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Autore: Ruta    17/03/2014    3 recensioni
Un cimitero e una giornata piovigginosa fanno da sfondo a un incontro.
A Molly non resta che ritrovarlo, dopo tanto tempo, forse per la prima volta.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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RETROUVAILLE

Il piede di Molly affondò in un pantano.
Molly inveì, lo tirò fuori, mosse la gamba per scrollare il fango che le aveva irrimediabilmente sporcato l’orlo dei pantaloni e procedette.
L’inconveniente non peggiorò il suo malumore. Lo rese soltanto acuminato. Era come avere un bisturi che si faceva largo dall’interno del petto verso l’esterno, scavando e rompendo, scucendo il suo corpo e tagliando tutto ciò che trovava a sbarrargli il cammino: muscoli e tendini e vene e organi. 
Pioveva. Una pioggerellina capillare e fine. Non era acquerugiola, non era niente. Solo gocce d’acqua sparse, di quando in quando, a chiazze irregolari, senza un reale perché. Con lo specifico scopo di dannare l’anima e procurare fastidio. Ma si trattava di Londra, era autunno ed era del tempo inglese, tipicamente uggioso, che si parlava. Nulla di inspiegabile o strano.
Ed era in un cimitero inglese – lapidi e croci in un prato ben falciato, con olmi scheletriti e contorti al margine del suo spazio visivo – che lei si trovava.
Perché vi si trovasse, però, era un mistero anche per lei.

 

 

 

 

 

 

RETROUVAILLES

 

 

 

 

 

 

La sua lapide era nera. Non grigia e sormontata dalla statua di un angelo piangente o da uno di quei putti che rassomigliavano a un cupido dalle guance paffute – quella sarebbe stata una presa in giro. 
Era piccola e lustra. Molly poteva osservare il riflesso distorto e opaco dei propri piedi, constatare il danno che pantano/fango avevano apportato ai pantaloni che indossava.
C’erano molti fiori freschi, accanto ad altri che lo erano un po’ meno. Avrebbe dovuto portarne? Poteva sembrare eccentrico che non lo avesse fatto?
Molly si piegò sulle ginocchia. Cominciò a riordinare i mazzetti. Fu per caso che notò il primo biglietto e poi il secondo. In breve trovò un mucchietto di bigliettini, striscioline di carta della grandezza di un messaggio dei biscotti della fortuna. 
Quanto vi era scritto le fece venire la nausea.
Molly ne fece un mucchio e li accartocciò, ficcandoseli in tasca per buttarli all’uscita.
“Dicono che non fosse un brav’uomo.”
Molly sussultò al suono della voce maschile e si voltò con qualcosa di simile alla rabbia verso chi aveva parlato.
A tutta prima era un giardiniere. Aveva fermato la carriola a meno di un metro di distanza e aveva ancora le mani sui manici. Indossava guanti verdi da giardinaggio, stivaloni di gomma, una salopette da lavoro e uno di quei cappelli che a Molly ricordavano quelli usati da chi andava a pesca. Il passo pesante e la schiena incurvata, la testa piegata in avanti, tutto denotava affaticamento, stanchezza.
I bigliettini che aveva raccolto sembravano bruciare a contatto con le dita, come acido. Molly ripensò a Sherlock che non era gentile, non nella definizione canonica del termine, che era brillante e unico nel suo genere, un cerchio in un mondo di quadrati, come in quella favola per bambini.
E il fastidio le sbocciò dentro ripensando agli altri, alla confidenza che si prendevano parlando di lui come se lo avessero conosciuto, come se leggere quello che i giornali ne avevano scritto li autorizzasse ad essere maleducati, li avesse resi intimi e coscienti dell’uomo che Sherlock era.
Molly aprì la bocca, ma poi qualcosa di straordinario avvenne.
Il giardiniere raddrizzò le spalle e la schiena e Molly si accorse che era alto, molto più alto di quanto avesse immaginato. Così alto che – Ma no, era una sciocchezza.
Il giardiniere piegò i risvolti della berretta e Molly ebbe lo scorcio di un paio d’occhi azzurrissimi e vividi, taglienti al modo del vetro quando lo si rompe.
“Non difendere le mie virtù, Molly”, disse il giardiniere-che-non-era-un-giardiniere. E come se fosse necessario, come se non fosse già perfettamente consapevole della trasformazione miracolosa a cui aveva appena assistito e non lo fissasse ad occhi sgranati, impietrita, lo sentì aggiungere: “Sono io.”
Molly deglutì, gli divorò il viso alla ricerca di indizi rivelatori, informazioni su dov’era stato, cosa aveva fatto. Era smagrito, gli zigomi erano più pronunciati che mai. La pelle del viso quasi senza colore, di un bianco cereo su cui i cerchi scuri intorno alle palpebre spiccavano come lividi. Aveva un taglio sul labbro, un sopracciglio spaccato, una guancia tumefatta.
Avrebbe voluto abbracciarlo, stava per farlo, ma si trattenne a viva forza. Non era quello il luogo e il momento, perché cosa avrebbe pensato un passante di una visitatrice che gettava le braccia al collo a un giardiniere?
Sherlock la guardava e Molly vide nel lampo che gli attraversò gli occhi che aveva inteso l’indulgere delle sue riflessioni. Le sorrise con un’amarezza che non aveva mai avuto, prima.
Di nuovo, l’impulso di abbracciarlo si affacciò con prepotenza. Serrò i pugni nelle tasche della giacca a vento.
Notando il gesto, con l’evidente scopo di cambiare argomento, Sherlock commentò in un tono che non era affatto arbitrario: “Non c'è più rispetto per i morti.” 
Molly arcuò le labbra in un sorriso opinabile, umorismo da beccamorto, capendo che si riferisse ai biglietti che lei aveva scoperto. Tu non sei morto, avrebbe voluto dire scioccamente. “Così sembra”, disse invece.
Lo sguardo di Sherlock la indagò, come lei poco prima aveva fatto con lui, ma con maggiore successo. Qualunque fossero le conclusioni a cui era giunto, non sembravano procurargli il minimo piacere. “Ti trovo… male.”
Molly smise di fissarlo e lasciò scivolare gli occhi altrove. Si strinse nelle spalle. Avrebbe potuto dire molto al riguardo, ma perché poi? E rimanendo in tema di aspetto, non era lei ad assomigliare a una salma. Pressò le labbra tra loro, sospirò e finalmente si alzò, spolverandosi le ginocchia dal terreno. “Cosa ti porta qui?”
Una parte di lei, quella che era rimasta la ragazzina affamata d’amore in ogni sua forma e misura, quasi sperava che le rispondesse che era lì per vederla.
Sherlock scrutava il cielo con la solita espressione imperscrutabile, quasi assente.
“Affari”, rispose, frantumando quelle speranze.
“Stai tornando?”
La voce l’aveva tradita. Un misto di speranza e ansia e desiderio e apprensione. Tutto questo e molto altro ancora.
Sherlock riportò gli occhi su di lei. “No”, pronunciò lentamente.
Una pausa, quindi, in tono di annoiata spiegazione, proseguì: “Smantellare la rete criminale di Moriarty potrebbe richiedere più del tempo preventivato.”
Era chiaro che ammetterlo gli procurasse una dose non indifferente di contrarietà.  
Molly batté le palpebre, respingendo il groppo di sentimenti che le aveva ostruito la gola, il petto. “Oh.”
Chiunque altro le avrebbe mentito, l’avrebbe consolata con l’illusione di una menzogna tranquillizzante. Non Sherlock.
Le parve che lui volesse dire qualcosa, mosse il braccio in un’angolazione strana, come se per un istante, un istante dilatato all’infinito in uno di quei loop da libri di fantascienza, avesse provato l’istinto avulso di allungarlo verso di lei in un gesto di consolazione, affetto perfino. Non il gesto, ma la sua venuta al mondo, valeva ognuna delle mille parole intercorse tra loro in passato, le cento che Molly aveva cercato di balbettare in sua presenza, le cento che era riuscita a proferire vincendo la ritrosia dell’imbarazzo, le cento che aveva spento ogni giorno dentro di lei come si spengono i fiammiferi o i sogni a lungo andare, le cento che aveva mormorato nei sogni e le altre cento negli incubi che da quando era partito la affliggevano. E ce n’erano altre, ora, a centinaia, che affluivano alle labbra e lì morivano, sventurate. La felicità di vederlo – saperlo vivo, anche se non in buona salute -, incontrarlo dopo che era trascorso tanto dall’ultima volta, così tanto da far sembrare l’attesa un’infinità e un’agonia. Molly non aveva idea di come esprimerle. L’attesa. Dio. Credere in lui, nella promessa che le aveva fatto, sapendo con ogni fibra di se stessa che Sherlock l’avrebbe mantenuta, cascasse il mondo.
Ancora una volta, Sherlock glielo lesse nel viso. O forse fu altro che vide. La stima, la lealtà, l’assoluta fiducia in lui. Quell'altra cosa che non era mai stata nominata apertamente.
Prima che si chiedesse come e quando fosse successo, non perché mai perché, Molly era schiacciata contro il suo petto, stretta in un abbraccio rabbioso e tormentato. Le labbra di Sherlock trovarono le sue e c’era rancore, determinazione ad animarle, ma anche un contrassegno di gentilezza - la nostalgia di un bel ricordo, della sua vecchia vita, di ciò che non poteva più essere alla luce del sole.
Molly si aggrappò a lui, alle bretelle della tuta e fu capace di sentirlo sotto i palmi aperti, oltre il battito del cuore di Sherlock – spediti, si succedevano ad impennate anomale -, quanto magro fosse diventato. Aveva quasi paura di stringerlo. Si rese conto dei bendaggi spessi, immaginò quello che i vestiti servivano a nascondere: ematomi e contusioni. Altre ferite, forse, più ampie e gravi, in via di guarigione. Si accigliò, desiderando le sue capacità analitiche, il suo spirito di osservazione per esserne certa.
Sherlock percepì la sua tensione e pose fine al bacio, rimanendo con la fronte accostata alla sua.
Molly gli sfiorò il taglio sulla bocca con l’indice, delicatamente, ad occhi chiusi. Sentiva le lacrime pungerle i bordi, le ciglia. Le ricacciò indietro con una smorfia.
La vibrazione di un cellulare. Sherlock le imprecò contro l’orecchio.
“Devo andare.”
Di tutte le cose che avrebbe potuto dire. La più prevedibile, dato il contesto. Non che questo servisse a renderla meno crudele per entrambi.
Molly annuì. “Lo so”, mormorò a fior di labbra.
“Molly.”
“Lo so”, ripeté.
Parole non sue, lette chissà dove, chissà quando, emersero dalle nebbia che aveva in testa. Ritorna. Ti aspetterò.      
“Lo farò”, promise Sherlock.
Molly si sentì improvvisamente spogliata, derubata quando lui la lasciò andare.
Lo sentì incamminarsi, il rumore di passi che si allontanava speditamente sul prato, tra le pozzanghere e gli acquitrini.  
Non riaprì gli occhi, si coprì le labbra, invece, proteggendo il tepore di quel bacio dalla furia del vento. Si ricordò un vecchio mito. Di Orfeo che aveva ottenuto dal Sovrano degli Inferi la sua sposa defunta, a patto che non si voltasse ad osservarla durante la loro risalita dalle tenebre della morte alla luce della rinascita. Ma lui, divorato dal desiderio di rivedere il volto amato e creduto scomparso così a lungo, si era voltato. Euridice era stata perduta, una volta di più, l’ultima.
Molly vinse il desiderio che la polverizzava. E quando riaprì gli occhi, finalmente, pioveva e il cimitero era di nuovo vuoto e desolato: un deserto di mausolei e pietre tombali.  

  


N/a: Retrouvaille: parola francese che indica la gioia del trovare e incontrare qualcuno dopo un lungo periodo di separazione. Spero che la lettura vi sia piaciuta ;)
  
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