Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: beagle26    22/03/2014    5 recensioni
New York. Elena fa da assistente in un importante studio di PR di Manhattan. E' indipendente, determinata, ma dal punto di vista sentimentale è molto fragile ed immatura, a causa di una serie di situazioni che hanno messo alla prova le sue rigide convinzioni e minato le sue certezze.
Damon è tornato in città dopo un lungo viaggio in giro per il mondo. Si porta dietro un bagaglio di esperienze straordinarie, ma non è riuscito a liberarsi di ciò che lo tormenta. Tende a mettere alla prova le persone, a mostrare solo il lato peggiore di sé nascondendo un profondo bisogno di essere accettato.
Dal testo:
"Da qui posso vedere bene il profilo della Statua della Libertà, una piccola sagoma verde immersa tra le nuvole. Così ben piantata a terra, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte, mi ricorda un po’ me stessa fino a poco tempo fa.
Oggi però la mia libertà la voglio immaginare diversamente.
Come una piuma che ondeggia nell’aria e si appoggia su un ramo per godersi un raggio di sole.
E poi, in una giornata di pioggia, un’improvvisa folata di vento la porta via con sé… ma non fa niente. Potrebbe essere un bel volo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 12
 
I swapped my innocence for pride
Crushed the end within my stride
Said “I'm strong now I know that I'm a leaver"
I love the sound of you walking away
Mascara bleeds a blackened tear
And I am cold
Yes I'm cold
But not as cold as you are
I love the sound of you walking away
***
Ho barattato la mia innocenza con l’orgoglio
Ho annientato il confine entro il mio passo
Ho detto “Sono forte ora, so di essere uno che se ne va”
Amo il suono di quando te ne vai
Il mascara tinge di sangue una lacrima annerita
E io sono freddo
Sì io sono freddo
Ma non freddo quanto te
Amo il suono di quando te ne vai
 
Walk Away – Franz Ferdinand
 
 
“Non dovresti essere qui. Così rendi tutto più difficile.”
 
Me lo dice con rabbia, schiacciandomi col suo corpo contro la parete, una mano che mi tiene il polso sollevato accanto alla testa, l’altra che ha già oltrepassato la barriera del mio cappotto e mi stringe forte il fianco. So che basterebbe una parola e mi lascerebbe andare, ma la verità è che non voglio che lo faccia e non sembra volerlo veramente nemmeno lui. E poi non sono le sue mani a immobilizzarmi.
Sono i suoi occhi dentro i miei, la sua vicinanza. Perfino l’esitazione che percepisco in lui mi sta mandando fuori di testa. Più si dimostra indeciso, almeno a parole, più sono certa di volerlo e che in qualche modo strano e contorto anche lui voglia me.
Anche se sono consapevole che le mie intuizioni potrebbero essere completamente sbagliate, che le nostre reciproche incoerenze potrebbero portarci a farci ancora del male.
Una parte di me mi implora di fare attenzione, di smettere di illudermi che per qualche arcano motivo potrebbe decidere di non andarsene, di restare qui per me.
Ho paura di sbagliarmi, ma non abbastanza da rinunciare a lui. Perché adesso che sono qui sembra tutto così giusto, così intenso? È solo il prodotto della mia mente distorta?
 
“Non sono ancora pronta a lasciarmi tutto alle spalle. Non voglio che mi restino solo i rimpianti per le mie insicurezze, per le cose che avrei potuto dirti e non ti ho detto, per quello che avrei potuto fare e…”
 
“Scusa un attimo, sei sempre Elena giusto? Che fine ha fatto Miss tuttosottocontrollo?”
 
La sua bocca si piega in un sorriso ironico, mentre le sue dita sciolgono la presa sul mio polso per sfiorarmi delicatamente le labbra. Il suo tocco si riverbera fino al centro del mio corpo.
 
“E tu dove l’hai mandato Mr. nonpensareagisci?”
 
“Sta cercando di portarti rispetto, di mantenere almeno un briciolo di coerenza. E comunque, l’autocontrollo l’ho imparato dalla miglior maestra.”
 
“Sei un ottimo allievo. Sei diventato così riflessivo ultimamente… il problema è che pensi solo alle cose sbagliate.” gli rispondo con una smorfia sarcastica, picchiettandogli l’indice sulla tempia. Non riesco a trattenermi da aprire la mano sul suo viso, sfiorandogli lo zigomo col pollice per poi affondare le dita fra i suoi capelli. I suoi occhi diventano due liquide pozze celesti, sono così vicini che potrei annegarci dentro. È bello da mozzare il fiato. Lo vedo deglutire lentamente. Il suo profumo mi invade, mi riempie di vertigini.
 
“Sentiamo, cos’hai da dirmi?”
 
“Non te ne andare, Damon.”
 
“Ancora? Basta, dai ne abbiamo già parlato. Starai bene...”
 
“Continuate a ripetermelo tutti, ma non è vero. Non starò bene, per niente. E nemmeno tu.”
 
Alza gli occhi al cielo con un gesto spazientito, ma non si allontana, regalandomi una piccola speranza. E poi ormai ci sono dentro e gli dirò quello che devo, fino alla fine.
 
“Ascoltami, lo so che non è facile ricominciare daccapo dopo una vita di falsità. Sei in crisi, lo capisco, ma scappare non è la soluzione. Hai detto che non vuoi appoggiarti a me, io sono d’accordo. Non voglio ostacolarti, voglio che tu diventi esattamente la persona che vuoi essere. Farai il tuo percorso, indipendentemente da me. E io farò il mio.”
 
“Non è semplice, non so neanche da che parte cominciare. Più ti comporti in questo modo, più capisco che ho ragione. Non me lo merito, Elena.”
 
“È proprio questo il punto. Tu sei convinto di non meritartelo, così stai rovinando tutto. Continui a pensare di non essere abbastanza. Smettila.”
 
Il suo sguardo è esitante, ma anche se mi destabilizza faccio del mio meglio per sostenerlo, sperando con tutta me stessa di non sbagliarmi. Lo vedo avvicinarsi sempre di più, per poi spostarsi di lato.
 
“Dovrei mandarti via.” mormora al mio orecchio, la voce così calda da farmi vibrare dentro.
 
“Fallo, se ne sei così convinto. Dimmi che non te ne frega niente di me e mandami via.”
 
“Elena…”
 
La mia mente si annebbia di colpo. Non so darmi una spiegazione coerente, sento solo il bisogno di vivere questo momento al presente, prendendogli tutto, donandogli tutto, senza condizioni. O forse ho solo paura che mi respinga e non voglio lasciargli il tempo di farlo. Senza sapere con precisione cosa sto facendo, lo attiro a me e finalmente sento le sue labbra posarsi sulle mie,  senza più nessuna incertezza.
Mi godo la mia piccola vittoria, lasciando che la sua lingua mi schiuda la bocca con la stessa urgenza del nostro ultimo addio. Il suo bacio è lento ma finalmente deciso.
Sento il suo respiro che accelera, le sue mani su di me che mi sfilano rapidamente la giacca e scivolano dietro la mia schiena, sotto la maglia. E poi di nuovo la sua bocca sulla mandibola, sulla pelle sensibile dietro l’orecchio. Mi fa scorrere la lingua sul collo, sul seno, scende sulla pancia. Mi bacia lentamente, in una lunga agonia, si ferma al centro, vicino all’ombelico e mi sbottona i pantaloni, mentre io mi inarco sotto di lui e lo spingo più vicino a me, afferrandolo per i capelli.
Si alza di scatto e infila una mano sotto i miei jeans, stringendomi il sedere, mentre con l’altra mi solleva una gamba e mi spinge contro il muro col suo corpo, facendomi sentire la sua erezione che adesso mi preme sulla coscia. Quando infilo le mani nei suoi pantaloni e lo accarezzo lo sento gemere sulla mia bocca.
Non riesco a smettere di guardarlo, di cercare il suoi occhi che mi fanno sentire spogliata dentro.
Sento le sue dita esperte sfiorarmi la pancia e poi insinuarsi più in basso, sempre più vicino al mio inguine, sfiorando il tessuto dei miei slip per poi spostarli di lato. Mi tocca delicatamente, sfiora il mio centro con pollice e nello stesso tempo mi entra dentro con due dita. Sto ansimando, sono costretta ad aggrapparmi alle sue spalle per non cedere. Mi morde sul collo, forte, adesso devo chiudere gli occhi per forza.
 
“Damon sei in casa? Omioddio… Elena… scusate…”
 
La voce di Ric mi risveglia bruscamente. Quando mi volto verso di lui lo vedo girarsi frettolosamente di spalle, con una mano ancora sulla maniglia della porta e l’altra tra i capelli.
Damon si stacca subito da me. Mi sfugge una specie di lamento strozzato mentre alla velocità della luce mi abbasso la maglia e mi abbottono i jeans. Non oso neanche immaginare di che colore possa essere la mia faccia in questo momento.
 
“Tranquilli non ho visto niente, me ne vado subito…”
 
“Lascia stare Ric, Elena stava andando via.”
 
 
Due minuti dopo siamo fuori, seduti sui gradini. La figura da chiodi appena fatta con Ric, forse la più imbarazzante di tutta la mia vita, è già un ricordo sfumato. Damon non mi guarda, tiene gli occhi sulla strada, in silenzio. Non ho più il coraggio di dire una parola.
 
“È stato meglio così Elena, ce ne saremmo pentiti.” dice in un sospiro, continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé.
 
“Perché dici così adesso?”
 
“Lo sai perché…”
 
“No, non lo so. Non hai ascoltato niente di quello che ti ho detto prima?”
 
Improvvisamente lo vedo voltarsi nella mia direzione. I suoi occhi rimangono immobili dentro ai miei per non so quanto tempo. Potrebbe essere uno dei nostri bizzarri dialoghi silenziosi, una delle tante volte in cui mi è sembrato che potesse parlarmi solo con lo sguardo. Sono sicura che lo stia facendo anche in questo preciso istante, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. Non sono in grado di captare il suono dei suoi pensieri. Forse è solo l’ennesimo addio, che semplicemente mi rifiuto di ascoltare.
Tutto ciò che sento è di appartenergli, ed è un sentimento così dolce e così intenso da riuscire a ferirmi profondamente. Mi  manca l’aria, il cuore mi martella forte nel petto, come se con quegli occhi ci stesse scavando un buco dentro. Mi sento riempita e svuotata, a tal punto da non riuscire più ad accettare la sua presenza silenziosa accanto a me.
 
“Cosa mi stai dicendo Damon?”
 
“Come scusa?”
 
“Che vuol dire quella faccia?”
 
“Niente. Niente… vai a casa Elena. Non saresti dovuta venire, non fai altro che farti del male. Avrei preferito se avessimo tenuto buono quello che ci siamo detti ieri. Non è colpa tua, mi sono lasciato prendere la mano… Ho fatto una cazzata, un errore imperdonabile. Ma tu scusami se puoi.”
 
Si avvicina, mi lascia un bacio veloce fra i capelli.
 
“Addio Elena, sul serio questa volta. Non stare male per me, non ne vale veramente la pena.”
 
Poi si alza e se ne va in fretta, bruscamente, lasciandomi totalmente vuota. Ancora una volta.
 
***
 
Quando rientro in casa Ric è ancora in piedi sulla soglia. Mi guarda con aria incredula, sembra addirittura incazzato.
 
“Mi vuoi spiegare perché l’hai mandata a casa?”
 
“Beh, sorvolando sulla tua entrata in scena, tu cosa ne dici?” ribatto, spalancando gli occhi e rivolgendogli una smorfia ironica, mentre con la mano indico il mucchio di valigie accatastate accanto alla porta.
Scuote la testa sdegnato, accompagnando il gesto con un sospiro irritato.
 
“Continua pure a recitare la parte del martire Damon. Porta fino in fondo il tuo grande atto eroico e coraggioso. Vieni via con me e salva il mondo dalla tua presenza scomoda. Sappiamo entrambi la verità. Sei solo un codardo.”
 
Mi dà le spalle e si dirige verso il divano, per poi indicarlo con un dito rivolgendomi un’occhiata piuttosto eloquente.
 
“Tranquillo Ric, non ci siamo arrivati. Il tuo tempismo è eccezionale, ma stranamente questa volta mi sento di ringraziarti. Il problema è che non avrei neanche dovuto farla entrare in casa. Sono stato un debole, ancora una volta. E le ho fatto del male.”
 
“Sei proprio un idiota Damon” sbuffa, sprofondando finalmente fra i cuscini come al suo solito.
 
“Non ti seguo.” rispondo. Però mi avvicino a lui, mettendomi a sedere sul tavolino proprio lì davanti, seriamente intenzionato ad ascoltare la sua ennesima paternale e sentirmi dire anche da lui che razza di stronzo insensibile io sia. Forse poi mi sentirò perfino meglio.
Questa sera sono caduto talmente in basso che credo di averlo proprio toccato quel cazzo di fondo. Mi sono lasciato destabilizzare dai discorsi di Elena e per un attimo ho pensato che si, avrei potuto ricominciare da lei. Mi sono detto, chissenefrega se non sai chi sei, se vivi con il freno a mano tirato, se non respiri. C’è lei che crede in te, che ti vuole anche così. Elena è il tuo spazio di libertà.
Ric solleva gli occhi pigramente sul mio viso, l’espressione delusa quasi quanto la mia.
 
“Ti devo fare lo spelling per caso? Sei un c o d a r d o. Sei un disastro nelle relazioni. Finché si tratta di portarti a letto la bionda di turno tutto ok, sei il paladino dell’attimo fuggente. Ma i sentimenti quelli no, non li sai gestire. Sei spaventato da quello che provi per Elena, hai il terrore investire in un futuro con lei. Hai paura di perderla, così come hai perso tua madre, così come hai perso Kath…”
 
“Non nominarla neanche.” lo interrompo, puntandogli contro l’indice.
 
“Ok, non la nomino, come vuoi.” risponde ironico, alzando le mani in segno di resa. “Ora, capisco che l’eventualità di rimetterti in gioco possa destabilizzarti un po’, ma se non lo fai sarai condannato a una vita mediocre. Non pensi che lei abbia le tue stesse paure? Ce le abbiamo tutti. Ma se non rischi stavolta non lo farai mai più. Mi rifiuto di credere che tu sia così arido, così egocentrico da mettere le tue insicurezze davanti alla tua felicità. Invece di viverla, come ti meriti.”
 
“Avanti con questa storia dei meriti… Ric, non funziona. Non voglio aver bisogno di lei. Non voglio più aver bisogno di nessuno.”
 
Sembra esterrefatto dalle mie parole. Si porta le mani al viso e si massaggia le tempie con gli occhi chiusi, accompagnando il gesto con un lungo sospiro.
 
“Cazzo Damon, quanto sei coglione. Fatti le domande giuste una buona volta…”
 
“Cioè?”
 
“Magari hai bisogno di lei perché la ami. È diverso. Non so come ci sia riuscita, ma ormai è chiaro. Puoi anche smettere di far finta che non sia così…”
 
Rimaniamo in silenzio per un po’. Lui osserva il soffitto con l’espressione più calma di questo mondo, io mi concentro sulla trama regolare del parquet sotto i miei piedi. Alla fine sollevo gli occhi su di lui, cerco il suo sguardo.
 
“Certo che è così... Ma a parte questo dettaglio, non ho idea di cosa fare del resto della mia vita. Non voglio stare con lei perché mi fa stare meglio e vivere con la paura di perderla. Voglio stare bene, bene e basta.”
 
***
 
Viaggiare in metropolitana non mi è mai dispiaciuto più di tanto. Certo, alcune mattine arrivare a Manhattan da Brooklyn è un vero e proprio viaggio della speranza. I vagoni sono carichi di gente, uno spaccato variegato e variopinto della popolazione newyorkese. Che poi, a dirla tutta, solo in pochi sono nati qui. Moltissimi ci sono arrivati in cerca di una svolta, inseguendo un sogno, e io faccio parte di quest’ultima categoria.
Osservo il ragazzo di colore seduto accanto a me, la testa sprofondata nel cappuccio del giubbotto pesante e troppo largo, le cuffie nelle orecchie che sparano musica a tutto volume. Contrariamente al solito, non mi dispiace nemmeno questo. Quei suoni mi fanno compagnia e oggi ne ho veramente bisogno. Oggi che non riesco a non pensare ai miei genitori, entrambi, ma soprattutto a mia madre. Vorrei che fosse qui con me, anche solo per abbracciarmi.
 
Quando sono morti non sono riuscita ad elaborare subito la loro assenza. Rincasando la sera avevo sempre la strana sensazione che li avrei trovati lì ad aspettarmi. Immaginavo mia madre indaffarata ai fornelli, mi sembrava di poter scorgere la sagoma di mio padre seduto sul divano a leggere il giornale. Ogni volta dovevo fermarmi un attimo per riuscire a distaccarmi dalle mie illusioni, eppure continuavo a restare incredula. Mi rifiutavo di accettare quello che era successo, e tutte le volte era un piccolo graffio, una ferita in più che sanguinava goccia dopo goccia, accumulandosi a tutte le altre.
 
La vera e propria sensazione di perdita l’ho avvertita solo qualche mese dopo. È stato allora che ho capito. Ho capito che, se mai un giorno mi sposerò, mio padre non ci sarà per accompagnarmi all’altare. Se avrò un figlio, mia madre non sarà lì per consigliarmi cosa dargli da mangiare, o quante ore farlo dormire.
Sarà sempre così, percepirò la loro assenza in ogni gesto, in ogni respiro.
 
Questa nuova, amara certezza mi ha fatto male, molto più di quanto fossi in grado di sopportare.
Ma ciò che mi ha ferita ancora più profondamente è stato il rendermi conto che ho sempre dato per scontata la presenza dei miei genitori nella mia vita. Una consapevolezza che è arrivata con lentezza esasperante, ma che alla fine mi ha riempito il cuore con una potenza tale da devastarmi.
 
Quante volte avrei potuto dire grazie a mia madre per le sue attenzioni, per i suoi gesti affettuosi, per le sue carezze che a volte preferivo scansare, spinta dalla mia voglia di sentirmi grande. Quante volte mi sono scontrata con mio padre per banalità, per poi tenergli il muso per giorni interi. Quanto tempo sprecato.
Ma me ne sono accorta troppo tardi. Ed è per questo che, a dispetto di tutto, non sono pentita di essere andata da Damon ieri sera, di aver tentato fino all’ultimo, di non essermi lasciata sconfiggere dalle mie paure. Non mi pento di quello che provo per lui e non lo farò mai, nonostante tutto.
E non mi pento nemmeno di ciò che è successo poco fa.
 
Un’ora prima
 
“Elena vieni nel mio ufficio. Devo parlarti.”
 
Rebekah con il suo solito piglio autoritario, passa come una folata di vento davanti alla mia postazione, reggendo una pila di fogli e rivolgendomi un’occhiata glaciale.
Mi alzo con un gesto automatico, la testa piena e il cuore pesante. Qualsiasi cosa abbia da dirmi, non potrà peggiorare la giornata penosa che sto vivendo.
Una volta dentro la scatola di vetro, mi chiudo la porta alle spalle e la osservo accomodarsi dietro la sua bella scrivania, alzando il mento nella mia direzione con aria di sfida.
 
“Elena oggi hai un’aria particolarmente afflitta. Non mi sembra il caso che ti ricordi che i problemi personali devono stare fuori dall’ambiente lavorativo. Fa che non succeda mai che qualche cliente si lamenti della tua scortesia o dei tuoi musi lunghi. Mi hai capita?”
 
Il suo sorrisetto ironico mi fa intendere che l’idea che io abbia dei problemi personali da risolvere le procuri una discreta soddisfazione. La cosa mi lascia comunque indifferente, perciò decido di non cedere alla sua provocazione.
 
“Non succederà. Mi hai chiamata qui solo per questo?”
 
“No. Volevo annunciarti che ci sarà una riorganizzazione delle mansioni all’interno dell’ufficio. I clienti sono parecchi e ho bisogno di qualcuno che si occupi della pianificazione dei contatti e del monitoraggio delle rassegne stampa. Quindi ti informo che da questo momento tu non comunicherai più direttamente con i nostri clienti. Sarai impegnata su altri fronti.”
 
Per un momento rimango spiazzata. La guardo in viso senza fiatare, in attesa di una spiegazione.
Lei rimane in silenzio, si limita a ricambiare il mio sguardo con un sorriso provocatorio, che tuttavia non riesce a scuotermi. La sua mania di pungolarmi non produce più alcun effetto su di me, tantomeno oggi. Tutta la mia attenzione è concentrata sul grande orologio da parete oltre le sue spalle.
Sono le 18.30. Fra mezz’ora Damon partirà, e, adesso lo so, non ci sarà nessun ripensamento.
Lo conosco da così poco tempo, eppure gli ho rovesciato dentro talmente tanta anima, così tanto di me stessa, che il pensiero di perderlo mi paralizza, ancora una volta, facendo passare tutto il resto in secondo piano.
 
“Non capisco Rebekah. Cosa dovrei fare d’ora in poi?”
 
“Gestirai l’archivio, sistemerai i nostri file. È tutto da rivedere, ci sono contatti vecchissimi che vanno assolutamente aggiornati. È un compito delicato sai, molto certosino. E tu sei così precisa che ho pensato, chi meglio di Elena potrebbe fare questo lavoro! E poi, certo, continuerai a scrivere i testi. Te la cavi molto bene come copy.”
 
“Va bene. Farò quello che dici. Se è questo quello di cui hai bisogno, non c’è nessun problema.”
 
Non riesco nemmeno a riconoscere la mia voce, così piatta e inespressiva. E chissenefrega se oggi ha deciso di umiliarmi un po’ anche lei. Al peggio non c’è mai fine, lo so bene. Ma non ho la forza di ribellarmi, non ce la faccio. Piego la testa da un lato, le rivolgo un sorriso falso e vuoto.
 
“Molto bene. A volte sai essere assertiva, mi ricordi perché ho deciso di assumerti. Adesso puoi andare.”
 
Faccio un passo indietro, afferro la maniglia e mi preparo a uscire, più leggera di quando sono entrata. Un altro pezzetto della mia dignità mi ha abbandonata per sempre. Non faccio in tempo a mettere piede fuori che la sento richiamarmi un’altra volta.
 
“Ah… Elena, vai a prendermi un caffè e già che ci sei passa in tintoria a ritirare il mio cappotto. Ti ricordi, quello che ti ho fatto portare a lavare la settimana scorsa. Mi serve questa sera.”
 
E non lo so cosa mi prende e perché, ma dalla bocca mi esce un secco, involontario ma deciso NO.
Rebekah mi guarda sbigottita per un attimo, ma un secondo dopo recupera il suo aplomb e torna a rivolgermi la sua espressione strafottente.
 
“Come scusa?”
 
“Hai sentito bene. No. E no, non ho intenzione di sprecare la mia vita a depennare i giornalisti morti dal tuo file, o a scrivere pagine e pagine di cazzate su quegli stupidi sacchetti di malta. Mi licenzio. Ho chiuso con le umiliazioni per tutta la vita, ne ho abbastanza.”
 
Respiro a fondo, il cuore mi batte forte, ma ora che vedo scomparire quell’aria compiaciuta dalla sua faccia mi sento la donna più potente di questo mondo. Rebekah si ricompone subito, forte di anni di esperienza nel mondo delle PR che senz’altro le hanno insegnato a far buon viso a cattivo gioco anche nelle situazioni più critiche.
 
“Elena, come fai ad essere così stupida. Ho capito sai, ma devo ammettere che ti facevo più furba. Se è per la storia di Damon che ti licenzi…”
 
“Non è per quello Rebekah. Non c’entra assolutamente niente. Me ne vado perché questo lavoro non mi aiuta a diventare la persona che voglio essere. Quindi grazie per l’opportunità, ma la risposta è no. E ora se non ti dispiace vado a prendere le mie cose. Ah, i giorni di preavviso scalali pure dalle ferie che non ho mai fatto. Ciao.”
 
***
 
L’orologio segna le sette di sera. Come tutte le volte che salgo su un aereo e mi siedo al posto assegnato, faccio ruotare il gancio che tiene sollevato il tavolino di fronte a me. Ric mi prende sempre in giro per questo rito scaramantico, sostenendo che la visione ripetuta di Final Destination mi abbia bruciato qualche neurone. Stavolta lo faccio apposta, sperando che arrivi presto una sua battuta ironica a stemperare la tensione di questo momento. Ric però non dice niente. Mi sta guardando, in silenzio.
 
“Dì un po’, perché siamo ancora qui se disapprovi tutte le mie scelte?” gli chiedo all’improvviso.
 
“Che vuoi che ti dica Damon, ho un debole per le cause perse. Scherzi a parte, è questo che fanno gli amici. Posso non essere d’accordo con le tue idee contorte, ma difenderò sempre il tuo diritto di esprimerle. Spero solo che questa volta tu non debba pentirtene.”
 
Già, speriamo. Riesco solo a pensare a questo mentre osservo la pista scura fuori dal finestrino, illuminata dalle piccole luci dell’aeroporto e punteggiata dai giubbotti catarifrangenti degli inservienti che stanno caricando i bagagli in stiva. Sto rischiando tanto, sto rischiando tutto, ma non posso tornare indietro. In testa mi girano mille pensieri sconnessi: Stefan, mia madre, Giuseppe, perfino Will. E poi Elena. Tiro fuori il portafoglio dalla tasca dei jeans, lo rigiro tra le mani. Mi manca anche solo la forza per poterlo aprire e ritrovarci dentro il suo sguardo. La voce impostata dell’hostess ci invita ad allacciarci le cinture. Sprofondo nel sedile, chiudo gli occhi, respiro a fondo, e mi preparo ad accogliere il pensiero che forse non la rivedrò mai più.
 
*********
Cosa posso dire? Sorry but I’m not sorry… :)
Ciao.
Ci ho pensato un po’ e questo è il risultato. Ho bisogno di ancora un po’ di tempo, e anche Damon. Per aiutarvi a non odiarlo troppo, vi faccio un piccolo riepilogo delle sue sfighe: a) madre amorevole ma prematuramente scomparsa b) padre adottivo violento c) padre biologico smidollato d) Katherine, la donna che amava non corrisposto e che lo ha lasciato per sposare un altro.
Capitelo, per favore. Io l’ho fatto. Ci rivediamo su questi schemi appena riesco.
Grazie come sempre a chi ha avuto la pazienza di leggere, un bacione e buon week end.
Chiara
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: beagle26