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Autore: LadyBlueSky    22/03/2014    5 recensioni
Fate finta che ne il Tenkai ne il Nex Dimention esistano. Seiya non è su una sedia a rotelle, ma in un ospedale a cercare di guarire. Cos'è successo in quel periodo ai suoi compagni? E a lui?
Sentimenti che si mostrano, domande che forse di risposte non ne troveranno mai, confronti inaspettati.
Cos'è successo in quei giorni?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Shun, Pegasus Tenma, Personaggi Lost Canvas, Saori Kido, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quei giorni…

 

 

 

 

 

Gli occhi che ora vi fissano sono di un castano intenso, un po’ disorientati. Sono occhi che chiedono risposte a domande che non conoscono, perché non hanno la concezione del tempo trascorso. Non sanno dove si trovano, ne perché sono lì; non comprendono nemmeno i vostri sguardi lucidi e i vostri sorrisi di sollievo misto a timore. Ma timore per cosa poi?

Sono cose che quegli occhi ancora non conoscono, ma presto sapranno. Si spalancheranno sorpresi e orripilati quando la verità uscirà dalle vostre labbra, rivelando quanto accaduto e quanto tempo è trascorso. Ma poi torneranno normali, e sorrideranno come solo loro sanno fare. Al momento, però, non comprendono.

 

È difficile spiegare, per la sola ragione che è difficile ricordare. Ricordare quei mesi di agonia, quelle giornate che scorrevano veloci e al contempo non passavano mai, quelle ore scandite da un maledetto orologio troppo rumoroso… Ricordare tutto questo fa male.

Ma fa ancora più male ricordare come ci si è finiti in quella situazione. Ricordare la Guerra e quell’attimo, vivido e terrificante, e quella spada. E benché ora impazzi la gioia, dimenticare è impossibile anche in un momento così. Dimenticare sarà per sempre impossibile.

Saori trema un attimo, chiudendo gli occhi. Da quei giorni – quelli della Guerra Sacra contro Hades, della battaglia negli Infermi, della spada del Dio conficcata nel petto di Seiya – sono passati tre mesi, giorno più giorno meno. Tre meni di agonia e terrore, di speranza e rassegnazione. Ma soprattutto tre mesi di lacrime. Ne sono state versate tante, da tutti – ma non da lei!

Lei, proprio lei. Quella che piangeva in ogni dove e in ogni quando. Lei, in quei tre mesi, di lacrime non ne ha versate; le ultime le ha lasciate cadere ancora negli Inferi, poco prima del ritorno di tutti loro sulla Terra. Da lì in poi basta.

“ Perché non piangi mai?” Le ha chiesto una volta Shun, gli occhi lucidi, seduti entrambi al capezzale di Seiya. Era una delle tante notti trascorse in quell’anonima stanza d’ospedale, quasi sempre in rigoroso silenzio, rotto soltanto qualche volta da frasi e domande biascicate in sussurri flebili, quasi avessero paura di svegliare il compagno.

Non aveva risposto a quella domanda, Saori, scuotendo solo la testa, lieve.

Era cambiata in quei mesi, Saori. Ma non perché la coscienza di Atena si era del tutto risvegliata in lei e la sua maturazione era dunque completa. No, Saori era cambiata negli occhi e nei modi: la Duchessa aveva lasciato il posto ad una persona nuova, dissimile da Atena e dissimile dalla Saori Kido che tutti avevano conosciuto.

“ Saori, piangere fa bene.” Aveva rincarato la dose Shun, cercando di sorriderle ma fallendo.

Lei lo aveva fissato in quei verdi occhi ludici, ormai quasi sempre appannati dalle lacrime. Sapeva perfettamente che Shun non si dava pace, che si colpevolizzava per quanto successo a Seiya. In realtà lo faceva anche lei, e forse era proprio lei a doversi sentire più in colpa tra i due.

“ Che diritto ho di piangere?” Aveva chiesto allora la ragazza, gli occhi fissi nei suoi. Qualsiasi cosa le passasse per la testa una cosa era certa: era convinta di quello che stava dicendo.

“ Non ne ho alcuno nemmeno io.”

“ Non è stata colpa tua, Shun. Smettila di crederlo.”

“ Invece sì. Se io non fossi… Se io non avessi…”
“ Sarebbe successo comunque. Credimi.” E a quelle parole Shun l’aveva fissata sconvolto, chiedendosi cos’era quel dolore misto a consapevolezza che le trapelava dalla voce. Nessuno, fino a quel momento, gli aveva detto che sarebbe successo comunque, ma tutti gli avevano detto che avrebbe potuto succedere comunque. In cosa di diverso credevano, allora, Saori e gli altri?

“ Non è la prima Guerra contro Hades che combatto, e checche se ne dica potrebbe non essere l’ultima. Non è così facile uccidere un Dio.” Aveva aggiunto poi lei, notando l’espressione smarrita del ragazzo. “ In ogni Guerra Pegasus è sempre stato al mio fianco. Sempre. E ogni volta il finale è sempre stato lo stesso. Che questa volta sia diverso mi sembra un miracolo che non merito.”

“ Perché dici questo?”

“ L’ho condannato io a tutto ciò. Vi ho condannati tutti.” E la sua voce si era spenta.

Shun avrebbe voluto dirle che non era così, che non era vero quel suo pensiero. Avrebbe voluto dirle che non era stata lei a condannarli, perché non aveva imposto loro niente. Erano stati loro, erano sempre stati loro, a decidere su quale strada camminare. E avevano scelto la via della battaglia. Erano stati loro a voler combattere ad ogni costo, nonostante i suoi ordini fossero altri.

Ma tutto ciò non lo disse. Aveva capito che, qualsiasi cosa, non avrebbe lenito ne la sua colpa ne il suo dolore. Non sarebbe servito a niente.

Così se n’era semplicemente andato. Era uscito da quella stanza lasciandola sola, sapendo che non appena si fosse chiuso la porta alle spalle lei avrebbe afferrato la mano di Seiya e l’avrebbe stretta forte; sarebbe rimasta lì, tutta la notte, cedendo poi il passo al sonno nel quale comunque non avrebbe trovato pace.

Fuori dalla stanza, seduto su una sedia che di comodo non aveva nulla, aveva trovato Ikki. Suo fratello.

Ikki che, per una volta, non era scomparso nel silenzio lasciandosi dietro solo la promessa di esserci, quando ce ne fosse stato bisogno; Ikki ch’era rimasto – a modo suo – accanto a loro.

Non aveva quasi parlato in quei giorni d’ospedale, mentre con il loro via vai continuo avevano ravvivato quei corridoi. Assai poco probabile che ci fosse stata altrettanta gente così coriacea per il chicchessia paziente altro. Probabilmente sembravano anche un po’ idioti.

Shun si era seduto accanto al fratello senza dire nulla, fissando la parete davanti a sé. Sapeva che anche Ikki, al pari suo e di Saori, s’incolpava per quanto successo al Pegaso. Perché se fosse riuscito a liberare prima suo fratello… Se semplicemente si fosse accorto di cosa suo fratello era o stava diventando…

Ma ora Ikki non era più tanto sicuro di questo. Il discorso tra Saori e suo fratello lo aveva sentito, e le parole della ragazza gli erano rimaste impigliate nella mente, così come una mosca rimane impigliata nella tela di un ragno.

Che davvero tutto quello dovesse accadere comunque?

Era destino?

Ma tuttavia chi, di loro, nel destino ci aveva davvero creduto? Sarebbero mai arrivati dov’erano credendoci?

Domande sciocche e complesse, ma che sempre più spesso occupavano i pensieri del Cavaliere della Fenice. Forse era il troppo tempo lì dentro, immobile, incapace e impossibilitato a fare la qualunque cosa. Forse era, più semplicemente, il fatto che Seiya non si svegliava. Perché Seiya non si svegliava, questo era il fatto. E la possibilità che lui non si svegliasse mai più, cedendo il passo all’oblio, era qualcosa a cui nessuno di loro aveva mai pensato. Non poteva esistere una cosa del genere.

Ikki non capiva veramente cosa fossero quei pensieri, e cercò di scacciarli passandosi una mano sugli occhi. Dov’era finito il pragmatico Cavaliere della Fenice? Dov’era tutta la sua forza di affrontare la qualsiasi realtà così come veniva, prendendola di petto?

Forse la risposta era in quella stanza d’ospedale, e nel ragazzo che la occupava.

 

 

Cos’era quel posto che vedeva? Dove si trovava?

Avrebbe voluto chiederlo, Seiya, ma intorno non c’era anima viva. Solo quello che sembrava un villaggio di chissà quale epoca, abbarbicato lungo un fiume, inondato dalla calda luce del sole.

“ Ah, quindi sei tu!”

Una voce allegra e scanzonata lo fece voltare. Davanti a lui, seduto scompostamente su un muretto diroccato, stava un ragazzo che non poteva avere più dei suoi anni. E, mio Dio, quanto gli assomigliava.

“ Chi sei? Cos’è questo posto?” Aveva allora domandato il Cavaliere di Pegaso, impetuoso come sempre lo era stato.

Il ragazzo davanti a lui aveva sorriso – un sorriso così simile al suo che gli sembrava di stare davanti ad uno specchio! – ed era agilmente balzato giù dalla sua panchina improvvisata. Gli si era avvicinato tranquillo, mani in tasca e atteggiamento scanzonato, tipico di chi non ha paura di nulla. Gli si era fermato davanti, ad una manciata di centimetri, e lo aveva fissato dritto negli occhi, cercando in essi chissà cosa.

“ Sai, ti ho osservato a lungo, ma averti qui davanti è tutta un’altra cosa.” Aveva esordito quello strano ragazzo, esibendosi poi in un sorriso sornione.

Seiya l’aveva fissato sconvolto, chiedendosi se fosse pericoloso o semplicemente pazzo.

“ Tenma! Non fare così. Lo spaventi.”

Un’altra voce, questa volta femminile, lo aveva costretto a voltarsi, trovandosi davanti un’elegante figura di ragazza, giovane quanto lui e l’altro, con le braccia conserte sotto al seno e un cipiglio che su quel viso delicato era quanto di più buffo ci fosse. Ma poi lei aveva sorriso – sorriso con la bocca, gli occhi e il cuore – e in quel sorriso Seiya era certo di aver rivisto Saori.

“ Cosa…”

“ Non devi aver paura. Non siamo ne all’Inferno ne in Paradiso.” Aveva detto la ragazza, sciogliendosi da quella posizione e facendosi incontro.

“ Quindi non sono morto?”
“ No. Tu ancora no.” Lo aveva rassicurato quel ragazzo, Tenma, ridendo divertito da chissà cosa.

“ Io… Io non credo di capire…”

E Seiya davvero non capiva. Non capiva perché non ricordava nulla al di fuori della spada di Hades e delle lacrime di Saori e dei suoi amici. Poi si era ritrovato lì. Fine dei giochi.

I due che lo circondavano si sorrisero, complici di qualcosa – forse di quel qualcosa che ad entrambi brillava negli occhi – e poi Tenma fece un inchino esagerato verso la ragazza.

“ A te l’onore, Sasha.”

 

 

Saori non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ne quando il sonno l’aveva presa. Quello che sapeva per certo era che anche la giornata che stava per sorgere sarebbe stata all’insegna del mal di schiena e della cervicale. Continuare a dormire ogni notte seduta con la testa che ricadeva sul letto di Seiya non era certo la cosa più salutare. Ma alla ragazza non importava: lui aveva patito le pene dell’Inferno – nel senso stretto del termine – per starle accanto, quindi lei un mal di schiena poteva sopportarlo senza proferire parola.

Si era alzata con una lentezza insopportabile, e ossa e muscoli avevano protestato. Non ci aveva fatto caso.

Si era soffermata sul viso di Seiya; vederlo lì, inerme, le faceva male al cuore. Ma quell’espressione tranquilla sul viso del ragazzo, che sembrava semplicemente dormire, le aveva fatto tenerezza. Mai lo aveva visto così rilassato, innocente. Si era più che altro abituata alla sua in arginabile vitalità, alla sua forza e alla sua determinazione che mai sembravano esaurirsi.

Gli aveva scostato delicatamente i capelli un po’ troppo lunghi che gli ricadevano sugli occhi, e poi si era abbassata a posargli un bacio sulla fronte. Poi, semplicemente, era uscita dalla stanza.

 

 

Fuori c’erano tutti, silenziosi come mai quella banda di scalmanati aveva saputo essere.

Tutti avevano occhiaie e facce distrutte, e sembravano molto più vecchi degli anni che avevano. Ma in fondo era difficile che così non fosse, dato che se ognuno di loro riusciva a dormire più di un paio d’ore a notte era un miracolo. In ogni caso nessuno di loro voleva davvero dormire, perché ognuno di loro si colpevolizzava per lo stato di Seiya, e ognuno avrebbe fatto a meno di cibo e sonno se Saori stessa non li avesse obbligati almeno ad un pasto decente e all’illusione di una dormita. Che poi lei non rispettasse questo tacito accordo lo sapevano tutti, ma testarda com’era non sarebbero comunque riusciti a fare nulla.

Era raro che parlassero, e anche quella mattina sarebbe stato così.

Un sorriso mesto da parte della ragazza e un’alzata degli occhi da parte dei ragazzi. Poi Shiryu si sarebbe fiondato al capezzale di Seiya e tutti gli altri sarebbero rimasti lì, ad aspettare.

 

 

“ Quindi non sono morto?”

“ No.”

“ Ma voi lo siete.”

“ Da parecchio tempo.”

“ Ah.”

“ Già.”

Quel breve scambio di battute tra Seiya e Tenma aveva fatto sorridere Sasha: potevano passare i secoli e susseguirsi le reincarnazioni, ma il Cavaliere di Pegaso non sarebbe mai cambiato.

Vide gli occhi di Seiya vagare, ancora disorientati, e capì che le domande non erano ancora finite. C’era tanto che il ragazzo voleva chiedere, ma per chissà quale strana ragione se ne restava zitto. E, così come succedeva con Tenma, gli avrebbe cavato le parole con le pinze se fosse stato necessario.

“ Guarda che puoi chiedere, se vuoi. Non spariremo ancora.”

“ Cosa vuoi dire?”

“ Vuol dire che abbiamo ancora un po’ di tempo. Non tantissimo, ma ce lo faremo bastare.” Aveva detto allora Tenma, per la prima volta privo della sua aria baldanzosa. Aveva poi posato gli occhi su Sasha che aveva sorriso, prendendogli la mano. Per qualche strana ragione quei due parevano in grado di leggersi nel pensiero. O nel cuore.

Di nuovo, in quel sorriso dolce di ragazza e donna, Seiya aveva rivisto Saori. E ancora una volta ne era rimasto sconcertato.

“ Tu… Tu le somigli.” Aveva bisbigliato guardandola, e il sorriso di lei era diventato triste. La mano di Tenma, ancora stretta alla sua, si era risaldata.

“ Io sono lei, Seiya.” Aveva sussurrato Sasha, gli occhi limpidi di determinazione e chissà che altro.

“ Cosa?”

“ Io sono lei. Così come Tenma è te.”

 

 

Le nocche avevano preso a sanguinargli. La parete che aveva davanti recava una crepa profonda e decisamente lunga; proprio lì, dove il muro di apriva, si potevano vedere gocce di sangue macchiarlo a sprazzi.

“ Ti senti meglio?”

La voce pacata di Shiryu aveva posto quella domanda, e Hyoga avrebbe voluto che non fossi lì. Davvero.

“ Devo risponderti?”

Scrutarsi negli occhi, intensamente come facevano loro in quel momento, era certamente una cosa che non giovava a nessuno dei due. Hyoga dallo sguardo freddo, siberiano; Shiryu con negli occhi la pacatezza che Goro-Ho e Dohko gli avevano trasmesso.

“ Come abbiamo fatto a non ammazzarci fino ad ora?” Aveva chiesto improvvisamente il biondino, abbassando lo sguardo sulla mano insanguinata chiusa in un pugno.

“ C’è un’ideale che ci ha sempre uniti.”

Ma entrambi sapevano che Shiryu mentiva, almeno in parte. Certo vera ero che la Giustizia e Atena li avevano tenuti uniti, perché in fondo combattevano tutti per un unico ideale; altrettanto vero era che senza la presenza pestifera e giocherellona di Seiya – Seiya che una ne pensava e cento ne faceva! Seiya che andava ad intuito, seguendo l’istinto, e mai la testa! – probabilmente si sarebbero divisi dopo i primi cinque minuti passati nella stessa stanza. O forse si sarebbero saltati alla gola, ognuno a modo proprio.

Ma tutto questo nessuno aveva voglia di palesarlo: non avrebbe fatto altro che rendere quella situazione ancora più dolorosa. E tutti loro, di dolore, ne avevano patito fin troppo.

“ Lui si sveglierà.” Aveva detto d’un tratto Hyoga, in un sussurro così flebile che l’altro si era sorpreso di averlo sentito. “ Si sveglierà.”

E ci credeva. Davvero. Ma per un attimo la rabbia si era impossessata di lui, e colpire la parete era stata una cosa venutagli spontanea. Che il muro fosse rotto e la sua mano sanguinante non importava.

Hyoga ci credeva. E Shiryu anche.

 

 

“ 243 anni fa ero Atena. 243 anni fa Tenma era il Cavaliere di Pegasus.” Aveva detto Sasha, la voce pregna di malinconia.

Seiya aveva spalancato gli occhi e aveva fissato il ragazzo che aveva davanti. Ora capiva quella tremenda somiglianza che aveva subito notato, e anche perché quella ragazza gli ricordasse tanto Saori. Ma il punto centrale della faccenda rimaneva comunque: com’era possibile?

“ È sconvolgente, lo so. E non certo facile da accettare. Ma è così Seiya: io e Tenma eravamo all’epoca ciò che in quest’era siete tu e Saori. La differenza sostanziale sta nel fatto che io ho scoperto quand’ero una bambina quale sarebbe stato il mio Destino, e Tenma ha deciso di sua spontanea volontà di divenire Cavaliere. A voi nessuno ha concesso una scelta.”

Ma Seiya avrebbe voluto dirle che non era così, che anche loro – o almeno lui! – una scelta ce l’avevano avuta, e avevano scelto il campo di battaglia. Tutto questo senza sapere che i suoi pensieri lì, e quelli di Shun da qualche altra parte, vertevano nella stessa direzione.

“ Lo so cosa vorresti dirmi: che una scelta c’era e voi l’aveva fatta. Ma non è così. Tu hai potuto scegliere, scegliere se abbandonare l’Armatura o continuare. Saori non ha avuto questa possibilità. Lei ha semplicemente accettato ciò che doveva essere, e si è caricata sulle spalle il peso del mondo. Ma forse non era pronta per farlo.” Sasha vide Seiya spalancare gli occhi a quella frase, sconvolto. “ Nessuno di noi era pronto. Nessuno. Non noi 243 anni fa, non voi ora. Nessuno.”

Ed era vero. Era la pura e semplice verità.

“ Allora perché siamo qui?” Aveva chiesto Seiya, abbassando lo sguardo. Iniziava a non capirci nulla.

“ Chi può dirlo? Forse per uno strano gioco del destino. Forse per nostra scelta.” Aveva detto Tenma con un’alzata di spalle. “ In ogni caso non sono pentito della mia vita.”

“ Nemmeno io.” Aveva concordato Seiya, deciso.

Era calato il silenzio tra di loro. Tutti erano persi nei proprio ricordi, lontani o vicini che fossero. Era stata Sasha a rompere quell’attimo di stallo.

“ Seiya, in ogni Guerra Sacra Pegasus è sempre stato al fianco di Atena, dall’Epoca del Mito. Sempre. E sempre la conclusione è stata la stessa: non abbiamo mai vinto davvero. Abbiamo combattuto, e siamo morti. Prima o dopo finiva sempre così. Ma questa volta è diverso.”

“ Diverso? Cosa ci sarebbe di diverso? Uno di noi è comunque schiattato.” Aveva detto rabbiosamente Seiya, stringendo i pugni e infervorandosi.

“ Ti abbiamo già spiegato che non sei morto.” Gli aveva fatto notare Tenma seccato.

“ Già, proprio così. Hades è stato sconfitto, questa volta per davvero. Atena è ancora viva; Pegasus è ancora vivo. Forse questa maledizione si è definitivamente rotta. Forse siete salvi.” Aveva spiegato Sasha, il cuore colmo di commozione.

“ Non ci conterei molto. Non mi fido degli Dei.” Aveva borbottato Seiya scotendo la testa.

“ Ma siete vivi. Entrambi. Ora. Ti basta questo?”

Seiya aveva esitato, ma gli occhi di Sasha erano così limpidi – e così simili a quelli di Saori – che ogni cosa era scomparsa, e la risposta era salita rapida alle sue labbra.

“ Sì, mi basta.”

“ Bene.”

Tenma aveva preso a ridere, improvvisamente. E Seiya in quella risata si era riconosciuto. E lo aveva seguito, trascinandosi dietro anche Sasha. Poi il momento era finito, e tutti e tre sapevano cosa stava per succedere.

“ Torna a casa, Seiya. Torna da chi ti ama.”

E l’ultima cosa che aveva visto erano stati i loro sorrisi caldi.

 

 

Quando le macchine erano impazzite Saori si era svegliata di colpo, sollevandosi così in fretta che il sangue era defluito troppo rapidamente alla testa facendola barcollare. Poi tutto era passato in secondo piano.

La mano di Seiya, che ancora stringeva, si era mossa e aveva stretto la sua; le palpebre avevano tremato, lievi; il respiro si era fatto più leggero, come quando si esce dal sonno. Pochi istanti dopo il ragazzo aveva aperto gli occhi e si era trovato a fissarne un paio blu intenso – almeno credeva dato che aveva ancora la vista offuscata – che conosceva bene.

E tutto era esploso.

 

La felicità che ora si respira in quella stanza è pari solo al timore che sia tutto un sogno. Ma è veramente Seiya chi vi sta fissando, anche se pare abbastanza perplesso.

E improvvisamente ci sono i dottori che vi cacciano; e le vostre proteste che a nulla valgono; e gli occhi ludici – ancora! – per una volta di gioia.

Seiya si è svegliato. Seiya sta bene.

 

La ressa di medici e infermieri è passata. Quella specie di manicomio strutturato che avevate creato anche. Solo la gioia rimane, salda e incrollabile.

Seiya vi chiede, perché non capisce. E voi raccontate, tutto. E un lampo passa negli occhi castani del ragazzo ad un certo punto, come se una porta si fosse improvvisamente aperta su un altro mondo, trascinandolo per un attimo lontano. Poi tutto torna normale.

“ Visto? Neanche Hades riesce a farmi fuori!” Esclama euforico Seiya, sollevando di scatto le braccia al cielo e gemendo di dolore subito dopo: è tutto intirizzito.

“ Neanche l’Inferno ti vuole a te.” Rincara la dose Shiryu, gli occhi ridenti di lacrime di gioia. E tutti ridono.

 

È calata la sera ormai, e le infermiere hanno provveduto a cacciarvi dall’ospedale di gran lena, spedendovi quasi a calci nel fondoschiena a mangiare decentemente e a farvi una grassa dormita. E questa notte ci riuscirete sicuramente.

Se ne sono andati via tutti… Pardon, quasi tutti.

Tu sei rimasta lì, ferma, ben sapendo che niente e nessuno sarebbero riusciti a smuoverti.

Apri piano la porta della stanza di Seiya. Il ragazzo è sveglio che legge una qualche rivista portatagli da qualcuno non bene identificato. Si riscuote immediatamente quando sente la porta aprirsi.

“ Che ci fai qui?” Ti domanda perplesso. Hai una faccia orribile, e questo ai suoi occhi dev’essere chiaro. “ Dovresti andare a casa a mangiare e dormire. Sei distrutta: Shun mi ha detto che sei stata con me ogni notte.”

Maledizione alla boccaccia di Shun! Ti riprometti che appena lo becchi sono affari suoi.

Tu non dici niente, ti limiti ad avvicinarti. Gli occhi bruciano tanto, troppo, e senti che tutte le lacrime che hai trattenuto in questi tre mesi d’inferno sono pronte a sgorgare.

Sei ad un passo dal letto quando ti lanci su Seiya – nel vero senso della parola! – e lo abbracci con quanta forza hai. Non che sia molta vista il tuo attuale grado di stanchezza. Ma non t’importa. Lo stringi a te, e le lacrime scorrono libere sulle tue guance, senza più barriere a trattenerle. Dentro di te la felicità esplode come fuochi d’artificio. E chissà come ti ritrovi tu ad essere abbracciata, stretta a quel petto forte che tante volte ti ha protetta. Ora no. Ora vuole solo accoglierti e cullarti.

Quando vi staccate i solchi delle lacrime sono ben visibili sulle tue guance, e Seiya si prodiga a cancellare quelle scie con le sue dita. Poi ti fissa, serio, e non riesci a capire cosa gli passi per la testa.

“ Hai veramente una faccia orrenda!” Esclama poi, divertito, prima che un leggero pugno si abbatta sulla sua testa. Strano, non sei mai stato così espansiva con qualcuno.

“ Idiota. Ovvio che ho una faccia orrenda. Non hai idea di cosa ho passato in questi mesi. E anche gli altri. Ti sembra forse che qualcuno di noi abbia una faccia che non assomigli a quella di uno zombie?” Gli urli contro, facendolo ridere, e nel frattempo ti asciughi completamente il viso.

Poi tutto tace, e quel silenzio è inquietante se calcoliamo che è di Seiya che stiamo parlando.

“ Mi dispiace.” Sussurra lui mesto, abbassando lo sguardo.

“ No. Non è stata colpa tua. Solo mia. Io ti ho…” Un dito, improvvisamente appoggiato alle tue labbra, non ti permette di proseguire.

“ Non dirlo. Non colpevolizzarti. Smettila. Ho scelto io di continuare a combattere. Ho scelto io di scendere negli Inferi. E ho scelto di mia spontanea volontà di rimanerti accanto.”

E a quella frase, a quell’ultima frase, hai paura di dare un significato. Non sono le parole di un Cavaliere per la sua Dea. Affatto. E la cosa ti turba. Perché finché sei Atena è facile, ma quando lui ti tratta come la ragazza che in fondo sei non sai come comportarti.

“ Ho incontrato due persone nel mio sonno. Forse…” E quel forse lo fa ridacchiare. “ Mi hanno detto che in ogni Guerra Pegasus è stato al fianco di Atena, e in ogni Guerra sono morti. Ma noi no.”

“ Chi… Chi ti ha detto questo?” Domandi improvvisamente vigile e terrorizzata al contempo.

“ Tenma e Sasha.”

Il tuo cuore perde un battito. Poi un altro. Lui sa! Ed è l’unica cosa che riesci a registrare.

Ti allontani di scatto, dandogli la schiena. Ha scoperto tutto.

“ E quindi sai.” Dici distrutta, le spalle incurvate e le mani che tremano.

Lui ti odia, questo è certo. Ti odia perché epoca dopo epoca, era dopo era, ti è sempre rimasto accanto, saldando insieme a te una catena indistruttibile, che ancora vi lega l’uno all’altra e ai campi di battaglia. E per questo è morto con te mille volte.

Non sai cosa dire. Non sai cosa fare. Cosa strana, dato che a te non capita praticamente mai. Ma è Seiya a decidere per entrambi. Ti abbraccia da dietro, con forza, e preme la tua schiena contro il suo petto in una stretta tale che senti il calore del suo corpo anche attraverso i vestiti.

“ Non ti odio. Non pensarlo. Ho scelto di rimanerti accanto e non mi pento.” Dice Seiya con voce roca, abbandonato tra i tuoi capelli, soffiandoti sul collo.

Tu stringi forte i pugni, e al posto delle lacrime nasce un sorriso. Non capisci come sia possibile, ma il miracolo in cui non credevi – in cui non volevi credere! – è accaduto: lui è davvero sopravvissuto alla Guerra Sacra. E tu anche.

Lui non ti odia. Lui ha scelto di continuare a camminare al tuo fianco. E anche se non puoi accettarlo, perché sarebbe solo altro dolore per lui, questa sera vuoi accettarlo. Questa sera non t’importa degli Dei, delle Guerre, dei Cavalieri e di essere Atena. Non stasera.

Ti volti verso di lui e sorridi – sorridono le tue labbra, i tuoi occhi e il tuo cuore.

Seiya ti tira, distendendosi e portandoti con sé. La tua testa appoggiata al suo petto; le sue mani che giocano con i tuoi capelli.

Domani sarà una nuova giornata all’insegna del mal di schiena e della cervicale. Domani i ragazzi entreranno facendo baccano, seguiti da Seika, Miho e tutti i bambini dell’Orfanotrofio felici che il loro Eroe si sia svegliato. Domani mattina le infermiere entreranno e sorrideranno complici, comprendendo, dando loro voce a quel qualcosa che voi ancora non siete pronti a chiamare per nome. Domani Tatsumi ti sgriderà per aver passato la notte fuori, e soprattutto per aver dormito nello stesso letto di Seiya. Ma forse questo potresti anche nasconderglielo.

Domani… Domani sarà domani. Oggi e oggi. E quei giorni di angoscia e dolore sono finiti. Da domani ci saranno nuovi giorni.

 

 

OK, questa… “cosa” è finita!

Non chiedetemi da dov’è uscita, perché non so spiegarlo nemmeno io. Inizialmente avevo un’idea in mente, ma poi la storia ha veleggiato su lidi sconosciuti e il risultato… è questo.

Vabbè dai: poteva anche andare peggio xD

Fatemi sapere se è veramente l’obbrobrio che credo sia.

 

LadyBlueSky

  
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