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Autore: olivandassss    22/03/2014    1 recensioni
Era davvero primavera, e Himchan si lasciava lusingare dall’ozio mentre i pensieri sbiadivano fino a dissolversi, assorbiti dalle sensazioni: era tiepido, era soffice, era profumato, era perfetto.
(Sono l’unica che diventa sentimentale con l’arrivo del bel tempo?)
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Himchan, Yongguk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola cagatina da notte insonne e fame di sdolcinerie, non mi convince neanche di striscio ma vabbuò.
Sono l’unica che diventa sentimentale con l’arrivo del bel tempo?
(tra l’altro, fra tutte le robe serie che ho da parte dovevo proprio usare questa come prima storia nel fandom dei BAP, rinuncio a capirmi che è meglio va’)
(ps. questa canzone rende bene l'atmosfera, so!)


 



Gocce di luce mielata si andarono ad acciambellare ai confini delle palpebre, leziose, ed Himchan schiuse gli occhi, accogliendo il timido baluginio dell’alba che s’intrufolava tenue attraverso il davanzale socchiuso. C’era lo scroscio di richiami frementi e frullii impalpabili degli uccelli a parlargli di primavera, c’era quella lama di tepore morbido che stendeva le falangi affusolate verso i confini del materasso, lambendo con le dita vaporose i lembi delle lenzuola stipatesi ai piedi del letto, e c’era la polvere che vi vibrava attraverso, sciabordando in vortici flemmatici per poi esser inghiottita, disperdersi, nella penombra della camera da letto.
Era davvero primavera, e Himchan si lasciava lusingare dall’ozio mentre i pensieri sbiadivano fino a dissolversi, assorbiti dalle sensazioni: era tiepido, era soffice, era profumato, era perfetto.

La vita era una corsa – una corsa ad ostacoli, certe volte, e quando trangugi a boccate erranti un po’ d’aria, cercando di fare il punto della situazione, cercando di capire perché stai correndo, capita di inseguire disperatamente una via di fuga, un momento di pace, il cosiddetto ‘staccare la spina’ di cui tutti parlano ma che nessuno definisce con chiarezza (forse perché non esiste un modo per farlo comune a tutti, pensa Himchan).
Era come aggrapparsi ostinatamente ad una canoa mentre si veniva trascinati da una cascata in caduta libera: la vita gl’infuriava attorno, e lui non poteva che scapicollarsi per starle al passo.
Gli allenamenti, gli spartiti, le riunioni dello staff, gli aeroporti ed i conti bancari, le interviste, le classifiche, i pasti saltati e le bilance; il timore di sbagliare represso dietro le quinte, le vivide esplosioni dei live, la scarica d’adrenalina che non li abbandonava per ore, la spossatezza che li divorava inesorabilmente, le notte trascinatesi davanti ad un sintetizzatore, i cerotti sulle dita mentre strimpellava la chitarra, i crampi allo stomaco, i pisolini schiacciati su sedili sconosciuti con la testa ciondolante e l’emicrania a dibattersi nelle tempie.
Ma non era solo questo: era questione di tatto, degli sguardi fra di loro, dello spingere spingere spingere con una tenacia disperata, e del doversi trainare l’un l’altro, perché se crolla uno, sprofondano tutti.
Si trattava di accorgersi del tremore irrequieto che assaliva le dita di Youngjae quand’era preso dal nervosismo, e d’intimare il silenzio agli altri prima che cominciasse a sbraitargli contro; di notare i silenzi di Junhong, quando le spalle gli si rattrappivano in una gobba abbattuta, e rimorchiarlo a trovare i suoi genitori per farlo tornare a sorridere; di ronzare attorno a Jongup ogni volta che c’era una telecamera nei paraggi, affogando la sua timidezza in un’enormità di battute squallide e facendolo sentire un po’ meno impacciato ed un po’ più apprezzato, e di prendere Daehyun in disparte, ogni tanto, dicendogli che andava bene così, che stava facendo un ottimo lavoro, che sarebbe andato tutto bene, perché ci sarebbero sempre stati anche loro su quel palco, proprio accanto a lui.
Himchan correva, inseguendo le ore, i minuti ed i secondi, bramoso di potersi fermare a prender fiato, ma senza sapere esattamente come fare.
Poi succedeva, e senza volerlo, il mondo entrava in quello stallo dorato che lo scollegava da tutto, come lì, quella mattina, in quel letto.
Sarà stata la primavera? Non si sa, o almeno Himchan non ne aveva idea, ma sapeva che, custoditi fra le pieghe di quelle lenzuola, c’erano i segreti della sua personalissima felicità.

C’era il suo stesso corpo, un intreccio impossibile di pelle lattea, cotone e ciocche corvine, e c’era la sensazione mite della stoffa del cuscino a cullare la sua guancia, la sua tempia, quella delle sue braccia gracili annodate innanzi a lui, abbandonate docilmente.
Ma c’era anche un altro paio di mani, garbate ed illuminate del colore del cappuccino macchiato, allacciate amabilmente in grembo a lui; altre gambe ad ingarbugliarsi alle sue, altre spalle a sovrastarlo, altre labbra a calcare adoranti il profilo delle sue vertebre, baciandole, contemplandole, plasmando sorrisi caldi come la primavera e l’estate su ciascuna di esse, in un silenzio carico di devozione.
Perché Himchan non era solo, in quella canoa che scheggiava nel vuoto: c’erano braccia in cui abbandonarsi, un petto a cui sostenersi, una voce mite da cui farsi accarezzare durante la caduta.
C’era qualcuno che colmava le lacune dove le parole di Himchan non arrivavano, silenziosamente e con calma infinita, che li studiava attentamente dai margini della scena, accompagnandoli con una pazienza dettata dall’affetto, dalla dedizione, da un’intimità sconcertante.
Qualcuno che rallentava il mondo.

Il solo tentativo di voltarsi avviluppò Himchan in un nodo ancor più stretto, e sbuffò indispettito.
Lui ribatté con una risata appena gorgogliata, un serafico bollire di note scure a scivolargli in gola, modellando i palmi attorno ai fianchi dell’altro ed accogliendolo con un sorriso che sapeva di tante cose, davvero tante: sicuramente di tenerezza e fiducia, pure di sesso goduto e infinitamente maldestro, e magari addirittura d’amore, ma Himchan non lo sapeva, perché quel sorriso per lui era semplicemente felicità.

Forse c’entrava davvero la primavera, o forse non c’entrava affatto, ma quello non era il momento per pensarci.


“Buongiorno, Bbang.”



 




Presto (molto presto), sarà in arrivo anche una piccola Banghim, che tanto piccola non è, quindi sto considerando di frammentarla in tre/quattro capitoli, che altrimenti c’è da prendersi spavento al solo guardare la barra di scorrimento a destra. Comunque non mi esprimo in termine di date, perché conoscendomi non le rispetterei neanche morta, quindi taccio e vi saluto, hasta la vista chicos!
(a story pooped by fluffy!Nas)
 

 
 
 
   
 
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