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Autore: Rehara    16/03/2014    4 recensioni
"Il professore fece un gran respiro, si sedette sulla cattedra e si aggiustò i suoi vestiti malconci, che più da lavoro sembravano un pigiama, ma conoscendolo, chiunque poteva pensare che lo fosse davvero.
Osservava tutti quegli studenti passargli davanti, salutarlo e varcare l’uscio: la sua classe era del primo anno, la stessa classe dei suoi tempi d’oro, dove lui aveva studiato – o perlomeno dormito – e osservare le faccine infantili e piene di speranze dei suoi alunni lo faceva sentire vecchio nei suoi quarant’anni d’età.
Sospirò un po’ malinconico, prese una sigaretta da una delle tasche dell’enorme felpa rosso scuro che indossava e se la mise in bocca, per poi sputare quel fumo grigio e nerastro dai polmoni."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sorpresa | Coppie: Soul/Maka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Darling, don’t look back.


«… e fu così che Death The Kid, diventò il grande e potente Shinigami che è oggi. Anche se rimane pur sempre un coglione fissato.»
La campanella suonò appena questa frase fu compiuta dal professore in aula e questo segnò la fine delle lezioni: Oggi era sabato e l’ultima ora era appena terminata alla Shibusen e tutti agognavano un fantastico fine settimana, un po’ spensierato ma anche pieno di emozioni.
Il professore fece un gran respiro, si sedette sulla cattedra e si aggiustò i suoi vestiti malconci, che più da lavoro sembravano un pigiama, ma conoscendolo, chiunque poteva pensare che lo fosse davvero.
Osservava tutti quegli studenti passargli davanti, salutarlo e varcare l’uscio: la sua classe era del primo anno, la stessa classe dei suoi tempi d’oro, dove lui aveva studiato – o perlomeno dormito – e osservare le faccine infantili e piene di speranze dei suoi alunni lo faceva sentire vecchio nei suoi quarant’anni d’età.
Sospirò un po’ malinconico, prese una sigaretta da una delle tasche dell’enorme felpa rosso scuro che indossava e se la mise in bocca, per poi sputare quel fumo grigio e nerastro dai polmoni.
«Ehi, tu, piccoletto. Devo parlarti!» − perlopiù tossì l’uomo, indicando l’ultimo studente rimasto in classe che se ne stava per andare.
Il ragazzino si girò verso di lui, alquanto sconvolto dall’esclamazione del suo professore, poiché ancora intontito dal suo pisolino dei -15 minuti a fine orario scolastico.
Non era un ragazzo robusto, anzi, era piuttosto mingherlino, non era però basso di statura ed era abbastanza alto per avere quattordici anni, la sua pelle era molto chiara e pallida, i suoi occhi erano di un intenso castano scuro e i suoi capelli biondi con qualche sfumatura sul rossiccio e mediamente riccioluti gli esaltavano il viso, grazie al contrasto con i suoi occhi scuri. Vestiva con una maglietta di una band semisconosciuta con sopra una giacca di pelle nera, lunga, piena di bottoni e probabilmente in sintetico, dei jeans malridotti e strappati - che sembravano chiedere aiuto per la loro condizione – e con delle converse nere di pelle.
Il suo sguardo, all’uomo, non piaceva per niente, lo considerava fin troppo strafottente, sfrontato e pigro. Non che lui non lo fosse stato o non lo fosse ancora, però solo lui poteva sfoggiarlo liberamente, sicuramente non un marmocchio del primo anno.
Ma forse, non era solo il suo sguardo a non piacergli, forse era proprio lui stesso a non piacergli completamente.
«Vieni qui, mica ti mangio!» − esclamò nuovamente l’insegnante con ancora la sigaretta in bocca.
Il ragazzino lo fissò per una manciata di secondi con un’espressione alquanto preoccupata e poi si avvicinò a lui.
«Prof, a dire il vero potrebbe. Sa, può divorare la mia anima» – rispose pacato il giovane, levandosi gli auricolari dalle orecchie e mettendosi le mani in tasca.
L’insegnate lo guardò allibito e con la sigaretta a penzoloni sulle labbra, si lanciò in una fragorosa risata. Non riusciva a credere che avesse veramente detto una cosa del genere.
Il ragazzo rimase a fissarlo pigramente, forse senza neanche capire il motivo di così tanti schiamazzi.
«Se divorassi anime di innocenti, non sarei sicuramente qui alla Shibusen come professore e falce della morte, ragazzino»− spiegò, mentre si asciugava le lacrime dagli occhi per il troppo ridere – «E poi vorrei parlarti di qualcosa di importante» – disse tutto ad un tratto serio.
Il giovane, a quelle parole,  prese una delle tante sedie della classe, la mise poco lontano dal professore e ci  si sedette.
«Mi sa che sarà una lunga faccenda…» – espose il ragazzo, per spiegare il perché lo avesse fatto.
L’uomo fece un sorrisetto sghembo, levò la sigaretta dalle sue labbra e la spense. In fondo, quel ragazzo forse non era poi così male.
«Bè, caro mio, credo che tu già sai il perché di questa chiacchierata» – gli disse, continuando a strofinare la sigaretta sul posaceneri sulla cattedra.
Il ragazzo inclinò leggermente la testa e il professore capì che lui non si poneva il problema che invece a lui avviliva.
«Non hai ancora un partner. Siamo arrivati già alla seconda parte dell’anno e non puoi continuare senza un maestro d’armi. Sei un arma, non è così, ragazzino?»
Il ragazzo sbuffò, incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia, fino a quando non sembrò quasi sdraiato.
«Sì, sono un katar. E prof, non chiamarmi ragazzino, il mio nome è Will Benson» − disse con voce ferma, posando sul suo professore uno sguardo minaccioso ed arrabbiato.
«Permalosetti, qui, eh? ~» – ironizzò con voce odiosa – «I permalosetti difficilmente trovano qualcuno come compagno di squadra, ricorda Will» – lo avvertì avvicinandosi a lui, per poi riprovare ad accendere la sigaretta che aveva spento sul posacenere, visto che era la sua ultima.
«E chi ha mai detto di volere un compagno di squadra?»
Il professore soffiò sul suo alunno del fumo della sigaretta che era riuscito ad accendere, per poi fa alzare irato e sbattendo i piedi il ragazzo, che già era abbastanza nervoso.
«Tutti abbiamo bisogno di qualcuno, Will. Nessuno può farcela da solo»
L’uomo fissò intensamente il suo studente, immobile e con lo sguardo serissimo di chi non si ripeterà una seconda volta.
«Ma lei non ha neanche un maestro d’armi, sbaglio, prof Evans?» – specificò intimidito Will, avvicinandosi a pugni stretti al suo professore.
L’uomo albino si alzò sbattendo i pugni sulla cattedra − facendo un gran fracasso – e, prendendo per la maglietta il ragazzo, lo fissò più che irato.
L’albino poi respirò profondamente, ispirando ed espirando, e lasciò la presa sulla canotta del giovane per poi indietreggiare.
«Eater, non Evans, per favore» – disse con voce tremante ed angosciata, tremando e un po’ barcollando, risedendosi lentamente sulla cattedra.
Will guardò stranito il suo professore, non aveva una bella cera. In effetti, ora che ci pensava, quando qualcuno cercava di approcciarlo sull’argomento master e arma, evitava quasi sempre la discussione o cercava di sviare l’argomento: doveva esserci sicuramente qualcosa che non andava.
«Prof» – Will si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla spalla – «lei ha avuto un maestro d’armi, vero?»
L’albino scaricò la tensione che aveva in corpo e divenne floscio, abbassò la testa e strinse i denti.
«Will, non scappare mai davanti alle tue responsabilità. Non lasciare mai che qualcuno ti porti via la persona con cui ha vissuto tutta una vita» – disse con voce strozzata l’Evans, il quale probabilmente stava trattenendo le lacrime, forse da fin troppo trattenute.
Il ragazzo non capiva. Cosa mai poteva vuol dire quello che aveva detto il suo insegnante? Cosa era successo al suo maestro d’armi?
«Questo cosa centra con me?» – domandò con un filo di voce, senza saper cosa dire o fare in quella situazione.
L’uomo emise una risatina e si alzò, portò una mano alla testa del ragazzo e con gli occhi lucidi, gli diede qualche pacca.
«Un consiglio, da uomo a uomo» – sorrise malinconico – “E sì, Will, ho avuto un maestro d’armi. Il migliore, direi. Anzi, la migliore
Ad un tratto Will capì, spalancò gli occhi e tremò.
«E probabilmente sai già di chi sto parlando»− parola dopo parola, ricordo dopo ricordo, un peso sul suo cuore si appesantiva e il dolore era lancinante – «vero, ragazzino?»
«Maka Albarn» – disse tutto ad un fiato, emozionato – «E’ stata una delle migliori della Shibusen e ha mostrato talento fin da quando ha messo piede in questa accademia. Aveva sia le abilità da maestra che arma, ma scelse di diventare maestra d’armi. Sconfisse il kishin insieme allo squadrone Spartoi e la sua falce della morte…»
«Soul Eater Evans» – continuò a dire lui, sorridendo malinconico e distrutto – «Quella piccola senza tette era una magnifica rompipalle. Ma, come ho detto, era magnifica»
Il ragazzo si risedette e ascoltava attento ogni parola, come se dipendesse dalla sue labbra.
«Anch’io ero come te: Credevo che potessi fare tutto da solo e che tutti gli altri fossero solo dei vermi imbecilli, ma un giorno…» – deglutì fortemente e strinse nuovamente le mani, le quali dovevano sicuramente essere graffiate per tutte le volte che l’aveva fatto – “arrivò lei, in un momento inaspettato. Invadente, impavida, testarda… non si era lasciata demordere finché io non accettai. Così, divenimmo partner»  
«Ma non solo di lavoro, o sbaglio?»
Soul prese un lungo respiro e si fece forza. I ricordi lo riportavano sempre al punto di partenza e lo facevano vivere nel passato, ma era più forte di lui, non poteva dimenticarla.
«Esattamente» – disse diretto, con voce tirata e roca – «Ci amavamo e credo anche tanto. Ma un giorno di diciotto anni fa, lei morì»− affermò, ormai all’orlo della follia, del dolore e del rimpianto.
Quella parola rieccheggiò per tutta la stanza e un sordo silenzio riempiva la stanza.
Il giovane non sapeva cosa dire o pensare: aveva scoperto troppe cose in fin troppo poco tempo.
«Will» – sentendo pronunciare il suo nome, il ragazzo si destò − «Non fuggire, non scappare. Ho visto che anche tu hai ricevuto delle proposte da alcuni aspiranti maestri d’armi, pensaci su… oppure, cerca e trova chi secondo te è giusto per te, fatti avanti e non arrenderti. Ma appena sarai sicuro, ricorda di avere assoluta fedeltà e fiducia verso di lui o lei. All’iniziò potrà anche non andare troppo bene, però, col tempo, comincerai ad apprezzare il legame che tra voi si sta creando. Non scappare, ma lotta sempre e comunque» − Soul si riavvicinò verso il ragazzo e gli porse la sua mano − «Promettimelo, marmocchio»
Lo studente guardò prima in faccia il suo professore e poi il suo palmo, per poi stringere ardentemente la sua mano a quella di lui come segno di promessa.
«Lo farò» – pronunciò Will, il quale sorrise determinato.
Si allontanò dal suo professore, in qualche modo fiero di lui, ma si fermò davanti la porta e si rigirò verso l’albino.
«Prof, ha voglia di piangere?» – domandò, con voce dura e estremamente preoccupata, sperando di non essere stato fin troppo invadente.
Soul sospirò, si avvicinò a ragazzo e gli sorrise.
«Certo» – si stiracchiò, scompigliò i capelli al ragazzo e si mise le mani in tasca – «ma non sarebbe cool farlo».


 
Angolo dell’autrice schizzata:
E sì, rieccomi ritornata nel fandom (?)
Scusate l’assenza, ma l’ispirazione nell’ultimo periodo non è delle migliori e, se devo dirla tutta, non ho ancora scritto un rigo del dodicesimo capitolo di “This isn’t normal company!” e credo che per ora la sospenderò per dedicarmi ad altri progetti, ma state certi che prima o poi la riprenderò.
Ho già qualche piccola idea per le prossime storie e sto cercando di continuare il capitolo, in collaborazione con la carissima Firephoenix, ormai da decenni e dovrei sbrigarmi a finire la mia parte, assolutamente.
Però, per il mio rientro in scena nella sezione Soul Eater, ho pensato che sarebbe stata meglio una oneshot che una nuova long ed è così che ho scritto queste righe piene di tristezza.
Non ammazzatemi per aver ucciso Maka, pls.
*fugge via dalla porta sul retro*
-Rehara, che cercherà di non abbandonare più di tanto il mondo delle fan fiction.
[Titolo della oneshot, palesemente quasi copiato dalla canzone: “Don’t Look back” dei "Kissing Cousins" *influenza di American Horror Story pt.566*]


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