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Autore: medea nc    16/03/2014    0 recensioni
"... Rientra tutto nella norma avere un album pieno di ritratti di una propria compagna di classe, in effetti, potrebbero esserci perlomeno altri ventiquattro, venticinque soggetti, ma perché scomodarsi a cercarli quando ne hai una davanti?!"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Chjara, fresca e dolce acqua

Non era mai entrata in possesso del suo album da disegno. Sapeva da sempre dell’esistenza di quel block notes ma Luka lo aveva sempre conservato gelosamente, facendolo finire nel proprio zaino, tra i libri, quando non ne aveva bisogno e anche se sì, era seduto proprio dietro di lei, la strategia le aveva sempre vietato di girarsi a vedere cosa stesse combinando.
Lei e Luka non é che si odiassero, ma beh, era un rapporto strano, fatto di mezze parole, di cose non dette e quelle dette, dette male. La verità era che lui la prendeva in giro, era il suo bersaglio preferito, il passatempo più gradevole in mezzo alle ore di noia della scuola.
Ora, Chjara non gli serbava particolare rancore per questo, cercava d’ignorarlo fin quando la pazienza glielo permettesse e quando non, sbottava prendendola sul personale, ma Luka ci rideva sopra, e finiva lì, così, con una sgroppata da ronzino.
Per essere proprio sinceri, non sapeva nemmeno lei perché le avesse preso questa smania di vedere quell’album, di aprirlo e spiarne i disegni; al principio, quando lo aveva notato sotto il banco del ragazzo, incustodito rispetto al solito nascondiglio che questi usava, le era sembrata una buona idea sbirciarci dentro, dopo le era parso quasi come se volesse farlo per trovarci dentro qualcosa di ricattabile per le prossime occasioni in cui Luka l’avesse ancora punzecchiata; adesso se ne stava con il taccuino in mano come se fosse una ladra, e soprattutto come se avesse timore di quello che ci avrebbe trovato dentro, come se le importasse di quel geloso segreto del ragazzo che lei così meschinamente stava scoprendo senza merito.
Si fermò un momento, ma scrollò la testa subito dopo; no, non era poi così squallido infondo, l’album stava lì, poteva anche spiarci dentro, che cosa avrebbe mai potuto nascondere? Custodire? Celare? Celare a lei?
Fece scivolare languidamente la copertina ecru.
C’era lei …
Ogni schizzo, ogni segno di matita, ogni ombra, gioco di luce rappresentavano lei.
Girò un foglio e poi un altro e un altro ancora e un altro.
Lei, soltanto lei.
Avvertì il calore del primo sole primaverile mentre le tramontava sul viso.
Era l’ultima ora del pomeriggio, avrebbe già dovuto raggiungere gli altri in palestra, si sentì quasi in colpa nell’aver dimenticato i sali minerali … ma … era così bella, si sentiva così bella dentro quei disegni, come se non fosse lei, come se Luka avesse rappresentato qualcun’altra, o cioè, lei, ma il meglio di lei, la parte migliore.
Quando prendeva appunti, quando si passava una mano distratta tra i capelli, quando guardava fuori dalla finestra il castello antico della collinetta che si ergeva possente di fronte alle vetrate grandi della scuola, quando se ne stava così, a pensare a qualcosa, quando era arrabbiata, quando era triste, quando era felice.
Era lei quella lì e lui le aveva rubato tutti i suoi momenti, eppure si sentiva più ladra di lui.
Richiuse frettolosa l’album, lo rimise al suo posto, si allontanò a passo veloce come se quei disegni fossero stati una bomba pronta a scoppiarle tra le mani, eppure prima di andarsene, guardò da lontano la raccolta sotto il banco.
Il desiderio la spingeva a darci ancora qualche occhiata, ma alla fine prevalse la paura e se ne andò.
 
“Si può sapere che problemi c’hai?”
“Non ho alcun problema!” rispose secca.
“Ne ho solo uno e non so se sia un problema.”
“Cioè?” chiese sinceramente preoccupato.
Contò fino a dieci, dicevano che funzionasse, arrivò perlomeno fino a trenta, per sicurezza, poi lo sbottò così, tutto d’un fiato, senza alcuna premura.
“Ho visto i disegni.”
Quello parve rifletterci su, come se non avesse ancora collegato il suo album a lei, ma durò qualche frazione di secondi.
“I tuoi … disegni, cioè i miei … in effetti quelli tuoi dove il soggetto sarei io.”
“Ho capito!” rispose sicuro Luka ed aggiunse fingendo un’aria naturale.
“Non sarei, sei tu!”
Ecco! Riuscì ad avere la meglio anche in una situazione di apparente superiorità di lei.
Non doveva sentirsi imbarazzata, non doveva affatto, per la miseria!
“… Ed è una cosa normale?” domandò infine, dopo chissà quanti minuti.
Quello fece spallucce.
“Credo assolutamente di sì. Insomma, sei un soggetto, ti tengo davanti, quindi non è che avrei molte alternative, inoltre, fai un sacco di smorfie, sei stramba, perciò…”
Perciò, rientra tutto nella norma avere un album pieno di ritratti di una propria compagna di classe, in effetti, potrebbero esserci perlomeno altri ventiquattro, venticinque soggetti, ma perché scomodarsi a cercarli quando ne hai una davanti?! Insomma, mi hai preso per deficiente?!
“Insomma, mi hai preso per deficiente?!”
Il ragazzo la squadrò allibito, non si aspettava una reazione parecchio esagitata, la vergogna già solo di domandargli dei disegni avrebbe dovuto contenere la sua rabbia, o la sua curiosità riguardo ai sentimenti di lui, o qualsiasi altra cosa frullasse nella mente di quella benedetta bambina.
“Che associazione stai facendo, racchietta?”
Fu lei ad ispezionarlo incredula, cioè, poteva chiederle cosa stesse pensando ma non fingere che per lui fosse anche brutta, pochi minuti prima aveva ammesso che la trovasse un soggetto, un soggetto diamine, significa che dovrebbe trovarlo alquanto interessante, in positivo, o no?!
Smise di fissarlo e alzò le spalle. Era inutile continuare quella conversazione, era partita senza senso e stava finendo contro di lei, la ritirata in questi casi è la strategia migliore, cioè, quando vai in guerra devi prendere anche coscienza che possa accadere questa eventualità.
Aveva percorso parecchi metri. Luka la raggiunse.
Non la fermò con la forza delle sue braccia, bastò quella delle sue parole.
“È vero!”
Chjara si girò spiazzata.
Si guardarono negli occhi ma erano troppo imbarazzati per poter sostenere gli sguardi, non era mai successo.
“Qualunque cosa tu abbia pensato su di me e quei disegni, è vera!”
“Non sai a cosa abbia pensato!” rispose lei.
Sorrise ovvio.
“Beh, lo immagino, e non è nemmeno tanto difficile!”
“Cioè?”
“Che sono innamorato di te!”
Chjara aggrottò le ciglia.
“Beh, onestamente, non avevo pensato ad una cosa così radicale, forse più ad un’infatuazione, simpatia, attrazione.”
Luka fece roteare la testa avvilito.
“Infatuazione, simpatia, attrazione. Ma di quanti sostantivi hai bisogno? L’infatuazione dura poco, e non so te, ma i disegni riportano delle date, giù in basso, a piè di pagina, m’intendi?! Se le avessi notate, indicano quanti alcuni ritratti siano di un anno fa e anche più. Simpatia?! Mm… si guarda, ti trovo proprio simpatica! Simpaticamente parlando, sei talmente il mio tipo che ci litigo di continuo con te. E poi, che altro c’era? Ah, attrazione!!! Per attrazione spero tu intenda quella fisica?! Beh, quella sì, quella c’è, ma non solo quella.”
“E allora cosa, saputello di questa cippa!” rispose visibilmente infastidita.
“Sono innamorato di te!”
Osservò quanto fosse incredula e sorrise beffardo.
“Tu mi piaci Chjara, mi piaci tanto, troppo, più di quanto abbia ammesso a me stesso per anni e più di quanto me ne possa rendere conto, prenderne… coscienza. Ti amo anche, e molto. Vorrei che ti mettessi con me? Scontato. Riesco ad immaginarti insieme a me, a come ti tormenterei i capelli, le mani, il viso, a come ti desidererei, a quanto ti desidererei. Ma ti farà specie sapere che una parte di te è già mia, quella che mi è servita per fantasticare, per pensarti mia, soltanto mia. Dio non voglia mai che tu finisca con qualcun altro ma anche se accadesse, ricordati che una parte di te rimarrà per sempre tutta mia, e neanche tu te la potrai riprendere.”
Quando smise di parlare ricominciò a guardarla notando la sua incertezza; sembrava confusa, forse perché non si aspettava che le confessasse tutto, andando molto al di là di quanto avesse sicuramente supposto; forse perché non era preparata a quella confessione spudorata; forse perché non ricambiava lo stesso sentimento.
Qualunque fosse il motivo, il viso di lei non prometteva nulla di buono; si morse la lingua, come se avesse aspettato tanto tempo per farle alla fine una dichiarazione di merda, tanto tempo per sentirsi dire, o comunque intuire che la risposta sarebbe stata no.
Prese aria prima di superarla e allontanarsi da lei.
 
Passarono quasi tre settimane. Non volarono affatto.
Una mattina, alla fine delle lezioni, Chjara si ritrovò l’album da disegno di Luka infilato tra i suoi quaderni.
Erano tutti lì, i suoi ritratti. Nell’ultima pagina c’era scritto soltanto Ho smesso di disegnarti, forse è meglio che lo tenga tu
L’ultimo schizzo risaliva al giorno prima del loro incontro.
Non l’aveva più ritratta da allora.
La pioggia battente di un mese folle ora picchiava rude contro i vetri dell’aula.
La ispezionò per parecchi minuti, lei sapeva cosa provava adesso, lei era come quella pioggia, lei era quella stessa pioggia, fredda, insensibile, innaturale, fuori stagione.
Ripensò a quel pomeriggio e poi a tutti i giorni che ne erano seguiti, tutti quelli che l’uno dopo l’altro le avevano aperto un varco verso la verità, verso quelli che potevano essere i suoi di sentimenti.
Corse lungo i corridoi, saltò i gradini delle scalinate a due a due, così, lesta con i disegni al petto.
Erano passati cinque, forse sei minuti da quando l’aula si era svuotata, era certa che l’atrio sarebbe stato completamente vuoto. Era vuoto.
Lo intravide al parcheggio degli scooter, aveva appena salutato qualcuno, raggiunse la sua altezza in pochi secondi, se la ritrovò davanti tutta bagnata, senza giubbino, senza ombrello, fradicia.
Ora, posto che anche lui stava parecchio leggero, almeno il cappuccio poteva coprirgli la testa, insomma, è pur vero che aveva perso venti ombrelli in meno di un quadrimestre ma incosciente non ancora ci era diventato del tutto.
La guardò circospetto, voleva riuscire a capire che cosa le frullasse per la testa.
La sentì solo balbettare un io… beh
Poi gli riconsegnò i disegni e quello se li prese un po’ sconfitto.
“Potresti metterli nel tuo zaino se no si sciupano?! Magari me li ridai quando avrò preso la mia roba, su!” indicando la finestra della loro aula.
“Non sto capendo!” le rispose franco prendendo l’album.
“Ecco, io, me li sono portati dietro senza accorgermene, nella fretta di uscire!”
“Non intendevo riguardo ai disegni, perché era necessario scendere nell’atrio fradicia?”
La vide mordersi un labbro sovrappensiero.
“Perché … io ho pensato molto a quello che mi hai detto … e … non lo so se ti amo, non so manco che cosa sia, come definirlo, però è certo che non è infatuazione, simpatia o attrazione. Tu mi manchi e non riesco nemmeno a spiegarmi perché, cioè, non è che io e te fossimo stati prima grandi amici, ma mi manchi, e non mi mancano nemmeno le nostre litigate, mi manchi tu, capisci, proprio tu, nel senso che, dopo che tu mi hai detto quelle cose … è come se io … volessi sentirle ancora e ancora e ancora da te.”
Si morse di nuovo un labbro e questo lo fece sorridere, impazziva nel vederla impacciata, sotto la pioggia, zuppa fino al midollo, imbarazzata, sincera, pulita come una fonte di chjara, fresca e dolce acqua.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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