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Autore: Will P    01/07/2008    7 recensioni
« È andata via la luce? »
(...)« Volevo farti una sorpresa. »
Genere: Generale, Romantico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Patrick Stump, Peter Wentz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"E' andata via la luce

Disclaimers: Ma no che non sono miei! Pete e Patrick si appartengono vicendevolmente, come potrebbero essere miei? E adesso non crederete pure che questa cosa sia vera, o che mi paghino per scrivere? Uff, non me lo fate ripetere ogni volta.

 

 

 

Di candele, sciocchezze, e notti tempestose

 

« È andata via la luce? »

Sono domande intelligenti da farsi, quando una stanza illuminata a giorno si fa improvvisamente buia di sua spontanea volontà e lo stereo sulla mensola esala un rantolo distorto spegnendosi a metà di una canzone. Sono domande ancora più intelligenti da farsi se in casa non c’è nessuno, a parte Hemingway che, per quanto insistentemente Pete possa sostenere il contrario, non ha ancora imparato a parlare.

Patrick sospira, abbassando lo schermo del computer - che, grazie a Dio, è un portatile ed ha ancora due terzi di batteria carica. Se si fosse spento anche quello, allora sì che avrebbe avuto un motivo per urlare. Hemingway russa sbavando su quella che sembra la felpa di Pete, ma che da quello che si vede potrebbe anche essere una sua felpa, e non sembra affatto infastidito dalla tempesta che imperversa di fuori.

La cucina è silenziosa e la luce dalla finestra getta un grigio pallore su tutti i mobili, rivoletti d’acqua che scorrendo sul vetro si proiettano per tutta la stanza. Il timer del microonde lampeggia le 0:00, come tutti gli orologi della casa; Patrick è contento che non si sia fusa nessuna presa, ma non ha idea di che ore siano. Ha perso la concezione del tempo lavorando ad una canzone - se ha iniziato alle sei e mezza… dovrebbero essere le dieci? Guardando dalla finestra non si capisce, ma se riesce ancora a distinguere il palazzo di fronte di sicuro non è mezzanotte. Controllerà sul pc appena avrà trovato le candele.

Le candele non sono dove dovrebbero essere, ovviamente. Patrick setaccia tutti i cassetti della cucina, la credenza dei piatti e la scatola dei biscotti prima di tornare in salotto a rovistare nella libreria. E tutto perché Pete si rifiuta di comprare una torcia, pensa mentre cerca sulla scrivania; come se riuscisse a vedere qualcosa, poi.

Si ricorda infine che Pete le aveva portate in camera sua l’ultima volta, per farci cose che aveva preferito non chiedere. Servivano alla sua creatività, aveva detto tenendo un mucchio di candele in precario equilibrio tra le braccia, e Patrick gli aveva risposto certo, basta che non le lasci accese sopra gli spartiti come l’ultima volta.

Mai che si ricordi di mettere a posto la roba, men che meno a casa sua, rimugina Patrick percorrendo con cautela il corridoio buio pieno di infidi mobili spigolosi e cose sul pavimento che non vedono l’ora di conficcarsi nei suoi poveri piedi scalzi.

La camera di Pete non è chiusa a chiave, com’è invece di solito quando il proprietario non è in vista. Patrick spalanca la porta con un cigolio e al centro della stanza c’è Pete, che si volta a fissarlo in silenzio, gli occhi spalancati e una candela accesa tra le mani.

« Cristo santo » sbotta Patrick, che ha appena fatto conoscenza dell’infarto al miocardio.

Gli occhi di Pete luccicano per un istante nell’ombra che le sopracciglia gli gettano in viso, lunghe e cupe, e il suo sorriso brilla al baluginio della candela come quello di un vampiro. « Pattycake! » esclama, rovinando tutto l’effetto serial killer.

« È andata via la luce » dice Patrick, un po’ inutilmente. Ma con Pete non ha senso fare domande come “perché sei nascosto qui?” o “perché mi vuoi ammazzare prima dei trent’anni?” o “smettila di farti consigliare horror da Gerard Way”, che non è prettamente una domanda ma ugualmente ha la sua ragion d’essere.

« Lo so » dice Pete prevedibilmente, e poi, un po’ meno prevedibilmente: « L’ho fatta saltare io. »

Tipico. Patrick sospira, togliendosi il cappello per grattarsi la testa. « Perché? »

Il sorriso di Pete si allarga, come se non avesse sperato che Patrick gli facesse davvero quella domanda; i suoi canini scintillano alla luce dorata della fiamma, e Patrick rabbrividisce nonostante tutto. « Volevo farti una sorpresa! »

« Volevi strisciarmi alle spalle con quell’affare acceso e farmi prendere un colpo? » Fa una smorfia. « Perché anche così è venuta bene, sai. »

Pete ridacchia agitando una mano con fare leggero, mano che stringe la candela gocciolante cera; Patrick vede già la casa in fiamme e i titoli sui giornali. « Una sorpresa per l’anniversario, sciocchino. »

Quale anniversario?, pensa Patrick gelandosi sul posto. Non è il tipo che da scordarsi le date importanti, compleanni onomastici concerti o persino il dentista (di Pete. E di anche Joe, quando Andy ha da fare), e anzi le persone che lo fanno lo irritano profondamente. Non è un compleanno, ne è certo perché l’ultimo compleanno è stato proprio quello di Pete e ci sono momenti di quel giorno che non riuscirà mai più a scordare nemmeno con una sprangata in testa, benché lo desideri davvero tanto. Non è una festa particolare, o una qualche ricorrenza nazionale. Non è l’anniversario della band perché in quel caso non sarebbe ancora sobrio a quell’ora (qualunque ora sia), né del primo disco o del primo concerto.

E non è uno dei loro anniversari; quelli Patrick li ricorderebbe anche se fosse rinchiuso in una cella senza finestre orologi e calendari, incapace di distinguere il giorno dalla notte o il passare dei giorni. Non ne hanno uno solo, perché non c’è mai stato un momento preciso in cui hanno alzato la testa e si sono accorti che, wow, stavano insieme. Sono passati dall’essere Pete e Patrick all’essere PeteePatrick con tanta naturalezza che è stato impossibile scegliere una data; così hanno deciso di scegliere tutte le date importanti - il primo bacio sul palco, il Primo Bacio, la prima volta e tutto il resto. (Patrick però si rifiuta di festeggiare il primo pompino perché, insomma, ha ancora un po’ di dignità. E quella volta era ubriaco, per dio. Pete comunque lo festeggia ogni anno con enigmatici post sul suo blog; Patrick ogni anno li va a leggere di nascosto, e non riesce a non sentire ogni volta il ridicolo bisogno di abbracciare Pete… e poi picchiarlo.)

Quindi, in sostanza, Pete è impazzito. « Sei impazzito » dice sovrappensiero per poi rettificare: « Quale anniversario? »

Pete ignora il primo commento, e sorride prima di rispondere e alleviare Patrick dal peso dei suoi dubbi. « Di quando ci siamo conosciuti! »

…tranne che no. Patrick ricorda fin troppo bene quel giorno (il giorno che gli ha cambiato la vita, come lo chiama tra sé e sé a volte, imbarazzato) perché Joe non l’avrebbe mai potuto preparare abbastanza per Pete Wentz. Oggi, può affermarlo con certezza, non è l’anniversario di quel giorno.

« Pete, non vorrei rovinare il tuo entusiasmo piromane, ma non- »

« No, certo, lo so che quello è un altro! » fa irritato dall’interruzione, con un altro dondolio di candela che fa zittire Patrick meglio di qualsiasi protesta. Poi cambia totalmente faccia e continua, sognante: « È il giorno che io ho incontrato la tua anima. »

Ci sono momenti in cui le cose che si vorrebbero dire sono talmente tante e talmente diverse che si accavallano tutte, nel nostro cervello, che alla fine non si sa più quale scegliere e l’unica cosa che si riesce a fare è sfoggiare una perfetta espressione bianca. Patrick potrebbe scrivere un saggio, sull’argomento.

« …la mia anima » è tutto quello che riesce a dire. « La mia anima, ovviamente. Chi sennò. » Si leva gli occhiali e si massaggia l’attaccatura del naso in un gesto che ha l’aria molto praticata. Sente il bisogno di bere, o sedersi, ma la poltrona nell’angolo è più vicina della credenza dei liquori, quindi amen; si lascia cadere contro lo schienale imbottito e alza gli occhi su di Pete, fissandolo intensamente. « La mia anima? » ripete ancora, accennando un filo d’incredulità. Amico, sul serio, dice invece il suo sguardo.

« La tua fottuta anima, Patrick » prosegue sempre in quel tono sognante, gli occhi dolci e lontani mentre cera calda gli cade sulle scarpe senza che lui se ne accorga. « Nello scantinato di Joe, quando tu avevi detto che volevi farci sentire una canzone e il testo era così orrendo, davvero, ma lo stavi cantando in un modo che, dio - la tua voce che traballava sui punti più azzardati mentre ci guardavi ansioso, e poi hai iniziato ad avere un po’ più fiducia e hai messo te stesso in ogni singola sillaba e lì c’era la tua anima, in bella mostra. Avrei voluto rapirti e portarti via perché era una cosa troppo bella per essere buttata così brutalmente nel mondo, nello scantinato lurido di Joe, rapirti e proteggerti per sempre a costo della vita. Penso di essermi innamorato di te in quell’istante. »

Wow. Le cose da dire continuano ad essere tante, troppe, aumentano e si accavallano e vorticano fino a riassumersi nella mascella di Patrick che penzola spalancata di sua volontà nel vuoto. I suoi occhi sono fissi su Pete, grandi e lucidi a donargli quel tocco di stupidità in più che mancava alla sua espressione. Pete, fortunatamente, non sembra farci caso.

« Quindi volevo farti una sorpresa, perché non è una cosa che capita tutti i giorni vedere un’anima come la tua e bisogna festeggiare » continua immerso nei suoi ragionamenti, muovendo con enfasi le mani sempre piene di candela accesa. « Avevo pensato a, tipo, una torta, ma non è il massimo no? Poi ai fiori ma sei allergico, un altro cucciolo non mi pare il caso sennò Hemmy si ingelosisce, un tatuaggio non ne valeva la pena - cioè, non che non ne valga la pena! È solo che cosa ci scrivo, il numero? Dopo dovrei cambiarlo ogni anno, e per coerenza dovrei farlo anche con tutti gli altri anniversari e c’è un limite anche al mio desiderio di assomigliare ad un calendario, sai Patrick? Comunque, dicevo: visto che tu sei una persona stupida che crea tanti problemi a chi vuole farti dei regali, e io non avevo ancora pensato a nulla- »

« Pete » dice Patrick, piano, la gola secca che gli rende difficile pronunciare persino la parola più bella del mondo. « Pete » ripete, un po’ più forte, e di nuovo: « Pete » per sicurezza, e perché sono lettere che non diventano mai vecchie o scontate, nella sua bocca.

Ignora l’insulto appena ricevuto, e cerca qualcosa di adatto da dire. Sente che potrebbe ripetere il nome di Pete all’infinito e non ne sarebbe ancora stanco, ma opta per un discorso più articolato; un ringraziamento, magari, qualcosa di carino e arguto, possibilmente, che lo faccia sembrare una persona pensante anche se sta facendo la faccia da triglia boccheggiante. « Perché la candela? » è invece quello che viene fuori. C’è infatti un buon motivo se non è lui nella band a scrivere i testi.

Pete sbatte per un istante le palpebre, senza capire, visibilmente dimentico di quel particolare. Abbassa gli occhi sulla candela che gocciola placida nella sua mano destra, illuminandosi di comprensione prima di scrollare le spalle. « Pensavo potesse essere una cosa romantica. »

Pungola un po’ la cera morbida con l’indice e lancia di traverso un sorriso a Patrick, piccolo e timido. Solo allora Patrick si accorge che Pete è imbarazzato.

Apre la bocca, ma evidentemente il motivo per cui non intraprende la carriera di cantautore è davvero, davvero buono. Troppe cose da dire, troppe cose da sussurrare e urlare al mondo e scrivere su qualsiasi blog di Internet, ma al momento Patrick ha un Pete imbarazzato, un Pete Wentz imbarazzato tutto suo, con cera sciolta sulle dita e gli occhi più profondi del mondo. Internet può sinceramente aspettare a andarsi ad impiccare.

Si alza dalla poltrona, con calma; Pete non si muove quando inizia ad avvicinarsi, ma dietro l’improvvisa timidezza Patrick lo vede trattenere il fiato.

« …Pete. » Ora che gli si trova davanti, soprattutto ora, il suo nome sembra l’unica cosa possibile da dire. Pete si acciglia in una tacita domanda, ma Patrick gli passa le dita sulla fronte, lisciando il cipiglio e sentendo pelle calda e dorata sotto i polpastrelli. Guarda le ombre sul viso di Pete, ombre che è la sua mano a gettare, così sposta le dita sulla sua guancia in modo che la luce gli cada direttamente sugli occhi, neri, intensi.

« Pete » ancora, mentre traccia il profilo del mento di Pete, e ancora mentre insegue con la punta delle dita i giochi di luce sulle sue labbra, sopra il segno più scuro dei denti che stringevano nervosamente il labbro inferiore, accompagnato dal respiro soffice contro la sua pelle.

« Pete » un'ultima vola, prima che Patrick si sporga in avanti e soffi sulla fiamma.

 

 

 

 

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Ho avuto un pesante calo d’ispirazioni qualche settimana fa, proprio nel periodo in cui pioveva. In cui pioveva tanto. E io stavo in finestra a fare l’emo, quando ho giustamente realizzato che non serve un motivo per scrivere scemenze, no? Dunque la pioggia è diventata un grazioso pretesto per scrivere fluff sfrenato, perché c’è SEMPRE bisogno di fluff. E di Peterick. E di fluff Peterick <3

Quindi non venite a dirmi che la fanfiction è random perché lo so, si dà il caso che l’abbia scritta io XD So anche che Pete sembra sempre un ritardato nelle mie storie, ma non riesco a fare di lui una persona sensata anche se lo ammo profondamente. Un giorno riuscirò a scrivere di lui in un contesto serio, ma quel giorno è ancora lontano a venire.

Ah, ‘Pattycake’ non è purtroppo un soprannome di mia invenzione; l’ho letto un po’ ovunque su LJ, ma era troppo perfetto per non essere riutilizzato…

Will

   
 
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