Disclaimers: Ma no che non sono miei! Pete e
Patrick si appartengono vicendevolmente, come potrebbero essere miei? E adesso non
crederete pure che questa cosa sia vera, o che mi paghino per scrivere? Uff, non
me lo fate ripetere ogni volta.
Di candele, sciocchezze,
e notti tempestose
« È andata via la luce? »
Sono domande intelligenti da farsi, quando una stanza illuminata
a giorno si fa improvvisamente buia di sua spontanea volontà e lo stereo sulla
mensola esala un rantolo distorto spegnendosi a metà di una canzone. Sono
domande ancora più intelligenti da farsi se in casa non c’è nessuno, a parte
Hemingway che, per quanto insistentemente Pete possa sostenere il contrario,
non ha ancora imparato a parlare.
Patrick sospira, abbassando lo schermo del computer - che,
grazie a Dio, è un portatile ed ha ancora due terzi di batteria carica. Se si
fosse spento anche quello, allora sì che avrebbe avuto un motivo per urlare.
Hemingway russa sbavando su quella che sembra la felpa di Pete, ma che da
quello che si vede potrebbe anche essere una sua felpa, e non sembra affatto
infastidito dalla tempesta che
imperversa di fuori.
La cucina è silenziosa e la luce dalla finestra getta un
grigio pallore su tutti i mobili, rivoletti d’acqua che scorrendo sul vetro si
proiettano per tutta la stanza. Il timer del microonde lampeggia le 0:00, come
tutti gli orologi della casa; Patrick è contento che non si sia fusa nessuna
presa, ma non ha idea di che ore siano. Ha perso la concezione del tempo
lavorando ad una canzone - se ha iniziato alle sei e mezza… dovrebbero essere
le dieci? Guardando dalla finestra non si capisce, ma se riesce ancora a
distinguere il palazzo di fronte di sicuro non è mezzanotte. Controllerà sul pc
appena avrà trovato le candele.
Le candele non sono dove dovrebbero essere, ovviamente.
Patrick setaccia tutti i cassetti della cucina, la credenza dei piatti e la
scatola dei biscotti prima di tornare in salotto a rovistare nella libreria. E
tutto perché Pete si rifiuta di comprare una torcia, pensa mentre cerca sulla
scrivania; come se riuscisse a vedere qualcosa, poi.
Si ricorda infine che Pete le aveva portate in camera sua
l’ultima volta, per farci cose che aveva preferito non chiedere. Servivano alla
sua creatività, aveva detto tenendo un mucchio di candele in precario
equilibrio tra le braccia, e Patrick gli aveva risposto certo, basta che non le
lasci accese sopra gli spartiti come l’ultima volta.
Mai che si ricordi di mettere a posto la roba, men che
meno a casa sua, rimugina Patrick percorrendo con cautela il corridoio buio
pieno di infidi mobili spigolosi e cose sul pavimento che non vedono l’ora di
conficcarsi nei suoi poveri piedi scalzi.
La camera di Pete non è chiusa a chiave, com’è invece di
solito quando il proprietario non è in vista. Patrick spalanca la porta con un
cigolio e al centro della stanza c’è Pete, che si volta a fissarlo in silenzio,
gli occhi spalancati e una candela accesa tra le mani.
« Cristo santo » sbotta Patrick, che ha appena fatto conoscenza
dell’infarto al miocardio.
Gli occhi di Pete luccicano per un istante nell’ombra che
le sopracciglia gli gettano in viso, lunghe e cupe, e il suo sorriso brilla al
baluginio della candela come quello di un vampiro. « Pattycake! » esclama,
rovinando tutto l’effetto serial killer.
« È andata via la luce » dice Patrick, un po’ inutilmente.
Ma con Pete non ha senso fare domande come “perché sei nascosto qui?” o “perché
mi vuoi ammazzare prima dei trent’anni?” o “smettila di farti consigliare
horror da Gerard Way”, che non è prettamente una domanda ma ugualmente ha la
sua ragion d’essere.
« Lo so » dice Pete prevedibilmente, e poi, un po’ meno
prevedibilmente: « L’ho fatta saltare io. »
Tipico. Patrick sospira, togliendosi il
cappello per grattarsi la testa. « Perché? »
Il sorriso di Pete si allarga, come se non avesse sperato
che Patrick gli facesse davvero quella domanda; i suoi canini scintillano alla
luce dorata della fiamma, e Patrick rabbrividisce nonostante tutto. « Volevo
farti una sorpresa! »
« Volevi strisciarmi alle spalle con quell’affare acceso e
farmi prendere un colpo? » Fa una smorfia. « Perché anche così è venuta bene,
sai. »
Pete ridacchia agitando una mano con fare leggero, mano
che stringe la candela gocciolante cera; Patrick vede già la casa in fiamme e i
titoli sui giornali. « Una sorpresa per l’anniversario, sciocchino. »
Quale anniversario?, pensa Patrick gelandosi sul
posto. Non è il tipo che da scordarsi le date importanti, compleanni onomastici
concerti o persino il dentista (di Pete. E di anche Joe, quando Andy ha da
fare), e anzi le persone che lo fanno lo irritano profondamente. Non è un
compleanno, ne è certo perché l’ultimo compleanno è stato proprio quello di
Pete e ci sono momenti di quel giorno che non riuscirà mai più a scordare
nemmeno con una sprangata in testa, benché lo desideri davvero tanto. Non è una
festa particolare, o una qualche ricorrenza nazionale. Non è l’anniversario
della band perché in quel caso non sarebbe ancora sobrio a quell’ora (qualunque
ora sia), né del primo disco o del primo concerto.
E non è uno dei loro
anniversari; quelli Patrick li ricorderebbe anche se fosse rinchiuso in una
cella senza finestre orologi e calendari, incapace di distinguere il giorno
dalla notte o il passare dei giorni. Non ne hanno uno solo, perché non c’è mai
stato un momento preciso in cui hanno alzato la testa e si sono accorti che,
wow, stavano insieme. Sono passati dall’essere Pete e Patrick all’essere PeteePatrick con tanta naturalezza che è
stato impossibile scegliere una data; così hanno deciso di scegliere tutte le date importanti - il primo
bacio sul palco, il Primo Bacio, la prima volta e tutto il resto. (Patrick però
si rifiuta di festeggiare il primo pompino perché, insomma, ha ancora un po’ di
dignità. E quella volta era ubriaco, per dio. Pete comunque lo festeggia ogni
anno con enigmatici post sul suo blog; Patrick ogni anno li va a leggere di
nascosto, e non riesce a non sentire ogni volta il ridicolo bisogno di
abbracciare Pete… e poi picchiarlo.)
Quindi, in sostanza, Pete è impazzito. « Sei impazzito »
dice sovrappensiero per poi rettificare: « Quale anniversario? »
Pete ignora il primo commento, e sorride prima di
rispondere e alleviare Patrick dal peso dei suoi dubbi. « Di quando ci siamo
conosciuti! »
…tranne che no. Patrick ricorda fin troppo bene quel
giorno (il giorno che gli ha cambiato la vita, come lo chiama tra sé e sé a
volte, imbarazzato) perché Joe non l’avrebbe mai potuto preparare abbastanza
per Pete Wentz. Oggi, può affermarlo
con certezza, non è l’anniversario di quel giorno.
« Pete, non vorrei rovinare il tuo entusiasmo piromane, ma
non- »
« No, certo, lo so che quello è un altro! » fa irritato
dall’interruzione, con un altro dondolio di candela che fa zittire Patrick
meglio di qualsiasi protesta. Poi cambia totalmente faccia e continua,
sognante: « È il giorno che io ho incontrato la tua anima. »
Ci sono momenti in cui le cose che si vorrebbero dire sono
talmente tante e talmente diverse che si accavallano tutte, nel nostro
cervello, che alla fine non si sa più quale scegliere e l’unica cosa che si
riesce a fare è sfoggiare una perfetta espressione bianca. Patrick potrebbe
scrivere un saggio, sull’argomento.
« …la mia anima » è tutto quello che riesce a dire. « La
mia anima, ovviamente. Chi sennò. » Si leva gli occhiali e si massaggia
l’attaccatura del naso in un gesto che ha l’aria molto praticata. Sente il
bisogno di bere, o sedersi, ma la poltrona nell’angolo è più vicina della credenza
dei liquori, quindi amen; si lascia cadere contro lo schienale imbottito e alza
gli occhi su di Pete, fissandolo intensamente. « La mia anima? » ripete ancora,
accennando un filo d’incredulità. Amico,
sul serio, dice invece il suo sguardo.
« La tua fottuta anima, Patrick » prosegue sempre in quel
tono sognante, gli occhi dolci e lontani mentre cera calda gli cade sulle
scarpe senza che lui se ne accorga. « Nello scantinato di Joe, quando tu avevi
detto che volevi farci sentire una canzone e il testo era così orrendo,
davvero, ma lo stavi cantando in un modo che, dio - la tua voce che traballava
sui punti più azzardati mentre ci guardavi ansioso, e poi hai iniziato ad avere
un po’ più fiducia e hai messo te stesso
in ogni singola sillaba e lì c’era la tua anima,
in bella mostra. Avrei voluto rapirti e portarti via perché era una cosa troppo
bella per essere buttata così brutalmente nel mondo, nello scantinato lurido di
Joe, rapirti e proteggerti per sempre a costo della vita. Penso di essermi
innamorato di te in quell’istante. »
Wow. Le cose da dire continuano ad essere tante, troppe,
aumentano e si accavallano e vorticano
fino a riassumersi nella mascella di Patrick che penzola spalancata di sua
volontà nel vuoto. I suoi occhi sono fissi su Pete, grandi e lucidi a donargli
quel tocco di stupidità in più che mancava alla sua espressione. Pete,
fortunatamente, non sembra farci caso.
« Quindi volevo farti una sorpresa, perché non è una cosa
che capita tutti i giorni vedere un’anima come la tua e bisogna festeggiare »
continua immerso nei suoi ragionamenti, muovendo con enfasi le mani sempre piene
di candela accesa. « Avevo pensato a, tipo, una torta, ma non è il massimo no?
Poi ai fiori ma sei allergico, un altro cucciolo non mi pare il caso sennò
Hemmy si ingelosisce, un tatuaggio non ne valeva la pena - cioè, non che non ne
valga la pena! È solo che cosa ci scrivo, il numero? Dopo dovrei cambiarlo ogni
anno, e per coerenza dovrei farlo anche con tutti gli altri anniversari e c’è
un limite anche al mio desiderio di assomigliare ad un calendario, sai Patrick?
Comunque, dicevo: visto che tu sei una persona stupida che crea tanti problemi
a chi vuole farti dei regali, e io non avevo ancora pensato a nulla- »
« Pete » dice Patrick, piano, la gola secca che gli rende
difficile pronunciare persino la parola più bella del mondo. « Pete » ripete,
un po’ più forte, e di nuovo: « Pete » per sicurezza, e perché sono lettere che
non diventano mai vecchie o scontate, nella sua bocca.
Ignora l’insulto appena ricevuto, e cerca qualcosa di
adatto da dire. Sente che potrebbe ripetere il nome di Pete all’infinito e non
ne sarebbe ancora stanco, ma opta per un discorso più articolato; un
ringraziamento, magari, qualcosa di carino e arguto, possibilmente, che lo
faccia sembrare una persona pensante anche se sta facendo la faccia da triglia
boccheggiante. « Perché la candela? »
è invece quello che viene fuori. C’è infatti un buon motivo se non è lui nella
band a scrivere i testi.
Pete sbatte per un istante le palpebre, senza capire,
visibilmente dimentico di quel particolare. Abbassa gli occhi sulla candela che
gocciola placida nella sua mano destra, illuminandosi di comprensione prima di
scrollare le spalle. « Pensavo potesse essere una cosa romantica. »
Pungola un po’ la cera morbida con l’indice e lancia di
traverso un sorriso a Patrick, piccolo e timido. Solo allora Patrick si accorge
che Pete è imbarazzato.
Apre la bocca, ma evidentemente il motivo per cui non
intraprende la carriera di cantautore è davvero, davvero buono. Troppe cose da
dire, troppe cose da sussurrare e urlare al mondo e scrivere su qualsiasi blog
di Internet, ma al momento Patrick ha un Pete imbarazzato, un Pete Wentz imbarazzato tutto suo, con
cera sciolta sulle dita e gli occhi più profondi del mondo. Internet può
sinceramente aspettare a andarsi ad impiccare.
Si alza dalla poltrona, con calma; Pete non si muove
quando inizia ad avvicinarsi, ma dietro l’improvvisa timidezza Patrick lo vede
trattenere il fiato.
« …Pete. » Ora che gli si trova davanti, soprattutto ora, il suo nome sembra
l’unica cosa possibile da dire. Pete si acciglia in una tacita domanda, ma
Patrick gli passa le dita sulla fronte, lisciando il cipiglio e sentendo pelle
calda e dorata sotto i polpastrelli. Guarda le ombre sul viso di Pete, ombre
che è la sua mano a gettare, così sposta le dita sulla sua guancia in modo che
la luce gli cada direttamente sugli occhi, neri, intensi.
« Pete » ancora, mentre traccia il profilo del mento di
Pete, e ancora mentre insegue con la punta delle dita i giochi di luce sulle
sue labbra, sopra il segno più scuro dei denti che stringevano nervosamente il
labbro inferiore, accompagnato dal respiro soffice contro la sua pelle.
« Pete » un'ultima vola, prima che Patrick si sporga in
avanti e soffi sulla fiamma.
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Ho avuto un pesante calo d’ispirazioni qualche settimana
fa, proprio nel periodo in cui pioveva. In cui pioveva tanto. E io stavo in finestra a fare l’emo, quando ho giustamente
realizzato che non serve un motivo per scrivere scemenze, no? Dunque la pioggia
è diventata un grazioso pretesto per scrivere fluff sfrenato, perché c’è SEMPRE
bisogno di fluff. E di Peterick. E di fluff Peterick <3
Quindi non venite a dirmi che la fanfiction è random
perché lo so, si dà il caso che l’abbia scritta io XD So anche che Pete sembra
sempre un ritardato nelle mie storie, ma non riesco a fare di lui una persona
sensata anche se lo ammo profondamente. Un giorno riuscirò a scrivere di lui in
un contesto serio, ma quel giorno è ancora lontano a venire.
Ah, ‘Pattycake’ non è purtroppo un soprannome di mia
invenzione; l’ho letto un po’ ovunque su LJ, ma era troppo perfetto per non essere riutilizzato…
Will