Una
vita lunga un’ora
Si
può vivere
anni talvolta senza vivere affatto,
e poi tutta la vita si
concentra in una sola
ora.
Oscar
Wilde
Gloss
era rannicchiato su una poltrona in pelle
nera, osservava l’andamento dei Giochi sul maxischermo della
stanza che gli era
stata assegnata in qualità di Mentore. Gli unici Tributi
rimasti in gara, oltre
a Cashmere, erano la ragazza del 4 e il ragazzo del 2. Una
possibilità su tre
di tornare a casa, nessuna di tornare alla vecchia vita. Il rimbombo di
un colpo
di cannone echeggiò nella stanza vuota. Lo sguardo corse
immediatamente allo
schermo, allarmato. Si rasserenò solo quando vide il ragazzo
del 2 estrarre la
lama della spada dal fianco della sedicenne del 4.
“Meno
uno.” pensò, protendendosi maggiormente verso
lo schermo.
Anche
ora, seduto al sicuro nella sua stanza, non
poteva fare a meno di sentirsi vicino a Cashmere. Sapeva che tutti i
gemelli
avevano un legame speciale, sua madre glielo aveva detto spesso, ma
quello che
esisteva tra loro era ben altro. Cashmere era la sua vita,
l’unica costante che
ci sarebbe sempre stata.
Un
fulmine illuminò il cielo plumbeo che sovrastava
il campo di grano di quella particolare zona dell’arena. Gli
Strateghi dovevano
essersi proprio divertiti un mondo nel realizzare
quell’ambientazione così
suggestiva; senza ombra di dubbio si trattava dello scenario perfetto
per lo
scontro finale. Quel grano poi, talmente alto da potercisi nascondere
agevolmente, era insidioso e poteva rappresentare sia un punto di forza
che di
debolezza. Tutto dipendeva da chi sarebbe arrivato per primo sul posto.
La
prima ad apparire fu Cashmere, con i capelli
dorati arruffati e la fronte graffiata, ma pur sempre bellissima. Si
guardava
attorno guardinga, nelle mani stringeva gli ultimi pugnali che le erano
rimasti. Subito dopo comparve il colosso del 2.
Gloss
non era mai stato un ragazzo minuto, ma quel
bestione avrebbe fatto sfigurare persino lui, figurarsi una ragazza
esile e
femminile come sua sorella. Era lui il vero Favorito, quello che
secondo gli
scommettitori sarebbe uscito dall’arena.
Quando
lo scontro ebbe inizio, si sorprese a vagare
con la mente. Ricordi della sua infanzia e dei primi anni
dell’adolescenza gli
affollavano la mente.
Lui
e Cashmere al loro quarto compleanno, il primo
di cui conservasse ricordi vividi. Durante i festeggiamenti, quando era
ormai
arrivato il momento dei regali, Gloss aveva esibito con orgoglio il set
di
pugnali che suo padre gli aveva regalato. Era un giovane combattente,
ormai,
presto avrebbe potuto cominciare ad allenarsi. Cashmere, invece, aveva
storto
il naso davanti alla collana con il ciondolo in zaffiri che le avevano
donato.
Voleva anche lei un pugnale, partecipare ai Giochi e vincerli.
L’anno
seguente, il primo giorno al centro
d’addestramento del Distretto. Ricordava l’emozione
che gli attanagliava lo
stomaco, la felicità nello scoprire che anche Cashmere aveva
ottenuto il
permesso di andare con lui.
E
poi, ancora, Cashmere gelosa di Honey e lui che
non poteva fare a meno di picchiare tutti coloro che si avvicinavano
troppo
alla sua sorellina.
“Tu
sei mio e io sono tua.”
“Tu
sei mia e io sono tuo.”
Quella
rivendicazione, che nulla aveva in termini di
sentimento amoroso, ma che presupponeva la totale unione delle loro
vite.
-
Non farti ammazzare, Cash. – sussurrò, rivolto
allo schermo.
Continuò
a seguire lo scontro, rilassandosi solo
quando, dopo decisamente troppo tempo, Cashmere tagliò la
gola del ragazzo con
un movimento repentino del polso. Il colpo di cannone
annunciò la morte del
Tributo e la sua proclamazione come vincitrice.
Un’ora.
Quel dannato scontro era durato un’intera
ora. Non ricordava che a memoria di uomo ci fosse mai stata una finale
così
combattuta in tutta la storia degli Hunger Games.
Sospirò,
lasciandosi cadere contro lo schienale
della poltrona. Si era chiesto come avrebbe potuto continuare a vivere
senza di
lei, come sarebbe stato possibile chiamare vita un’esistenza
senza il sorriso
di Cashmere che gli scaldava il cuore.
Non
sarebbe stata vita, ecco la semplice risposta.
*
Erano
passati anni da allora, ma quella promessa era
rimasta. Si appartenevano a vicenda, erano uno la vita
dell’altra, e lui non
l’avrebbe uccisa. Aveva preso quella decisione nel momento
stesso in cui aveva
sentito chiamare il suo nome. Cashmere non sarebbe morta, non per mano
sua per
lo meno.
-
Come ti senti? –
Sussultò,
colto alla sprovvista dall’arrivo della
sorella.
-
Sto bene. –
Era
una bugia, ma non voleva rovinare gli ultimi
momenti che restavano loro con le sue stupide paranoie.
-
Lo sai che capisco sempre quando menti, vero
Gloss? –
Sì,
lo sapeva.
Cashmere
lo guardò con aria seria, - Non dirmi che
stai pensando di fare qualcosa di stupido. –
Gli
rivolse il migliore dei suoi ghigni ironici, -
Mi conosci, sai che non posso farne a meno. –
-
Non farti ammazzare per me, Gloss. – replicò,
mantenendo una serietà assoluta che contrastava
incredibilmente con l’immagine
che avevano di lei in tutti i dodici Distretti.
-
Non posso prometterti nulla, Cash. –
Poi
aggiunse, visto che stava per replicare con
qualcosa di esasperante, - Per favore, non litighiamo, non ora che
rimane solo
un’ora. –
Cashmere
annuì, accoccolandosi contro il suo petto
muscoloso e lasciando che il fratello la stringesse in un abbraccio
carico di
significati.
“Quella
volta non sarebbero bastati sessanta minuti
per ripercorrere tutta la vita; se avesse vinto i Giochi, avrebbe
continuato a
camminare e mangiare, parlare e respirare, ma non sarebbe stata vita.
La vita
che gli rimaneva da vivere, quella vera, era racchiusa in quegli ultimi
momenti. Dopo tutto ciò non sarebbe più stato
nulla.” pensò, affondando il
volto nella chioma dorata della sorella e riempiendosi le narici di
quel lieve
profumo di cannella che aveva caratterizzato tutto lo scorrere della
sua vita.
[918
parole]