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Autore: Karyon    30/06/2008    2 recensioni
One shot complessa.
Ma è Rukawa, Rukawa e il suo ideale. E Hanamichi, con gli occhi aperti, per una volta.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Haruko Akagi, Kaede Rukawa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Sempre più semplice, insomma.  Dopo secoli che non pensavo a Slam Dunk, rivederlo mi fa di questi effetti. Dovrei prendere appunti per il futuro... Giusto per voi che dovete soportarmi.


Sentence

 

Hanamici guardò aspramente il ragazzo di fronte a sé; Per una volta sveglio, vedeva tutto più chiaro [ capiva finalmente ].
“Come hai potuto?”, gli domandò, sussurrando. Come se ogni parola costasse fatica.
Il ragazzo dai capelli corvini si limitò a fissarlo.
“T-tu non puoi essere così, sei spregevole!” Cominciò ad urlare il rossino.
Rukawa spostò i suoi occhi glaciali sull’altro e finalmente mormorò: “Non sono affari tuoi.”

Era sempre così. Gelido, impassibile. Non sembrava nemmeno umano, tanto era indifferente; Non cambiava mai espressione, ne lo vedevi mai emozionato.

Proprio per questo era l’opposto, la contraria nemesi di Hanamici.
Lui era socievole, allegro, istintivo, passionale; Coltivava l’idea del momento fugace, del divertirsi in ogni momento. Eppure ciò non indicava superficialità, né felicità, no.
Perché lui aveva sofferto, molto, troppo, e troppo a lungo. Ora, doveva seguire se stesso.
La loro rivalità, però, andava oltre il carattere o l’indole; Era qualcosa di più profondo, di istintivo, quasi.

Riguardava ciò in cui uno eccelleva, e l’altro, invece falliva miseramente, sempre.
Lui odiava essere considerato un fallito; Non lo era, non lo era. [ Si ripeteva, si convinceva ].
E benché avesse l’occasione di mostrarsi diverso, alle volte, gli rubava il palcoscenico.
[ Si impadroniva della sua occasione di Essere ].

E poi c’era lei, Haruko.
Lei, l’unica ragazza che gli si era avvicinata, l’unica che aveva visto al di là… Del sorriso, della sua stupida, inutile, maniacale boria.
E lui gliel’aveva portata via. Come tutto.
E senza sfiancarsi, senza ringraziare per ciò che aveva ottenuto.
Solo con uno sguardo, come se tutto gli fosse dovuto.
Lei lo amava.
O meglio, amava ciò che si rifletteva all’esterno.
Ciò che Kaede Rukawa era per il mondo intero; Slanciato, bello,misterioso.
[ Amarlo intorno, senza sapere che nulla vi è all’interno. Solo… Il freddo ].
E aveva preso il coraggio.
Confessargli quello che provava perché, dopotutto, non poteva andare peggio dell’indifferenza che le mostrava, giorno dopo giorno.
Eppure lui aveva trovato il modo: l’aveva umiliata.

Doveva esserne felice.
In fondo il suo rifiuto la portava a sé, ma non era così.
Vederla piangere, disperarsi come se il cuore le si fosse spaccato… Era atroce.
Avrebbe preferito osservarla da lontano, ma col cuore al sicuro tra le illusioni d’amore che non erano per lui.
E alla fine, lo aveva affrontato.

“Come fai ad essere così? ” chiese arrabbiato.
“Mi viene naturale…” ironizzò il bruno, totalmente indifferente alla sua furia.
Eppure lo vedeva che era diverso. [ Più consapevole, forse ]. Non solo per la mancanza di insulti o di urla.
[ Di quella che lui chiamava leggerezza ].

Tuttavia non gl’ importava; Lui era lì per il basket, solo e soltanto per quello.
“Hai freddo per caso?” gli chiese sorridendo.  [ Per la prima volta… ]
Rukawa non parlava molto.
Rukawa non era molto attivo.
Rukawa non scherzava.
Rukawa non rideva. Mai.
Eppure era un sorriso che si apriva sul viso. Un infame sorrisetto di derisione.

“Ti stai prendendo gioco di me?” Voce calma, quasi tranquilla, incredula. [ Forse delusa ].
Rukawa gli si avvicinò guardandolo direttamente negli occhi: “Si.”
Non ci vide più e come suo solito partì in quarta: afferrò il compagno, il rivale, con il pugno levato.
“Hana!”
La voce di Haruko lo svegliò, si fermò a pochi passi dall’altro e la guardò:
”H-Haruko…”

Era cresciuto.
Il suo Essere, celato a tutti con la baldanza, nel frattempo era cresciuto.
Si era svegliato e aveva capito: per lei era un amico, un buon amico, perché lui si era comportato da tale.
E non aveva dato una possibilità.
Non si era dato una possibilità.

La ragazza si avvicinò ai due: Aveva ancora gli occhi arrossati di pianto, ma avanzò, decisa come non lo era mai stata, nel silenzio della palestra.  Guardò Hanamichi, e gli sorrise.
Non era più l’ “Harukina”, sorella del capitano. Era di più, molto, molto di più.
E Hanamichi non era  la “scimmia rossa”, re di tanti troni.
Aveva abdicato…  Il tempo dello Shohoku era finito.

Haruko guardò Rukawa, in attesa.
Il suo solito sguardo inespressivo  la fissava, ma solo ora capiva [ Lui non la guardava. Non sul serio ].
Guardava qualcosa di estraneo a chiunque, di alieno. Un ideale, al quale aveva sacrificato ogni cosa.
Lo avrebbe bruciato, vivo, dall’interno. Fino a distruggerlo.
Sperò, semplicemente, che almeno ne valesse la pena.

“ Mi spiace”.  
Fece, con voce ferma, flebile, a malapena udibile.
Un’intonazione diversa, infinitamente differente eppure uguale a se stessa.
[  Perché, tutto ad un tratto, il velo era caduto ].
Rukawa la guardava, e per la prima volta vide e capì.
Se Hanamichi non fosse stato così vicino, nemmeno  lo avrebbe intuito [ Un tremore, leggero, di nervosismo, quasi ]. Lo guardò, ma di sottecchi, come quando si assiste a qualcosa che non si dovrebbe conoscere.
E al richiamò di Haruko, faticò a girargli le spalle.

“ Ci si vede, volpe. “ Salutò, ma con un sussurro, quasi con timore. [ Perché lasciare il futuro che avrebbe potuto essere, è sempre difficile .]
Lei, poi, era cambiata? Tutto ciò, l’aveva cambiata?
“Corriamo…”
Forse sì. Ma col tempo, lo avrebbe capito.
Senza alcun altro sguardo che [ lo temeva, lo sperava ] avrebbe potuto indurlo a restare, si chiuse la porta alla spalle.

Rukawa non diede alla loro uscita qualche interesse di più, si girò, fissò il canestro.
La palla rossa, la sua vita, era lì.

Afferra la palla. Guarda il canestro, lontano.
Salta, pronto per il tiro, la mano trema leggermente…
Centra il tabellone, colpendo il cesto, le palle si rovesciano per il campo.

L’era dello Shohoku, andata.
La squadra, quei compagni tanto indesiderati e tollerati per anni.
Tolleranza che si era trasformata, nel tempo, con impercettibile pazienza. In qualcosa di più.
[ Di più forte, più profondo o, semplicemente, più interessante ].

E ora, senza giustificazioni, doveva affrontare il mondo.
Non più era poco cordiale per colpa di Hanamichi.
Non più era stacanovista per colpa di Akagi.
Non più era veloce in campo [ lasciando tutti dietro ] per colpa di Miaghi.
Non si allenava ore e ore per sfidare Mitsui. [ Non più ].

Ora, dinnanzi allo specchio, si scrutava.
Senza maschere, senza veli, senza scuse.
Che si piacesse o meno era irrilevante. Ciò che [ solo ] contava era il suo Ideale.

Eppure, durante quell’allenamento  si sfinì.
Mortificò il corpo e la mente, fino a quando le forze che lo reggevano, defluirono via.
E quando uscì dalla palestra [ quella sera stessa ], si sorprese ad farsi una promessa.

E le audizioni per quella nuova squadra [ le mancò ].
Così come accadde nei mesi a seguire.
Ma non era per loro.
[ No, lui non si puniva per quello che aveva perso. Ne era sicuro. ]

 

 

 

 

 

   
 
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