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Autore: loveyourenemies    17/03/2014    0 recensioni
Lei ,una semplice ragazza di Londra,di soli diciassette anni, con un sogno nel cassetto “la fotografia”. Il suo nome era Page Tears . Suo padre era il famoso fotografo, Jimmy Tears.
Quella Polaroid posata sulla scrivania del padre,l’aveva affascinata sin da piccola. L’affascinava il fatto di come con un semplice scatto, si potesse dare vita ad un momento fantastico,anche insignificante. Sua madre era andata via quando lei aveva solo un anno. Da quel momento iniziò a precipitare tutto ciò che la circondava. Suo padre le aveva fatto girare il mondo per il suo lavoro, le ripeteva costantemente che quando la guardava negli occhi, rivedeva l’immagine riflessa di sua madre. Tutto questo ormai per lei era solo un ricordo. Suo padre era morto due anni fa a causa del cancro. Gli rimase affianco per tutta la malattia fino alla sua morte.
Le rimase un patrimonio immenso,ma un vuoto incolmabile.
Genere: Dark, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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12 Dicembre 2013,Londra.
Era un giornata fredda. Page si era vestita molto pesante per andare a comperare le decorazioni di Natale. Beh si,per la prima volta stava per fare l’albero di Natale. Con suo padre non l’avevano mai fatto,odiava questo genere di feste,per il semplice fatto che affermava  che la famiglia per loro fosse solo un lontano ricordo.
Entrò da Harrods. Aveva sempre pensato che fosse uno dei posti più assurdi che avesse visitato. Era uno di quei posti enormi, dove la facilità di perderti è elevatissima. Si diresse verso un posto adibito alle decorazioni natalizie. Si girò intorno,cercando il necessario. Fissava quelle decorazioni, si domandava quale fosse la punizione da scontare, il  motivo per meritare così tanto dolore, odio e rabbia.
Le mancava il padre. Era stato l’unico che c’era sempre stato per lei, l’unico che la sosteneva,qualunque cosa facesse. Ritornò in sé e continuò a rovistare tra quelle migliaia di palline che la circondavano.
Si  diresse alla cassa,pagò e portò tutto a casa. Portò l’enorme albero in salone e lo posizionò accanto alla finestra. Si sentiva così sola, che le veniva quasi voglia di scappare, fuggire da ogni singolo problema. Per non cadere nella più oscura depressione, decise di chiamare la bambina della villa accanto, Jane.
Prese rapidamente il cappotto, le chiavi e uscì. Osservò per un minuto il cielo, poi sorrise. Calpestò la neve e finalmente arrivò  dinanzi alla porta. Bussò stringendosi le mani intorno alle braccia, per il freddo. La madre di Jane aprì la porta. Esclamò immediatamente “Hey Lizzy!”, la donna la salutò e la fecce accomodare.
La bambina appena la sentì entrare corse giù per le scale, con fare affannoso, provocando il rimprovero della madre. Appena la vide, le andò incontro abbracciandola.
“Ciao piccola, tutto bene?” le sorrise.
Stropicciò gli occhi, la prese per mano portandola nel salone. La piccola iniziò a parlare del suo cartone animato preferito, cercando di attirare l’attenzione di Page su di esso.
“sai che i cartoni animati sono anche per i grandi? Mio fratello mi prende continuamente in giro perché lui dice che sono stupidi.”
“tuo fratello si sbaglia di grosso, poi ognuno guarda quello che vuole no?” Le suggerì Page, facendo ridere Jane.
La bambina le sorrise, poi le portò una tazza di cioccolata calda. Mentre sorseggiava lentamente quella cioccolata, riflesse sulle parole della bambina. Aveva un fratello? Era quasi assurdo non averlo mai visto, vivendo l’uno accanto all’altro.
“Allora Jane mi aiuti a fare l’albero?”
“certo che si. Prendo il cappotto e andiamo. Mamma posso?”
Si sentiva l’odore inebriante del caffè quasi pronto. La mamma le gridò “vai tranquilla.”
Uscirono ed entrano in casa di Page. Presero tutte le decorazioni, ed iniziarono a sistemarle sull’albero.
Impiegarono circa un’ora per finirlo, ma il risultato fu splendido. Quell’albero dava un senso di calore, che ormai in quella casa non c’era più da tanto tempo, forse troppo.
Page andò a prendere da bere in cucina, poi tornò in salone. Trovò Jane con una cornice in mano.
Jane rivolse il suo sguardo verso Page, con occhi pieni di attenzione verso di lei.
“ Questa sei tu con il tuo papà?” domandò, indicandoli nella foto.
“si, avevo la tua età lì.”
“questa chi è? Non l’ho mai vista qui.” La curiosità cresceva ad ogni affermazione di Page.
“ E’ mia mamma.” I suoi occhi color ghiaccio si fecero sempre più chiari, come se quella parola così semplice, quasi scontata, la ferisse.
“non c’è più?”
“no, almeno per me.” Fu dura nel rispondere. Malediva il fatto che anche la madre l’avesse rifiutata, che anche lei l’avesse lasciata sola.
“vi assomigliate tanto.”
“me lo diceva anche papà.”
“ti manca vero?”
“tanto,è brutto non averlo qui con me.”
Le lacrime erano sull’orlo di uscire, per provocare il solito fiume di dolore e sofferenza.
-Ero consapevole che non lo avrei mai riavuto indietro. La morte seppellisce e basta.  Beh e tu, povero e misero essere umano solo, non fai  pena a nessuno. – era questo quello che pensava Page.
Jane era in ritardo per il pranzo, così l’accompagnò alla porta e andò via. Risultato? Di nuovo da sola.
Era opprimente rimanere tutto il giorno in casa, provocava un senso di tristezza, che ti faceva sprofondare nei pensieri a cui una persona non dovrebbe ricorrere.
Page, decise di uscire per raggiungere il centro, per catturare qualche  immagine con la sua macchina fotografica.
Scese dalla metro ed era improvvisamente buio. Iniziò ad incamminarsi per il corso. C’era un atmosfera speciale, quasi allegra, colorata, magica. Osservava intorno a sé le persone  che sorridevano ,o che si baciavano. Era quel momento in cui erano tutti felici, senza nessun pensiero.
Prese le cuffie e si sedette su una panchina.  La musica in quel momento le diede la giusta ispirazione .
Le venne l’idea di proporre alle persone di posare per lei, per poi realizzare un album.
Iniziò a fermare la gente.  In molti accettarono, mentre alcuni paurosi della loro immagine dissero di no.
Stanca e raffreddata decise di entrare alla Starbucks per riscaldarsi. Prese un cappuccino caldo. Si girò e lo versò  addosso ad un ragazzo.  Panico totale. Non riusciva a tirare su lo sguardo per l’enorme imbarazzo.
Prese un fazzoletto,  nell’intento di asciugarlo. Nel panico affermò “scusami,ma ero distratta. “
“Non importa tranquilla”. Affermò il ragazzo con un tono calmo.
Al suono di quella voce, rauca ma allo stesso tempo dolce,tirò su la testa. Si trovò davanti a lei un ragazzo alto, magro, con i capelli messi in un modo quasi scomposto, che attirò subito la sua attenzione immobilizzandola.  
Il ragazzo proseguì rassicurandola “tranquilla davvero ,non fa niente.”
“non so ,sei pieno di caffè.” Gli sorrise, provocandogli la stessa reazione.
Calò il silenzio. Avevano entrambe la sensazione di conoscersi. Di essersi già visti da qualche parte, il che fece ad entrambe una paura tremenda. Il ragazzo la fissò ancora una volta negli occhi, cercando una risposta alle sue domande.
“aspetta ma io ti conosco. Si certo che idiota, sei Page.” Apparve un enorme sorriso sul viso del ragazzo.
Page continuava a fissarlo, ma non ricordava chi fosse il ragazzo o per lo meno se lo conoscesse, come affermava il ragazzo.
“Page non ti ricordi di me? Sono Ashton.” Ribattè. “Ashton Irwin.”  Lo disse con molta convinzione, con l’intento di far ricordare a Page chi fosse.
Solo a quel punto si rese conto della figura di merda appena fatta. Certo che se ne ricordava era un suo vecchio compagno di scuola delle elementari. All’epoca veniva chiamato “melone”, era preso in giro da tutti, il classico zimbello. Pensò dentro di se “diamine la pubertà fa miracoli.”
Sorrise poi annuì,  “certo che mi ricordo di te Ash. E’ passato un po’ di tempo.” Si passò una mano trai suoi lunghi capelli per l’imbarazzo.
“vogliamo sederci a un tavolo? Così parliamo un po’.”  Page era ancora irrigidita dalla situazione che le si era appena presentata, ma poi accettò. Si sedettero al tavolo e iniziarono a parlare del più del meno, come due vecchi amici che non si vedono da tanto tempo. La situazione era strana, nonché la coincidenza.
Presero il caffè insieme e parlarono per circa due ore.
“mi dispiace se non sono venuto al funerale di tuo padre, ma ero all’estero con mamma.” Era dispiaciuto nel pronunciare quelle parole era molto affezionato a Jimmy.
“non è importante. A lui non avrebbe fatto nessuna differenza di chi fosse venuto al suo funerale. “ Digrignò  i denti, per non piangere.
“forse a te avrebbe fatto differenza.” Disse quelle parole guardandola negli occhi, cercando un suo sguardo di conferma.
Ma non la ebbe. Ottenne tutto l’effetto contrario. Quelle parole le provocarono un senso di solitudine, insicurezza e rabbia. Si alzò di scatto, con molta velocità prese le sue cose, poi si giro verso Ashton “ mi dispiace, ma questo discorso è andato troppo per le lunghe. Ora ho da fare. Ci vediamo”.
Andò via rapidamente, senza nemmeno aspettare la risposta del ragazzo. Si girò un’ ultima volta per guardarlo. Era rimasto lì, immobile, impassibile da ogni espressione.
L’ aveva  stranita la sua presenza,come se fosse una parte di vita che aveva cancellato, sepolto, fosse tornata a galla. Pensava di aver chiuso con il passato, ma si sbagliava. Prima o poi tutti devono farci i conti.
Tornò a casa. Scaricò le foto fino a tardi, al punto che crollò dal sonno sulla tastiera del pc.
Il giorno dopo si alzò presto. Era l’anniversario della morte del padre. In quel giorno voleva solo scomparire, rimanere sola, ma sapeva che sarebbe stata solo peggio. Decise di andare a trovarlo,se si può dire così.
Prese la macchina e raggiunse il cimitero di Londra.
Si fermò da un fioraio e acquistò dei fiori. Si incamminò  in quel labirinto di lapidi, pensò di non aver mai visto posto più tetre di quello. Si immobilizzò quando vide la tomba del padre. Si fermarono tutti i suoi pensieri, tutto sembro più non importare. Scoppiò a piangere,le sembrava di vivere un incubo. Rimase lì mezz’ora, poi andò via.
La sera l’attendeva una mostra fotografica in centro. Era stata organizzata dal quartiere per la commemorazione del padre.
Si preparò a fatica, era incerta sul cosa indossare, incerta sul fatto se avrebbe mai trovato la forza di presentarsi.  Non aveva  preparato nessun discorso, decise di  raccontare quanto suo padre fosse stato importante per lei e quanto amore le fosse stato dato.
16:00 inizia la mostra.
Erano presenti tutti i più ‘grandi’ della fotografia, tutti gli amici del padre, la  futura moglie lasciata da sola a soli due giorni prima del grande passo, tutti i suoi compagni di scuola, infine erano presenti  Calum e Ashton.
Li osservava, chiedeva a se stessa perché fossero lì. Si, conoscevano il padre di Page, ma sapeva benissimo che non era quello il motivo, c’era ben altro sotto.  In fin dei conti in quel momento, non le importava, aveva solo bisogno di supporto, di qualcuno che la capisse. Raggiunse la sua “matrigna”, Celine.
“Celine.”  Solo quel nome le fece tornare in mente quanto fosse importante per lei quella donna, forse era l’unica certezza che aveva ora. Era sempre stata una figura da seguire, era incredibile in tutte le sue azioni agli occhi di Page. Per lei era la mamma che non aveva mai avuto.
La donna si girò, cercando di rivolgerle un sorriso “Page. Come stai?”
“sto. Hai presente quando non hai nulla a cui aggrapparti. Questa è la mia situazione.” Abbassò lo sguardo cercando rifugio in qualcosa che l’attirasse, in modo da non esplodere a piangere.
“ricordati che lui non vorrebbe questo da te. Eravate entrambi forti. Lui ora non è qui con te,ma tu devi continuare ad esserlo come hai sempre fatto , per renderlo felice anche lassù.” Sorrise e indicò il cielo con un dito. Appoggiò le sue mani sulle spalle di Page, per poi racchiuderla in un abbraccio.
“ora ti lascio che devo fare il mio discorso tra poco”. Pronunciò quelle parole a fatica. Era un peso troppo grande per una ragazza di diciassette anni. La paura di non poter rappresentare il proprio padre nel migliore dei modi, la paura di crollare davanti a più di cinquecento persone, la paura di deludere , di non essere quello che si aspettano tutti.
Page Tears era questo: la paura. 
 
 
 
  
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