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Autore: D per Dolcetta    16/03/2014    6 recensioni
Sette prime volte di Alexy scritte da sette dolcette diverse:
il progetto D per Dolcetta è iniziato!
1- La prima volta di Alexy... ad un concerto.
2- La prima volta di Alexy... come donna!
3- La prima volta di Alexy... innamorato.
4- La prima volta di Alexy... attratto da una donna.
5- ...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alexy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La prima volta di Alexy… innamorato




 
Autrice: Mya_chan
 



 
Angolo dell'autrice Mya_chan:
Abbiate pietà. Si tratta della mia prima vera e propria one shot, nonchè la prima storia incentrata su una coppia omosessuale.
L'ho ricominciata quattro volte e la riscriverei da capo di nuovo, ma ormai dovevo pubblicarla. XD
Spero che il risultato vi soddisfi almeno un pochino... fatemi sapere. ;)


 
 
   Violette era adorabile! Non mi veniva in mente altro modo per definirla.
Proprio per questo motivo, anche se non avrebbe mai trovato la forza di insistere, quando mi chiedeva qualcosa con gli occhi bassi e le guance imporporate non riuscivo a rifiutarle nulla.
   Oggi, dopo parecchi tentennamenti e balbettii, aveva racimolato il coraggio di farmi una domanda molto personale.
   - Sei mai stato innamorato?
   Mi fermai di botto.
Violette aspettava una risposta, tormentando un bordo della sua cartellina.
   - Perché me lo chiedi?
   - Perché… Perché sono curiosa. Vorrei sapere che tipo di persona ti fa battere il cuore.
    Strinsi le labbra, mentre pensavo se fosse il caso di raccontarle tutto. Si trattava di una storia che non amavo rivangare.
I suoi occhi lucidi e speranzosi incrociarono i miei per una frazione di secondo, riabbassandosi immediatamente.
Come al solito, cedetti.
   - Vieni, sediamoci su quella panchina.
   Aspettai che, titubante, si accomodasse davanti a me.
   - Oggi ti racconterò della prima volta che ho capito di essere innamorato.
   Gli occhi della ragazza si fecero grandi e la sentii trattenere un respiro. - Era un uomo?
   - Naturalmente.
   - Oh. Capisco.
   - Dobbiamo partire dal principio, dall’incontro col mio primo ragazzo.
   - Come si chiamava?
   - Josh.
   - Josh? È un bel nome - pigolò, tentando di non mostrarsi imbarazzata. - E… com’era Josh?
   - Beh, era un figlio di puttana.
 
 
   Avevo quattordici anni, aprii la porta, e me lo trovai davanti.
Un ragazzo allampanato, carnagione olivastra, capelli e occhi nerissimi. Mi sorrise cordiale.
   - Tu devi essere il gemello di Armin, è incredibile quanto vi somigliate.
   - Alexy, piacere - risposi allegramente stringendogli la mano che mi stava porgendo.
   - Io sono Josh, un amico di tuo fratello.
   - Sì, mi aveva detto che oggi ti aveva invitato da noi - mi scostai dalla porta per farlo passare. - Prego, accomodati.
   Il ragazzo fece qualche passo all’interno, guardandosi intorno. - Armin?
   Scoccai un’occhiata all’orologio e sospirai. - Quell’idiota deve essersi di nuovo perso al negozio di videogiochi. Dice sempre che farà un salto lì dieci minuti per comprare un gioco e poi scompare per le successive tre ore.
   Josh rise. - Lo capisco benissimo. A te non succede mai? Per nessun negozio?
   Riflettei. - Beh, forse quando vado a comprare qualche cd mi concedo il lusso di gironzolare un pochino e Armin si lamenta sempre che ci metto troppo a comprare dei “dannati vestiti”, ma nulla al suo livello.
   Il ragazzo sollevò un sopracciglio. - Dunque musica e… vestiti?
   Scrollai le spalle. - Già - la sua espressione era indecifrabile, tuttavia mi ritrovai a sbuffare, sulla difensiva. - Mi piace essere vestito bene, è un problema?
   Le labbra di Josh si schiusero in un ennesimo sorriso mentre scuoteva la testa. - E perché dovrebbe? Non ci vedo nulla di male.
   Rimasi interdetto. Di solito Armin si lamentava sempre che era una cosa terribilmente noiosa e inutile. Tutti i suoi amici che avevo incontrato fino ad ora si erano detti d’accordo e ne avevo sorpreso più d’uno a sghignazzare con fare un po’ derisorio. Questo Josh mi piaceva.
“E poi ha un bel sorriso” pensai. Era caldo e rassicurante, proprio come lui.
   Arrossii. “Ma cosa vado a pensare?”
   - Scrivo un messaggio ad Armin per dirgli di spicciarsi. Intanto accomodati pure sul divano, ti porto qualcosa da bere.
   Josh mi riserbò l’ennesimo sorriso e io mi ritrovai a correre in cucina prima che potesse accorgersi dell’espressione idiota che avevo dipinta in faccia.
   Scrissi un sms frettoloso ad Armin, dopodiché presi due bicchieri, un paio di lattine di Coca Cola e mi diressi in soggiorno.
   Sedetti accanto a Josh, che aprì la sua bibita e si mise a sorseggiarla mentre mi osservava. Sentivo i suoi occhi scrutarmi gentili e, tuttavia, caparbi. Questa consapevolezza mi fece agitare nervosamente sulla poltrona mentre cercavo qualcosa da dire.
Di solito non rimanevo mai a corto di argomenti, ma all’improvviso il mio cervello aveva smesso di collaborare e più mi sforzavo, più la mia mente si svuotava.
Il silenzio tra noi si protrasse per qualche minuto, senza che riuscissi a spezzarlo. Josh, a differenza mia, non pareva minimamente a disagio. Sembrava quasi che si godesse il momento di pace.
   Sospirai. Dove diavolo era finita la mia solita faccia tosta? Se Armin non si sbrigava…
   - A cosa pensi? - la sua domanda a bruciapelo mi colse di sorpresa, tanto che mi ritrovai a tossicchiare la Coca Cola che avevo appena portato alle labbra.
   - A nulla… - risposi tra un colpo di tosse e l’altro. Solo quando sentii una mano calda battermi gentilmente sulla schiena mi accorsi che si era avvicinato a me. Troppo. Balzai all’indietro.
Josh mi guardò sorpreso e io tentai di rimediare alla gaffe con un sorriso nervoso. - Tu invece a che pensavi?
   La sua espressione si fece ancora una volta impenetrabile. Mi ritrovai a fissare i suoi occhi scuri come ipnotizzato. Mi accorsi che si stava nuovamente avvicinando a me, ma questa volta, un po’ perché ero già premuto al massimo contro il divano, un po’ perché non ero sicuro di volerlo veramente, non mi spostai.
   - Pensavo… - mi rivelò in un soffio. - Che non sei come tuo fratello.
   Deglutii a vuoto. - Perché?
   - Perché lui…
   Mi ci volle qualche secondo per realizzare che la distanza tra noi si era azzerata. La sensazione di un bacio, del mio primo bacio, raggiunse prepotentemente il mio cervello mandandolo in tilt.
Ero pur sempre un adolescente in perfetta salute. I miei ormoni erano tanti, e pensarono bene di risvegliarsi tutti in quell’istante, inviandomi profonde scosse di piacere lungo il corpo.
La sua mano si abbassò fino a cingermi il fianco. In qualche modo mi  riscossi.
   No. No. No! Non andava bene.
Stavo baciando un ragazzo che avevo appena conosciuto.
Un ragazzo.
Genere maschile.
Io ero un maschio.
No.
Dovevo spostarmi.
   Alzai le braccia per spingerlo via, ma proprio in quel momento la sua lingua passò voluttuosa sulle mie labbra chiuse. I miei ormoni fecero la ola.
Dovevo resistere…
Però…
   “Oh, al diavolo!”
Le mie mani, appoggiate sul suo torace per respingerlo, si aggrapparono istintivamente alla sua felpa. Schiusi le labbra e fu come se esistessero solo le nostre bocche. Mi lasciai intrappolare, succhiare, modellare dalla sua lingua, la rincorsi come se fosse la cosa più naturale del mondo, completamente dimentico di qualsiasi cosa che non comprendesse quel piccolo universo che ci eravamo creati.
   Presto, troppo presto, il contatto venne meno. Gemetti per la frustrazione, ma una mano calda mi premette sulla bocca per zittirmi. Mi decisi ad aprire gli occhi spezzando l’incantesimo.
Josh mi faceva cenno di stare in silenzio, indicando poi la porta. Solo allora sentii che qualcuno, sicuramente Armin, stava trafficando con le chiavi per aprirla.
   La consapevolezza di ciò che avevo appena fatto mi cadde addosso come un macigno.
   “Oh, mio Dio!”
   La porta si aprì e Armin irruppe in casa trafelato. - Scusatemi! Non mi ero accorto del tempo che passava. Alexy, Josh? Dove siete?
Balzai in piedi prima che mio fratello potesse raggiungerci e, senza sapere bene cosa fare, mi chiusi in camera mia.
   - Josh, allora sei qui. Dov’è Alexy?
   Non udii la risposta dell’altro, troppo occupato a chiudere la porta a chiave.
E ora?
Ora che diavolo avrei dovuto fare?
Iniziai a percorrere  la camera a grandi falcate, incapace di stare fermo mentre ciò che era appena avvenuto mi tornava alla mente in tinte sempre più vivide.
Avevo appena pomiciato allegramente con uno sconosciuto. Anzi, peggio: con un amico di Armin! Glielo avrebbe detto? Cosa avrebbe pensato? E io cosa ne pensavo?
Era un maschio, cavolo!
   Il mio sguardo fu catturato dallo specchio appeso nella mia stanza. Mi avvicinai per studiare la mia immagine.
Da quel poco che avevo visto prima di fuggire, Josh dopo il nostro rendez vous sembrava innocente e rilassato come se avesse passato il tempo chiacchierando amabilmente con me. Io, invece, ero totalmente stravolto. Capelli spettinati, occhi enormi, labbra gonfie e ancora non avevo ripreso a respirare normalmente. Senza contare che ero completamente rosso in volto.
   Provai a sistemarmi i capelli e la maglietta un po’ spiegazzata. Grazie al cielo me l’ero data a gambe: persino un tipo poco perspicace come Armin, vedendomi in quelle condizioni avrebbe capito cos’era successo.
   Proprio in quel momento qualcuno tentò di entrare in camera e, dopo aver trovato la porta chiusa a chiave, bussò.
   - Alexy?
Mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo sentendo la voce di mio fratello. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Josh in quel momento. Ignorai completamente la minuscola stilla di delusione che lui non fosse venuto a scusarsi o, perlomeno, a premurarsi di come stessi.
   - Alexy va tutto bene?
   - Sì - mentii accorgendomi solo allora di quanto risultasse roca la mia  voce. - Tutto ok.
   Ci fu un attimo di silenzio in cui osai quasi sperare che se ne fosse andato. - Sei sicuro?
   - Ti ho detto di sì.
   - Sei arrabbiato perché ti ho lasciato solo con Josh mentre ero al negozio? Senti, mi spiace: ho trovato questo fantastico nuovo gioco e il gestore mi ha detto che era un’esclusiva e così io…
   - Non sono arrabbiato Armin, e non me ne frega nulla del tuo videogioco - sbottai pregando solo che se ne andasse e mi lasciasse in pace. In quel momento non avevo veramente tempo, né la mente abbastanza lucida, per rassicurarlo.
   La voce di Armin giunse chiaramente risentita. - Se non sei arrabbiato spiegami perché ti sei chiuso in camera tua appena sono arrivato.
   - Sono solo stanco.
   - Pensi che sia stupido? E poi non è stato neanche molto educato nei confronti di Josh… Aspetta: non è che magari hai litigato con lui?
   “No. Non lo chiamerei litigare.”
   - Non… - sospirai e mi appoggiai all’uscio. - Ne parliamo dopo, ok? Al momento è troppo lungo da spiegare. Comunque non devi preoccuparti, sul serio.
   Mio fratello esitò ancora qualche istante prima di capitolare. - Va bene… Allora io torno da Josh, se hai bisogno di me o vuoi unirti a noi siamo in camera mia a provare il nuovo gioco.
   - Ok, grazie.
   Appena Armin si fu allontanato mi gettai sul letto, affondando la faccia sul cuscino.
Maledizione! Che diavolo mi era preso tutto all’improvviso?
E che diavolo era perso a Josh per baciarmi!
   Mi passai la lingua sulle labbra. Non potevo negare che la mia resistenza era stata veramente fiacca, giusto tre secondi, che vergogna!
Avrei voluto attribuire il mio colpo di testa all’alcool o alla stanchezza… ma stavamo bevendo Coca Cola in pieno giorno, non certo Vodka e droga dello stupro.
   Feci scorrere una mano tra i capelli, sospirando. La cosa peggiore era che non potevo neanche mentire a me stesso dicendomi che non era stato bello. Cazzo, se lo era stato!
Eppure era sbagliato, completamente e disastrosamente sbagliato.
Le persone non si baciavano così, senza conoscersi. Mi corressi: alcune lo facevano, ma non mi era mai piaciuta l’idea che dietro a un gesto così intimo non ci fosse altro che… beh, lussuria. Proprio per questo, avevo sempre rimandato, nonostante molte ragazze si dimostrassero bendisposte nei miei confronti, mi dicevo che volevo aspettare di trovarne una speciale. E ora era arrivato Josh…
Forse non avevo aspettato così tanto tempo per i miei propositi puri. Forse… Stavo evitando le ragazze?
   A pensarci bene, capitava spesso che Armin esprimesse un parere su questa o quella ragazza (spesso e volentieri erano donne virtuali o cartacee, ma almeno dimostrava dell’interesse) invece io... Quando era stata l’ultima volta che mi ero sentito attratto da una donna? Constatai con una certa apprensione che non me lo ricordavo.
   Rimasi gran parte del pomeriggio e della sera così: steso sul letto e tormentato da dubbi. Un paio di volte mi alzai e raggiunsi la porta, deciso a irrompere in camera di Armin e affrontare Josh.
Avrei voluto sondare le sue reazioni, scoprire se era stato colpito da questa cosa almeno un decimo di me. Valutare la sua reazione… Ma non posavo neppure la mano sulla maniglia prima di tornare indietro. Avevo paura. Il pensiero d’incrociare il suo sguardo, dopo quello che avevamo fatto, mi faceva tremare le gambe e avvampare come una ragazzetta. Fanculo!
   Erano le sette di sera quando sentii il mio cellulare vibrare.
 
Ciao, sono Josh.
Ho fregato il tuo numero dal cellulare di Armin, spero che non ti dispiaccia.
Vorrei parlarti… domani alle cinque hai da fare?
 
Rilessi il messaggio almeno una decina di volte e mi ci vollero almeno il doppio dei tentativi per formulare una frase di senso compiuto.
 
Baci sempre i ragazzi che hai appena conosciuto?
 
Mi morsi un labbro. Forse non era la frase più adatta con cui rispondere.
 
Solo quelli carini. :)
 
Per poco non lanciai il cellulare dalla finestra.
 
Vai a farti fottere.
 
Quindi ero stato solo un passatempo? Un ragazzo “carino” da sbaciucchiare finché Armin non tornava dalle sue spese?
Fui tentato di non leggere il messaggio successivo.
 
Dai, stavo scherzando!
È la prima volta che mi succede, dico sul serio.
Proprio per questo vorrei parlarti…
Per favore.
 
Sospirai. Probabilmente stavo facendo la più grande idiozia della mia vita. Anzi, la più grande idiozia si era perpetrata qualche ora prima sul divano del salone, ora mi stavo limitando a portarla spudoratamente avanti.
 
Domani alle cinque.
Ti aspetto al parco davanti a casa mia.
 
    Ovviamente, Armin pretese delle spiegazioni per il mio comportamento bizzarro. Svicolai come meglio potevo. Mi dispiaceva nascondergli qualcosa. Di solito gli dicevo tutto, anche le cose più imbarazzanti, ma al momento non ero certo neppure io di cosa pensare e, tra me e me, continuavo a rimandare la questione. Ero certo, non si sa sulla base di quale logica, che tutte le risposte mi sarebbero giunte l’indomani, rivedendo Josh.
Già, lo avrei rivisto. E non sarebbe successo niente. Non avrei provato nulla, a parte forse un leggero imbarazzo. Avrei capito che quello del giorno prima non era stato altro che un brutto scherzo giocato dai miei ormoni un po’ troppo vivaci.
Avrei accettato la cosa e sarei tornato alla mia vita di normale adolescente etero.
In fondo, fior di psicologi ritenevano che non ci fosse nulla di strano nell’indulgere in innocue sperimentazioni omosessuali, alla mia età. Chi ero io per fare eccezione? Semplicemente, non me l’ero aspettato e la cosa mi aveva un po’ colto alla sprovvista.
   Rivedere Josh mandò a monte tutti i miei bei piani e le mie rassicurazioni.
Arrivai con più di mezz’ora di anticipo. Non che fossi impaziente, certo che no. Solo, continuavo a girare per la casa come un ossesso da ore e Armin, a un certo punto, aveva spento la Play Station e mi aveva chiesto che cavolo mi prendeva. Ero stato costretto a fuggire da lui e le sue domande prima di lasciarmi sfuggire qualcosa.
   Josh era già lì.
M’irrigidii perché non ero ancora preparato psicologicamente ad incontrarlo, certo di avere ancora qualche decina di minuti.
Anche lui sembrò sorpreso di vedermi, ma si riscosse ben presto, sciogliendosi in uno dei suoi grandi sorrisi.
   - Non ti aspettavo così presto.
   - Neanch’io.
   Mi osservò incuriosito e io feci del mio meglio per non indietreggiare mentre si avvicinava. - Come mai già qui?
   - Uhm… Mi annoiavo a casa - bofonchiai. - Tu?
   Forse per la prima volta, mi sembrò imbarazzato. - Ad essere onesti continuavo a camminare avanti e indietro per casa. Ero un po’ impaziente, alla fine non ho resistito e sono uscito prima anche se non mi aspettavo che saresti arrivato - esitò, poi aggiunse. - Ma sono felice che tu sia qui.
   Rimasi incredulo a guardarlo e mi sentii arrossire fino alle punte dei capelli udendo quell’ultima frase, proferita in tono gioioso.
Non doveva andare così.
Il mio cuore non avrebbe dovuto battere a quel ritmo e non avrei dovuto ammirare in quel modo il nero scurissimo dei suoi capelli, la curva del collo così elegante, nonostante fosse un ragazzo, i muscoli accennati che si intravedevano appena sotto i vestiti e le labbra che…
   Deglutii.
   - Vorrei, ehm, chiederti qualcosa - iniziai, fallendo miseramente nel mostrarmi disinvolto. Per fortuna mi ero preparato quel discorso a casa, altrimenti lo avrei fissato tutto il pomeriggio senza trovare assolutamente nulla da dire.  
   Josh mi fece cenno di continuare.
   Inspirai. Non c’era un modo più delicato di chiederlo, e se esisteva, io non l’avevo trovato. - Perchéierimihaibaciato?
   Lui sussultò. - Non ami tergiversare.
   Annuii, incapace di parlare.
   Attesi qualche istante, mentre Josh cercava di trovare le parole giuste. - Beh, sinceramente… non lo so - ammise. Lo fissai sconvolto, ma non mi lasciò il tempo di protestare. - Penso che siano state un’insieme di cose. Non lo avevo programmato, credimi. Però non nego che Armin mi avesse parlato molto di te. Ogni volta che aggiungeva un dettaglio, scoprivo che mi piacevi sempre di più. Era da un po’ che fantasticavo di conoscerti. Poi ieri è successo, e Armin era in ritardo: sembrava l’occasione giusta per scambiare quattro chiacchiere e scoprire se… potessi essere interessato - sospirò. - Volevo solo parlare, dannazione. Ma all’improvviso eravamo sul divano, così vicini… e tu eri così maledettamente carino!
   Beh, e io che pensavo che arrossire fino alle punte dei capelli fosse il picco massimo. Probabilmente avevo appena raggiunto un nuovo stadio di rossore.
   Aprii e chiusi la bocca un paio di volte, prima di uscirmene con l’affermazione più stupida e indelicata mai concepita da mente umana. - Quindi sei gay.
   Josh sgranò gli occhi, spiazzato, poi scoppiò a ridere nervosamente. - Già, da cosa l’hai capito?
   Mi morsi il labbro. - Scusa.
   - Io… sinceramente credevo che anche tu lo fossi.
   - Cosa? No! Cioè, io, no, insomma… perché?
   - Ascoltando i racconti di Armin, avevo immaginato che potessi esserlo. Ovviamente non lo davo per scontato, però ieri hai risposto al mio bacio, non hai neanche esitato. Quindi ho pensato di aver avuto ragione.
   - Non è vero che non ho esitato - protestai, aggrappandomi al ricordo di quei tre secondi di resistenza poco convinta.
   Josh inarcò un sopracciglio. - Va bene, ma hai comunque risposto e, senza offesa, sembravi abbastanza dispiaciuto quando è arrivato tuo fratello.
   Incrociai le braccia, evitando ostinatamente di guardarlo in faccia. - Beh, anche se sei un uomo baci bene e io sono pur sempre un adolescente, ho gli ormoni che girano e tutto il resto…
   - Quindi hai baciato un sacco di ragazze prima? Perché Armin mi ha detto il contrario.
   Perché diavolo Armin non si faceva gli affaracci suoi? Come se invece lui fosse questo gran tombeur de femmes!
   - Questi non sono affari tuoi e comunque non c’entra nulla.
   Josh scosse la testa convinto. - Sì che c’entra. È proprio questo il punto. Non ti è mai venuto in mente di baciare una ragazza, ma sei caduto tra le braccia del primo ragazzo sconosciuto che te ne ha offerto la possibilità.
   - Cosa vorresti insinuare? Che sono uno “facile”?
   - Dico solo che evidentemente preferisci gli uomini alle donne. Altrimenti ieri mi avresti spinto via e tirato un pugno, non avresti certo risposto al bacio, non ti sarebbe dispiaciuto che finisse e, soprattutto, non saresti venuto qui oggi.
   Rimasi a bocca  aperta.
   Josh si avvicinò a me di qualche altro passo. Ormai la distanza che ci divideva era minima. Si abbassò lievemente, in modo che i  nostri sguardi fossero alla stessa altezza. - Mi spiace, non volevo saltarti addosso in quella maniera… ma davvero ti è dispiaciuto così tanto? Se non l’hai sopportato, se non vuoi avere niente a che fare con me, rispetterò la tua decisione. Me ne andrò e ti assicuro che non mi vedrai più. Ma se invece ti fosse piaciuto… mi chiedevo se ti andasse di uscire con me.
   Non sapevo cosa rispondere. Scrutai Josh negli occhi e vi trovai una vaga ombra di speranza mista ad altre emozioni, forse… apprensione?
Sentii lo stomaco contrarsi dolorosamente.
   - Mi, ecco, non posso dire che non mi sia piaciuto - ammisi.
   Sorrise. Quel gesto bastò per farmi trattenere il respiro. Cavolo, stavo diventando peggio di una ragazzina.
Dovevo darmi un contegno.
Dovevo tornare in me.
Lo afferrai per la giacca e lo trascinai via.
   - Dove stiamo andando?
   - Volevi un appuntamento giusto? - mi voltai brevemente per sorridergli davvero, probabilmente era la prima volta. - Allora ne approfitto per andare a fare shopping.
   Lo sentii ridere. Affrettò il passo, mi raggiunse e mi cinse affettuosamente le spalle. Dio, era sempre stato così alto e caldo? Mi poggiò un bacio leggero sulla testa. - C’è un negozio qua vicino che vende delle t-shirt bellissime.
   I miei bei piani erano sfumati, così come la mia presunta eterosessualità. Forse non sarebbe stato così male, dopotutto.
 
   Lo dissi ad Armin, naturalmente. Eravamo seduti sul tappeto, in camera sua. Mio fratello interruppe la partita: un evento del tutto eccezionale. Mi fece qualche domanda idiota, probabilmente per essere certo di non aver frainteso. Infine, superato lo shock nel giro di qualche secondo, mi diede una pacca sulla spalla.
   - Ok, va bene. Ma almeno ogni tanto fallo venire qui a giocare con la Play.
   Sbuffai, fingendomi risentito. - T’interessa solo quella.
   - In buona parte sì. Però… - mi scoccò uno sguardo obliquo. - Se qualcuno fa lo stronzo, o se Josh ti tratta male, vienimelo a dire.
   - Armin, senza offesa, ma prima di chiedere aiuto a te penso che mi rivolgerei al mio orsetto Teddy: lui è più terrificante.
   Mio fratello scosse la testa, fingendosi incredibilmente oltraggiato. - Ecco cosa si ottiene ad essere premurosi. Che gemello scellerato.
   Lo abbracciai. - E dai scherzavo.
   - Via, sciò, sparisci! Vai a spupazzarti Josh - si liberò goffamente dalla mia presa, ma io lo riagguantai con maggiore impeto.
   - Voglio spupazzare anche te, ho bisogno di affetto.
   - Allora ricorri a Teddy, l’orsetto terrificante.
   Gli tirai una ciocca di capelli. - Ahi!
   - Armin…
   - Mi hai fatto malissimo, accidenti.
   - Armin…
   - Non so come faccia Josh a sopportarti, pover’uomo.
   - Armin!
   - Che c’è?
   Evitai di guardarlo, ma strinsi un po’ di più la presa su di lui. - Tu, ecco, non sei deluso da me in qualche modo, vero?
   - Deluso?
   - Sì, perché esco con Josh. È un ragazzo e magari la cosa ti crea…
   - Zitto- Armin si voltò verso di me, mi afferrò il mento, inducendomi bruscamente a mettermi di profilo. Vidi che chiudeva un occhio e accostava l’altro nei pressi del mio padiglione auricolare, come se stesse cercando di guardare attraverso qualcosa.
   - Che stai facendo?
   - Contemplo il vuoto siderale. Quello nella tua testa.
   Gli scostai la mano. - Smettila.
   - No, sul serio. Non è uno spettacolo che capita tutti i giorni.
   - Armin stammi a sentire.
   - No, tu sta a sentire me! - mi afferrò per le spalle scuotendomi. - Credi che sia quel tipo di persona? Credi che mi arrabbierei con te perché preferisci Mario a Peach? Non lo farei nemmeno se fossimo amici. E tu sei mio fratello! Il mio gemello! Non potresti mai deludermi. Per cosa poi? Che ti piaccia Zelda o che ti piaccia Link l’importante è che sia amore, per come la vedo io.
   Lo guardai negli occhi per qualche istante. - Mi rifiuto di crederlo.
   - Eh?
   - Alla tua età usi metafore con Mario e Peach - scoppiai a ridere. - E non dimentichiamo Zelda e Link. Oddio! Non ce la posso fare.
   Armin arrossì, incrociando le braccia con fare offeso. - Era per fare un esempio.
   Scossi la testa, ridacchiando ancora.
   - Alexy?
   - Uh?
   - Pensi di dirlo anche a mamma e papà?
   - Sì, ma non ancora.
   - Va bene.
 
   Mi misi assieme a Josh una settimana dopo. Restammo insieme per quasi sei mesi.
Era strano. Non mi ero mai immaginato con un ragazzo. Eppure ogni gesto, ogni parola ed ogni tocco sembravano perfetti.
Quando mi baciava, non avvertivo il bisogno di percepire labbra più carnose, di toccare curve più morbide o di essere trattato più dolcemente. Quando camminavamo lungo la strada tenendoci per mano, ero così felice e in pace da non provare alcuna vergogna.
   L’aggettivo che più si addiceva a Josh era caldo. Tutto in lui lo era. Il suo sorriso, sempre grande e sincero, i suoi modi affettuosi, che tuttavia tradivano una certa passionalità, le sue mani grandi, i suoi occhi. Quando stavo con lui mi sentivo circondato da un piacevole tepore e tutto il resto del mondo sembrava così freddo, quando se ne andava.
   Mi accorsi che iniziavo a parlare e pensare a lui in qualunque contesto, sentivo una canzone e mi chiedevo se gli sarebbe piaciuta, vedevo un bel vestito e mi domandavo se gli sarebbe stato bene. Un giorno mi sorpresi a contemplare una presina, riflettendo sul fatto che Josh ne aveva una molto simile a casa e che in qualche modo questo ci univa. Oddio… Ero proprio cotto.
   Non che tutto andasse sempre alla perfezione. In certi momenti Josh sembrava distante, vagamente insoddisfatto. Mi guardava in una maniera che non avrei saputo interpretare e sembrava sempre sul punto di dirmi qualcosa, poi il momento passava e lui mi stringeva la mano, rimanendo in silenzio.
Pensai di chiedergli cosa non andava, ma volevo che si aprisse con me di sua spontanea volontà.
   Nonostante avessimo una relazione, Josh non si era dimenticato di Armin. Il più delle volte, prima di uscire con me, veniva a casa nostra e passava un paio d’ore con mio fratello.
Qualche volta provai a unirmi a loro, ma sembrava che solo Armin avesse ereditato il gene del giocatore. Ero un totale disastro. Anche se entrambi cercavano di non mostrarsi infastiditi, sapevo di non far parte di quel mondo.
Un po’ mi seccava. Armin aveva accesso ad un lato di Josh che io potevo guardare da lontano, ma che non mi apparteneva.
 
   Il compleanno di Josh si avvicinava.
Tirai fuori l’argomento a casa sua, mentre eravamo accoccolati sul divano. Gli chiesi di farmi una lista degli invitati, visto che progettavo di organizzare una festa degna di tale nome.
Josh mi stupì, rifiutando l’offerta.
   - Pensavo che io, te e Armin potremmo andare in un locale.
   - Solo noi tre? E gli altri tuoi amici?
   Mi accarezzò una guancia. - Non ho molti amici intimi, preferirei festeggiare con le poche persone a cui tengo veramente.
   - Ma così ti annoierai! Lo sai che Armin, si piazzerà in un angolo con la Psp dopo i primi dieci minuti. Sarà come avere un grosso soprammobile con le mie sembianze. Indiscutibilmente affascinante, lo ammetto, ma di scarsa utilità.
   - Fidati, non mi annoierò. E poi ci sarai tu a tenermi compagnia. Non potrei chiedere di meglio.
   Mi raggomitolai contro di lui. - Se lo dici tu.
   - Ti dispiace? Lo so che avresti preferito una festa in grande stile.
   - Figurati! Sei tu il festeggiato, è giusto che decida tu. Ma, tanto per essere chiari: la mia festa di compleanno sarà immensa.
   - Definisci “immensa”.
   - Uhm, beh, pensavo d’indire una festa nazionale, qualche migliaio di invitati, due o tre elicotteri...
   Rise. - Elicotteri?
   - Sì. Devo fare un’entrata in scena memorabile.
   - Mi sembra giusto.
   - E poi serviranno per trasportare tutti i ballerini.
   - Ci saranno dei ballerini?
   - Quelli non possono mancare. Pensavo che dovrebbero essere almeno due dozzine, rigorosamente di bella presenza. Li voglio abbronzati, a petto nudo, con i muscoli ben oliati…
   Josh mi afferrò il viso, voltandomi verso di lui. - Potrei essere geloso - mi soffiò sulle labbra.
   Una serie di brividi piacevoli si propagarono da dove il suo fiato mi aveva lambito,  scendendo sino al mio stomaco.
   - Non ti preoccupare. Tu rimarrai il mio ballerino preferito.
   - A dire il vero non mi piace molto ballare…
   Inarcai un sopracciglio. - Tesoro, non puoi essere gay e non ballare, sarebbe come essere un pesce e non nuotare… O, che ne so, essere un Armin e non nerdare.
   Josh scoppiò a ridere e io ne approfittai per avvicinarmi ulteriormente e baciarlo.
Ero felice.
 
   Il compleanno di Josh cadde una settimana dopo.
Avevo dilapidato i miei risparmi, ma alla fine ero riuscito ad accaparrarmi due biglietti per il concerto del suo gruppo preferito. Era un regalo un po’ imbarazzante, non tanto in sé, ma per il secondo fine che pensavo mi si sarebbe letto in faccia. Il concerto era lontano da casa, ci saremmo dovuti fermare a dormire fuori e avevo trovato un alberghetto conveniente, ma molto molto romantico…
Arrossii.
   Non volevo darglieli davanti ad Armin. Anche se gli raccontavo tutto di me e Josh, nutrivo il ragionevole dubbio che preferisse rimanere all’oscuro di questo particolare aspetto della nostra relazione.
   Arrivammo al locale. Mentre lo contemplavo con un sorrisino, udii mio fratello farsi scappare un lamento. Non era esattamente il tipo di locale adatto a lui. Musica ad alto volume, tante persone che ballavano, alcool…
   Gli diedi una pacca sulla spalla. - Dai, sono sicuro che ti divertirai anche tu.
   - Sì, come no. Mi ricordi perché siamo qui?
   - Perché è la festa del mio ragazzo, nonché di un tuo caro amico.
   - Uhm, non sono sicuro di volere un amico che mi trascina in posti del genere.
   Sbuffai. - Non lamentarti. Tanto ti sei portato dietro la Psp.
   - Cosa? L’hai vista?
   - No.
   - Allora come lo sai?
   - Ti conosco, purtroppo.
   Armin scrollò le spalle. - Almeno in questo modo potrò fingere di non vedere te e Josh che limonate accanto a me.
   Aprii la bocca per controbattere, che io e Josh non l’avremmo mai fatto in sua presenza. Beh, forse un bacetto, forse anche due, forse ci saremmo presi qualche minuto… in effetti, era meglio che Armin si tenesse occupato. Rivalutai la presenza della Playstation.
In quel momento, Josh ci raggiunse. Abbracciò mio fratello e riserbò a me un tenero bacio.
   - C’è davvero un sacco di gente stasera, per fortuna ho prenotato un tavolo. Seguitemi.
   Lo seguimmo dentro al locale. Era carino, pensai. Non mi capitava spesso di andare in posti del genere. Ero contento, una volta tanto, di potermi scatenare.
   Appena sedemmo Josh ordinò un giro di drink.
   - Stasera offro io, è la mia festa.
   Armin soppesò il suo per qualche istante, fino a che, ridendo, Josh non afferrò il bicchiere e lo costrinse a bere.
   Dopo altri due drink iniziai a sentire la testa leggera. Mio fratello rideva tra sé e sé, senza un motivo specifico. Anche Josh, sebbene sembrasse reggere l’alcool, aveva gli occhi un pochino più lucidi del solito.
   - Voglio ballare - annunciai. - Prima che la mia coordinazione vada a farsi benedire col prossimo bicchierino.
   Armin rise, lo sguardo vacuo. - Penso che dovremmo trovare un nome alla mia Psp.
   - Eh?
   Scosse la testa, come per schiarirsi le idee. - Volevo dire: ballate, pure. Io intanto gioco.
   Mi voltai verso Josh. - Visto? - dissi sconsolato. - Lo sapevo che l’avremmo perso.
   - Ha resistito più di quanto pensassimo - si alzò, porgendomi la mano. - Mi concedi l’onore di questo ballo?
   - Pensavo che non ti piacesse ballare.
   Inarcò un sopracciglio. - Tesoro, non puoi essere gay e non ballare.
   Ci gettammo sulla pista.
Il dj era bravo. La musica era coinvolgente. Josh… Dio! Josh era così bello.
Ballammo talmente vicini che potevo percepire ogni terminazione nervosa, ogni muscolo flettersi contro i miei. Decisi che i suoi movimenti non erano affatto impacciati, nonostante affermasse di non amare la danza. Ad ogni modo, eravamo così avvinghiati che ogni mia movenza diventava anche la sua e viceversa.
Le sue mani vagavano sulla mia schiena, a tratti accarezzandomi dolcemente, a tratti afferrandomi con possessività. La sua bocca sapeva di alcool, scoprii che non mi dava fastidio.
   Persi la cognizione del tempo.
Quando decidemmo di tornare al tavolo, notai con un certo divertimento che Armin stava parlando a una ragazza piuttosto carina.
   Indicai la scena a Josh. - Lo sapevo che quel vestito l’avrebbe fatto rimorchiare.
   - Già. Devo dire, però, che non mi sembra molto lucido. Forse dovremmo andare via.
   - Stai scherzando? Non possiamo negare quest’opportunità più unica che rara ad Armin. Se ne sta sempre chiuso in casa… io voglio un nipotino!
   Josh storse la bocca, ma non aggiunse altro perché ormai eravamo troppo vicini alla coppietta. Visto che si era accomodata al nostro tavolo, salutai la ragazza. Si chiama Laeti. Aveva uno sguardo vitreo mentre Armin si sperticava in discorsi sui cosplay, ma le andava riconosciuto, se non altro, che riusciva a fingersi molto interessata. Un punto in più per lei.
   Ordinammo un altro giro di bevute.
Osservai come i colori nella stanza si facessero man mano più brillanti e i chiacchiericci sempre più confusi.
Mi sentivo stordito e ci volle un po’ perché mi accorgessi che Josh se ne stava in silenzio da diversi minuti. Notai di nuovo quello sguardo vagamente insoddisfatto.
   - Va tutto bene? - biascicai tentando di sovrastare la musica.
   Non mi rispose. Mi afferrò con irruenza unendo le nostre bocche. Fu un gesto brusco, tanto che i nostri denti cozzarono ed emisi un debole lamento di protesta.
Non mi sentì, o forse l’alcool era troppo.
Schiusi ubbidiente le labbra. Josh era sempre stato caldo, spesso passionale, mai violento.
Eppure, il modo famelico con cui ora mi divorava, la spietatezza con cui mi mordeva il labbro inferiore, per poi tirarlo, liberarlo e leccarlo, non erano da lui. Mi torturava, tanto da farmi male.
Provai ad allontanarlo gentilmente, ma la sua stretta era ferrea, le braccia mi circondavano inamovibili, impedendomi quasi di respirare.
Aprii gli occhi, confuso.
Scoprii che anche Josh li aveva aperti, chissà quanto tempo prima, chissà se mai li aveva chiusi.
Non mi stava prestando attenzione. Guardava oltre le mie spalle.
   Voltai la testa di lato, avvertendo il sapore del sangue mentre mi tiravo via con la forza dalla stretta dei suoi denti.
   - Basta!
Josh, davanti a me, si era finalmente arrestato. Mi guardava incredulo.
   - Alexy, scusa! - mormorò sfiorandomi le labbra con un polpastrello. - Non intendevo, io… Ti ho fatto tanto male?
   Scossi la testa.
   - Non so cosa mi sia preso. Devo aver bevuto troppo. Aspetta, ti prendo un bicchiere d’acqua, ho un fazzoletto e…
   - Voglio andare a casa - deglutii. - Per favore.
   - Va bene. Certo - mi accarezzò una guancia. Lo vidi scoccare un’occhiata dietro di me. - Ora ce ne andiamo subito. Mi spiace.
   Detto questo, si alzò, precipitandosi da Armin. Mi accorsi solo in quel momento che Laeti era praticamente finita in braccio a mio fratello. Accidenti, mi dispiaceva rovinargli  la serata. Sperai che Armin fosse stato abbastanza lucido da chiederle il numero di telefono.
Quando Armin quasi ruzzolò a terra nel tentativo di alzarsi capii che no, non era abbastanza lucido.
Josh se lo caricò praticamente in spalla.
   - Mi viene da vomitare… - si lamentò fiaccamente mio fratello.
A quell’affermazione, Laeti si dileguò in un battito di ciglia.
Josh se lo sistemò meglio addosso. - Lo porto fuori a prendere un po’ di aria e… a liberarsi. Tu magari vai in bagno, penso che dovresti sciacquarti la faccia - aggiunse contemplandomi costernato la bocca, poi se ne andò.
   Mio Dio, era davvero conciata così male?
Arrancai sino al bagno, confuso, stordito e ora anche dolorante.
Imprecai davanti allo specchio. Avevo le labbra tanto gonfie che sembravo appena uscito da una rissa. Senza contare i tagli sia sopra che sotto che dentro. Non erano profondissimi, ma quando li sciacquai per lavare via il sangue, mi accorsi che facevano un male cane.
   Rimasi a fissarmi a lungo. Era ancora quello sguardo, vero? Non era solo l’alcool che l’aveva fatto agire così, c’era altro dietro. L’avevo visto chiaramente, prima che mi baciasse.
   Una volta che mi fui dato una sistemata, tornai al tavolo. Josh e Armin non erano ancora rientrati. Mi accorsi che Josh aveva abbandonato la giacca sul divanetto in pelle. Che sconsiderato! E se qualcuno gliel’avesse rubata?
   Decisi che, già che c’ero, tanto valeva pagare il conto. Così ce ne saremmo andati in fretta.
Afferrai la giacca, rovistando alla ricerca del portafoglio. Josh aveva insistito per pagare di tasca propria e, sinceramente, al momento ero abbastanza scocciato da non farmi scrupoli.
Ripescai il portafoglio dalla tasca interna e inizia a frugarvi mentre mi avviavo alla cassa.
Mi bloccai di colpo.
 
   Li trovai dietro al locale.
Armin era poggiato al muro, lo sguardo sfocato; Josh a meno di un passo da lui, una mano appoggiata sulla sua spalla.
   Continuavo a ripetermi che ci doveva essere una spiegazione, che magari ero semplicemente troppo ubriaco per ragionare. Tuttavia, quell’immagine fugò ogni mio dubbio. Bastava guardare Josh, bastava prestare attenzione a tutti i piccoli dettagli che forse, ripensandoci, avevo solo deciso d’ignorare.
   Accelerai il passo e li separai con violenza.
Josh rischiò di cadere, tale era stato il mio impeto.
   - Alexy! - protestò.
   - Taci! Anzi, no - gli misi sotto il naso la fotografia. - Spiegami che ci faceva questa nel tuo portafoglio.
   Sgranò gli occhi e impallidì. - Non è niente.
   Risi, sarcastico, ma avvertii la mia voce incrinarsi. - Non prendermi per il culo, stronzo.
   Armin, che aveva seguito tutta la scena in silenzio, troppo sbalordito per parlare, si scostò un po’ dal muro e mi afferrò una mano. - Alexy, cos’è quello?
   - Zitto! Non sono affari tuoi.
   Mi divincolai dalla sua stretta e incrociai le braccia. Lui non sapeva, non doveva sapere. Quell’idiota si sarebbe sentito in colpa. - Tornatene a casa, Armin. Posso cavarmela da solo.
   - Che ha fatto Josh? Voglio saperlo.
   - Ho detto vattene!
   Josh, esitante, mosse un passo nella mia direzione. - Alexy, ascolta, posso spiegare…
   - Non ora, prima Armin si deve togliere dai piedi.
   - Alexy, ti prego, se ci pensi non è così grave. Non è mai successo nulla…
   - Non certo per scelta tua!
Armin mosse qualche passo. Pensai che finalmente si stesse allontanando, invece scattò nella direzione di Josh, sottraendogli la fotografia.
   “No!”
   - Voglio sapere che hai fatto a mio fratello - dichiarò abbassando lo sguardo sulla piccola immagine. Spalancò gli occhi. - Questa… è una mia foto.
   Deglutii.
   - Che significa?
Mi rifiutai di rispondere.
   Fu Josh a rivelargli tutto. - Era nel mio portafoglio, Alexy l’ha trovata. Tu mi piaci, Armin.
   Una cosa era capirlo, un’altra sentirselo dire chiaro e tondo in  faccia. Sentii la nausea assalirmi.
   - Cosa? Non è possibile, stai scherzando.
   - Sono serio, mi sei piaciuto dalla prima volta che ti ho visto, ma ho sempre saputo che ti piacciono le donne.
   - Quindi, siccome sono etero… ti sei messo con Alexy?
   - Io, ecco, io… Come stavo tentando di spiegare anche ad Alexy, non è così terribile come sembra. Voglio dire… voi siete uguali! Che vuoi che cambi?
   - Siamo uguali - sussurrò Armin, il suo tono trasudava incredulità. - Tu ti sei messo con mio fratello perché è uguale a me, perché così poteva fare da surrogato, tanto dal’uno all’altro non cambia?
   Lo vidi fiondarsi contro Josh, il pugno alzato per colpirlo.
Mi frapposi. - Fermati, Armin!
Mio fratello si arrestò, lo sguardo stralunato e incredulo. - Togliti! Questo stronzo deve pagare.
   Non gli detti ascolto, rivolgendo la mia attenzione a Josh. Il mio ragazzo. Il mio primo bacio. Anche allora, quella frase: “Pensavo… che non sei come tuo fratello. Perché lui…” lui era eterosessuale, io no. Quegli sguardi assenti, insoddisfatti: perché io era solo la copia di Armin. Non ero l’originale. E poco prima, quel bacio violento. Mio Dio, ecco cosa stava osservando con tanta intensità alle mie spalle. Stava guardando Armin. Stava baciando Armin, con la mia bocca… Ed era geloso di Laeti.
Ed io in sei mesi non me n’ero mai accorto.
Idiota.
   - Alexy, sapevo che mi avresti ascoltato.
   - Già - non l’avevo mai fatto prima. Chiusi la mano a pugno e colpii con tutta la forza, la delusione e la rabbia che avevo.
Josh cadde a terra, colpendo malamente l’asfalto.
   - Ti ho ascoltato. Ora non parlarmi mai più. Non avvicinarti mai più. Se ti rivedo giuro che non mi limiterò a un pugno. Ti caverò gli occhi con le dita e te li farò ingoiare. Userò le tue palle per giocare a golf e il tuo cadavere per concimare il giardino. Se credi che non ne sia capace, prova. Prova ancora a venirmi vicino e vedrai.
   Gli diedi le spalle e me ne andai.
Fu l’ultima volta che vidi Josh.
 
   Tornammo a casa a piedi. Il silenzio era tombale.
Armin camminava dietro di me, sapevo che mi seguiva solamente grazie al rumore dei suoi passi.
   Ad un certo punto mi sorpassò, sbarrandomi la strada e facendomi fermare.
Estrasse la Psp dalla tasca, la sollevò… e la gettò a terra con forza. Alzò una gamba e iniziò a pestarla ancora e ancora, sempre più selvaggiamente, fino a che, sotto i miei occhi increduli, non si tramutò in un mucchietto di plastica, vetro e circuiti.
   - Perché? - domandai esitante.
   - Perché mi dispiace. E non sapevo come altro fare - sussurrò. - Mi rendo conto che non è abbastanza. Che non si avvicina neanche lontanamente a quello che stai provando. Ma ti prego, non odiarmi - era da quando avevamo cinque anni che non vedevo Armin piangere. - Non odiarmi. Non lo sapevo, se lo avessi saputo non te l’avrei mai presentato. Mi dispiace. Come avrei potuto immaginarlo? Io voglio solo… potresti, credi che, riusciresti a perdonarmi?
   - Quella consolle era la tua vita.
   Scrollò le spalle, a disagio. - Ci sono cose più importanti - mi guardava ancora con quell’espressione addolorata.
   - Ecco perché non volevo che vedessi la foto, sapevo che avresti dato di matto - colmai la distanza tra di noi e lo abbracciai. - Non è colpa tua, idiota.
   Mi strinse a sua volta. Una mano esitante mi accarezzò i capelli. “Come quando eravamo bambini.”
   - Ti puoi sfogare, se vuoi.
   Bastò quella frase a far crollare tutto il mio autocontrollo. Iniziai a piangere. Piansi per me, piansi per Josh, piansi per l’ingiustizia della situazione e piansi per Armin: perché sapevo che, in una minuscola parte della sua coscienza, quel ricordo avrebbe continuato a torturarlo e lui non sarebbe mai riuscito a perdonarsi.
Realizzai che quello che provavo per Josh non era amore, perché la sofferenza per averlo perso non si avvicinava neppure a quella che provavo per aver involontariamente ferito Armin. Realizzai che ero innamorato e ricambiato. Lo ero sempre stato.
Non si trattava di un amore romantico, ma dell’amore fraterno.
 
   Violette mi fissava. Gli occhioni spalancati e colmi di lacrime.
   - Oh, Alexy - sospirò. - È una storia così triste!
   - È passato tanto tempo, ormai non m’importa più molto.
   - Quindi il tuo primo amore… è Armin?
   - Già - mi finsi sconsolato. - Che sfiga, eh? Con tutti i bei maschioni che ci sono in giro… Devo scoprire che il più grande sentimento d’affetto della mia vita va a quel nerd del mio gemello.
   - Lo trovo molto dolce. Pensi che lui provi la stessa cosa?
   - Beh, ha praticamente ucciso la donna della sua vita davanti ai miei occhi.
   - Cosa? Quando?
   - La Psp, ricordi?
   - Oh!
Scoppiammo a ridere.
   - Alexy!
   - Ecco, parli del Diavolo…
   Armin ci raggiunse. - Alexy - chiamò con la sua miglior voce piagnucolosa. - Dai, andiamo a casa. C’è troppo sole oggi, mi fa male agli occhi.
   Sospirai.
Violette, tuttavia, si affrettò ad alzarsi in piedi e rassettarsi i vestiti. - In effetti abbiamo fatto tardi. Ti ringrazio della storia, Alexy - guardò di sottecchi Armin e arrossì. - Vi lascio soli.
   “Avrà capito che parlavo di amore platonico, vero?”
   - Alexy, su, muoviti.
   - Arrivo, arrivo…
 
 
 
 
FINE


 
  
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