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Autore: Medea00    15/03/2014    3 recensioni
OS (o forse no?) ambientata dopo Liszt&Chopin. Blaine e Sebastian si sono trovati e la loro storia d'amore va a gonfie vele, ma cosa dire del resto? Senza un lavoro, senza amici pronti a consolarli e con le bollette che sono pesanti e minacciose. In più, al tanto atteso concerto del loro stimato, professore, succede qualcosa di incredibilmente inaspettato.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non ho niente da dire / e lo sto dicendo / e questa è poesia / tutto ciò di cui ho bisogno.
-John Cage




Il New York Concert Hall era maestoso come sempre.
Questo pensò Blaine, quando si ritrovò a varcarne le soglie per l’ennesima volta, come se fosse la prima: il cuore che batteva forte, le mani rigide, il sudore freddo sopra la pelle d’oca. Era semplicemente importante, non avrebbe saputo descriverlo meglio, importante e pieno di ricordi, che gli facevano venire un groppo in gola.
Ricordava perfettamente la prima volta che ci era stato come spettatore: insieme a Sebastian, per una sinfonia di Mahler. In quel frangente aveva fatto due conoscenze diametralmente opposte: da un lato, la madre del suo fidanzato, la famosissima violinista di fama mondiale che si era rivelata una giudice severa e senza trattamenti di favore verso suo figlio; dall’altro, colui che sarebbe diventato il suo primo, vero, direttore d’orchestra.
Ed era successo sempre lì, al Concert Hall: il suo primo ingaggio insieme a Sebastian, la loro prima sinfonia, il loro primo incarico di lavoro. Sembravano passati anni, e invece era successo solo qualche mese prima; ricordava perfettamente gli applausi del pubblico, l’emozione scalpitante, i sorrisi emozionati dei loro amici più cari, mentre li riempivano di elogi.
Erano stati dei mesi bellissimi; purtroppo, però, come ogni cosa bella, aveva raggiunto la sua fine. La stagione era terminata ed era stato doloroso separarsi dalla compagnia, dal Maestro Diderot e da tutte le esperienze speciali che avevano ottenuto grazie a lui; adesso erano di nuovo punto e a capo, senza un soldo, senza un obiettivo, con mille altri sogni da realizzare. Inoltre Brittany e Santana si erano trasferite da un po’ a Chicago, e la mancanza della sua migliore amica era sempre più pressante; ecco, lo stava facendo di nuovo. Si stava abbattendo e Sebastian glielo diceva almeno mille volte al giorno di essere positivo, perchè erano giovani, belli e in carriera. “E insieme”, aggiunse una parte della sua mente, nel momento in cui realizzò che stavano insieme da più di cinque anni; non erano più i ragazzi bisbetici del conservatorio Franz Liszt, erano uniti, erano cresciuti gradualmente. Perfino il loro vivere insieme era stato graduale: Blaine aveva iniziato a lasciare qualche spartito da lui; poi, un paio di maglioni; poi lo spazzolino e dei ricambi. Un giorno, Sebastian gli aveva indicato un intero cassetto vuoto, dove erano già presenti alcune delle sue cose. Aveva detto solo “Se non ti va basta dirlo”, con il suo tono burbero che sottintendeva sempre una leggera ansia da prestazione; ma no, a Blaine andava tantissimo, e glielo aveva fatto capire saltandogli al collo e riempiendolo di baci per la successiva mezz’ora.
Eh sì. Erano proprio cambiati, loro due.
Ma poi intravide Sebastian, dall’altra parte della sala, parlare fitto fitto con il bigliettaio del concerto. Aveva già allentato il secondo bottone della giacca, ed era un pessimo segno.
“Si può sapere cosa diavolo significa che devo pagare il biglietto?”
“Signore, la legge non l’ho scritta io, se ha qualche lamentela può rivolgerla all’uffic-“
“Ma ha la più pallida idea di chi sono io? Oppure è su quella sedia perchè sua figlia è andata a letto con il proprietario di questo posto, e a lei servivano nuovi soldi?”
“Sto per chiamare la sicurezza.”
“Bene. La chiami. Sicuramente saranno più informati di lei.”
“Sebastian-“ Blaine accorse il più veloce possibile, rivolgendo un’occhiata di scusa al signore del botteghino, e una molto più severa al suo compagno stizzito.
“Non ora Blaine, non vedi che sto parlando con questo gentilissimo signore?” Inutile dire che il tono della sua voce era a dir poco sarcastico. “Adesso, visto che a differenza sua sono un gentiluomo, farò finta che questa conversazione non sia mai avvenuta.” Si voltò, facendo due o tre passi indietro, e per un momento sia Blaine che il bigliettaio credettero che sarebbe finita lì; ma poi, alzò i tacchi e lo videro tornare, con un trionfale sorriso costruito ad arte, la sua camicia fatta su misura su cui, a lato, comparivano ricamate le iniziali S.S.
“Buonasera, Blaine. Buonasera servo di scena.” Per incalzare ancora di più la recita, salutò Blaine con un veloce bacio a fior di labbra. “Dunque, hai già parlato con questo allegro signore per sapere il numero del nostro posto?”
“Sebastian,” Esordì incerto, “Forse Robert si è semplicemente scordato. Dai, non facciamone un dramma, paghiamo il biglietto e-“
“No no no no, Blaine. Lascia fare a me.” Detto questo, lo scostò delicatamente da un lato, cingendogli il fianco con un braccio e rivolgendo tutta la sua irritata attenzione all’uomo dall’altra parte del vetro.
“Mi scuso per il mio compagno, sa, è sempre stato troppo buono.” Lo disse come se fosse un dramma. “Allora, questi posti?”
“Non mi è stato lasciato nessun nominativo dal concertista, o da qualcuno in sua vece, per lasciarvi un posto riservato. Prendetevela con qualcun altro.”
“Oh, stia sicuro che la prossima persona che mi vedrà sarà quel vecchio che ci ha fatto muovere il culo fino a qui solo per sentirlo suonare, ma per il momento, restiamo a noi. Sa fare la matematica, mio caro plebeo?”
L’uomo lo fissò serio per una manciata di secondi, con i suoi capelli corti e la pancia che strabordava dalla giacca nera. “Sì.”
“Dunque, venticinque dollari a biglietto, per due, fanno cinquanta dollari, dico bene?”
“Ancora una volta, sì.”
“Quindi io dovrei pagare cinquanta dollari per sentire il mio maestro suonare. Robert Cage, sa almeno chi è? Sa almeno chi è il tizio di cui sta vendendo i biglietti, o le interessano soltanto i poster di Lady Gaga nuda?”
“Ha superato il limite, chiamo subito la sicurezza e la faccio scortare fuori da qui.”
“Oh certo, chiami pure la sicurezza, chiami la regina Elisabetta in persona!” Sventolò le mani in aria, parlando con un tono talmente alto da attirare l’attenzione di tutta la sala. “Vorrei tanto scambiare due chiacchiere con lei, sa? Quell’inno britannico...” Scosse la testa, sconsolato. “Che amarezza. Dio salvi la regina? Ma ha mai fatto qualcosa, questo Dio? Beethoven ci ha salvati. Lasci che glielo dica io, che me ne intendo: Beethoven è la cura di questa civiltà da tutti i suoi mali.”
“Sebastian.”
Stavolta, Blaine intervenne con un tono molto più freddo. E Sebastian conosceva bene quel timbro di voce, tanto che fu costretto a voltarsi senza battere ciglio e rivolgere al suo compagno un’espressione accigliata. Blaine, adesso, era nervoso, stanco e stressato. Voleva solo sedersi da qualche parte, oppure semplicemente entrare e mettersi da un lato; voleva ascoltare questo famoso concerto di cui parlava tutta New York da settimane, senza nessun tipo di preoccupazioni. E invece, perchè Sebastian doveva sempre rendere tutto così difficile?
“Signori.” Delle guardie armate, con tanto di cipiglio e braccia conserte, chiesero gentilmente i due ragazzi di aspettare la fine del concerto. Fuori.
“Bene.” Disse Sebastian. Senza aspettare un secondo di più, afferrò Blaine per un braccio e lo condusse fuori dalla hall del grande edificio. Erano in strada, con il traffico di New York che non risparmiava nessuno, nei suoi rumori discordanti e ripetitivi, l’orologio a polso di Blaine segnava le venti in punto e il concerto del loro maestro sarebbe cominciato a momenti.
“Si può sapere cosa speravi di fare?!” Urlò, in mezzo al marciapiede, di fronte a tutti i passanti perchè, Dio, quando Sebastian faceva il capriccioso era davvero insopportabile. “Hai litigato con il signore per cinquanta dollari di biglietto e adesso ci hanno cacciati fuori!”
“Che cosa?! Oh certo, adesso è colpa mia?!”, Esclamò lui, “Sai benissimo che questo mese siamo a secco e quei cinquanta dollari ci servono per pagare la bolletta della luce, e poi il vecchio ce lo aveva promesso. Ci avrebbe fatto entrare gratis, ce lo meritiamo, cazzo!”
“Sebastian, il professore forse ha avuto altro a cui pensare e si è scordato di riservarci dei posti, non ci pensi? Ha da fare un concerto. Capita.”
Quando Blaine era arrabbiato, pronunciava sempre il nome di Sebastian per intero. Nessun “Seb”, nessun nomignolo affettuoso, nessun “Amore” sussurrato con dolcezza perchè sapeva che non lo avrebbe gradito. No, Blaine pronunciava il nome di Sebastian scandendo ogni singola lettera e facendolo rimpiangere di essere nato con un nome così lungo.
“Non capita, Blaine.” Lo chiamò come se stesse facendo il verso a un gatto che gli stava soffiando contro. “Lo sa bene che non abbiamo soldi, che siamo senza uno straccio di lavoro, che abbiamo bisogno di risparmiare e uno non si dimentica dei suoi allievi, che diavolo. Non capita e basta.”
“Sebastian...” Fece Blaine, dopo aver esitato qualche secondo, ma il suo ragazzo interpretò quella pausa ancora prima che riuscisse a terminare la frase, e lo anticipò dicendo: “Adesso non riniziare con il fatto che Cage è vecchio. Non è così vecchio.”
“Ha sessantanove anni”, ribattè lui.
“Appunto, non sta perdendo colpi, è ancora giovane per questo; non si è accidentalmente scordato di noi. Si è volutamente scordato di noi, perché è deluso che non abbiamo ancora trovato uno straccio di lavoro dopo l’incarico con Diderot.”
Fu come una doccia fredda per Blaine: spalancò gli occhi completamente incredulo, preso così tanto contropiede che Sebastian stesso fu costretto ad abbassare lo sguardo e mordersi un labbro, quasi con la consapevolezza di aver detto troppo.
“Lo pensi sul serio?” Sussurrò Blaine, cercando i suoi occhi verdi, intravedendo le sue ciglia lunghe, le sopracciglia aggrottate. “Sebastian... non è deluso da noi... è così fiero, Kayla ce lo dice sempre.”
“Che ne sai?” Sviò lo sguardo, cominciando a calciare un sassolino per terra. “Voglio dire, te l’ha detto lui di persona? Te l’ha fatto capire? Ultimamente, con la scusa che doveva prepararsi per il concerto, non si è fatto mai vedere. Kayla ci dice quelle cose solo perchè non ci vuole ferire.”
“Non è così, lo pensa sul serio, anche il professore lo pensa sul serio e-ehi.” Blaine afferrò il volto di Sebastian con entrambe le mani, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi, a subire tutto il suo calore protettivo e amorevole. “Andrà tutto bene. Troveremo un lavoro, e risolveremo i nostri problemi economici, okay?”
Lo fissò per qualche secondo, prima di rispondere.
“Mi rifiuto di chiedere soldi a mia madre.”
“Lo so.”
“E mi rifiuto anche di chiedere soldi ai tuoi, anche perchè, senza offesa, ne hanno a malapena per loro stessi.”
“Lo so.” Ammise, senza punta di rammarico, più come un dato di fatto. “Non ti preoccupare, penseremo a qualcosa.”
Era quel “noi” che ogni volta scioglieva Sebastian, a farlo rinsavire. La sua espressione diventò lentamente più calma e, dopo aver osservato con cura gli occhi di Blaine e il suo sorriso gentile, lo attirò a sè per un lungo abbraccio, baciandogli i riccioli scompigliati.
“Immagino che per te sia una rottura sopportarmi ogni giorno.”
Era il suo modo per chiedere scusa della scenata di prima; per dirgli, “grazie per essere qui, per amarmi così come sono, dopo tutti questi anni”. Blaine, semplicemente, rispose con un piccolo bacio e disse che non era una grossa rottura di solito, tranne quando li faceva cacciare fuori dal New York Concert Hall.
“Dobbiamo trovare un modo per entrare, lo sai.”
Sebastian, sentendo quella frase, assunse un sorriso quasi machiavelico: “Per tua fortuna stai con un genio.”
 
Il concetto di genio, pensò Blaine, era da rivedere.
Perchè entrare dal retro dell’edificio, scavalcando le transenne e sfruttando l’uscita di sicurezza posteriore, non era stato davvero il massimo dell’ingegno: ce l’avrebbe fatta qualsiasi ladro, solo che nessun ladro era interessato a entrare in una sala di musica classica.
Per questo non era sorvegliata e, dopo aver attraversato di corsa le rampe di scale e aver corso lungo il corridoio sin troppo conosciuto, raggiunsero il Foyer dove, in teoria, stava l’orchestra prima di entrare. Non c’era nessuno, voleva dire che Robert era già sul palco.
“Ma da qui non possiamo vederlo!” Blaine tirò una manica di Sebastian come un bambino, ma quest’ultimo gli fece segno con l’indice di fare silenzio, perchè le luci in platea si stavano abbassando e dalla toppa della chiave riusciva a intravedere qualcosa.
“Lo vedi?”
“Vedo la sua scarpa.”
“Che scarpa è? Si è già seduto?”
Sebastian restò fermo per un secondo. Poi, piano, si girò: “Vuoi davvero sapere che scarpa ha il professor Cage?”
“Oh senti, sono agitato. Non suona in pubblico da anni e si dice in giro che questo potrebbe essere il suo ultimo concerto.”
Sebastian roteò gli occhi al cielo, emettendo un pesante sospiro nel rispondere: “Te l’ho dico per la centesima volta, Blaine. Il professore non è così vecchio, non è rincoglionito e se Horovitz può ancora suonare la polacca brillante di Chopin, lui potrà sicuramente suonare per altri ottant’anni. Smettila di guardarmi con la faccia da cane bastonato, è tutto apposto, ti dico.”
“Ma non sappiamo nemmeno cosa suonerà”, ribattè lui, “Nessuno sa niente! Non ti sembra strano? Non ti sembra tanto una cosa da ‘questo è il mio ultimo concerto, voglio finire con il botto’?”
“Ma cosa vuoi che suoni”, rormorò Sebastian, “Se suona al piano farà qualche pezzo di classico e come bis farà un improvvisato. Lo sai che lo adora. Peccato, comunque, era meglio se suonava il violino. Il pianoforte è così noioso.”
Blaine lo guardò male. Molto male.
“Che c’è?”
“Ringrazia che ti amo.”
“Ringrazia che hai un bel culo.”
E, in mezzo a quel battibecco, Robert
iniziò.
Se Blaine e Sebastian avevano ipotizzato una diversa gamma di repertori, ognuno per conto suo, ecco, quello che stavano sentendo non era niente di tutto ciò. Non era niente che avessero mai sentito prima, per l’esattezza. E, francamente, non sembrava nemmeno musica classica. Sembrava un’accozzaglia di suoni, e rumori, e un momento-percussioni? Si sentiva il pianoforte... ma cos’erano quegli altri suoni metallici, stridenti, quella specie di tamburi e corde graffiate che si udivano in concomitanza?
Inoltre, non c’era armonia. Non c’era forma musicale, non c’era un tema, un secondo tema, un soggetto o un controsoggetto. Sembrava come se Robert stesse picchiando con i pugni sulla tastiera riproducendo tutto quello che ne usciva fuori.
E quello che usciva fuori, davvero, non era un bel suono.
Tutto qui. Un pezzo di due minuti e mezzo per un concerto di... come poteva essere chiamata quella cosa che avevano appena sentito? Rumore? Roba?
“Bene.” Disse Sebastian, secco e netto, guardando con la coda dell’occhio Blaine che era chiaramente pallido in volto. “Avevi ragione tu. Il professore è rincoglionito.”
Inutile dire che la sala non applaudì.
Non fischiò nemmeno, comunque, perchè nessuno si permetterebbe mai di fischiare il grande Robert Cage, neanche se la sua esibizione era stata decisamente... inaspettata.
Si sentì soltanto un lungo, grande silenzio. In quel momento avrebbero dato un rene per essere lì, per vedere i visi delle persone attonite ma, soprattutto, quello sorridente del professore; perchè sorrideva. Riuscivano a immaginarsi benissimo quel fatto: sorrideva perchè di se stesso era perfettamente convinto.
“Vi ringrazio molto.” Lo sentirono dire. “Ammetto che questa non è la più classica delle esibizioni. Ma spero che, tornando a casa, vi abbia lasciato un messaggio: la musica è cambiata. Buona serata a tutti.”
La musica è cambiata.
 
“Ragazzi!”
Ed eccolo lì, il professor Cage. Con il solito bastone appoggiato al piano, i capelli bianchi, vestito di tutto punto e un tono così felice, così entusiasta, che nè Blaine nè Sebastian riuscirono a mascherare il loro grande disappunto, vedendo quanto fosse compiaciuto di ciò che aveva appena fatto. Aveva fatto un concerto di due minuti e mezzo, suonando... anzi, nemmeno suonando, facendo una cosa assurda con un pianoforte chiaramente rotto, e ne era contento. Roba da matti.
E mentre Blaine tentò di chiedere qualcosa, una spiegazione a tutto quello, Sebastian restava zitto, come inerme.
“Professore... che cosa... che cosa era, quella cosa che ha appena fatto? Perchè... a che serviva?”
“Bella, eh? Ve lo dico io ragazzi, è la mia migliore composizione.”
Robert ne aveva scritte davvero tante, di cose. Ma quella, no, di certo, non poteva essere definita come la migliore.
“Non ho capito bene cos’avesse quel pianoforte. Sembrava come scordato... professore, perchè non l’ha controllato prima di suonare, per evitare questi problemi?”
“Oh Blaine,” Ridacchiò lui, dandogli una pacca sulla spalla,”Non era scordato. L’avevo modificato io, con appositi strumenti.”
“Mo-modificato?!” Balbettò, “In che senso-modificato? Professore sembrava completamente rotto, non aveva un suono!”
“Certo che ce l’aveva, non essere sciocco. Aveva il suono del pianoforte, insieme a un po’ di viti, di gomma da cancellare, di tubi, di mollette per capelli...”
“...mollette per capelli?!”
“Professore.” Intervenne Sebastian. Il suo tono era fermo e serio. “Non so lei cosa ne pensa di tutta questa cosa, ma a noi e a metà New York non piace essere presi in giro in questo modo così plateale e insignificante. Ci siamo quasi fatti arrestare per lei, e tutto ciò che otteniamo in cambio è un’ammasso di cianfrusaglia sparsa su un pentagramma che non oso nemmeno definire roba.”
Il professore non sembrò per niente offeso da quel discorso, sebbene Blaine avesse paura di sì. Semplicemente, si limitò a fissare il suo allievo, probabilmente, l’allievo più cocciuto, testardo, difficile e caro che avesse mai avuto, e dopo qualche secondo si lasciò sfuggire un tenero sorriso. Uno di quelli sinceri, che fece preoccupare ancora di più i due ragazzi, perchè il professore sembrava davvero sulle nuvole, come se stessero parlando due lingue completamente opposte e lui, alle sue orecchie, sentiva parole simili a bellissime rose.
“Vi siete quasi fatti arrestare per me?”
“... Ma vuole fare il serio, per un momento?!”
“Ecco, vedete ragazzi? È proprio questo che volevo dire! Sono così fiero di voi.”
Blaine e Sebastian si scambiarono una lunga occhiata. Non sapevano cosa dire, così il professore parlò per loro.
“Uscire fuori dagli schemi. Dalle forme che ci hanno imposto le convenzioni e le regole scritte.”
“Professore, non è il caso di farci una lezione di etica adesso”, continuò Sebastian, insistentemente, “Ci può dire che diavolo le passa per la mente?!”
Il professore li guardò, con un sorriso semplicemente più furbo.
“Non ho niente da dire. E lo sto dicendo.”
Se ne andò, lasciando i due ragazzi tanto allibiti, quanto disarmati.
 







***



Angolo di Fra



Premessa: in questo mondo non esiste ancora la dodecafonia e chiaramente, Robert Cage è una chiara ispirazione a John Cage, di cui, tra le altre cose, ho linkato proprio la musica descritta nella OS. In questo mondo, mettiamola così: Robert Cage è l'inventore della dodecafonia. Per questo nessuno la capisce o la conosce, ancora.
Avevo in mente questa cosa dopo aver spulciato un po' di cose e... boh. L'ho scritta. E ve l'ho postata. In effetti, è nata come un primo capitolo per una futura long. Vedrò di continuarla se ho tempo e se vi interessa il continuo.
Grazie per aver letto!
   
 
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