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Autore: Misaki Ayuzawa    11/03/2014    1 recensioni
"Il silenzio era veramente innaturale. Non un soffio di vento proveniente dall’esterno, né una voce, un sussurro. Si riavvicinò alla porta e, raccolte le gonne, si chinò all’altezza della serratura, nel tentativo di captare una qualsiasi altra forma di vita. Anche la presenza di un topo sarebbe stata rassicurante! No, forse non proprio di un topo … un cagnolino, magari."
Il destino di Dana, l'unica figlia di un latifondista siciliano, si intreccia con quello dei Cacciatori dell'Istituto di Palermo. Perchè? Cosa vuole da una ragazza che ha sempre vissuto con la testa fra le nuvole, un gruppo di gentiluomini dai modi bizzarri e di giovani donne tatuate? Perchè una notte si ritrova chiusa in una stanza con solo la sua misera sottoveste bianca addosso e le braccia ricoperte di strani simboli neri?
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4: Coming back home

Dana guardò, attraverso il vetro della carrozza, il profilo dell’Istituto farsi sempre meno nitido e più lontano, nascosto dai fitti alberi fioriti, merito della primavera appena arrivata. Dall’esterno appariva meno grandioso degli ambienti interni. Era una semplice chiesa gotica, ricca di archi e guglie che si stagliavano verso il cielo.
“Come fate ad essere sicuri che la gente non entri nel vostro prezioso Istituto? Si insomma, si tratta di una chiesa in mezzo al bosco. Non passa inosservata.” La ragazza questa volta non aveva posto la sua domanda a Eugene, che stava guidando a cassetta e che quindi non l’avrebbe comunque potuta sentire, né a Jamal, che era rimasto all’Istituto, né, tantomeno a Costanza, che non aveva più visto dal loro primo “incontro”, bensì ad una quarta persona che aveva scoperto essere un altro di quei Cacciatori. Si chiamava Marco Begna, a quanto diceva lui, e ad occhio e croce aveva una quarantina d’anni, con i suoi capelli spruzzati di grigio sulle tempie e gli occhi verdi caldi e gioviali e due piccole fossette che comparivano ai lati della bocca quando sorrideva, il che succedeva alquanto spesso.
“Agli occhi dei Mondani appare come una catapecchia abbandonata e scoperchiata. Nessuno ne trarrebbe vantaggio se cercasse rifugio al suo interno. E, inoltre, non ci interessa più di tanto che i Nascosti, o i demoni, sappiano dove ci troviamo. Non potrebbero entrare neanche volendo.”
“Ma come fanno le persone” Dana non tollerava l’uso della parola Mondano, le sembrava un dispregiativo, e, benché l’avessero  informata di quanto lei fosse fuori dall’ordinario, si sentiva insultata allo stesso modo, udendola “a scambiare un edificio così imponente per un tugurio?”
Marco fece spallucce. “I Mondani non si accorgono mai di nulla, quando c’è di mezzo la magia.”
“Mi era sembrato di capire che tra Nascosti e Cacciatori non scorresse buon sangue … Perché uno, ehm, stregone dovrebbe usare la magia per voi? Oppure disponete anche voi di queste doti magiche?”
Il volto del Cacciatore si aprì in un largo sorriso. “Impari in fretta, vedo.” Anche lui le dava del tu. “Comunque questo tipo di magia, se vuoi proprio definirla così, non ha nulla a che fare con i Nascosti. Insomma, quali sarebbero i pregi di essere un Cacciatore se potessimo usufruire solo di un paio di rune?”
Eugene doveva aver sentito parte della conversazione perché scostò la tendina che divideva lo scomparto interno della carrozza dalla cassetta e rimproverò Marco.
“Dana non è interessata al nostro mondo, Marco. Smettila di importunarla con queste storielle!”
C’era un che di ironico nella sua voce. Probabilmente il rimprovero non era tanto per Marco, quanto per lei, che aveva scelto di tornare a casa, senza dare il tempo a nessuno, men che meno a lei stessa, di capire perché le rune non avessero avuto alcun effetto su di lei.
Dana sospirò. Ormai aveva preso la sua decisione: avrebbe fatto finta di niente fino a quando il tempo non avrebbe cancellato i marchi sulle sue braccia e, insieme ad essi, tutti i ricordi legati a quella disavventura. Cercò di concentrarsi sul paesaggio circostante che, in pochi minuti, diventò quello urbano della caotica Palermo. La vita che trasudavano piazze e stradine che sfociavano tutte sui due assi principali: via Maqueda e via del Cassaro. I mercati della Vucciria, del Capo e di Ballarò. Le dame che passeggiavano a braccetto con i loro accompagnatori. Quella era la sua vita, quello era il posto in cui doveva stare, anche se non proprio in quel momento.
“State sbagliando strada. La mia tenuta non si trova in città.”
“Lo sappiamo, ma Eugene deve svolgere una commissione, prima.”
“D’accordo!” Replicò Dana, seccata.
Dopo una serie di svolte e frenate brusche (maledetti ‘gnuri incapaci di condurre i propri cavalli!) la carrozza accostò accanto all’imponente edificio della Cattedrale, dove architettura gotica, normanna e barocca si univano e davano origine ad una delle più monumentali chiese che si fossero mai viste in Sicilia. Come una storia che era stata raccontata a Dana, quando questa era piccolissima, raccontava, l’architetto della Cattedrale di Palermo era andato ad ammirare il lavoro di un suo collega, artefice della Cattedrale di Monreale. Sulle prime l’architetto di Palermo aveva valutato la Cattedrale di Monreale come un lavoro di scarsa entità ma, una volta entrato, era rimasto così esterrefatto e ammirato dall’interno del luogo che morì a causa di arresto cardiaco. Lo splendore dei mosaici dorati e del Cristo Pantocratore gli avevano letteralmente mozzato il fiato. In seguito, l’architetto di Monreale si era recato a Palermo, per valutare a sua volta il lavoro del collega deceduto. Non appena si ritrovò innanzi ad una tale magnificenza, innanzi a tali archi, guglie e finestre, andò incontro alla stessa sorte del collega. La Cattedrale di Palermo persino ad un osservatore meno attento non poteva che suscitare un’emozione sola: adorazione.
Eugene scostò nuovamente la tendina separatoria.
“Dana, non scendere. Marco, tu puoi restare con lei?”
“Nessun problema.” Acconsentì l’altro.
Dana si affacciò al finestrino e prese un lungo respiro.
Subito le sue narici vennero invase dal dolce odore di frutta secca caramellata, proveniente dalle bancarelle poco distanti, e da quello più penetrante dei panini ripieni di panelle e crocchè. Tutti odori a cui Dana era abituata ma che erano propri di cibi che raramente consumava. Suo padre li definiva, com’è che diceva? Oh, si: popolari, dei plebei.
Soltanto durante le sue scappatelle in città in compagnia di Catarina, la sua migliore amica, Dana riusciva ad assaporare quelle squisitezze che potevano non essere raffinate, o adatte alla tavola di un re, ma che lasciavano soddisfatti. Assolutamente.
Dana sentì la propria pancia brontolare e la sentì anche Marco. La ragazza arrossì vistosamente.
“Scusa …”
Marco le mise una mano sulla spalla, con fare solidale.
“Ti compro un panino?” Le puntò addosso il suo sguardo gentile e sorridente e Dana annuì, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“Va bene. Ma aspetta qui e non uscire.”
L’uomo frugò nella tasca interna del soprabito giallo canarino e, afferrato un sacchetto di cuoio, lo fece saltellare sul palmo della mano, provocando un tintinnio e, rivolgendo un ultimo sorriso a Dana, uscì dalla carrozza.
Pochi minuti dopo fu di ritorno, insieme ad un Eugene vistosamente arrabbiato.
“Ti avevo chiesto di stare in carrozza con Dana, non di fare uno spuntino, Marco!”
“Il panino è per lei e, ragazzo mio, non rivolgerti a me in questo modo. Sono un Cacciatore da più tempo di te, ho il doppio della tua esperienza e, ringraziando Raziel, gli angeli mi hanno dotato di buone maniere. Cose che non mi sembra rientrino tra le tue qualità.” Poi aggiunse, sedendosi in carrozza e rivolgendosi a Dana, un “Ecco a te”, mettendole in mano un panino con le panelle.
Dana lo addentò, piena di desiderio, e sentì che il suo stomaco apprezzava l’alimento, per non parlare delle sue papille gustative, che in quel momento cantavano in coro, a gran voce, l’Hallelujah.

Eugene con un balzo scese dalla cassetta e andò ad aprire lo sportello della carrozza, per far scendere prima Dana, ancora nella sua sottoveste bianca e con i piedi scalzi, e poi Marco. Aveva fermato la carrozza proprio davanti al cancello che rappresentava l’ingresso della grande tenuta, circondata da pini, magnolie e altre cento varietà di alberi diversi. I campi a rotazione triennale si estendevano a perdita d’occhio e il giallo del grano e il verde delle piante, degli agrumeti e degli oliveti era pari a quello che un qualsiasi pittore avrebbe utilizzato in un dipinto di vita campestre. Oltre il cancello c’era un vialetto di pietrisco che spaccava in due il grazioso parco artificiale, costruito appositamente per le passeggiate pomeridiane delle signore e i momenti di svago dei gentiluomini, e che conduceva direttamente, dopo svariati metri, alla porta della casa. Pur essendo alquanto distante da essa, grazie ad uno dei marchi imposti sulla sua pelle, Eugene poteva distinguere lo stile architettonico barocco, le finestre di mogano rettangolari intarsiate d’oro che risplendevano e spiccavano sulla superficie candida dei muri e i bassorilievi, che rappresentavano puttini, sugli angoli più in alto della facciata principale. I balconi di marmo erano tirati a lucido e splendevano sotto i forti raggi del sole delle undici.
“Ti accompagneremo fino alla porta e spiegheremo a tuo padre, o chi per lui, che ti abbiamo trovata sul ciglio della strada in queste condizioni. Tu non ricordi nulla di quello che è successo in questi giorni. Se ti chiederà di noi, dì soltanto che siamo dei gentiluomini che abitano non molto lontano dalla città, ma nulla di più.” Decise Marco all’istante, parlando a Dana. Aveva preso in mano le redini della situazione, essendo il più grande dei tre e il più maturo.
Eugene fece andare avanti Marco e Dana. Avevano improvvisato una sceneggiata e ora il Cacciatore teneva per i fianchi Dana, quasi a sorreggerla, che, impressasi sul volto un’espressione sofferente, procedeva zoppicando (questa non era finzione, il pietrisco le stava distruggendo i piedi).
Guai. Solo guai.  Pensava Eugene, notando a malapena il paesaggio intorno a lui, o la stessa Dana, davanti a lui, con la sua chioma mossa castana e scompigliata e la sua figura snella. Non era una persona violenta e, a differenza di Costanza, si considerava un Cacciatore più liberale, ma, pur essendo a conoscenza del fatto che l’errore era stato loro e che Dana non era la causa, bensì la vittima dell’accaduto, non poteva fare a meno di non vedere l’ora in cui lei sarebbe uscita dalle loro vite. Avevano già abbastanza problemi all’Istituto, non c’era bisogno di indagare su una Nascosta non ben definita. Anche se era curioso di saperne di più, questo non poteva negarlo.

Marco si staccò da Dana e bussò ripetutamente alla porta di mogano, lucida e liscia. Dopo pochi secondi una cameriera in cuffietta e grembiule bianco e veste nera venne ad aprire. Dana la riconobbe subito: si trattava di Marina, la nuova arrivata e fedele allieva di Rosalia, la anziana governante con cui Dana era praticamente cresciuta, che aveva deciso di fare di Marina la nuova padrona della tenuta Ferrer. Dana non aveva mai completamente capito perché le governanti credessero che le case in cui erano impiegate appartenessero a loro ma per i servizi, e la qualità dei servizi, che Rosalia rendeva alla tenuta Ferrer da oltre sessant’anni, Dana pensava che Rosalia poteva anche rimanere in quella sua convinzione, dopotutto. Marina si portò una mano alla bocca, cercando di soffocare un gridolino.
“Voi” cominciò con voce stridula “ … voi siete viva! Siete qui! Grazie a Dio!” Con queste parole corse via e un momento dopo Dana riconobbe la voce profonda del padre, priva, come al solito, di qualsiasi emozione. Ma, insomma … dopo sedici anni vissuti con un padre che per il quinto compleanno ti regala un pugnale per, testuale, “tagliare le mani a chiunque provi a farti del male. Devi imparare a farti rispettare” e che a sette anni sostiene che sei troppo grande per le bambole e che devi cominciare a cacciare, non fai più molto caso al suo modo di esprimere i sentimenti.
“Mia figlia è qui?” Subito dopo la figura imponente di un uomo sulla cinquantina, con i capelli ormai grigi e la pelle abbronzata, vestito delle stoffe più pregiate ma allo stesso tempo sobrie, occupò parte del varco della porta.
“Dana” iniziò, pronunciando il nome della figlia come a constatare che fosse davvero lì davanti a lui, ma poi recuperò la voce e con il solito timbro autoritario continuò “stai bene?”
“Si, padre. Questi due uomini mi hanno riportato a casa. Va tutto bene.” In contrasto con la voce sicura del padre, quella di Dana, che fino ad un attimo prima si era dimostrata coraggiosa in una situazioni che avrebbe mandato la maggior parte delle ragazze della sua età in crisi, si affievolì. Dana ritornò la sottomessa e quasi sempre obbediente figlia di Diego Ferrer.
“Va tutto bene? Dove sei stata per tre giorni? Hai pensato di farmi uno scherzo? Ti sentirai una gran burlona ora, giusto? Ti rendi conto delle ripercussioni che questa tua scappatella avrà sul tuo onore, sulla tua reputazione e su quella di tutta la famiglia?” Diego Ferrer non stava urlando, anzi parlava pacatamente e non poteva esserci punizione peggiore. Lo aveva deluso e … ma …
“Padre, non sono scappata, sono stata rapita! Sono stata ritrovata senza null’altro addosso se non la sottoveste, da questi due gentiluomini.”
Marco prese la parola. “Signor Ferrer, sua figlia dice il vero. L’abbiamo trovata stamattina a vagabondare proprio fuori dalla città, tra i boschi. Non accusatela di una colpa di cui dovrebbero rispondere dei furfanti.”
Certo che Marco era un grande attore …
“E quei segni? Che ha sulle braccia?” Chiese Ferrer, corrucciato e palesemente infastidito dall’interferenza di quel distinto galantuomo.
“Non ne ho idea, signore, ma, se mi permette un’ipotesi, credo che si possa trattare di un gruppo di zingari che volevano mettere in atto uno dei loro tipici rituali.”
Diego Ferrer annuì, per nulla convinto. “Perdonatemi, non ricordo come vi chiamate.”
“Io sono Marco Begna e lui e Eugene Croix, il mio protetto. Ora predona temi, ma dobbiamo andare. Abbiamo degli affari da sbrigare. Signor Ferrer, signorina Ferrer, arrivederci.”
Marco, seguito a ruota da Eugene, si chinò lievemente in un inchino, anche se in verità si trattava a malapena di un cenno del capo, e fece per congedarsi.
Prima che imboccasse il vialetto però, Diego Ferrer lo bloccò e lo ringraziò, secondo l’etichetta, del servizio che gli aveva resa.
Diego Ferrer si rivolse a Dana, che era entrata in casa e ora si trovava in mezzo all’ingresso riccamente arredato da mobili massicci, tappeti orientali e candelabri di bronzo.
“Vai in camera. Riposati, compi le tue abluzioni. Rimettiti in sesto, insomma.”
Dana socchiuse gli occhi e si concentrò sulla trama del tappeto su cui stava. Era così soffice che i suoi piedi, ormai da tempo senza scarpe, faticavano a compiere anche un solo altro passo. “E’ tutto?”
“Si, vai.” Rispose il padre, ancora voltato verso la porta spalancata con lo sguardo perso nel vuoto. Si girò verso la figlia e a mezza voce aggiunse tre parole che Dana non avrebbe mai saputo che fossero mai state pronunciate. ”Mi sei mancata”.

Angolino dell'autrice: Ed ecco qui il quarto capitolo! So che questa long non è particolarmente seguita ma io continuo a scriverla. Non ci si può rassegnare, giusto?
Comunque, voglio solo sottolineare un paio di cosette del capitolo.
Lo 'gnuri è la persona che guida le carrozze. A Palermo si chiamano così da tempo immemore in quanto alle origni, per chiamare una carrozza, si diceva "Signore", poi la parola è stata abbreviata fino ad arrivare a 'gnuri. Il termine tra l'altro è utilizzato tutt'oggi, per indicare sempre il conducente della carrozza.
Il panino con le panelle e con le crocchè. Le panelle sono delle piccole sfoglie prodotte dalla farina di ceci. Non storcete il naso, anche se si stratta di ceci sono buonissime. Le crocchè invece solo prodotte dall'impasto di patate, mollica e vi si può aggiungere anche il prosciutto.
Infine, la storia delle Cattedrali di Palermo e monreale esiste veramente :) Non so sinceramente quanto sia realistica, ma la leggenda esiste.
Spero di non aver dimenticato nulla. Se volete farmi notare qualcosa che non va nella storia, oppure chiedere informazioni, ecc ... ma anche solo per farvi sentire u.u, lasciate una recensione! Fa molto piacere, vi assicuro!
Ciao ciao :)

  
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