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Autore: Patosangel32    12/03/2014    6 recensioni
E se Clary avesse sempre saputo di essere una Shadowhunter? Se Valentine l'avesse addestrata insieme a suo fratello Jonathan, il quale è solo un pupazzo tra le mani del padre? Avete mai provato ad immaginare cosa sarebbe successo se la rivolta non fosse mai scoppiata? Come avrebbero fatto Magnus e Alec ad incontrarsi? Ed Izzy e Simon? E possibile che due anime che siano fatte per stare insieme, si ritrovino sempre in qualunque circostanza?
Dal capitolo 15:
-“Potresti avere di meglio, Jace. Sono solo una ragazzina con problemi familiari che…” ha paura di amare.
-“Voglio te, e questo dovrebbe bastarti” mormorò Jace con voce soave. Riprese a baciarla ma poco dopo Clary si fermò. Di nuovo.
-“Hai aperto tu la finestra prima?” chiese Clary che aveva sentito un brivido di freddo accarezzarle la pelle laddove il corpo di Jace non la copriva.
-“No, sono stato io.” disse ad alta voce qualcun altro nella stanza.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Author's Corner: Non ci credo che siamo arrivati a questo punto. Non riesco a credere neanche di essere riuscita ad aggiornare. Mi dispiace se speravate in una fine migliore, mi dispiace se la storia vi ha deluso, se vi lascerò con l'amaro in bocca o se pensiate che sia necessaria un'altra fine. Vorrei potervi dire che questo è possibile, ma sarebbe una bugia.
Nella parte centrale ho inserito un piccolo aneddoto sulla vita di Simon, mi è stato richiesto e spero di averla accontentata :) Grazie per avermelo fatto notore. Ricordo che c'è un epilogo ancora, e magari tutti avranno il loro lieto fine.
With love,
-A.
 

Cadentia Sidera

 
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
Che vi s’immerge e ‘l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenere e leve,
l’empie d’un caldo fiume.
 
Quando Alec corse fuori per raggiungere la sala dove si era riunito il consiglio del Conclave, un odore di fumo penetrante gli solleticò le narici. Sollevò lo sguardo al di là degli alberi sempreverdi di Alicante, e scorse una strana luce, come di fuoco, che divampava dalla piccola cittadina.
Non è possibile, pensò, arrabbiandosi più di quanto non fosse. Ce l’aveva con Jace e Clary che avevano permesso a Jonathan Morgenstern di diventare uno di loro. Certo, come se fosse possibile.
Ce l’aveva con Isabelle, perché non aveva dimostrato di essere abbastanza infuriata con il maggiore dei Morgenstern. Chissà cosa aveva combinato in lei quel vampiro, dalla faccia da idiota.
E poi ce l’aveva con Magnus. Come diavolo gli era venuto in mente di mandare in loro soccorso il fratello Silente? Non aveva sempre ragione lo stregone, vero? O forse sì?
Comunque, non c’era poi tanto tempo da perdere visto che già avevano speso minuti inutili a consacrare un’unione parabatai piuttosto inconsueta. Alec sentì dietro di lui gli amici che correvano e poi si fermavano paralizzati da quello spettacolo terrificante che stavano mettendo in scena proprio davanti ai loro occhi.
-“Per l’Angelo!” –sbottò Jace –“Come diavolo è possibile? Non sembrava esserci nessun pericolo poca fa!” il biondo non era agitato come suo solito, ma cercava una soluzione. Alec poteva sentire i meccanismi del suo cervello mettersi in funzione dopo giorni di inattività passati a contemplare Clary.
Ad Alec, Clary non piaceva per niente, non perché avesse completamente ammaliato il suo parabatai, ma perché aveva quel guizzo nello sguardo come se fosse sempre pronta a contraddirti. Ed effettivamente, Clary  aveva una particolare tendenza a fare sempre di testa sua, non che questo ad Alec dispiacesse, però se fosse morta per cause innaturali Jace ci avrebbe sofferto parecchio e, considerando gli ultimi periodi della sua vita da Lightwood, sarebbe stato meglio evitare ulteriori guai. Alec ancora non riusciva a credere che suo padre avesse fatto quello che aveva fatto, e che sua madre fosse riuscita a sopportarlo, nonostante tutto. In realtà, Alec non aveva dubbi che fosse una donna straordinariamente forte, ma Alec aveva avuto l’impressione di dover essere sempre presente al suo fianco, come bastone della vecchiaia, per evitare che sua madre inciampasse in ostacoli di vario genere. Certo, questo non implicava il tradimento da parte del padre e tutta la serie di disordini familiari che ne sarebbero seguiti, ma Alec sapeva che in qualche modo ne sarebbero usciti fuori. Prima o poi, senza sapere chi li avrebbe lasciati per sempre.
-“Non hai pensato, Jace, che magari tutta questa cerimonia era solo una scusa per allontanarci dalla città e permettere a Valentine di entrare?”
Alec non aveva pensato a quelle parole, non aveva neanche immaginato di dirle, eppure le aveva sputate fuori con spaventosa calma che si chiese, per un momento, se avesse perso la razionalità. Non si girò a guardare Clary perdere colore in viso, Izzy chiamarlo per nome come a sgridarlo da qualcosa che aveva fatto incosciamente e in cui incosciamente credeva. Sentì solo in lontananza la voce di Jace che lo voltava con forza strattonandolo per un braccio. Lo costrinse a guardarlo negli occhi, senza proferire una parola tanto quello sguardo era loquace.
Era dire mi hai profondamente deluso e ferito, Alexander Gideon Lightwood. Mi hai appena confermato che tra te e quel verme di tuo padre poi non c’è tanta differenza, anche se Alec non considerava un verme suo padre. Solo non avrebbe mai immaginato che nella sua vita si sarebbe mai potuto avere un ricorso storico di una così grande entità. Di una tale delusione che metà basta.
Alec chiuse per un attimo gli occhi azzurri e li riaprì, solo per incontrare quello sguardo colato d’oro che una volta lo aveva osservato con devozione, estrema fiducia e per quello che lui aveva confuso con amore. E forse amore c’era davvero, ma non era quello che Alec intendeva.
Mi dispiace, pensò, non lo penso davvero.
Poi ci fu un gran boato, uno scoppio del cielo. Alec si buttò sulla sorella per impedire che tutto quello che stava piovendo la colpisse. Izzy gli gridò di uscire dai piedi, ma Alec fece finta di non sentire fino a quando tutto quel baccano non finì e intorno a loro ci fu solo un inquietante silenzio.
 
Simon era rinchiuso nel salotto del signor Lightwood, sotto cento chiavi e senza finestre. Pensò che prima o poi l’ossigeno nell’aria sarebbe finito, non che a lui importasse visto che era capace di non morire anche senza ossigeno. Accucciato in un angolo ripensava a tutto ciò che gli era successo negli ultimi periodi. Si chiese come fosse finito in uno sgabuzzino di uno Shadowhunter, a quanto pare fissato conla superiorità dei prescelti Nephilim e come avesse fatto a baciare la figlia di quest’ultimo, uno schianto tra le altre cose, con la particolare capacità di venire meno alle leggi di casa.
Ricordò di come si era precipitato nell’appartamento di Magnus, che non riusciva proprio a fare a meno del lusso, e di come lo avesse supplicato di aiutarlo a trovare suo padre. Non che Simon volesse riconciliarsi col padre, figuriamoci, solo avrebbe voluto conoscere il motivo per cui avesse deciso di abbandonare l’intera famiglia. Voleva chiedergli se gli mancavano i suoi figli, e se per caso avesse nostalgia di casa.
Ovviamente no, stupido, altrimenti sarebbe tornato.
Qualcuno bussò alla porta.
-“E’ chiuso a chiave.” Disse scocciato. Chi poteva essere se non uno dei figli di Robert? Isabelle non entrava in quello studio da quando erano tornati a casa, e se lo avesse fatto, sarebbe entrata senza bussare. Alec … beh si poteva essere Alec, ma con ogn probabilità non era lui considerando che neanche lui avesse tutta questa gran voglia di interloquire con il padre e quindi…
-“Oh, vampiro-Simon, mi dispiace. Secondo te riesco a sfondarla?”
Oh, il giovane, dolcissimo Max Lightwood, amante dei fumetti nonché suo nuovissimo migliore amico.
-“Ehi, piccolo, non conviene che ti faccia male. Io sto bene, comunque.” Scherzò Simon. Gli piaceva parlare con il piccolo Lightwood perché era l’unico che non aveva veri pregiudizi su nessuno, e poi era un gran curiosone che imparava prestissimo e a Simon piaceva raccontargli le storie di Supereroi e il film di Star Trek, che Max non aveva visto perché a quanto pare ad Idris non esistono televisioni.
-“Ti va se parliamo con una porta in mezzo? I miei sono usciti e mi hanno impedito categorimante di seguirli. In realtà, secondo mia madre, io non sarei neanche dovuto uscire dalla mia stanza. Allora io le ho detto E se devo andare in bagno? “ Max e Simon risero insieme.
-“E lei cosa ti ha risposto?” chiese il vampiro.
-“Che se devo andare in bagno, devo aspettare che tornino. E allora le ho detto che se fosse stato urgente, non sarei riuscito a trattenerla e lei mi ha detto che sono impossibile e che la smetterà di farmi leggere i fumetti.”
-“Cooosa?! No, tu devi impedirlo, Max. I fumetti sono importanti… poi inizieremo a guardare i Man-ga giapponesi. A New York è più facile trovarli, ma provvederemo.” Simon si avvicinò alla porta e scivolò fino ad accucciarsi sul pavimento in modo da avere la voce di Max più vicina.
-“Se sei di New York perché sei qui?”
-“Me lo stavo chiedendo anche io.”
Dopo attimi di silenzio, in cui era palese che Ma stesse pensando a come chiedere qualcosa, questi parlò.
-“Simon, mi racconti come sei diventato vampiro?”
-“E’ molto semplice, Max, sono stato morso.”
In realtà, la storia era molto più macabra, ma Simon non avrebbe potuto raccontarla ad un bambino che praticamente era da solo in casa. E se avesse avuto paura?
Ricordò come in un vicolo sperduto di New York, in cui qualche anno prima di era perso mentre cercava suo padre, da poco scappato di casa, un gruppo di vampiri dell’età indecifrabile, lo aveva trascinato in un luogo appartato con la scusa di mostrargli la strada più corta per tornarsene a casa. Simon aveva solo sedici anni, e nessuna esperienza di quel genere. Avrebbe dovuto stare più attento a scuola durante le ore di educazione alla prevenzione stradale, avrebbe voluto in quel momento conoscere almeno qualche mossa di autodifesa per evitare che quattro vampiri si attaccassero alla sua vena, privandolo letteralmente della vita.
-“E’ stato doloroso?”
Sì.
-“Non lo ricordo più, Max. Non parliamo di queste cose, su.”
Poi uno schianto, la casa a fuoco e tutto intorno un fumo troppo denso.
-“Max!” –urlò Simon, che a quel punto aveva già scaraventato la porta dall’altra parte della stanza –“Max!!” lo sentì tossicchiare, ma non riusciva a vederlo bene.
-“Max!! Dove sei? Max, dobbiamo uscire di qui.” Si chinò a strisciare sul pavimento memore del fatto che il fumo sale sul soffitto e quindi conviene sempre buttarsi per terra per evitare che i polmoni si riempissero di fumo. Smise di respirare e cercò tentoni Max, un suo segno di movimento e di vita.
-“Simon?” gracchiò il bambino. Simon si voltò. Aveva gli occhiali spostati sul naso e stringeva ancora il fumetto tra le braccia, come a trovarne conforto.
-“Sei tutto intero, piccolo. Andiamo, prima che qui crolli tutto.”
Si sentì commosso, Simon, nel salvare quel bambino non perché ne avrebbe tratto riconoscimenti, ma perché finalmente c’era qualcosa che avrebbe potuto riempire la sua eternità.
-“Dici che tua mamma acconsentirebbe a lasciarti uscire di casa, in queste condizioni?” chiese il vampiro. Max lo abbracciò teneramente, tossicchiando e ridendo insieme.
 
Clary aveva comiciato a corre veloce. Doveva raggiungere il centro di Alicante. Era una scena orribile vedere tutti quei mostri e demoni che varcavano la soglia della città di vetro senza ostacoli. Come aveva fatto Valentine? Quella era magia oscura. Quale demone aveva evocato? Forse Magnus aveva la risposta, ma era pressocchè inutile domandersi proprio in quel momento. Dovevano tutti imbracciare le armi e correre a sconfiggere quegli esseri dannati, mentre qualcuno cercava di ripristinare le barriere di sicurezza.
Correva a rotta di collo, Clary, anche per scappare dalle parole di Alec. E se fossero state vere? No, non era possibile, lei lo avrebbe capito. Jonathan lo avrebbe fatto capire quanto meno a lei. Non era più cattivo, e forse non lo era mai stato.
Raggiunse la fontana e girò l’angolo trovandosi davanti la fine del mondo. I cacciatori cercavano di respingere l’avanzata nemica, ma era impossibile. Il loro numero era di gran lunga superiore rispetto ai Nephilim e tutto quello che stava succedendo era troppo difficile da concepire. Era come essere colpiti al centro dell’orgoglio con un ordigno esplosivo improvvisato.
Forse Clary avrebbe potuto creare una runa per ridimensionare il buco tra le lastre di Adamas, forse. Ma non aveva tempo. Estrasse le spade angeliche e si buttò nella mischia. Avrebbe desiderato che Jace e Jonathan fossero al suo fianco, ma anche loro probabilmente avevano il loro da farsi. Raggiunse il centro della mischia, Clary, dove si concentravano i migliori Cacciatori che avesse mai visto combattere. Sua madre però non c’era. Per un istante si fermò a pensare dove altro potesse essere se non a combattere, a fare la cosa che le veniva meglio dopo dipingere e si ritrovò a tremare dal terrore: Valentine. E se l’avesse presa?
Riprese a correre scontrandosi contro demoni e cacciatori che non si curavano di lei, concentrati e scioccati allo stesso momento. Corse fino a ritrovarsi dall’altra parte della radure, lontana dal fragore di spade che si incontrano, dalle grida di battaglia. Sentì altr voci provenire dalla radura e per un po’ rallentò l’andatura.
-“Bene, bene, bene” –voce ghiacciante, gelida e penetrante. Il peggiore degli incubi. –“ e così, Lucian Greymark si è nascosto proprio sotto il mio naso.”
Clary sentì Luke ringhiare arrabbiato, a metà tra un uomo e un lupo. Cercò una soluzione rapida, ma non trovò altra soluzione che buttarsi tra Luke e suo padre. Ci pensò un altro po’.
-“Sono sopravvissuto per sconfiggerti di nuovo, miserabile.” Disse Luke. Clary cercò sua madre e la trovò priva di sensi per terra. Avrebbe voluto raggiungerla, ma per farlo, avrebbe dovuto attraversare il luogo in cui Luke sfidava Valentine.
Valentine rise.
Era incredibile l’odio che covavano l’uno per l’altro. Clary si chiese come fosse possibile visto che la loro unione era stata benedetta dall’Angelo.
-“Non sei degno del mio tempo, cane.”
A quel punto Luke gli saltò addosso rotolarono sull’erba in una confusione di calci e pugni. Clary non riusciva a capire chi colpire e come farlo. Erano troppo desiderosi di uccidersi a vicenda, Luke perché Valentine gli aveva strappato dalle braccia la donna che amava e Valentine… beh perché lui odiava tutti. Ad un certo punto, Valentine riuscì a sedersi sopra le gambe di Luke che cercava di dimenarsi, ancora incapace di trasformarsi completamente. Lo mitragliò di pugni sulle costole e in faccia, mentre Luke guaiva e grugniva dal dolore. Clary non riusciva più a sopportarlo. Al che la ragazzina si fiondò contro il padre, lasciandolo basito per un secondo. Si schierò tra l’elsa di argento del pugnale dei Morgenstern e il lupo ferito, che chiedeva a Clary di sparire da lì.
-“Clarissa, spostati. Poi passerò a te, se senti la necessità di batterti con me.”
Clary sputò la bile sulle scarpe del padre, mentre con di sfuggita sua madre si sollevava.
-“Come hai fatto a rompere le barriere della città?”
-“E’ magia nera, figlia mia, cose che voi non potete capire.”
-“Perché ti servi dei nascosti solo per ucciderli? Che senso ha convocarli per radunarli a morte?” Clary non riusciva a capire da dove le derivasse quel coraggio, ma la runa parabatai scottava come un carbone ardente sulla sua pelle. Clary si chiese se fosse normale, se Jonathan stesse soffrendo oppure se fosse troppo vicino. Lo sperò con tutta se stessa.
-“Tu non puoi capire. Nessuno può farlo! Io l’ho fatto per migliorare la razza dei Nephilim. Noi siamo i prescelti dell’Angelo e non possiamo permettere di miscere il nostro sangue con quello dei figli del demonio.”
Clary lo guardò con sfida.
-“Clarissa, io non mi faccio problemi ad uccidere anche te.”
-“Certo, è per il bene superiore. Per il miglioramento della razza dei figli dell’Angelo, giusto?” –disse sprezzante, Clary –“ Sai che ti dico? Che se dovessero esistere altri Nephilim come te, se un giorno tutti fossero come te, io preferisco rinunciare ai marchi. Preferirei che gli Shadowhunters si estinguessero piuttosto che rischiare il tuo piano geniale.”
Passarono minuti, forse ore, prima che Valentine estraesse un’altra spada e ne controllasse la lama affilata sulla sua mano. Clary deglutì, ma si piegò sulle ginocchia pronta a combattere pe se stessa, per Luke, per sua mamma, per tutti i Nephilm del mondo se fosse stato necessario. Tutta quella pagliacciata sarebbe dovuta finire ad esso.
-“Ho inventato una runa” – mentì –“ per chiudere il varco che hai aperto tra le mura della città di vetro.”
Un guizzo di dubbio passò per gli occhi del padre, glaciali come al solito.
-“Tu menti.”
-“Mai stata tanto sincera. Dopotutto, non era per questo che mi cercavi? Avevi paura che io scoprissi il tuo punt debole. Beh, l’ho trovato papà.” Era bellissimo averlo pugno.
-“E’ impossibile.”
-“No, sai… in realtà è piuttosto semplice. Basta chiudere gli occhi, pensare allo scopo e bum arriva la runa.”
Non era proprio così. Non era Clary a cercare le rune, ma loro a cercare lei. Ma questo Valentine non poteva saperlo, perché Clary non glielo aveva mai detto.
-“Sai, devo anche ringraziarti. Sei tu che mi hai permesso di avere questo… dono, no? A Jonathan la maledizione e a me questa specialità.” Clary rise ancora una volta senza allegria.
-“Piantala con queste stupidaggini! L’unico modo per impedire che tutto questo continui è uccidere…”
-“Te. Sì, questo l’avevo capito. Beh, allora che aspettiamo?” Clary si ritrasse giusto il tempo per afferrare la sua spada, ma un secondo più tardi il padre sollevò il suo pugnale e…
Rimase fermo con occhi sgranati in una domanda muta di Perché? Clary guardò l’arma cadere per terra, mentre la madra gridava il suo nome e Luke iniziava a recuperare le forze. Valentine cadde all’indietro scoprendo la figura di suo fratello che si fissava le mani come se non capisse neanche lui cosa fosse successo. Suo padre gli cadde tra le braccia mentre un gorgoglio di sangue iniziava a salirgli su per la gola facendolo tossicchiare di continuo. L’elsa gli aveva perforato la pleura e sarebbe morto nel giro di pochi secondi.
-“Cosa ho fatto?” si chiese Jonathan, che respirava a fatica quasi come il padre. Tutto il mondo era fermo a guardare quella scena. I demoni che punteggiavano il cielo esplosero e divennero cenere che iniziò a cadere come coriandoli tutto intorno. Un odore forte di morte e bruciato. Si chiese come stessero tutti gli altri, se fossero vivi o morti per colpa di suo padre.
Aggirò il corpo del padre e si avvicinò al fratello.
-“Mi avrebbe ucciso.” Sussurrò appena. Jonathan era ancora sconvolto, ma sollevò lo sguardo di smeraldo simile al suo, su di lei. Sembrava un bambino spaventato Jonathan, e se fosse mai stato in grado di piangere, probabilmente lo avrebbe fatto. Invece, i suoi occhi rimasero asciutti.
-“L’ho ucciso.”
Clary annuì debolmente. Jocelyn raggiungeva Luke e lo aiutava a sollevarsi, mantenendo lo sguardo su di loro. La Cacciatrice piangeva chissà poi se di gioia o di disperazione.
-“E’ finita?” chiese Jonathan, forse più a se stesso che alla sorella.
 Confermò Clary abbracciando il suo parabatai e sospirando sul suo collo. Non si sorprese a sentirsi stretta dalle braccia forti del fratello, colpevoli di un giusto parricidio.
-“E’ finita.” Disse Jonathan al suo orecchio.
   
 
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