Jigoku
chou
~Infernal
Butterfly~
{
hollow
×
silver
} • Act. 1 – Camellia ~ At
night [×]
_______________________________________________________________________________
[
1.
×
Melancholic
Understanding
]
~ Lost
in the
darkness
Hoping for a sign
Instead
there's only silence
Can't you hear
my screams?
Una
leggera brezza lasciava ondeggiare i fili d’erba,
trasportando dal Rukongai le
fragranze delle radici essiccate, l’odore bruciacchiato
dell’olio e della carne
arrostita, la polvere asciutta e leggera del deserto. Era una notte
silenziosa,
illuminata solo dalle stelle – brillanti e minuscole,
disperse nel cielo nero
come schizzi disattenti su di un dipinto astratto –, da una
luna che faceva
pigramente capolino fra le nuvole e, in lontananza, dal bagliore
caleidoscopico
delle lanterne che ardevano oltre il Cancello.
Lei
era distesa, l’erba alta ed umida che quasi la inghiottiva
fra le sue braccia
profumate di clorofilla, carezzandole il volto e le membra abbandonate
fra le
pieghe del kimono nero. Si cullava ascoltando il rumore del vento e lo
stormire
pigro delle foglie, il frusciare silenzioso dell’erba smossa
contro i suoi hakama,
fra i suoi capelli – sparsi nel verde come i raggi aranciati
di un sole morente
durante il suo cupo tramonto. Inspirò profondamente, mentre
una pacata
nostalgia si impossessava di lei e le tornavano in mentre frammenti
d’infanzia
nascosti fra gli aromi sbiaditi del Rukongai. Li ripercorreva ad occhi
chiusi,
ricordando le corse sfrenate fra le strade polverose,
le piaghe dolorose che non davano mai tregua
ai suoi pedi scalzi, le risate dei bambini che giocavano a nascondino
fra le
bancarelle del mercato, all’ombra degli alberi autunnali, le
scalate faticose
lungo i rami rinsecchiti di alberi ormai morti da tempo.
Ebbe
un fremito e si morse appena il labbro inferiore mentre sentiva quelle
immagini
divenire sempre più fioche ed infine frantumarsi,
lasciandole l’amaro in bocca.
Fu costretta a
tornare in quel mondo in
cui i sogni infantili di una bambina del terzo distretto del Rukongai
non
potevano in alcun modo coesistere con
Sei
triste, Rangiku?
Sbatté
appena le palpebre, osservando la luna che piano adagiava i propri
raggi lungo
il profilo longilineo dell’intera Seiretei.
Un’ombra sinuosa si stava
stiracchiando pigramente vicino a lei, accoccolandosi con un miagolio
di
apprezzamento nell’incavo del suo fianco. Affondò
lentamente le zampe felpate
nel suo scialle di seta rosa, premendo il muso contro di lei, cercando
attenzioni. Quella gatta era sempre stata capricciosa; sapeva benissimo
che
Rangiku non avrebbe mai trovato il modo di ignorarla.
“
Non sono triste,” le bisbigliò silenziosamente in
risposta, portandole una mano
fra le orecchie; la pelliccia di Haineko era sempre fresca,
sottilissima, le
sfuggiva fra le dita come fosse acqua. Quando la carezzava si sentiva
pervasa
da una sensazione di pace illimitata.
Sai
come stanno le cose.
Puoi tentare di ingannare chiunque, ma con me le bugie non funzionano.
Per
un attimo, la voce melodiosa della gatta parve incrinarsi di rabbia, ma
poi si affievolì
nuovamente in fusa pigre, lente ed affettuose. Haineko sapeva essere
aggressiva, ma le bastava qualche coccola perchè tutta la
sua combattività si
disperdesse in qualche sbadiglio ed in un fremito dei suoi baffi
traslucidi.
E
questo purtroppo valeva anche in battaglia; entrambe sapevano di essere
pronte
per eseguire il bankai, ma Haineko era sempre restia, pigra, lenta,
assonnata,
addirittura accettava il richiamo dello shikai a stento, e a volte si
lamentava
di essere stata svegliata nel bel mezzo di un sogno piacevole. Rangiku
la
rimproverava spesso, ma le sue rimostranze erano pressoché
inutili: la sua zampakuto,
come ogni gatto che si rispetti, faceva in ogni caso tutto
ciò che più le
andava.
Se
può farti stare
meglio, oggi ho fatto la minacciosa con quel nobilissimo altezzoso di
Hyourinmaru.
Quelle
parole parvero divertirla “Devi avergli fatto molta paura,
immagino.” Le
rispose, ironica, ridacchiando fra sé e sé. Per
lei era impossibile vedere la
vera forma delle zampakuto altrui, ma capitava che Haineko, nei momenti
in cui
non era stanca per il troppo tempo passato nella guaina, infilata
scomodamente
nel suo obi, le raccontasse di conversazioni o scambi minacciosi di
reiatsu che
l’avevano coinvolta con le spade degli altri shinigami. Si
lamentava spesso dell’indole
poco socievole di Senbonzakura, della natura triste e malinconica della
zampakuto senza nome che apparteneva al Capitano
dell’Undicesima Brigata;
litigava spesso con Zabimaru, che raccontava fosse una testa dura senza
cervello, un tronfio babbuino pieno di sé da scoppiare.
Rangiku ascoltava
silenziosamente quel bisbiglio tranquillo ed assonnato che di tanto in
tanto
veniva a farle compagnia quando era da sola. O quando si sentiva persa.
Ma
la cosa di cui Haineko andava più fiera era senza dubbio il
suo rapporto con
Hyourinmaru. E sembrava non spaventarla affatto la mole gigantesca e
spaventosa
del reiatsu che quella zampakuto racchiudeva, né le spire di
ghiaccio che
avvolgevano il corpo snello e sinuoso di quel drago leggendario.
Haineko
giocava a stuzzicarlo, pungendolo nel suo orgoglio là dove
sapeva che avrebbe
reagito con maggiore violenza. La cosa da una parte faceva sentire
Rangiku
leggermente in ansia – l’idea di una gatta esile e
pigra come Haineko che
fronteggiava la figura maestosa di un drago dei ghiacci non era del
tutto
rassicurante – dall’altra la divertiva fin troppo.
D’altronde, lei stessa non
faceva altro che tentare in tutti i modi di sconvolgere il serioso
Capitano
Hitsugaya.
Gli
ho detto leccandomi
disinteressatamente le zampe che anche con tutto quel ghiaccio attorno
non mi
intimoriva affatto. Haineko
spalancò le piccole fauci mettendo a nudo una chiostra di
denti bianchi e
appuntiti, esibendosi in uno sbadiglio molto poco decoroso Lui mi ha concesso uno dei suoi sdegnati sguardi da
spirito
ultramillenario e ha fatto finta di ignorarmi. Ma io gli ho promesso
che prima
o poi io e te schiacceremo sia lui che il suo piccolo padrone con il
nostro
potentissimo bankai.
Sul
volto di Rangiku apparve un’espressione perplessa
“Mi sembra una promessa
azzardata”, commentò, grattandole la base di un
orecchio. Lei miagolò il suo
apprezzamento, poggiando il muso sulle zampe sovrapposte.
Vedrai,
prima o poi
diverremo tanto forti da far chinare la testa anche ai draghi. Devi
solo
chiedermelo nel momento giusto.
Rangiku
sospirò: seguendo i ritmi rallentati della zampakuto, quel
momento non sarebbe
mai arrivato.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, cullandosi nell’odore
dell’erba e del vento,
compiacendosi l’una della compagnia dell’altra. Per
un istante, con la mano
affondata nella pelliccia impalpabile di Haineko, Rangiku
riuscì a sgomberare
la mente, e a non pensare a niente. Si rese conto di averne un bisogno
disperato, in quella serata silenziosa, in quell’istante in
cui la solitudine
sembrava premerle l’essenza in maniera insopportabile,
insostenibile.
Sei triste, Rangiku? Non mi hai risposto.
Aprì
di nuovo gli occhi e si accorse che Haineko la stava fissando. I suoi
occhi
tondi brillavano grigi ed indagatori sotto la luce soffusa della luna,
mentre
la pupilla felina non abbandonava la sua neppure per un istante. Non le
riuscì
di rispondere e chiese silenziosamente alla zampakuto di non indagare,
di non
insistere. Lei parve offendersi per un attimo, rinunciare e
abbandonarsi
all’ozio completo, rotolandosi nella sua stola rosa,
miagolando appena.
Ma
Rangiku avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto aspettarselo.
D’altronde loro
due erano una sola cosa: l’universo dell’una, ogni
suo pensiero, ogni suo stato
d’animo influenzava inevitabilmente quello
dell’altra. Dopo qualche istante di
silenzio, Haineko sollevò lentamente il muso al cielo
stellato e bisbigliò:
…Mi manca Shinso.
Rangiku
chiuse gli occhi, sentendo tutti i muscoli distendersi ed il cuore
iniziare a
battere più lentamente.
Le
tornò in mente la prima volta in cui aveva visto Haineko, in
quella casa
abbandonata del Rukongai. In quella casa c’era lo stesso
odore di selvaggio e
di sudore che poco prima era giunto da lei con il vento, la stessa
sensazione
di abbandono e disperazione che sentiva sulla propria pelle proprio in
quel
momento.
Aveva
osservato la porta scorrevole e la strada vuota, i suoi zoccoli
malconci e
sbrecciati che stavano lì immobili e solitari, abbandonati
all’entrata. Aveva
atteso, atteso per un giorno intero, stringendo le ginocchia al petto,
osservando la polvere che sfiorava la strada, danzando con il vento.
Haineko
era venuta a farle compagnia quel giorno, accovacciandosi vicino a lei,
una
gatta bianca ancora senza nome che era sparita non appena lei aveva
deciso che
continuare ad aspettare non sarebbe servito a nulla.
Rangiku
aprì gli occhi, mentre sentiva la pelliccia della sua
zampakuto dissolversi in
nebbia, sfuggirle fra le dita e andarsene senza emettere un suono.
Battè
le palpebre, di nuovo del tutto sola.
Se
ne è andato, Rangiku.
Ha percorso la via che riteneva più giusta, e ti ha lasciata.
Lo
ha fatto perchè, a
differenza di te, lui riesce ad andare avanti anche senza che tu sia al
suo
fianco.
Lo
capisci, vero?
Non
puoi farci nulla.
Non
puoi fare nulla.
Si
alzò lentamente, spolverandosi la stoffa
dell’abito e ravviando i capelli che
ormai avevano assorbito l’odore dell’erba;
voltò le spalle alle luci soffuse
del Rukongai, mentre la brezza le smuoveva i ricci e le maniche del
kimono,
guidando i suoi passi.
I
raggi della luna che sfioravano le pareti lisce e bianche
dell’intera Corte la
abbagliarono per un attimo, facendole socchiudere gli occhi azzurri,
mentre
avanzava in direzione dell’unico luogo dove sapeva di poter
trovare un po’ di
compagnia, qualcosa che le riscaldasse le mani intirizzite.
E
per un solo istante, lasciandosi la luna alle spalle, le parve che ogni
costruzione della Seiretei risplendesse di un vivido ed inquietante
bagliore argentato.
(×××)
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Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tite
Kubo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di
lucro.