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Autore: Mellark_    22/03/2014    4 recensioni
AU Klaine di due capitoli. Spero vi piaccia! :)
Columbia University, New York; 1967/1968.
Blaine è uno studente al secondo anno figlio di uno degli uomini più potenti della città; Kurt è una matricola arrivata alla Columbia con una borsa di studio. Non potrebbero essere più diversi ma si ritroveranno a dover condividere una stanza e, con il tempo, anche le loro vite.
Dal testo del primo capitolo:
-A volte ha voglia di alzarsi la notte quando lo sente rientrare e chiedergli dove sia stato, ma poi si chiude la bocca ripetendosi che non sono affari suoi perché è già abbastanza un casino che il cuore gli batta così forte quando lo vede, e complicarsi la vita da soli non serve a niente, tanto meno se vuole veramente diventare “lo scrittore del secolo”, come dice sempre suo padre.-
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si sente tanto parlare di scrittori maledetti, dannati, che vivono ai margini, sperimentando tutto ciò che la vita offre loro. Sopravvivendo, vivendo alla giornata con quello che trovano, respirando la notte nei quartieri malfamati, perdendosi nei fumi dell’alcol e delle gioie passeggere.
Si vantano di essere loro i veri scrittori predicando che chi vive sempre nella solita casa, chi non rischia la vita ogni giorno, chi non vede il degrado del mondo, non può scrivere. Dicono che tornando a casa dopo una notte così si sentono pieni d’ispirazione e cazzate varie; ma sono tutte scuse.
Forse è anche vero che uno scrittore non può stare rinchiuso nella sua casa, al sicuro, per tutta la sua vita; non avrebbe nulla di cui scrivere. Ma le persona che predicano la dannazione come unica via sbagliano, sbagliano e si illudono. La loro vita è vuota, anzi, no, è piena di quella dannazione di cui vanno tanto fieri, di quel veleno che si lasciano scorrere nella vene; di quella convinzione di stare vivendo quello che va vissuto per forza, per essere uno scrittore. Troppo piena di tutto questo. Ma se non ci fossero tutte queste cose a pienare i vuoti della loro mente, se non ci fossero queste illusioni dovrebbero pensare all’oblio in cui la loro vita è caduta; e fa schifo. Ammettere la verità fa sempre schifo.
Kurt e Blaine lo sanno; lo sanno molto bene, solo che sono uno da una parte e uno dall’altra. Uno si illude e l’altro, bhe l’altro cerca solo di andare avanti sperando di riuscire a scrivere anche senza dannazione.


Infatti Kurt di dannato o maledetto non ha proprio nulla. Sarà che lui alla Columbia ci è arrivato un po’ per fortuna, ma non può proprio permettere di mettersi a fare il dannato per raggiungere chissà quale illuminazione artistica.
Ed è il 1967, insomma, un “invertito” come lui deve stare zitto e fermo, e tanto basta.
Esporsi sarebbe un suicidio sociale e professionale.
Non che neghi sé stesso, affatto, quello ha smesso di farlo più o meno quando si è accorto che è perfettamente inutile, è come cercare di chiudere un taglio con un coltello: vano e autodistruttivo. Però lui, in quei posti in cui puoi baciare altri ragazzi senza che nessuno lo venga a sapere, in quelle stanze buie, in quei locali che nessuno lo dice ma che tutti sanno che ci sono; non ci va.
Però non esce neanche con le ragazze, questo è certo. Quando ai pranzi di famiglia gli chiedono “Bhe, Kurt, quand’è che ci porti a casa una bella ragazza?” lui si limita ad annuire con quella tipica espressione alla ‘mi hai tolto le parole di bocca!’ alla repentina risposta di suo padre: “Il nostro Kurt è troppo occupato a diventare lo scrittore del secolo! Le donne dopo!” il tutto accompagnato da una sonora pacca sulla spalla che ogni volta rischia di fargli partire una scapola.
Non può dire di essere felice del fatto di non poter avere accanto una persona in quel senso, ma almeno non deve fingere cercandosi una ragazza che non potrà mai amare.
“Quando trovi quella persona, Kurt, quella che ti fa sentire le farfalle nello stomaco, quella che con un solo sguardo sa renderti felice, quella che ti tiene quando cadi, e si, quella che quando piange ti fa sentire come se il cuore ti venisse strappato in mille pezzi e lo stomaco ti venisse rivoltato e stretto in una morsa; non lasciarla andare per nulla al mondo!” sua madre glielo diceva sempre. E non parlava di una ragazza come facevano tutti gli altri, ma di una persona . Kurt si chiede spesso perché sua madre abbia sempre usato quella parola, anche poco prima di morire, non gli ha mai detto “Trovati una brava ragazza da sposare” ma “Trova qualcuno da amare, Kurt. Trova una persona che renda bella la vita”. Non trova una risposta, a quella domanda, ma magari sua madre lo capiva più di chiunque al mondo, forse sapeva già quello che lui ci avrebbe messo anni a capire.

Blaine, invece, può essere dannato quanto gli pare. È uno di quelli che ha più soldi che problemi e, se volesse, lui la Columbia se la potrebbe comprare senza troppi problemi.
Lui, in quei locali, ci va; pure se è il 1967 e di quello che è lui non se ne può neanche parlare. Insomma, visto che è un invertito tanto vale godersela e divertirsi, no? Non serve a nulla negarsi, fingere di avere le voglie per qualche oca giusto per ottenere l’approvazione di una società che non potresti disprezzare di più; distruggersi dentro per apparire splendente e normale agli occhi degli altri.
Lui, le cose che fa in quei locali innominabili, in quelle stanze buie, in quei posti anonimi dove non dici neanche il tuo nome, le farebbe pure alla luce del sole, davanti a tutta l’America e a tutto il mondo, davanti a Wall Street oppure in pieno Central Park; non si vergona di sé, e perché dovrebbe?
Proverebbe vergona se fosse come suo padre: venduto, corrotto, perso nell’amore per i soldi che gli ha fatto dimenticare quello per una moglie e due figli; se fosse così allora si che troverebbe un motivo per nascondersi e non farsi più vedere da anima viva.
Forse l’unica vergogna della sua vita è proprio dipendere da quell’uomo, vivere dei suoi soldi; ma se fosse per lui, se potesse,  glieli butterebbe tutti in faccia, quegli stupidi pezzi di carta, non gliene frega niente. Rinuncerebbe a tutto in cambio di un abbraccio, di una cena di famiglia o della sua presenza ad una delle partite di quand’era bambino. Ma queste cose con i soldi non si possono comprare, quindi tanto vale spenderli , così, giusto per vendetta.
Tanto vale usarli, quei pezzi di carta, e comprarci uno scotch di quelli buoni. Tanto lo scotch dura di più di un abbraccio, no?
*



“Ciao!” esclama Kurt, con un po’ troppo entusiasmo, posando a terra le sue poche valige. “Emm.... io sono Kurt” continua, porgendo la mano al compagno di stanza. Quest’ultimo lo osserva con uno sguardo divertito e sembra soppesare l’idea di rifiutare la convenzione sociale dello stringere la mano al suo nuovo compagno di stanza, così, giusto per iniziare col piede giusto, ma alla fine ricambia la stretta per cinque secondi scarsi.
Kurt lo osserva un po’ spiazzato, ma nulla, neanche la maleducazione dell’ennesimo figlio di papà che pensa di essere il padrone della facoltà, può spegnere l’entusiasmo che gli monta dentro: è alla Columbia!
“Sono il nuovo borsista” esclama ancora una volta, iniziando a sistemare le proprie cose.
Il suo nuovo compagno di stanza lo osserva da capo a piedi, analizzandolo, quasi fosse chissà quale animale raro; comincia persino a girargli intorno con un ghigno divertito. Kurt si blocca di scatto, sentendo lo sguardo dell’altro su di sé pesargli accusatore sulla schiena come un macigno. 
“Oh,  voi borsisti!” soggiunge il moro, fermandosi anch’egli.  “Siete decisamente i miei preferiti. Così grati a questa nobile istituzione per la possibilità che vi è stata concessa di scrollarvi di dosso le vostre famiglie bisognose e di lasciare quei sobborghi sudici e colmi d’ignoranza nei quali vi sentivate così incompresi, da comportarvi come cagnolini, standovene buoni buoni sui vostri libri di seconda mano credendo di essere speciali finché non vi accorgete di non esserlo affatto.... Ah quel momento. Quella scintilla di follia e rabbia cieca” continua, con tono trascinante, muovendo le mani in modo teatrale, quasi fosse un attore che recita un monologo. “Siete i più talentuosi, si, ma anche i primi ad impazzire” conclude, con sospiro soddisfatto.
Kurt si volta lentamente verso il moro e gli rivolge uno sguardo vagamente sprezzante. “E tu chi saresti per dire questo?” domanda, fissandolo. Blaine lo guarda stupefatto giusto per un secondo, prima di rispondere, sprezzante: “Blaine Anderson” pronuncia lentamente il proprio cognome, assaporando la reazione che provoca nell’altro ragazzo.
Kurt infatti sbarra gli occhi giusto per un momento prima di assumere un’espressione che trasmette solo consapevolezza, poco prima di girarsi e tornare a mettere a posto le proprie cose.
“Ovvio. Avrei dovuto aspettarmelo; il figlio di papà per eccellenza che crede di possedere la facoltà, e spara sentenze sui poveri borsisti che arrivano dai bassifondi  col suo tono sprezzante da uomo vissuto. Certo” ribatte, quasi scocciato, con tono di ovvietà.
Blaine sorride alle sue spalle. Nessuno gli aveva mai risposto in quel modo, tutti si limitavano ad annuire, asserviti, mettendosi completamente al suo servizio.
I borsisti erano tutti così: arrivavano e, quando capivano chi era, cominciavano a leccargli il culo senza ritegno; molto di loro si sarebbero buttati nell’Hudson senza pensarci due volte se lui glielo avesse ordinato.
Ma lui gli aveva risposto. Quel ragazzo proveniente da chissà quale sobborgo sperduto, gli aveva dato del figlio di papà, lo aveva affrontato, non si era limitato a dargli il contentino. Eppure il discorsetto cinico da Drama Queen era sempre lo stesso per tutti i nuovi disperati che gli appioppavano come compagni di stanza; Kurt però non sembra per nulla disposto ad arrendersi o a buttarsi ai suoi piedi per un favore; e questo gli piace, gli piace da matti.
“Mmh, non sei uno in cerca di favori, eh?” domanda il moro, guardandolo con interesse.
“No” risponde secco l’altro, voltandosi nuovamente verso il compagno di stanza. “Sono arrivato qui con le mie forze , non mi sono mai serviti i favori di nessuno, tantomeno di un viziatello, e non mi serviranno di certo ora” conclude, alzando le spalle con sguardo di sfida.
“Di dove sei, Kurt?”
“Lima, Ohio” mormora, leggermente spiazzato. Gli ha appena dato del viziato, del figlio di papà e l’unica cosa che gli dice è ‘di dove sei?’?  Il ragazzo che dopo appena due minuti che lo conosceva gli aveva fatto una sparata sui borsisti e la loro patetica esistenza?
“Uh, lontanuccio. Ti manca?” continua Blaine, con tono stranamente gentile, sedendosi sul proprio letto. Solo allora Kurt si accorge di essere rimasto impalato nel bel mezzo della stanza; si affretta a sedersi sul materasso morbido ancora privo di lenzuola. “Affatto” ridacchia leggermente, sentendo l’antipatia istintiva che aveva avvertito per quel ragazzo scemare poco a poco. “Insomma, la mia famiglia si... ma l’Ohio per niente. Qui è tutta un’altra storia per uno come me” continua, pentendosene subito. Non può di certo rivelare ad un tizio appena conosciuto il suo grande segreto. Soprattutto non se questo tizio non è come lui, o almeno non sembra esserlo. 
“Uno come te?” domanda subito Blaine, incuriosito.
Lo sa benissimo cosa intende Kurt, se n’è accorto subito: Kurt è come lui, ma sa anche che non lo ammetterà mai, non ora.
“Io...emm, intendevo uno scrittore. Lì non danno molto spazio sai all’arte, alla scrittura... cose così” borbotta, imbarazzato, arrampicandosi un po’ sugli specchi sperando che la sua bugia non sia troppo evidente. Blaine non ci crede neanche per un secondo, ovviamente, ma decide di aiutarlo; non sa perché, ma non ha voglia di metterlo in difficoltà ancora di più, almeno non troppo.
“Certo, hai ragione. La Città ha un ambiente letterario impareggiabile, la Columbia poi... davvero dei corsi fantastici. Ginsberg ha studiato qui. Ti piace Ginsberg, vero?” replica, forse con tono eloquente, fingendo un po’ troppa innocenza. Vede con piacere il chiaro riferimento che ha fatto tramite Ginsberg chiarirsi nella mente del suo interlocutore; non vuole turbarlo eccessivamente, ma qualche frecciatina velata non se la può proprio risparmiare.
“Emm, certo, si. Mi piace Ginsberg, mi piace molto” borbotta, leggermente a disagio. Sente l’improvviso bisogno di fuggire, di andarsene da quella stanza, di chiudersi in un posto nel quale nessuno lo possa trovare; perché Blaine Anderson, quel viziato cinico, gli sta leggendo dentro e c’è troppo di sbagliato in lui che non può far vedere a nessuno. Infatti abbassa immediatamente lo sguardo e si alza di scatto, afferrando le lenzuola e cominciando a mettere apposto il suo letto.
“Anche a me piace Ginsberg” replica dopo po’ Blaine. E Kurt non sa proprio come interpretare questa risposta; forse la faccenda di Ginsberg è tutta una qualche specie di metafora, magari Blaine ha capito tutto e vuole fargli capire che stanno dalla stessa parte, ma non può rischiare certo di uscire allo scoperto per poi scoprire che era tutta discussione puramente letteraria.
Così il castano si limita ad annuire, ancora girato, aspettando che l’altro esca dalla stanza per la cena prima di lasciarsi cadere sul letto con uno sbuffo liberatorio.

*
Alla fine, in un modo o nell’altro, Kurt e Blaine si abituano a condividere la stanza, forse diventano anche amici; ma è difficile per Kurt pensare alla loro relazione in quei termini. Insomma, non che Blaine non gli piaccia, anzi; è intelligente più di quanto non voglia far vedere, affascinante, talentuoso e non così viziato come può sembrare a prima impressione e, deve ammetterlo, è anche molto simpatico ed interessante. Solo che vivere con lui –si, perché poi praticamente vivono insieme- lo spinge ad affrontare quello che tenta di nascondere, insomma, un conto è ammetterlo a sé stessi ed un altro è urlarlo al mondo.
Da quel primo giorno non toccano più argomenti che potrebbero essere interpretati in un modo diverso da quello che sono; parlano di letteratura, si, ma si tengono su testi neutrali, affascinanti ma innocui. Kurt gli fa persino leggere alcune delle cose che scrive e Blaine gli da dei consigli, di certo non si può dire che non sia sincero perché non gli risparmia mai una critica su qualsiasi cosa non gli sia piaciuta della storia o della poesia che gli ha consegnato; e lo stesso fa Kurt. Gli è difficile ammettere anche questo, ma  Blaine è decisamente un talento della scrittura moderna.
Passano molto più tempo di quanto avesse programmato, insieme; ma le serate di Blaine rimangono ancora un mistero, almeno per lui. Insomma, esce ogni notte, torna in stanza a orari assurdi senza mai dire dove sia stato nonostante sappia benissimo che Kurt si accorge che quando torna è ubriaco fradicio la maggior parte delle volte; alla fine è lui a tirarlo fuori dal letto quasi tutte le mattine, a rimetterlo in piedi ficcandogli una tazza gigante di caffè in mano per permettergli di affrontare almeno le prime ore di lezione senza sembrare uno zombie. Però non l’ha mai visto portare in stanza una ragazza e, di ragazze, non gliene ha neanche mai parlato; certo, è grato per questo, ma i maschi di solito lo fanno, tra loro.
“Sei il mio angelo della sbronza, Hummel” gli ripete ogni mattina Blaine, sorseggiando in stato comatoso la sua porzione mattutina da un litro di caffè, e Kurt non può fare a meno di continuare ad esserlo perché, nonostante sia sconclusionato e spesso perso, Blaine è l’unico appoggio che ha in quella scuola, il suo unico amico, magari anche qualcosa di più. Non può non aiutarlo.
A volte ha voglia di alzarsi la notte quando lo sente rientrare e chiedergli dove sia stato, ma poi si chiude la bocca ripetendosi che non sono affari suoi perché è già abbastanza un casino che il cuore gli batta così forte quando lo vede, e complicarsi la vita da soli non serve a niente, tantomeno se vuole veramente diventare “lo scrittore del secolo”, come dice sempre suo padre. Almeno qualcosa di quella frase che suo padre ripete ad ogni pranzo o cena di famiglia diventerà vero. Deve diventarlo.


Dal canto suo anche Blaine si abitua a vivere con Kurt e, non lo ammetterebbe neanche sotto tortura, forse gli piace pure. E possiamo anche levare il forse, a dirla tutta.
I loro ritmi si sincronizzano in un equilibrio che pare quasi perfetto.
Kurt è così entusiasta e sorpreso da tutto, ingenuo e puro quasi quanto un bambino, e Blaine adora vedere quella scintilla di stupore negli occhi dell’altro ogni volta che parla di qualcosa che lo appassiona. Che sia un libro, oppure un nuovo monumento di New York che sta osservando per la prima volta, il castano lo guarda con gli occhi di chi non vorrebbe fare altro nella sua vita se non ammirare tutto ciò che ha davanti. È così entusiasta di qualsiasi cosa, la sua delicata vitalità è come un alito di vita per il moro. A lui manca davvero tanto sentirsi in quel modo, ma ha visto troppo schifo nel mondo per poterlo considerare ancora un posto meraviglioso; quindi si limita a godersi la felicità dell’altro.
Se fosse stato chiunque altro avrebbe spento il suo entusiasmo e il suo amore per il mondo e per la vita con qualche commento cinico ben costruito su quanto schifo ci sia nella società odierna; ma al diavolo il suo cinismo, non  ce la fa proprio a distruggere il suo candore quando Kurt lo guarda con quegli occhi azzurri spalancati e colmi di stupore. Non ce la fa a ridere di lui quando gli occhi gli diventano umidi mentre parla della manifestazione che ha incrociato in città durante il suo giro pomeridiano.
E si sente dannatamente debole davanti a lui perché sta perdendo quella maschera fatta di commenti sprezzanti e notti sconclusionate che aveva messo tanto tempo a costruire.
Quasi non sente più il bisogno di uscire ogni notte, ma alla fine si costringe a farlo e quindi beve, beve ogni sera un po’ di più, anche se vorrebbe farlo sempre di meno. E alla fine è proprio Kurt a rimetterlo in piedi la mattina, a dargli del caffè e a costringerlo ad andare a lezione.
“Sei il mio angelo della sbronza, Hummel” gli ripete ogni mattina, mandando giù una bidonata di caffè bollente.  E potrebbe pure levare quel ‘della sbronza’, a dirla tutta. Un po’ come il ‘forse’.


“Blaine?” domanda timidamente Kurt dal suo letto.
“Mmmh?” mormora Blaine, già mezzo addormentato. Quella sera non è uscito; avevano un compito da fare e Kurt gli aveva chiesto il suo aiuto. Non avrebbe potuto essere più felice, quando gliel’ha chiesto, almeno quella notte non sarebbe dovuto uscire a mandare giù litri di alcol.
“Hummel, sei una scocciatura” gli aveva risposto, sbuffando, quando Kurt gli aveva chiesto aiuto. Alla risposta di Blaine il castano era arrossito fino alla punta delle scarpe e aveva borbottato qualcosa di sconnesso. “Va bene, ti donerò un po’ della mia genialità” aveva sospirato alla fine con finta rassegnazione.
“Ascolta... io mi stavo chiedendo” comincia Kurt, borbottando nervosamente. “Si insomma... perché non porti mai ragazze in stanza?”  continua, pentendosi un po’ della domanda che potrebbe facilmente ritorcersi contro di lui; ma anche sentendosi più leggero per aver finalmente avuto il coraggio di pronunciare quelle parole.
Blaine ridacchia e i suoi occhi scintillano nel buio. “E perché tu non porti mai ragazze in stanza, Kurt?” domanda, mentre un ghigno divertito ma anche eccitato per dove potrebbe andare a parare la conversazione, gli si apre in volto.
“Papà dice che devo diventare lo scrittore del secolo, le ragazze dopo” sussurra, leggermente spiazzato. E solo dicendolo ad alta voce si accorge di quanto sia ridicola quella frase nella quale si era rifugiato per tanto tempo; e si sente parecchio idiota per averci creduto veramente.
“Si, certo, prossima balla” ride  Blaine, sbuffando. “Sai benissimo che so che è una cazzata colossale; e sappiamo entrambi perché non portiamo ragazze in camera, né tu né io. E non centra nulla con il ‘diventare lo scrittore del secolo’ o roba simile.”
Il castano trattiene il respiro mentre quelle parole si fanno lentamente strada nel suo cervello trasformandosi in una consapevolezza ormai innegabile: Blaine sa, lo sa probabilmente da sempre, lo sa da quel giorno di sei mesi prima e gli ha praticamente dichiarato di essere come lui. Il suo stomaco fa una capriola mentre mormora un “Mmh” che non sa nemmeno cosa sia. La verità è che adesso non ha proprio la forza di rispondere e, in realtà, non saprebbe nemmeno cosa dire. ‘Bene! Siamo due invertiti, fantastico, mi ci porti in uno di quei localini?’
No, è fuori discussione che dica qualcosa del genere.
“Dai, Kurt, non ha senso continuare a mentirci. Mi vuoi dire che ho capito male? Perché se ho frainteso dimmelo, mi dispiace di essermi sbagliato.”
“No, non hai sbagliato” risponde, meccanicamente, senza nemmeno pensarci. Avrebbe potuto dire che si, si era sbagliato alla grande e  lui era più che etero, ma non sarebbe servito a nulla; forse Blaine lo avrebbe lasciato stare, scusandosi, ma aveva ragione: continuare a mentirsi è totalmente inutile e, contro ogni logica, Kurt è quasi felice che siano entrambi venuti allo scoperto ma anche che il moro l’abbia capito da solo, lui non gliel’avrebbe mai detto.
“Tutto bene?” domanda esitante Blaine, improvvisamente allarmato dal tono del castano. Non aveva voluto offenderlo o forzarlo, con quella risposta, ma solo aiutarlo, essere sincero con lui.
“Certo, tutto bene” replica con tono più controllato, sentendo la preoccupazione nella voce dell’altro.
“Okay.”
“Okay.”
E semplicemente si zittiscono, come se volessero solo dormire; prospettiva abbastanza lontana per entrambi visti tutti i pensieri che ora gli affollano la mente.
“Diventerai davvero lo scrittore del secolo, Kurt” sussurra il moro dopo un po’, chiedendosi dove sia andato a finire tutto il suo amato cinismo; ma sa benissimo che, quando c’è di mezzo Kurt, non può più contare sul vecchio Blaine, soprattutto non in quelle situazioni. “Ma la parte sulle donne tuo padre l’ha fallita alla grande” conclude, con un sorriso timido decisamente non da lui.
Kurt si lascia a sfuggire uno sbuffo a metà tra una risatina e un sospiro liberatorio.
“Grazie” borbotta, un po’ ridacchiando e un po’ cercando di nascondere l’emozione nella propria voce.





Angolo di quella pazza che ha scritto questa roba:
Boh, io veramente non lo so. Non ho idea da dove mi sia venuta questa storia, ma dopo aver visto Kill Your Darlings (ma quanto è bravo Daniel Radcliffe!?) mi è venuta in mente e l'ho scritta. 
E' nata come un'OS ma poi è diventata troppo lunga e quindi, sotto consiglio di quella santa di Locked (che ringrazio da morire per l'aiuto e sopratutto perché mi sopporta), l'ho divisa in due parti e forse si aggiungerà una brevissima conclusione, ma devo ancora decidere. 
Comunque spero vi sia piaciuta ma capisco che molti possano averla trovata orrenda o poco orgininale; però è un esperimento e sono molto insicura quindi se qualcuno potesse lasciare una piccola opinione ne sarei molto grata c:. 
So bene anche che questo primo capitolo è un po' noiosetto, sotto certi punti di vista, ma il secondo è migliore; insomma c'è il clue dell'azione. 
Un'ultima cosa: tra i generi ho messo Fluff, so che per adesso è tutt'altro che fluff, ma se vi arrischierete a leggere il secondo capitolo (che pubblicherò probabilmente  domani), capirete perché è stato inserito, così come l'Angst. 
Bene, ora mi dileguo; grazie mille per aver letto! 
Baci! :3





 
  
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