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Autore: gwuncan99    19/03/2014    5 recensioni
Ci troviamo a New York, dove tutto ebbe inizio.
Due ladri ricercati per loro vari precedenti, Duncan e Geoff, cercano di rapinare una delle tante banche della città, ma Gwen, la ragazza che stava lavorando lì, involontariamente, gli mette i bastoni tra le ruote. I due sono costretti a fuggire, portandosi dietro anche lei.
Sarà una fuga dalla polizia, da avvocati e spacciatori assetati di vendetta, in tutto gli Stati Uniti, tra Rave Party, rapine e traffici illegali.
Riusciranno i nostri tre fuggitivi a scappare dal loro destino?
Serie DxG
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Geoff, Gwen | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Gwen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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--->Capitolo XI

"No. No! NO! La mia auto. La mia bellissima auto!" lo stesso spagnolo che qualche ora fa si era presentato davanti la porta di Heather con fare elegante e malizioso ora piangeva come un bambino capriccioso, ridicolamente inginocchiato davanti la sua... "La mia bellissima auto! L'auto dei Burromuerto...a-andata...distrutta!" accarezzò dolcemente il cofano nero spaccato e sporco di terra della macchina, ammirandola come fosse una persona a pochi minuti dalla sua morte.
"Andiamo fratello! E' solo qualche graffietto!" lo tranquillizzò Geoff, che a stento riusciva a trattenere qualche risatina di presa in giro alal vista delle troppe attenzioni del ragazzo verso un catorcio; si avvicinò a lui dandogli una leggera pacca sulla spalla. "L'aggiusteremo noi! Io sono un mago della meccanica!" propose infine cacciando una chiave inglese dalla tasca e girandosela tra le dita con un sorriso convinto.

E intanto che il biondino si vantava delle sue abilità e che Heather guardava i ragazzi schifata a braccia conserte, io e Duncan eravamo accoccolati dentro l'auto a scrutare l'esilerante scena davanti a noi. Poggiai la testa -che mi girava tantissimo- sulla muscolosa spalla di Duncan, che sussultò leggermente al nostro contatto, ma si ricompose subito.
"Ehi..." mormorò con dolcezza vicino al mio orecchio, scostandomi delle ciocche di capelli che mi coprivano il viso. "Vuoi spiegarmi cosa ti è successo oggi?" domandò poi curioso, cercando di essere il più comprensivo possibile; mi strinse tra le sue braccia facendomi sentire al riparo da ogni male che mi circondava l'anima, e, dopo aver incrociato i miei occhi color pece con i suoi del colore del cielo, premette le sue labbra contro le mie intensificando pian piano quel meraviglioso bacio che solo lui sapeva darmi.

Mi staccai cautamente, incontrando di nuovo il suo sguardo nascosto nel buio della notte. Era un aspetto positivo per me; non si sarebbe accorto delle lacrime che lentamente avrebbero solcato le mie gote man mano che gli avrei raccontato tutto ciò che avevo provato e visto con i miei occhi. Nell'aria ormai dominava il silenzio, interrotto dai nostri respiri affannati e dai miei singhiozzi sommessi che aumentavano e che non riuscivo a fermare. Mi accarezzò delicatamente la guancia con l'indice, avvertendo quelle lacrime di tristezza che avevano bagnato anche le sue nocche fredde.
"Non piangere." sussurrò prendendomi delicatamente il viso con le mani, costringendomi ad alzare gli occhi lucidi, e baciandomi a fior di labbra, mentre le mie lacrime non la smettevano di scorrere. "Ti prego, non posso vederti così..." aggiunse poi con il fiato spezzato, azzerando nuovamente la nostra breve distanza. 

Oh, quelle labbra; quelle labbra che bramavo così tanto ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, ogni volta che le sue braccia mi stringevano forte, ogni volta che mi toccava.

"Ho visto mia madre." dissi d'un fiato, attirando l'attenzione del punk che mi abbracciava. "La mia vera madre..." specificai con la voce tremante, guardandolo nei suoi occhi che cercavano spiegazione. Giusto, lui non sapeva ancora della mia situazione familiare, o almeno una parte di quello che non gli avevo raccontato.
"Sai, io non l'ho mai vista, né lei né...mio padre." calcai l'ultima parola con disprezzo nella voce, abbassando lo sguardo sulle mie mani incrociate con le sue. "Ma l'ho riconosciuta subito, dai suoi occhi, i suoi lunghi capelli neri, la sua pelle candida...Sono identica a lei." accennai un sorriso amaro che veniva sfiorato da una candida e solitaria lacrima di nostalgia. "E ho scoperto come è morta..."
Duncan corrugò lo sguardo, che fino a quel momento era perso nel vuoto intento ad ascoltare le mie addolorate parole; mi guardò negli occhi, forse intuendo che quello che stavo per dire non sarebbe stato nulla di buono. 
"E' stata uccisa in un bosco, da mio padre." chiusi gli occhi per timore della sua reazione, ma quello che fece fu sgranare lo sguardo e balbettare suoni incomprensibili, segno che era veramente impietrito da quelle informazioni e dispiaciuto per me. "Lei era incinta di me quando accadde, ed io nel mio coma, o qualsiasi cosa fosse stata, ho assistito a tutta la scena..." non avevo più la forza e la volontà di continuare, per cui sprofondai sul petto del ragazzo lasciandomi trasportare da un pianto liberatorio. "I-io nel bosco...ho r-rivisto tutto...e-ero piena di sangue e...n-nessuno sa quanto dolore ho dentro..." singhiozzai scandendo con difficoltà le parole per cercare di far comprendere qualcosa a Duncan, visibilmente spaesato ed irrigidito dalle mie azioni. Restammo così, io tra le sue braccia e lui che mi accarezzava dolcemente la schiena provocandomi quel piacevole brivido, con il viso sui miei capelli scompigliati; ogni tanto mi regalava qualche bacio di conforto sulla fronte, ed io lo stringevo di più, in cerca di calore e affetto.
"AL FUOCO! AL FUOCO!" dal finestrino semiaperto ci arrivarono alle orecchie diverse urla terrorizzate ed indistinguibili che spezzarono quel rilassante silenzio creatosi nell'automobile, facendoci sobbalzare all'improvviso per la paura.
"Cos'è tutto questo fumo?" mormorai guardandomi attorno nel buio di quella nuvola tossica e nera , ma non ebbi nemmeno il tempo di comprendere cosa stesse succedendo che il punk mi prese per la vita aiutandomi ad uscire in fretta dall'auto. Mi sedetti affannata sull'asfalto dopo esserci allontanati abbastanza da quel catorcio, girandomi dietro di noi dove l'auto era appena esplosa rumorosamente.
"Cazzo.." sibilò Duncan mentre mi proteggeva con il suo corpo finché l'esplosione ed i pezzi volanti dell'auto non furono cessati. "GEOFF!" urlò arrabbiato più che mai in cerca del ragazzo, che si trovava a pochi metri da noi con una chiave inglese in mano e lo sguardo innocente.
"I-io...è stato un incidente!" balbettò una scusa per niente reale sentendosi osservato minacciosamente da tutti i presenti, tra cui lo sguardo assassino di Alejandro. "Amico! T-tanto era da buttare. Nemmeno un professionista l'avrebbe saputa aggiustare." si giustificò indietreggiando lentamente, mentre lo spagnolo si avvicinava sempre di più alla sua prossima preda.
"VIENI QUI STUPIDO IDIOTA!" iniziò un inseguimento spietato; Geoff urlava aiuto come una femminuccia, ed Al lo insultava sempre più pesantemente, lanciandogli tutto ciò che trovava nella sua strada.
"Ben gli sta." commentò Heather accendendosi con menefreghismo una sigaretta e cacciando una grande nuvola di fumo dalla bocca, invisibile nel cielo scuro illuminato solo da uno spicchio di luna e da qualche ammasso di flebili stelle.  In seguito, senza un motivo ben preciso, scoppiai a ridere fragorosamente tenendomi anche lo stomaco con le mani che sentivo sarebbe esploso da un momento all'altro per le risate, sotto gli occhi stupidi del punk e dell'asiatica.

***

Erano le sei del mattino, l'alba appena accennata all'orizzonte colorava il firmamento scuro di sfumature meravigliose che variavano sul rosa, giallo e rossiccio. Il venticello gelido ci sfiorava piacevolmente il viso, scompigliandoci i capelli che svolazzavano liberi nell'aria facendo compagnia al fumo delle sigarette, le solite Marlboro Rosse. Nessuno di noi quattro aveva avuto la possibilità di riposarsi, e durante quelle poche ore di tranquillità sul tetto di un palazzo qualcuno un po' pigro -come Geoff- si era schiacciato un pisolino beatamente accostato su Heather.
"Ma questo qui russa così fastidiosamente ogni volta che dorme?" commentò la ragazza squadrando il bell'addormentato; aveva le gambe accavallate su una pila di mattoni, le braccia sotto la testa ed il cappello poggiato sul viso, che si muoveva su e giù ad ogni suo respiro -fastidioso, appunto.
"Sì, ed io l'ho sopportato per anni." rispose ironicamente il punk con un sorriso beffardo sul volto. Mi accoccolai sul suo petto, permettendomi di chiudere gli occhi e lasciarmi andare da quella stanchezza, ma non mi sarei addormentata, lo sapevo, non ci sarei riuscita.

"Gwen..." la donna entrò di soppiatto nella cameretta blu notte. "Gwen, non volevo farti star male così, ma dovevi saperlo..." si sedette sul letto, dove io piangevo senza sosta dopo quello che avevo appena saputo dai miei presunti genitori.
Sono stata adottata.
"Io e tuo padre ti vogliamo bene come se fossi la nostra vera figlia..." continuò trattenendo le lacrime e accarezzandomi piano i capelli. "Ti prego..."
Dopo un lungo silenzio di riflessione, mi poggiai sul gomito sinistro, cercando di alzarmi e trovare lo sguardo della donna. Scoprii il viso rigato dalle lacrime e dal mascara colato facendo dispiacere ancora di più la mia madre adottiva.
Ero solo una tredicenne con ancora mille domande sulla vita, come potevo reagire ad una simile notizia?
"Chi sono i miei veri genitori?" domandai seria facendola rimanere di stucco.
"V-vuoi davvero saperlo?" era veramente spaesata, era rigida e non sapeva se guardarmi negli occhi o rivolgere lo sguardo in basso.
Feci un leggero cenno del capo, segno che sì, volevo sapere chi fossero.
"Beh..." fissò le sue mani che si  muovevano nervosamente sul piumone viola del letto. "Tuo padre era un militare e tua madre una normale ed umile donna canadese..."
"Erano?" la interruppi.
"T-tuo padre è morto i-in guerra. Tua madre dopo il parto non ce l'ha fatta più, pochi mesi dopo la scomparsa di tuo padre..." finì di spiegare esitante, abbracciandomi e lasciando la cameretta, senza proferire nessun altra parola.


Sapevo solo cazzate, solo cazzate per non soffrire, per non farmi soffrire. Mi nascondevano la verità. Io che avevo pieno diritto di saperlo, l'ho scoperto solo ora, dopo tanti anni, e nel modo più orribile possibile.

"Yaaaaaaawn...Buongiorno!" biascicò il biondino dopo un lungo sbadiglio; si stiracchiò goffamente e dopo essersi stropicciato gli occhi si guardò attorno. "Ma che ore sono?" disse spaesato. "E cos'è tutta questa serietà? 
In effetti lo osservavamo tutti con uno sguardo indifferente ed un silenzio tombale.
"Sono le 6:10." risposi io con una voce depressa e annoiata.
"Le 6:11." precisò Heather scrutando il suo orologio nero legato sull'esile polso.
"Ancora?!" urlò scioccato, scompigliandosi i capelli. "Ma che noia!"
"Non preoccuparti, tra un po' dovremmo farci una bella corsetta." lo tranquillizzò Duncan, controllando la strada sotto l'edificio dove sfrecciavano sempre con più frequenza diverse pattuglie. "La polizia ci sta ancora cercando." spiegò infine, facendosi scappare un ghigno maligno e divertito allo stesso tempo.
"Beh, e dove andiamo? Non ci stiamo avvicinando per niente a San Francisco." obbiettò Geoff stufo ma con una nota di delusione nel tono di voce. Quanto gli mancava Bridgette...
"Io forse ho la soluzione." si intromise Heather ambiziosa e sicura di sé, alzandosi dal posto e guardandomi sorridente. "Hai ancora il numero di Scott?" 
Sgranai gli occhi. Scott.
"S-sì..." ritornai in me cacciando dalla tasca il pezzo di carta con le cifre del numero; avevo le mani tremanti e la mente da un'altra parte, esattamente il giorno in cui partii verso New York.

Poggiai a terra i pesanti bagagli, girandomi poi verso il rosso che mi aiutava a trasportare qualche borsa. Feci un respiro profondo ed allacciai le braccia al suo collo.
"Grazie..." sussurrai, abbracciandolo il più forte possibile, quasi stritolandolo.
"Ti prego, ritorna a trovarmi quando puoi." mi supplicò lui, attirandomi di più a sé cingendomi i fianchi.
"Certo..." gli stampai un veloce bacio a stampo, ma prima che mi potessi staccare fui nuovamente ripresa, costringendomi a riassaggiare le sue labbra con più intensità e passione. 
"Ti amo." disse malinconico.
"Anch'io." abbassai la testa e recuperai tutti i bagagli, raggiungendo l'aereo che mi avrebbe portata a New York, che mi avrebbe allontanata da Scott.


"Potrebbe aiutarvi a noleggiare un elicottero, e in più so che sa guidare molto bene qualsiasi tipo di aeromobile." chiarì la sua tesi digitando il numero sul suo moderno cellulare nero touch screen, per poi passarmelo frettolosamente. "Parlaci tu."
"C-cosa? Io? Perché?" chiesi terrorizzata e spiazzata all'idea di dover parlare con Scott di cose di cui non ero nemmeno informata. "Sei tu quella più aggiornata! Diccelo tu!" protestai avvicinandole il telefono, ma lo scostò.
"No. Eri tu la sua migliore amica, se non di più." sottolineò a braccia incrociate e con una smorfia di presunzione.
Lanciai una breve occhiata timorosa a Duncan, che per poco non mi avrebbe bruciata viva con un solo sguardo. Sbuffai, arrendendomi alle pretese della ragazza testarda.
-Pronto?- la voce maschile e ben scandita risuonò all'improvviso nel silenzio dal telefono dopo vari squilli di attesa, facendomi irrigidire parecchio. Mi allontanai dai miei amici, cercando un angolo dove poter parlare con il ragazzo di cui ero stata follemente innamorata anni fa, e che ancora mi mancava da morire.
"S-Scott..."
-Chi è?-
"Sono io...Gwen." la voce non sembrava voler diventare più sicura; balbettavo ed ero agitatissima.
-Gwen?- richiamò il mio nome con uno strano tono, come per convincere se stesso di quello che avevo appena detto. -Gwen Carter?-
Mi aveva ricordata, e solo questo mi faceva sorridere involontariamente.
"Esatto..." mormorai accennando una breve risatina debole. Restò in silenzio per qualche secondo, il tempo di elaborare qualche frase di senso compiuto ed io di dare uno sguardo al resto del gruppo, che bisbigliava chissà cosa.
-Ma...Tu, i giornali, la rapina...N-non eri scomparsa?- domandò spaesato, facendomi sussultare al sentire tutte quelle domande; cosa potevo dirgli?
"Sono fuggita. Mi conosci, no?" inventai all'ultimo secondo cercando di essere la più naturale possibile. Ottenni un ghigno da parte del rosso.
-Dove sei?- chiese; dalla voce sembrava abbastanza contento.
"Per adesso a Terre Haute, in Indiana. Dovrei andare a San Francisco ma non ho né mezzi né soldi...Ora sono da Heather."
-Potrei aiutarti io. Sei libera tra una settimana? Sai, ho molti impegni in questo periodo.-
Sorrisi vittoriosa. "Certo. Dove?"
-Cerca di arrivare a Chicago.-
"Cosa? Ma saranno almeno 200 Km!"
-Un'auto la troverai di sicuro. So che Heather era fidanzata con un certo Alejandro!-
Rimasi muta, non sapendo se ridere al pensiero della brutta fine che aveva fatto quella povera automobile o disperarmi perché non avevo nessun mezzo. "Vedrò cosa posso fare."
-Bravissima.- disse maliziosamente, riattaccando la chiamata.

"Allora? Che ha detto?" si avvicinò a me l'asiatica con curiosità.
"Tra una settimana mi dirà come può aiutarci. Ma dovremmo trovare un modo per arrivare a Chicago."
"Ma è lontanissimo!"
"Voi due vi vedrete?!" si intromise all'improvviso il punk con agitazione, ed avanzando di un passo verso di me, ma ritornando in sé si grattò la nuca e continuò a parlare "C-cioè, sono felice che ci aiuti...così Geoff rivedrà Bridgette..." inventò una scusa al volo accavallando anche le parole, per poi sbuffare e sedersi accanto al biondino.
Rimasi incollata con lo sguardo fisso sul pavimento, impegnata ad elaborare qualche motivo per cui Duncan era così scosso dall'apparizione di Scott; gelosia? Nah, infondo Scott aiuterà tutti e tre a raggiungere la nostra destinazione; il punk non perderebbe tempo con queste sciocchezze.
Cercai nuovamente gli occhi di Duncan che trovai qualche secondo dopo aver atteso che si girasse verso di me, incontrando anche un mezzo sorriso che non rappresentava lontanamente qualcosa come la felicità.
"Andiamo a casa mia prima che qualcuno ci veda." ordinò Heather dopo aver osservato i nostri comportamenti e le nostre occhiate; scese le scale con Geoff dietro le sue spalle, mentre io e Duncan raggiungemmo l'ascensore. Le porte si aprirono lentamente permettendoci di entrare; premetti il pulsante del piano terra e le porte si richiusero. Il silenzio regnava nel piccolo ascensore, mettendo sia me che il ragazzo in una situazione di disagio. Non sapevo cosa dire, per cui mi specchiai allo specchio dietro di me, cercando di non guardare Duncan.
"Sei proprio carina quando ti sistemi i capelli." commentò lui, osservandomi malizioso. Sorrisi timidamente, scrutandolo dal riflesso dello specchio. "Anche tu, sempre." ribattei girandomi verso di lui intuendo che si stava avvicinando divertito.
"Lo so." mi cinse la vita attirandomi al suo corpo.
"Presuntuoso..." mormorai sensualmente, facendolo ghignare; gli circondai il collo con le braccia, avvicinandomi alle sue labbra mentre lui mi bloccava alla parete dell'ascensore....

 
---->Angolino dell'autrice<----

Salve miei cari lettori!!^--^ Sono riuscita finalmente ad aggiornare con il nuovo capitolo. Dopo l'improvvisa sparizione degli ultimi due capitolo ho dovuto riprendere il testo e riscriverli! D: Mini infarto!ç-ç
Tornando al presente, questo è un capitolo di transito, dove entra "in scena" Scott e dove Gwen racconta della sua triste esperienza a Duncan! 
Uuh, dovranno andare a Chicago, come ci riusciranno senza l'aiuto di Al? :') 
Beh..che altro dire? Recensite!^^

gwuncan99


P.S.: Volevo solo dirvi che per i kilometri e le città dove sono stati e dove andranno i nostri personaggi mi sono sempre aggiornata con Google Maps ahahahah...
  
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