurato anche nell’immaginazione di Kagome.
Sereno, calmo, forse felice.
La ragazza abbassò appena il capo, osservandolo. «Non sembri morto, sai? Anzi». Sfiorò con i polpastrelli la ruvida carta, inspirando l’acre odore dell’inchiostro. «InuYasha Taisho, figlio dell’ultimo re di Goshinboku, sei di certo una delle creature più splendide del creato».
E se fosse entrato nella sua stanza? E se l’avesse mai visto? E se l’avesse mai baciato?
Scosse il capo, infastidita.
Sognare cose del genere era sciocco, frivolo e inutile. In fin dei conti, InuYasha era poco più che un’immagine – avvenente, certo, ma pur sempre un mero dipinto. Non un uomo, non un hanyou, non uno youkai: una creatura avvenente ma scomparsa.
«Andiamo avanti». Scosse il capo. «Adesso ci sono le foto di famiglia – oh, che carino Taiga!».
Taiga – o Inu no Taisho, nessuno era certo del suo nome – era il padre di InuYasha, un demone dai profondi occhi d’ambra e i lunghi capelli d’argento. Un essere possente, bello.
«Sesshomaru invece fa paura», commentò sovrappensiero, passandosi una mano tra i capelli. «Sarà il fratellastro di InuYasha, ma ha davvero un’espressione torva. Oh, Dio. Neppure quella deliziosa mezzaluna sul capo riesce a renderlo carino».
E poi c’era Izayoi, l’unica nota stonata: bella, ma bella come solo una donna mortale può esserlo. Bella perché i suoi capelli nocciola svolazzavano qua e là, perché stringeva al petto il figlio, perché sorrideva, contenta.
«Izayoi era bella, ma non adatta. Eppure, loro due si amavano».
 


E si erano amati tanto, Taiga e Izayoi. Tanto, enormemente, a tal punto da essere annoverati tra le coppie d’amanti più sventurate della storia.

Si erano amati contro tutto e contro tutti, lottando per restare insieme.
E poi il regno era scomparso. E loro con lui.
 

«Kagome?».
Sobbalzò – oh, ah. Sua madre. Nascose le Leggende sotto il cuscino, voltandosi di scatto verso la genitrice. Uhm. «Ciao. Cosa c’è?».
La donna sventolò il telefono che stringeva tra le dita, indecisa. «A-ehm», esordì, «tesoro, ascoltami. Non è facile e, beh, probabilmente resterai scioccata e mi dirai che no, non ne hai alcuna intenzione, e…».
«E cosa?».
«E, se dovesse essere necessario, fuggirai. Ti aiuterò». Annuì, convinta. «Nel caso, ti assicuro che ti aiuterò a fuggire».
Kagome inarcò un sopracciglio. «Mamma, spiegati».
«Tu saprai di certo che tuo nonno è molto amico del sovrano – se ne vanta sempre, quando beve un goccio di sakè in più –, e Takemi-».
«Takemi?».
«Sì, non commentare questo stupido nome, ti prego. Credo non abbia neppure un vero senso». Sua madre sospirò, affranta. «In ogni caso», riprese, «questo è il nome del sovrano. E tu dovresti saperlo, no?».
«Ah, sì, uhm. In realtà non me l’ero mai chiesto». Kagome alzò le spalle, come se la cosa non fosse importante, e riprese a guardare la donna.
Perché beh, se era venuta a vantarsi dei legami tra gli Higurashi e i sovrano del regno, allora aveva scelto il momento sbagliato. Anche se le sembrava strano, che sua madre fosse lì per una ragione così sciocca e superficiale – era una donna seria, di solito.
O almeno, Kagome l’aveva sempre giudicata così.
«Il nostro regno rischia. Stiamo, come dire? In pieno clima di guerra. E Takemi vorrebbe il tuo aiuto».
…okay. Sua madre era ammattita.
Cosa se ne faceva un sovrano di una ragazzina capace solo di leggere favolette – favolette che lei non considerava affatto tali – e di farsi prendere in giro dai proprio sovrani? Perché mai avrebbe dovuto volere lei?
Insomma, andiamo.
Era assurdo.
Aprì la bocca per rispondere, ma sua madre la bloccò: «Il regno di Asu vuole attaccarci. Beh, abbiamo deciso di chiedere aiuto al regno di Goshinboku-».
Il regno di Goshinboku era abbandonato da secoli, avrebbe voluto osservare Kagome, ma preferì tacere ancora un po’.
«Tuo nonno… sai com’è fatto, no? Si vanta di tutto. L’altro giorno, parlando con Takemi, ha parlato di te. Le solite cose: mia nipote è intelligente, mia nipote è graziosa, sapessi com’è amabile le mia Kagome». La madre gesticolò, imbarazzata. «Poi ha detto: la mia nipotina conosce a menadito le Leggende di Goshinboku e, se stai cercando un ambasciatore, ti consiglio di spedire lei, dato che è molto portata».
Lui cosa?
«Così, Takemi ha scelto te».
«Mamma, non prendermi in giro». Incrociò le braccia sul petto e lanciò all’altra un’occhiata furiosa, cercando di farle capire che sì, era uno scherzo carino, ma che tutti i giochi devono finire, prima o poi.
E che quello era durato abbastanza, per i suoi gusti.
«Sono una bambina. Checché se ne possa dire, sono piccola e non conosco granché il mondo: mandarmi lì, così, senza una preparazione specifica-».
«Come se tu avessi bisogno di una preparazione specifica», ingiunse la madre, sedendosi sul materasso. «Tesoro, chi conosce il regno di Goshinboku meglio di te? Sei l’unica al mondo capace di elencare a memoria i nomi di tutti i fiumi di quel posto, o, non so, descrivere minuziosamente l’abito da sposa della regina Izayoi. E sei l’unica in grado di trovare Sesshomaru e InuYasha, ovunque essi siano».
 

InuYasha era un personaggio così leggendario che in molti non volevano rassegnarsi alla sua morte, e in tanti parlavano dunque di un suo sonno.
Si vociferava che un giorno qualcuno avrebbe trovato il luogo ove il principino riposava, e che l’avrebbe risvegliato. Ma chissà.
Magari erano tutte bugie.
 

«Io-».
«Se non vuoi», ripeté sua madre, decisa, «non c’è bisogno. Lo spiegheremo a Takemi e, nel caso, ti farò fuggire».
Ma lei voleva. Eccome se voleva.
Il problema era sovrapporre la Leggenda – l’InuYasha della storia, così romanzato ed affascinante – ad un possibile InuYasha reale. Era convincersi che quanto aveva sempre letto e amato poteva non corrispondere alla realtà, e abituarsi a quest’idea senza soffrire troppo.
«Il punto è che, beh, tu sei una sacerdotessa. Sesshomaru è così potente da poter essere contrastato solo da una persona particolarmente forte e… e InuYasha, nel caso fosse davvero sigillato, va liberato».
«Vado». Kagome si alzò, lisciandosi le piaghe della donna. «Credo sia assurdo, ma vado. Volentieri. Dimmi quando e dove e io ci sarò. Mi avete addestrata per una vita, finalmente potrò dimostrarvi quanto valgo – e vedrò InuYasha! Potrò vederlo, vederlo, vederlo».
La madre le afferrò un braccio, obbligandola a fermarsi. Meglio chiarire un po’ di cose, prima di dare il suo consenso: «Non potrai avere una scorta, perché se un enorme gruppo di soldati si staccasse dal regno, il re di Asu potrebbe sentirsi minacciato».
«Non ho bisogno di una scorta. Posso farcela».
«…allora, beh, non mi resta che dirlo al nonno», biascicò la donna, osservandola. «Sei uguale a tuo padre, lo sai?».
Sì, lo sapeva.
 

«Rispondi», biascicò.
La cosa essenziale, ora, era spiegarlo a Sango. Non che avere la sua approvazione o meno fosse fondamentale, chiariamolo: ma Sango era Sango, e sapere il suo parere riusciva sempre ad aiutare Kagome.
Così, battendo un piede sulla moquette, strinse le dita intorno al cellulare. «Rispondi, scema».
«Pronto?».
«Ah, finalmente!».
«…oh. Cosa c’è?», sentì biascicare nella cornetta. Immaginò Sango – perplessa e stanca – che accostava il telefono all’orecchio, in attesa, e la cosa la fece sorridere non poco. «Per chiamarmi a quest’ora, deve essere urgente».
«Sono le due del pomeriggio», commentò Kagome.
Le due di pomeriggio non sono un orario strano. Almeno, così le sembrava.
«Sì, lo so. Allora? Successo qualcosa di importante?».
«Oh, Sango! Ricordi il nostro discorso – sì, quello di prima – ah, Sango! Mamma mi ha avvisato che il re vuole che io – argh, Sango, io! – vada nel regno di Goshinboku e cerchi InuYasha e Sesshomaru! Non ti sembra splendido?».
 

No, probabilmente a Sango non sembrava, dato che continuò ad urlarle nelle orecchie per almeno tre ore e quarantaquattro minuti circa.
 

«…forse il tuo cervellino non ci arriva», imprecò infine, «ma è una missione pericolosa anche per un sacerdote adulto, oltre che per chiunque. Figurarsi per una sacerdotessa alle prime armi!».
«Non sono alle prime armi, Sango, mi alleno da una vita».
«Sì, certo. Un’ottima sacerdotessa davvero – quando non inciampi o rischi di stritolarti col laccio delle scarpe», si sentì nuovamente urlare contro.
«Ma ho un certo carisma. Lo dice sempre anche la professoressa, no?, che dovrei entrare nel club di teatro».
Sango tergiversò appena, forse per soppesare la situazione. «Non credo», commentò, «che saper mentire sia l’unico modo per non cacciarsi nei guai. Non avrai una scorta, e quel regno, Kagome, non ha un sovrano né leggi. Ti uccideranno o ti ridurranno in schiavitù, lo so!».
No, lei non sapeva niente.
Kagome scosse il capo, trattenendo a stento dal mettersi ad urlare. «Credo che avresti capito. Ci ho sperato, almeno».
Ed era meglio non fare le vocina troppo triste, o Sango l’avrebbe presa per una bambina. Il fatto che lei lo fosse effettivamente, una bambina, non la consolava poi tanto.
«…capito, d’accordo, va bene. Come vuoi. Ma verrò con te, sia ben chiaro».
«Con me?».
«A-ah. E ora scusami, devo andare a implorare mio padre – sai, no? Ho bisogno che interceda in mio favore e mi consenta di farti da scorta. Buona giornata, Kagome».
«Eh? Ah. Va, uhm, va bene, Sango. Io-».
Troppo tardi: l’altra aveva già attaccato.
 

«Allora», borbottò Sota, affondando le bacchette nel piatto, «devi partire, sorellona».
Lei non si chiese neppure come suo fratello fosse venuto a conoscenza della cosa: lo ignorò, punto, e riprese a mangiare.
«Ho detto: devi partire, sorellona», riprese il bambino – la più subdola creatura che sua madre potesse partorire, a detta di Kagome – e batté energicamente le mani, nel disperato tentativo di richiamare l’attenzione. «Ne sarai felice».
«Sì, abbastanza», minimizzò. «Ti serve altro?».
Forse non l’avrebbe più rivisto.
Abbozzò un sorriso, imponendosi di essere più socievole, e guardò il fratello: era piccolo, mingherlino, con capelli neri e occhi nocciola. Somigliava a suo padre, quest’è certo, e aveva una spiccata capacità per mettersi nei guai.
Era più piccolo di lei, un po’ sciocco ma tanto amabile, Sota. E forse non l’avrebbe più rivisto.
Soppresse un singhiozzo. «Allora? Altre domande?».
«Posso venire con te?».
Eh?
«No, scordatelo. Non pensarci neppure, sei ancora troppo giovane – no, non tirar fuori la scusa tu-hai-solo-sei-anni-più-di-me, non attacca». Gli lanciò un’occhiataccia e riprese a mangiare. «Non preoccuparti, non starò via a lungo», mentì, «quindi posso farcela. E non mi metterò nei guai».
Sota sbatté la tazza sul tavolo, furioso. «Non puoi andare da sola!».
«Eh? Ah, ma non sarò sola. Verrà Sango, con me», spiegò – il volto del bambino si distese, quasi la cosa lo calmasse, e con la coda dell’occhio Kagome notò che persino sua madre sembrava essersi rasserenata. «Ehi», ingiunse, «mi sembra di capire che nessuno di voi abbia fiducia in me».
Il fatto che avessero ragione, a non avere fiducia in lei, lo tacque. E comunque, che avessero ragione o meno la situazione non cambiava: l’avevano guardata tutti con aria di sufficienza. Dannazione.
«Tesoro, è solo che sapendoti con Sango saremo più tranquilli», provò a spiegare il nonno. «Una volta ho assistito ad un suo allenamento, e ti assicuro che è molto brava. Dovresti ringraziare i Kami, avendo una simile scorta».
«Per di più, Sango ha anche quel pizzico di responsabilità e buonsenso che ti manca», concluse la madre. «Quindi ora sì che posso lasciarti andare senza remore!».
Ah, grazie.
«Però fa’ attenzione», concluse la donna, guardandola appena. Aveva lo sguardo preoccupato, e Kagome intuì che forse, in un angolino della sua mente, stava pensando a suo padre – si affrettò ad infilare l’ennesima cucchiaiata di cibo in bocca.
«Andrà tutto bene».
«Già». Sua madre sorrise. «Tutto bene – chi vuole un po’ di torta?».
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: roro