CIAO A TUTTI!
Ho alcune
storielle brevi ma non volevo lasciarle piccole briciole di pane.
Preferisco assemblarle
tutte in una unica pagnotta, pertanto ve le rifilo come letture brevi,
leggere
e senza impegno.
Questa in
particolare ha partecipato a un contest. Mi è piaciuto
perché inseriva diversi
paletti e io adoro costruire attorno a punti fissi.
Il
contest consisteva nell’inserire dieci parole fisse (ne ho
inserite nove) all’interno
del tessuto narrativo, che troverete in neretto, (cosa di cui mi vanto
di
essere un genio, visto cosa riesco a fare con i nick e chi ha letto le
mie
comiche lo sa bene), descrivere inserendo i due protagonisti fissi: uno
è
Trevor Donovan, un fustacchione americano decisamente arwghhhh! (bava)
e lei è
Giulia Arena, miss Italia. Dovevamo anche trarre ispirazione e seguire
il senso
di una canzone (Mirror di Justin Timberlake per me) e su questo
confesso di
peccare un po’.
Io ho
shakerato
il tutto e mi è uscito questo.
E
adesso…
BUONA LETTURA!
ANCHE
I MAESTRI SBAGLIANO.
«Maria!
Mi presti Federico?»
urlai dal bagno.
Mettere
a posto questi
capelli era un’impresa. Per non parlare di tutto il resto.
Provai ancora con un
po’ di gel. Ecco, forse così poteva andare.
Accidenti! Potevo evitare di farmi
la barba! Quante volte Maria mi aveva detto che stavo meglio con
qualche pelo
in più? Sì, ma poi chi la sentiva la mamma con le
sue urla per come ero
disordinato. Già tanto che riuscivo ad evitare la leccata
per sistemare il
ciuffo di capelli!
Tutta
colpa del bisnonno. Nel
bel mezzo di una popolazione mora e dalla pelle scura, bassa e un
po’
tarchiata, io spiccavo come un semaforo in mezzo al deserto.
Alto
un metro e ottantotto di
figaggine piena di muscoli e addominali scolpiti, come asserivano i
miei amici,
mi sentivo uno straniero a casa. Sembravo un americano venuto in Italia
per le
vacanze.
Osservai
il mio riflesso allo specchio.
Biondo, occhi
azzurri, naso fino, mascella più o meno pronunciata (meno
male che non sembravo
mascellone Ridge che adorava mia madre, altrimenti sì che
avrei fatto
volentieri la plastica) e labbra carnose che però a me
sembravano molli. Ma
tant’è. Questo è quello che passava il
convento (o i geni del bisnonno
Trevor Donovan arrivato direttamente
da Bishop, California per la seconda guerra mondiale, fermatosi a
sposare una
certa Maria Fernanda Rizzuto e a procreare con lei una nidiata di
pargoli da
poter allestire una intera squadra di calcio).
Pazzesco!
In tutto il mondo
c’era gente che andava in America e lui invece emigrava in
Italia! Così io che
gli somigliavo come un clone e sembravo un californiano venuto su a
sole e
hotdogs, in realtà mi mangiavo arancini e babà.
Pure
il nome Trevor mi
avevano affibbiato. Ma che me ne facevo di un nome americano come
Trevor
Donovan (ebbene sì, discendenza diretta da maschio a
maschio, ne portavo ancora
il cognome), se sulla mia carta di identità mi trovavo
“cittadinanza italiana”?
perciò, per tutti ero Toni. Toni Donovà.
Età venticinque anni. Felicemente
disoccupato in attesa di fare qualcosa.
Nel
frattempo occupavo il mio
tempo facendo quello che, per qualsiasi maschio della mia
età, era
l’occupazione principale: andare a caccia di ragazze.
Mi
osservai ancora una volta,
passandomi una mano sulla guancia. E che cazzo! Non ero male! Anzi, ero
davvero
un gran bel figliolo, come diceva nonna Nina.
«Maria!
Mi presti Federico?»
urlai ancora.
Era
giornata di compere. O
meglio, era giornata di caccia per avere una ragazza con cui uscire
sabato
sera. Non si poteva aspettare sabato pomeriggio, non sarebbe stato
carino.
Meglio organizzarsi il venerdì pomeriggio. Quindi mi auto
punivo, offrendomi
volontario per andare a fare la spesa.
Ricordo
ancora quando Nicola
mi aveva incontrato, fermando di botto la sua moto
blu inchiostro, e
mi aveva sommerso di domande per il fatto che spingevo un passeggino
stracarico
di borse e avevo un bimbetto biondo in braccio.
«Da
quando hai un figlio?».
«Idiota!
È figlio di mia sorella.
Sono solo andato a fare la spesa e me lo sono portato dietro»
spiegai.
«Rosa ha un figlio?» chiese con
tanto d’occhi. Due volte idiota.
«Maria.
Razza di imbecille!»
risposi. Ci mancava solo che la mia sorellina si mettesse nei guai. Era
già
bastato che Maria fosse stata costretta a sposarsi. Nonna Nina sarebbe
morta di
dolore.
«E
perché te lo porti
dietro?». Svelare il mio segreto o non svelare? Ma
sì, dai. Sono sempre stato
generoso, io!
«Non
sai quanto si becca al
supermercato con un bambino piccolo. Le donne fanno a gara per essere
carine e
tu devi solo scegliere». Risposi gongolando.
«Hai
trovato la tipa per
domani?» chiese con invidia.
«Due,
devo ancora scegliere.
Magari una me la tengo buona per domenica. Ora scappo che mi aspettano
e il
signorino deve essere cambiato». Nicola si era allontanato
sgommando e
rosicando e Federico aveva fatto la faccia di chi sta per riempire il
pannolino.
Okay.
C’era anche il rovescio
della medaglia e non era proprio profumata all’acqua
di colonia.
Finalmente
mia sorella
rispose.
«Che
ti serve Federico
adesso? sta ancora facendo il sonnellino. Non ti basta una foto per oggi?».
Sì, lei sapeva. D’altronde era la madre ed era
stata beccata un paio di volte da varie conoscenti, che le facevano i
complimenti per suo bel marito biondo che si curava così
bene del piccolo,
mentre faceva la spesa. Considerando che Michele era pelato, o si
trattava di
sequestro di persona o avevo combinato qualcosa. Per fortuna non sparse
la
voce, ci rise sopra borbottando qualcosa che suonava più o
meno «Se le ragazze
si fanno infinocchiare così, affari loro». E poi
parlano di solidarietà
femminile!
«Certo,
e dovrei andare tra
gli scaffali con il cellulare
in mano tipo un rabdomante?».
«L’hai
già fatto!» rispose.
«Infatti,
per mostrare altre
foto di Federico, visto che l’originale lo avevo
lì ad attirare l’attenzione!
Sembrerei un maniaco se fermo una tipa e le dico “guardi il
mio bambino”
mostrandogli un video». In realtà ci avevo
già provato e la tizia in questione
si era messa a urlare facendo arrivare un commesso e mettendo me in
fuga.
Meglio non replicare. Mi serviva l’originale in carne e ossa.
«Okay,
va bene. Federico si
diverte sempre con te. Cerca solo di non esagerare come al solito.
L’ultima
volta ha borbottato una parola che suonava come
“pompa” e detto da te non oso
immaginare il contesto della frase». Orami Federico aveva due
anni e mezzo e
bofonchiava mezze parole. Tra poco avrebbe iniziato a parlare bene ed
era
meglio che non ripetesse quello che lo zio diceva mentre era a
“caccia”. Doveva
solo guardare e imparare dal maestro! Cioè, moi!
Felice
e giulivo, presi in
custodia il mio piccolo complice, la lista della spesa e i soldi e
partii alla
volta del mio campo di raccolta differenziata.
Cominciava
a fare caldo e le
ragazze indossavano canotte sempre più striminzite e
pantaloncini sempre più
corti. Una gioia per gli occhi. Anche Federico cominciava ad apprezzare
quel
tipo di fauna, visto che normalmente puntava sempre un bel paio di
cosce se gli
si posizionavano altezza occhi (visto che lui era sul passeggino).
Entrai
nel supermercato con
un sorriso stampato in faccia, talmente ampio che mi si poteva vedere
anche la
cicatrice delle tonsille tolte a dieci anni. Ero contento e pronto per
la mia
battuta di caccia. Chi mi avrebbe fermato?
Cominciai
a bighellonare tra
gli scaffali pieni di merce. Passata, fagioli, pasta, tonno,
patatine… queste
non c’erano sulla lista ma per me erano fondamentali,
sgrassatore… eh?
Pannolini per la nonna? Ma, no! Per Federico tanto quanto, ma per nonna
Nina? E
pure della determinata marca blu. Cosa ne fregava se prendeva un altro
marchio?
Non se la faceva più addosso? Ecco cosa succedeva ad abitare
tutti nella grande
casa!
Già
questa incombenza aveva
lasciato un alone scuro sul mio pomeriggio in missione.
Arrivai
nel corridoio con i
prodotti per l’igiene intima (chissà
perché dei piani bassi si pensava sempre e
solo alle donne, come se noi maschietti fossimo dotati del sesso degli
angeli).
Federico
gorgogliò e batté le
mani sul fermo. Era il segnale convenuto: pulzella a ore 12, proprio
davanti
agli assorbenti.
Meglio
di così non poteva
andare! Quale miglior richiesta di aiuto che i pannoloni per la cara
nonna
inferma? Okay, inferma un par di balle, visto che riusciva ancora a
corrermi
dietro con la scopa di saggina e a tirarmi addosso le zoccole, ma non
tutti lo
dovevano sapere.
Sembrava
assorta in qualcosa
ed io mi presi tutto il tempo per osservarla meglio.
Capelli
lunghi lisci, castano
chiaro. Zigomi alti, definiti, mascella volitiva, naso importante ma
non
eccessivo, sopracciglio fino e curato. Si manteneva bene, almeno la
parte
sinistra che potevo vedere io. Aveva una specie di grembiule di cotone
verde
bottiglia, come quello delle commesse dei supermercati. Forse lavorava
qui.
Pantaloni
bianchi e sandali
bassi. Era alta. Non come me, ma un rispettoso metro e settanta, dal
più al
meno.
Come
se avesse sentito il mio
sguardo si voltò nella mia direzione. Zeus! Fulminami
immediatamente! Grazie
per questo regalo! Un paio di
occhi
verdi mi trapassarono, una bocca disegnata da Picasso quando non era
ancora
andato fuori di testa, era atteggiata in un adorabile broncio che ne
evidenziava la forma. Arco di cupido sopra e due ciliegie sotto. Un
amore. E la
fossetta del mento mi diede il colpo di grazia! Preda trovata!
Raddrizzai
le spalle e
avanzai lentamente spingendo il passeggino, con le borse appese e il
foglio con
la lista in bilico tra le dita. Sorriso delle grandi occasioni e occhi,
speravo, brillanti.
…
e lei si girò, come se non
mi avesse notato.
Bastava
questo a fermarmi?
Solo il 31 settembre.
«… Cause I don't wanna
lose you now
I'm lookin' right at the other half of me
The biggest scene is set in my heart
There's a space, but now you're home …» sentii
canticchiare. Aveva
gli auricolari, ecco perché non mi aveva notato,
era distratta.
Mi
avvicinai e,
evidentemente, notò il movimento perché mi
sbirciò di nuovo più consapevole.
«Justin
Timberlake? Davvero?»
feci un pochino scettico. Non era male, ma c’era di meglio in
radio.
Si
voltò completamente verso
di me e tolse un auricolare, lasciandolo penzoloni.
«Senti
Ken, torna dalla tua
Barbie con la vostra Skipper e lasciami in pace con i miei gusti
musicali» e
fece per rimettersi l’auricolare.
Non
doveva isolarsi o non
avrei cavato un ragno da un buco! E io volevo cavare ben di
più.
«Lui
non è Skipper. Potrebbe
offendersi». Mettere sempre in primis il bimbo. Nessuna
femmina avrebbe potuto
essere cattiva con un cucciolo di uomo così carino.
«Che
ne sai? Magari da grande
diventa gay e fa il travestito. E poi ho sentito dire che anche i Ken
grandi
hanno qualche problema» si voltò per prendere un
pacchetto di assorbenti e fece
un passo per allontanarsi.
Fissai
in faccia Federico che
si era girato per guardarmi. Da quando in qua si parlava
così di un frugoletto
tanto carino? Ma quella non era una ragazza! Sicuramente uno dei due
cromosomi
X si era perso per strada.
«Ehi,
Grinch. Mi puoi aiutare
per questi pannolini o cosa sono?» la bloccai prima che
sparisse.
«Grinch?».
Sollevò scettica
un sopracciglio.
In
quel momento passò di lì
una biondina slavata, alta un metro e un tappo con un prendisole rosa
shocking.
Si posizionò davanti a Federico e si abbassò per
avere la il suo faccino ad
altezza occhi, regalando a me un notevole scorcio delle sue colline.
«Ma
che bel bambino! Cosa ci
fai con il papà? Fai la spesuccia? Che ammmore!»
chiosò garrula.
Feci
un gran sorriso e
guardai la moretta-grinch indicando la bionda con fare ovvio. Era
così che ci
si doveva comportare.
«Eh,
sapesse che fatica farmi
aiutare da mio marito! Fare la spesa è un incubo. Andrebbe
solo al bar a
passare il tempo, se fosse per lui».
Spalancai
occhi e bocca. Mi
ero trovato sposato senza neanche andare davanti al parroco? La
brunetta-grinch
giocava sporco!
Come
era prevedibile, la
biondina prese la via di fuga più vicina e sparì
più velocemente di Harry
Potter sotto il mantello dell’invisibilità. La
moretta-grinch sghignazzava
soddisfatta.
«Ti
sembra il caso? Ci ho
fatto un figlio con te, non mi denigrare in questo modo davanti agli
altri».
Fare il simpatico e stare al gioco. Altro metodo, più
disinibito ma comunque
efficace.
«Sogna.
Allora? I pannolini
sono per te o per il pupo?» chiese con le braccia incrociate
sotto il seno che
si sollevò invitante. Faceva caldo anche con
l’aria condizionata.
Notai
il cartellino appeso al
grembiule. “Giulia A.”. beh, Giulia-grinch, meglio
di brunetta-grinch, era più
identificabile.
«Ti
sembra che sia
incontinente? Per la nonna. Ha chiesto questi» e le indicai
la marca sulla mia
lista.
«Hai
ragione. Per te
direttamente il catetere. Per tua nonna sono questi» rispose
raccogliendo un
pacchetto dall’ultimo ripiano in basso. Controllai e in
effetti dalla
descrizione degna di un disabile, si poteva intuire che erano proprio
quelli.
Mia madre doveva scrivere meglio le cose!
«Posso
andare o hai bisogno
di altro sostegno?» chiese ancora sforzandosi di non ridere.
«Usciresti
con me, domani
sera?». Cazzo! Che stavo dicendo? Ma non dovevo lavorarmela
ancora un poco?
Così andavo in bianco che neanche il Dash lavatrice sarebbe
riuscito ad
ottenere!
In
effetti rimase basita pure
lei per la mia uscita infelice e precipitosa.
«Oh…
beh…» balbettò,
momentaneamente scollegata all’hardware bocca –
cervello. Poi la salvò il
cellulare e a me toccò rimanere in attesa.
«Ciao,
Maria».
Maria?
Seh, mica era mia
sorella! Sai quante Marie esistono? A partire dalla Madonna, milioni di
milioni!
«Sono
al supermercato un
attimo. Indovina chi c’è davanti a me?».
Ecco,
questo già mi piaceva
di meno come affermazione.
«Esatto,
con Federico… sì sta
bene e sorride contento, anche se non capisco come possa farlo in
compagnia di
tuo fratello…».
Fottuto?
Sì, presente!
«Tra
cinque minuti torno in
ambulatorio, puoi portare Apollo quando vuoi. Anche adesso».
Apollo?
Perché doveva portare
il cane da Giulia-grinch?
Socchiusi
gli occhi e la
squadrai per benino in tutta la sua figura. Camice verde, pantaloni
cotone
bianchi, sandali bassi. Cane… veterinario?
«Okay.
Ci vediamo tra poco».
Chiuse la telefonata e mi fissò sorridente.
«Toni,
mi dispiace ma con me
non attacca. Per domani niente, ma sei stato divertente…
ritenta magari sarai
più fortunato» e mi fece l’occhiolino
per poi rivolgersi a mio nipote «Ciao,
Fede».
«Ciao,
Guglia» rispose
Federico.
Traditore!
Il bambino la
conosceva e lei conosceva lui!
Ma
dove era stata nascosta
fino ad ora?
Okay!
Missione? Alla
conquista di Giulia-grinch-dottoressa Doolittle!
Presi
il cellulare e
schiacciai la chiamata rapida. «Maria? Senti, aspetta a
portare Apollo dal
veterinario, lo accompagno io!».
Mai
arrendersi. Fissai
Federico negli occhi, mentre spingevo il passeggino pieno di acquisti
verso
casa.
«Sebbene
oggi tu possa dire
che “Anche i maestri sbagliano” ricordati che non
devi mai arrenderti e devi
sempre crearti una nuova occasione per arrivare dove vuoi».
Grande lezione di
vita!
Che
zio fico che ero!
---ooOoo---
Angolino
mio:
eccoci
alla fine.
Questa
storiella è comica
e… con un finale totalmente aperto. Lui potrà
provarci ancora, non è detto che
lei risponda di sì, ma neanche di no.
Abbiamo
una morale a parte
la chiara stronzaggine dell’individuo in questione? Creiamoci
le occasioni per
arrivare dove vogliamo.
Anche
i maestri che
sbagliano a volte hanno dei lampi di genio.
Il
mio giudice di contest
in questo caso mi ha segnalato che nella storia compaiono due errori
senza
specificare quali. Riusciamo a trovarli?
Grazie
per l’attenzione,
per la lettura, l’apprezzamento e
Alla
prossima
baciotti