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Autore: FeelingRomanova    16/03/2014    3 recensioni
Sherlock somigliava ad un maglione. Un maglione di quelli di lana, intrecciati fitti, quelli che l’occhio si perde a seguire la logica dei fili. Ogni filo aveva una sfumatura diversa, ogni filo rappresentava una parte di Sherlock. Così veloce nel comprendere il nesso tra i vari indizi, così lento nel comprendere i propri sentimenti.
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Tratto dall'episodio 2x2, mi spiace se la frase iniziale non sarà perfettamente identica a quella finale dell'episodio.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joan Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“La prossima volta mi piacerebbe venire con te al cimitero, a trovare il tuo paziente. Quell’uomo godeva della tua stima, vorrei porgergli i miei rispetti” poi uscì dalla stanza, a passo lento, stranamente a passi più piccoli del solito.
Joan rimase sullo stipite della porta a guardare la figura dell’uomo allontanarsi, per poi passare a fissare il vuoto.
Cosa volva dire quella frase? Cosa aveva elaborato la mente contorta di Sherlock? Cercava di ingannarsi, cercava di convincersi che quella frase fosse solo frutto della mente di Sherlock, ma sapeva che era la cosa più tenera che Sherlock le avesse mai detto.
Sherlock era estremamente diffidente, fatica a fidarsi del giudizio degli altri, non riesce a lasciarsi andare, visto da fuori sembra incapace di provare emozioni.
Sherlock somigliava ad un maglione. Un maglione di quelli di lana, intrecciati fitti, quelli che l’occhio si perde a seguire la logica dei fili. Ogni filo aveva una sfumatura diversa, ogni filo rappresentava una parte di Sherlock. Così veloce nel comprendere il nesso tra i vari indizi, così lento nel comprendere i propri sentimenti.
A differenza di un maglione, però, una volta spezzato un filo non si può ricucire il buco. Se Sherlock decide di escludere una possibilità, una persona dalla sua vita, non puoi ricucire il rapporto, sempre che rapporto si potesse definire. Non puoi fare niente.
Il rumore di una scatola che viene appoggiata sul legno la riportò alla realtà, ma Sherlock non era in cucina. Non era rimasto lì con lei.
Improvvisamente sentì il bisogno di parlare con Sherlock. Non si era mai accorta del loro rapporto. Erano amici, lei, Joan Watson era amica di Sherlock Holmes.
Si avviò verso la sua stanza, cercando di fare meno rumore possibile. Si tolse le scarpe, il maglione ed il resto dei vestiti, per infilare il pigiama, ovvero un paio di pantaloncini blu ed una t-shirt grigia.
Si sedette sul bordo del letto. Lo sguardo le cadde sul libro sul comodino: uno dei suoi vecchi libri di medicina. Che ci faceva lì? Li aveva fatti sparire tutti, dopo quella volta.
Lo prese con mani tremanti e sfogliò qualche pagina. Le parole, le illustrazioni, tutto la portava irrimediabilmente a pensare al suo sbaglio.
Sbaglio.
Sherlock le aveva fatto un discorso sugli sbagli, in obitorio. Aveva ragione, come sempre, i loro sbagli avevano cambiato il corso delle loro vite e li avevano portati ad essere quello che erano. Se non avesse sbagliato non si troverebbe lì. Se non avesse sbagliato non avrebbe conosciuto Sherlock.
Una lacrima si fece furtivamente strada sulla sua guancia, per poi lasciare il posto ad un’altra, che venne sostituita da un’altra e poi da un’altra ancora, fino a trasformarsi in un pianto.
Spense la luce e lasciò la finestra aperta, la luce della luna filtrava e proiettava ombre nella camera, proiettava la sua ombra, quella di una figura rannicchiata con le ginocchia premute al petto, sulle lenzuola grigie.
Fu una notte di singhiozzi, di lacrime e di dubbi.
Perché? Perché Sherlock doveva capire tutto? Perché Sherlock doveva sapere sempre tutto? Non le importava nemmeno che Sherlock la sentisse piangere, tanto sapeva che l’avrebbe sentita, Sherlock riusciva a cogliere ogni minimo dettaglio, e avrebbe capito che lei aveva passato la notte a piangere. Il problema era che per lei era un mistero.
Si alzò e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, con i capelli che si appiccicavano al volto bagnato, nonostante cercasse di tenerli indietro con le mani.
Cosa voleva dire quella frase? La stima di Sherlock era difficile da ottenere, e per Sherlock, forse, quella frase era un “ti amo”, ma come poteva saperlo? Non aveva mai imparato a lavorare a maglia, quindi Sherlock era un mistero. Qualcosa aveva imparato, ma era troppo complicato, troppo contorto, troppo speciale per poterlo davvero capire, per poterlo davvero conoscere.
Ogni volta che Sherlock le diceva qualcosa doveva rielaborare la frase per trovare una risposta, ma non poteva comprendere una cosa come quella. Sherlock parlava poco, quel poco che diceva era incredibilmente esatto e spesso poteva apparire insensato, ma parlava poco, poteva quasi essere definito laconico, ma con lei sembrava davvero riuscire a parlare, ma in quel momento sperava non l’avesse mai fatto.
Come aveva fatto ad innamorarsi? Si era innamorata di Sherlock Holmes e lui, forse, si era appena dichiarato. Ma era troppo complicato per capirlo. Era troppo contorto per esserne sicuri.
Eppure si trovava lì, a piangere, per Sherlock Holmes.
 
*
 
Quella mattina, quando entrò in cucina, trovò Sherlock intento a spalmare la marmellata di albicocche sul pane.
 Joan aprì un armadietto per prendere un piatto, ma si bloccò nell’udire le parole di Sherlock.
“Perché piangevi, ieri notte?” chiese, senza nemmeno darle il buongiorno. Deglutì. Cosa poteva rispondere? Sapeva perfettamente che non gli sarebbe sfuggito, eppure non si era preparata una scusa.
“Io… mi sono fatta male” buttò lì, perfettamente cosciente che non ci sarebbe mai cascato. “Non è vero, Watson, e trovo umiliante che tu abbia anche solo pensato che io potessi cedere ad una così pnorme bufalata” chiuse lo sportello e si rese conto che Sherlock era davanti a lei.
Sentì le lacrime premere per uscire dagli occhi, ma non poteva farlo davanti a Sherlock, non poteva lasciare che accadesse davanti a lui.
Fece una cosa completamente illogica e inappropriata: si gettò tra le braccia di Sherlock. Appoggiò il capo sul suo petto, senza dire niente, senza aspettarsi niente, senza guardarlo cosciente che quel gesto avrebbe potuto cambiare per sempre il loro rapporto.
Sherlock abbassò gli occhi sulla chioma corvina di Watson ed assunse quella sua espressione di sorpresa e disagio. Non si aspettava un gesto simile.
Poi, incredibilmente, mosse lentamente le braccia, fino a circondare le spalle di lei, per poi appoggiare il mento sul suo capo.
Era quasi a suo agio, ora, con Watson tra le sue braccia.


Angolo autrice:
Salve gente! Sono nuova su questo fandom, ma Elementray mi piace molto, quindi eccomi qui, con questa One-Shot che spero vi sia piaciuta. Io non sono molto brava a scrivere sulla Joanlock, quindi non credo che sia venuta molto bene, ma spero che qualcuno spenda un po' del suo tempo per recensire.
Forse Joan è un po' OOC, ma altrimenti la OS avrebbe perso il suo sapore, io spero vi sia piaciuta.
Un bacio,
Supernova

 
  
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