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Autore: Il_Coso    18/03/2014    1 recensioni
C'è un luogo, su Gallifrey, dove non è permesso entrare. Sembra una grande serra, e lì ci vengono allevate le Tardis.
Come sfida, i bambini cercano di entrarci, di esplorarla. Soprattutto senza farsi beccare. Bisogna avere coraggio, per fare un tentativo.
E un piccolo Signore del Tempo è particolarmente scettico all'idea di mettersi nei guai.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - Altro, Master - Altro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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DI CORSA


Siete mai stati in una serra? O in un parco botanico? Sapete, uno di quei posti enormi e pieni di verde, di mille piante diverse, ognuna con un suo colore e una sua forma e un suo profumo, e dei sentieri, magari, ricoperti con ghiaia, punteggiati da panchine di legno per quelli che vogliono riposarsi un po' durante la passeggiata, e tutto questo racchiuso da muri di pietra e cancelli...
Mai visto un posto del genere? Beh, non importa. D'altronde, il posto che voglio descrivervi non ci assomiglia per niente.

Su Gallifrey, prima che il pianeta venisse spazzato via dalla guerra, c'era un grandissimo campo di terreno, che si trovava non lontano dal luogo dove si apriva lo Scisma Incontrollato ed era possibile dare un'occhiata al Vortice. Tutti i bambini di Arcadia vi si erano avventurati, nel tratto più esterno, come prova di coraggio: era una condizione fondamentale per guadagnarsi il rispetto dei propri coetanei. E ciò che rendeva interessante la sfida, ovviamente, era che l'accesso a quel campo fosse rigorosamente proibito.
Perchè in quel campo venivano allevate le Tardis.
C'era una sola recinzione, sottile e di legno, ma in realtà non serviva: bastavano i minacciosi rumori prodotti dal metallo che germoglia, cresce e si fortifica a tenere lontano chiunque non fosse uno degli specializzatissimi operai che lavoravano nel campo. Costoro arrivavano tutte le mattine, superavano i filari delle viti telepatiche e gli alberi di legno-ferro ed entravano nel grande, scuro magazzino che conteneva tutti gli attrezzi necessari ad accudire i giovani pezzi di Tardis. C'era molto da fare, perchè allevare le Tardis è uno dei lavori più difficili di tutto l'universo: bisognava smacchiare i laghi di vernice cambiacolore, controllare che i prati di bulloni e ingranaggi fossero ben oliati, dare da mangiare ai ragni di Vitrum che producevano il particolarissimo cristallo che veniva adoperato per i monitor. Senza dimenticarsi di educare gli interfaccia a grappolo a essere gentili e responsabili, nè di cercare ogni mattina i circuiti Camaleonte maturi, che ovviamente erano difficilissimi da trovare.
Naturalmente, tutta la baracca non si mandava avanti da sola. Serviva qualcuno che sapesse il fatto suo. Uno pratico e capace, che sapesse esattamente cosa andava fatto, come, e quando. Un esperto.
Grazie al cielo c'era il Giardiniere.
Aveva dedicato tutte e dieci le vite che aveva vissuto finora, per un totale di tremila anni, a prendersi cura delle piccole Tardis. Il Giardiniere aveva i capelli grigi, stava stempiando, e la sua pelle era rugosa e bruciata dal sole, indossava camicioni a quadri con le maniche tirate su e aveva la voce roca e burbera di chi è più abituato a borbottare rivolto a se stesso che non a parlare con gli altri. Lui sì che sapeva il fatto suo: dei fatti altrui, d'altronde, non gli importava un fico secco.
Il Giardiniere era a conoscenza di tutto quello che accadeva nel suo campo; non gli sfuggiva nulla. Nemmeno le incursioni temerarie dei bambini della città. Soprattutto quelle: le aspettava preparato, con il cappello di paglia in testa e una bella vanga in mano. Lo facevano morire dal ridere, quei marmocchi.

***

Il ragazzino sbirciò il campo delle Tardis da dietro la roccia. Aveva i capelli corti, neri, e la fronte coperta di goccioline di sudore.
-Ti tocca, amico!- esclamò un altro ragazzo, più grande e corpulento.Fece un sorriso ironico e lanciò al ragazzino un'occhiata che non farete fatica ad immaginare: in tutto lo spazio e il tempo, i bulli hanno sempre lo stesso sguardo. Il ragazzino si sentiva paralizzato. Per fortuna un terzo bambino, simile a lui, ma biondo, emerse dal gruppetto che stava fissando la scena, lo afferrò per il vestito e lo spinse verso il campo.
-E muoviti, dai- gli sussurrò.
-E tu saresti amico mio?- borbottò il primo.
-Per l'amor di Dio, l'abbiamo fatto tutti, vedi di spicciarti!- gli disse ancora il biondo prima di dargli un altro spintone che lo fece uscire fuori dal nascondiglio.
Ormai non c'era altro da fare. Il ragazzino si mise a correre. La distanza dal campo diminuiva sempre più; il problema era che per guadagnarsi il rispetto degli altri, però, doveva entrarci e restarci per un po'. La prospettiva non lo attirava per nulla, ed esitò un secondo desiderando di essere da qualunque altra parte, prima di decidersi.
Stava saltando sotto i primi tralci di vite telepatica, quando tutti i rumori che aveva sentito fino a un attimo prima (cinguettio di uccelli, turbine lontane che giravano, le suole delle sue scsarpe che battevano il terreno) si zittirono improvvisamente. E quindi la voce divertita del ragazzo corpulento che gli urlava dietro «Codardo!» era sicuramente frutto della sua immaginazione.

Scosse la testa e si guardò intorno cercando un posto sicuro in cui restare per una decina di minuti prima di uscire e far finire quell'incubo. Perchè dovevano fare queste stupidaggini? Lo sapevano tutti che se ti beccava un addetto alla sicurezza ti prendeva per le orecchie e ti portava dai tuoi genitori senza neanche farti toccare terra. Il ragazzino aveva degli amici che erano stati beccati. Le loro orecchie non erano più state le stesse.
Ancora peggio se era il Giardiniere in persona a prenderti! Menomale che non riusciva andare molto veloce a causa dell'età. Però giravano voci su quello che avrebbe fatto se fosse riuscito ad afferrarti con quelle sue mani nodose... Diciamo che vedertelo zoppicare incontro a tutta velocità agitando una pala poteva darti qualche suggerimento.
Ora il ragazzino era arrivato in quello che altrove sarebbe potuto sembrare un orto delle zucche; l'unica differenza era che quelle cose rotonde avevano le dimensioni di tavole da pranzo, erano tutte lisce e di metallo, e sembravano ticchettare. Si accucciò dietro la più grossa. Era il luogo perfetto:  quegli affari lo nascondevano quasi completamente e il ticchettio avrebbe coperto gli eventuali rumori che avrebbe fatto muovendosi. Si sentì soddisfatto e relativamente al sicuro.
Poi toccò per sbaglio la zucca dietro cui si stava riparando. Solo che non era una zucca. Era una campana d'allarme.
Subito quella cosa cominciò a ululare, a strillare, bippare, rintoccare, cigolare. I cuori del ragazzino persero un paio di battiti e lui balzò in piedi, terrorizzato da quanto stava per succedere. Probabilmente si stavano già precipitando lì. Scattò, e si diresse verso quella che sperava fosse la direzione giusta.
Si fermò solo quando non ebbe più fiato. La campana d'allarme suonava ancora in lontananza, e il ragazzino sperava con tutto se stesso che avesse attirato lì ogni singolo operaio del campo.
Improvvisamente calò il silenzio; qualcuno aveva spento la sirena. Ora che non si udiva più alcun rumore, ogni singolo fruscio sembrava amplificato. Il ragazzino si trovava in una sorta di bosco, con gli alberi dai tronchi larghi e lisci e argentati tutti attorno a lui. Ormai non gli importava più della scommessa, dei suoi amici, di niente. Voleva solo uscire di lì il prima possibile. Possibilmente, senza aver avuto l'occasione di incrociare il Giardiniere. O la sua pala.
Si avvicinò a uno di questi tronchi, incrociando le dita. Forse poteva aspettare lì qualche minuto prima di correre alla staccionata, senza che nessuno lo...
-Ehi tu!- gracchiò una voce lì vicino.
Oh, no.
-Marmocchio, se ti prendo...- esclamò la stessa voce gracchiante. Il ragazzino non aveva dubbi su chi ne fosse il proprietario. E infatti il Giardiniere sbucò da dietrò uno dei tronchi non molto distante. Tra le mani reggeva la famigerata vanga.
-Mi scusi, non volevo!- balbettò il ragazzino indietreggiando in fretta. Andò a sbattere contro uno dei tronchi, e un rumore sordo rimbombò nella radura.
Lo spavento fu troppo per i nervi del ragazzino. Schizzò via come una scheggia, mentre il Giardiniere, dai riflessi troppo lenti non potè fare altro che agitare un po' le braccia e brontolare mentre guardava filare via.
Il ragazzino era ormai sparito dalla sua vista, quando uno degli operai arrivò correndo.
-Co-cos'è successo?- ansimò, senza fiato. -Ho sentito un rumore... Hanno danneggiato... qualcuna... delle cabine?- boccheggiò ancora.
-No- ringhiò il Giardiniere, avvicinandosi al tronco su cui aveva sbattuto il ragazzino. Lo riconobbe; era stato piantato parecchi anni prima. Strano che non fosse ancora sbocciato come avrebbe dovuto. Ormai le nuove cabine che piantavano erano molto più moderne; quella roba, un modello 40, era ormai un pezzo da museo.
Il Giardiniere scrollò le spalle. Con tutto il tempo che era in ritardo, tanto valeva aspettare che maturasse.
Voltò le spalle al boschetto e soffocò a fatica un sorriso. Si avviò lento verso il magazzino centrale, la vanga appoggiata alla spalla. Ancora una volta, aveva fatto la sua scena.

Era quasi sera quando il ragazzino risbucò dal campo e si diresse in fretta verso la pietra dove aveva lasciato gli altri. A lui sembrava passato molto meno tempo, ma nessuno dei bambini poteva immaginare che ogni tanto il tempo dentro e fuori da lì scorreva in modo diverso.
Quando raggiunse il nascondiglio, ad aspettarlo c'era solo il bambino un po' più piccolo, quello che lo aveva spinto fuori.
-Era ora, ce ne hai messo di tempo- esclamò quando lo vide.
-C'era il vecchio in giro- spiegò il ragazzino. -Dove sono gli altri?-
-A casa... sai che se si torna con il buio si rischia la punizione. Anzi, diamoci una mossa se non ne vogliamo una tutti e due- spiegò l'altro, mentre entrambi si incamminavano verso la città. Il ragazzino annuì. Non disse «grazie» per averlo aspettato, ma sapevano entrambi che era sottinteso.
Dopo un minuto di silenzio, il bambino domandò:
-Allora, come è stata quest'avventura... Dottore?- chiese, sottolineando pesantemente l'ultima parola, come per prenderlo in giro.
-Oh, piantala! Sai che non sono ancora sicuro di volermi chiamare davvero così.- Pausa. -Comunque sono rimasto lì dentro molto più tempo di te... Maestro!- rispose, facendogli il verso. L'altro gli rispose con una linguaccia, e poi con uno spintone.
Il ragazzino lo spintonò a sua volta. Tempo dieci minuti, si ritrovarono entrambi a rotolare nell'erba, giocando a fare la lotta e ridendo. Il sole tramontò e spuntarono le prime stelle.
Sì, quella sera ci sarebbe stata una doppia punizione.




Salve a tutti voi! Dopo lunghi anni in cui non pubblicavo, ecco una semplice one-shot... L'idea di raccontare come crescono le Tardis era troppo stimolante per lasciarla perdere! 
Se avete voglia, lasciatemi un commentino per dirmi cosa ne pensate :)

Geronimo, gente!
  
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