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Autore: Lilya    09/12/2004    8 recensioni
Boromir e Faramir non sempre facevano gli stessi sogni, ma forse condividevano qualcosa di più. Un sogno ha dato il via a tutto. Ora un sogno è tutto ciò che è rimasto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Faramir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Inside a dream

Titolo: Inside a dream

Autore: Lilya

Generi: Angst/Drama

Riassunto: Boromir e Faramir non sempre facevano gli stessi sogni, ma forse condividevano qualcosa di più. Un sogno ha dato il via a tutto. Ora un sogno è tutto ciò che è rimasto.

Protagonisti: Faramir & Boromir

Pairing: nessuno.

Rating: G   

Disclaimer: Boromir e Faramir appartengono a Tolkien. Neanche il sogno di Faramir mi appartiene, ma è di Andrés Tijerina

 

 

Inside a dream

 

A Albert e Andrés Tijerina, che hanno ispirato questa storia

 

È quasi ironico. Fu un sogno l’inizio di tutto. Un sogno che io feci e che continuò a tormentarmi per molte e molte notti, tanto tempo fa… Un sogno che fece anche lui. Identico al mio, fin nei minimi particolari. E questo, vedete, era strano, molto strano.

Lo stesso sangue scorreva nelle nostre vene, ma lui non aveva mai avuto quei sogni premonitori, né aveva mai sognato la gigantesca onda che affondò Nùmenor, l’isola dorata, e tutti i suoi abitanti. I suoi sogni erano diversi dai miei, eppure… 

Io e mio fratello siamo sempre stati molto vicini, fin da quando eravamo bambini: dopo la morte di nostra madre, era lui che mi proteggeva, che mi ascoltava. Era a lui che mi rivolgevo quando i miei sogni diventavano troppo orribili o quando l’ombra scura di quell’onda altissima scendeva sul mio letto.

Nostro padre non approvava il nostro legame così profondo, ma tutti i suoi tentativi per separarci fallirono miseramente. Pensava che le cose sarebbero cambiate quando, a sedici anni, mio fratello Boromir raggiunse l’esercito. Sbagliava. Non aveva la minima idea di quanto fosse profondo il vincolo che ci univa. Neanche noi, a dire il vero.

Ricordo bene la prima notte in cui Boromir fu lontano. Non riuscivo a dormire, pensavo continuamente a lui e non riuscivo a smettere di preoccuparmi. Non dubitavo che mio fratello fosse il miglior spadaccino che ci fosse, ma non potevo non temere per lui. Non so come, ma infine la stanchezza ebbe il sopravvento e scivolai nel sonno. E cominciai a sognare. Sognai mio fratello, no, lo vidi dormire sotto la sua tenda, come se fossi stato davvero lì a pochi passi da lui. E so che lui vide me, perché aprì gli occhi e sussurrò il mio nome con la voce impastata di sonno, allungando una mano verso di me. Poco dopo, a decine di miglia di distanza l’uno dall’altro, eravamo entrambi svegli, cercando uno che non c’era.

Raramente ci accadde ancora, ma ogni sera, mentre giacevo tra il sonno e la veglia, sentivo la sua presenza nella mia testa e nel mio cuore, ai confini della mia conoscenza. So che come io sentivo lui, anche lui sentiva me. Non ne parlammo mai apertamente. Non volevamo rovinare con parole imperfette quella incredibile magia. Pure, ogni volta che eravamo riuniti dopo una lunga separazione, lo stesso sorriso – complice, segreto, affettuoso – si mostrava sulle nostre labbra. Era il nostro segreto, apparteneva a noi soltanto.   

Ognuno di noi due sentiva l’altro, così non eravamo mai veramente soli.

È sempre stato così. Non importava quanto fosse grande la distanza che ci separava.

Anche quando Boromir partì in cerca di Imladris le cose non cambiarono. Se non che, al calar del sole, una strana inquietudine si impadroniva di me e non potevo essere veramente tranquillo finché non mi fossi sdraiato e non avessi sentito che mio fratello stava bene. 

Tutto andò bene, finché lasciò di nuovo la città elfica. Imladris doveva essere sicuramente protetta da qualche incantesimo e mi ero aspettato di non riuscire più a sentire mio fratello finché si trovava entro le sue mura, ma, sorprendentemente, questo non accadde. No, fu solo dopo che iniziarono i problemi. I contatti divennero sempre meno immediati, i segnali sempre più distanti…come se mi stesse scivolando via tra le dita. Qualcosa era venuto a mettere tra di noi, qualcosa che all’epoca non conoscevo eppure temevo. Avevo paura, ma ciononostante continuai a cercare mio fratello tra le tenebre della notte, anche quando non riuscii più a sentirlo. Sapevo che anche lui mi cercava e speravo che, forse, saremmo riusciti a ritrovarci.

Non riuscii più a sentirlo, neppure quando lui e la Compagnia attraversarono il bosco di Lothlorien. Non riuscii più a sentirlo, fino al giorno in cui morì ad Amon Hen.

Dovessi vivere fino a duecento anni, non scorderò mai quel giorno, ormai impresso a fuoco nella mia memoria.

Poteva essere un giorno uguale a tanti altri, scandito dalla solita routine…ma non lo era.

Ricordo tutto, fin nei minimi particolari. Stavo guidando una pattuglia in esplorazione del territorio, quando all’improvviso il muro che ci divideva crollò e il canale si riaprì, rovesciando su di me quelle sensazioni come un’onda gelida. Era davvero l’onda che sommerse Nùmenor ad attanagliare i sogni della mia infanzia? O era quest’altra, che come la prima portava la morte, non di un popolo, ma di una delle persone che più amai in vita mia e che per anni era stata il centro del mio universo?

Non l’ho mai saputo, neanche m’interessa saperlo. Quello che so è che in quel momento, giù nel profondo dell’anima, io fui Boromir  e anche se non potevo vedere ciò che lui vedeva, né udire i suoni che lui udiva, ogni sensazione che lui provava, anch’io la provai.

Tutto ciò che mi circondava scomparve, inghiottito da quell’onda. Ero cieco e sordo, l’unico contatto che avevo col mondo era mio fratello, che a miglia e miglia di distanza combatteva per la vita di due giovani Hobbit.

Non so se lui mi abbia sentito. Non subito, di certo, ma credo che nei suoi ultimi istanti di vita si sia accorto di me. Sono rimasto con lui fino alla fine, finché la sua anima non ha lasciato questo mondo. Allora, il gelo è calato su di me e ho sentito un dolore terribile, più forte di qualsiasi ferita avessi mai ricevuto, perché era sia fisico che mentale. Non riuscivo a sentire più nulla se non quel freddo e quel dolore, persino respirare mi dava tormento. Una parte della mia anima era stata strappata via ed ora sanguinavo.     

Fu la voce del mio secondo in comando a riportarmi alla realtà. So che proseguimmo la missione, ma in realtà non la ricordo: la mia mente era altrove, miglia e miglia lontano. Tutto il resto della giornata non è altro che una macchia confusa e sbiadita. Non vedevo l’ora che giungesse la notte. Perché non potevo, non volevo credere che mio fratello fosse morto, che Boromir mi avesse lasciato solo.

Quella notte non dormii, ma cercai mio fratello in quella terra di nessuno dove eravamo soliti incontrarci. Per ore chiamai, gridai, invocai il suo nome nell’oscurità.

Ma lui non venne.

Il filo era rotto, la comunicazione interrotta per sempre.

Seppi con assoluta certezza che non mi ero sbagliato quando vidi la sua barca funebre passare tra le nebbie, spinta dalla corrente dell’Anduin. Non ebbi altra scelta, allora, che accettare la realtà.

 

Non ho più sognato la grande onda di Nùmenor – ammesso che fosse proprio quell’onda quella che io sognavo – né l’indovinello che spinse mio fratello sulla via per la città degli Elfi. Ora però ho un nuovo sogno ricorrente. Ed è ironico che proprio in questo sogno io incontri mio fratello, anche se non è veramente Boromir, ma un fantasma creato dalla mia mente. Benché il sogno si ripeta sempre più o meno uguale a sé stesso, non lo riconosco mai come tale. Forse perché non sogno il passato, ma il presente.

Io e Boromir siamo seduti nei giardini del palazzo dove siamo cresciuti, a guardare le stelle e a parlare. Dal palazzo arrivano delle voci, voci allegre. Sono le voci di mia moglie, dei miei figli, del nostro Re e della nostra Regina, di tutti i nostri amici. Tra un momento andremo a raggiungerli, ma per ora restiamo lì e parliamo e scherziamo e ridiamo come due scemi. Proprio come una volta. Insieme facciamo progetti, c’è sempre una cosa o un’altra che dobbiamo assolutamente fare insieme, che diamine, dopo tutto siamo ancora fratelli, no?

E poi Boromir si alza, c’è una cosa che deve andare a controllare o un’altra che deve andare a prendere. Si alza e se ne va, mentre io resto lì seduto a guardarlo andare via e svoltare dietro un angolo, senza preoccuparmi di nulla perché tanto so che tra poco tornerà da me e riprenderemo la conversazione interrotta.

Ma lui non torna e io resto lì seduto da solo, finché non capisco che Boromir non può tornare perché è morto, è morto tanti anni fa ad Amon Hen, e quello è il solito stupido vecchio sogno. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e io sto lì seduto, a ridere come uno scemo perché quel dannato sogno mi ha fregato un’altra volta.

Quando mi sveglio, mi arrabbio con me stesso perché mi sono lasciato ingannare e giuro che questa sarà l’ultima volta, ma nonostante questo, tutte le volte ci casco sempre. Forse non voglio veramente smettere di farmi ingannare, perché così, almeno in sogno, posso rivedere Boromir e credere che lui sia ancora con me. È solo che fa male quando mi sveglio, quando l’illusione si spezza e capisco che sono solo.

 

  
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