La
differenza era sottile, ma tangibile e una volta che se ne accorse, per John
Watson fu impossibile tornare indietro. (“Acceso il cervello non lo si può
spegnere”, ricordava di aver detto un inverno di molti anni prima a Sherlock. Dapprima
lui era parso indifferente, poi aveva aggrottato la fronte. Era in uno dei suoi
momenti meno collerici e scontrosi, avevano appena risolto un caso.
John aveva
scosso la testa, impedendogli di esprimere ad alta voce l’opinione sferzante
che si profilava all’orizzonte. “Una frase fatta, lascia stare.”
Ricordava
che Sherlock avesse borbottato durante l’intero tragitto, di ritorno dalla scena
del crimine a Baker Street. “Innescato un processo è doveroso portarlo a termine”,
aveva dichiarato con aria compiaciuta mentre scendevano dal taxi. “Un’espressione
linguistica più calzante. Spero che te ne ricorderai in circostanze future,
John.”)
John se ne
ricordò adesso.
Osservò con
sguardo clinico il quadretto che aveva di fronte: obitorio del Bart’s, Molly
Hooper e una tazza di caffè. Una scena ricorrente sennonché. Sennonché non era
stata Molly a porgerlo, ma Sherlock. Sherlock.
Sherlock che non faceva mai niente senza aspettarsi qualcosa in cambio. Do ut des, John. Tienilo a mente.
John non
aveva dimenticato l’ultima, unica volta in cui gliene avesse offerto uno. I
disastrosi effetti collaterali di un atto di gentilezza artificiosa. Doveva
avvertire Molly? Pareva doveroso. La voce della coscienza – di Mary - lo
trattenne: non essere paranoico.
John tacitò
l’istinto e attese quindi. Attese con impazienza, dando mostra di esaminare il
cadavere del John Doe steso sul tavolo operatorio e seguendo il procedere della
conversazione con la coda dell’occhio. Molly che accettava il caffè con un
sorriso, che ringraziava senza balbettii nervosi. Padrona della situazione, di
se stessa. Come se fosse normale amministrazione che –
John
sussultò. Suonava incredibile, quasi impossibile, ma doveva aver visto giusto.
Non era la prima volta che capitava. Valutò le opzioni. Per ben disporla? Come
mero risarcimento per averla strappata alle sue cartelle cliniche in arretrato?
O per aver prolungato il suo turno oltre l’orario?
Soltanto Dio
poteva saperlo. E Sherlock.
John,
sovrappensiero e tutto preso dalle sue congetture, non si accorse del sorriso
soddisfatto di Sherlock né dello sguardo di rimprovero di Molly.
Ci si aspetta di tutto, ma non si è mai preparati a nulla.
M. Swetchine
Metamorfosi
“Tu va’ a
casa. Io rimarrò un altro po’. Sto conducendo un esperimento su-”
Non fu
necessario proseguire. Senza una parola di saluto, John marciò fuori dall’obitorio
con l’andatura di un sonnambulo, come se avesse assistito a qualcosa di sconcertante,
che lo aveva sconvolto.
Molly provò
un subitaneo moto di pena. Si voltò verso Sherlock con le mani sui fianchi. “Sei
un pessimo amico.”
“La tazza
che mi hai regalato lo scorso Natale dice il contrario.”
“Oh, tu!”
sbottò Molly.
“Molly.”
Sherlock si curvò, le braccia incrociate dietro la schiena. Aveva l’espressione
affascinante di quando aveva intenzione di abbagliarla, un sorriso da
adolescente. “Non provare a dirmi che non ti sei divertita anche tu. Ti mordevi
le guance.”
Non
aggiunse: Lo so. L’ho visto. Il suo
sguardo lo fece per lui.
“E va bene”,
concesse Molly con un sospiro esasperato. “Ma non è stato carino quello che
hai, d’accordo abbiamo fatto. John
sembrava – uhm, sembrava sottosopra.”
“John se la
caverà”, decretò Sherlock, arricciando le labbra in modo sospetto. “E no, non è
stato carino. È stato esilarante.”
Molly non
riuscì a trattenersi oltre. Incrociò gli occhi di Sherlock – di un blu
elettrico che brillava d’ilarità. Scoppiò a ridere. “Dio, hai visto come ci
guardava?” domandò tra una risata e l’altra. “Sembrava preoccupato, come se…
come se temesse che volessi drogarmi o che so io!”
Sorprendentemente
Sherlock non rise.
Molly si
accigliò. “Cosa?” Ci mise un istante a mettere insieme la nuova prospettiva. “Mi
hai drogato? No, non me”, si corresse subito. “Avrei riconosciuto il sapore o
l’odore. Inoltre sarebbe controproducente. C’è ben poco di quello che potresti
chiedermi che non farei. Quindi chi? La signora Hudson? John?” tentò di nuovo.
Sherlock
schioccò le labbra. Tacque, irrigidito, scandagliandole il volto alla ricerca
di chissà quali segni. Quando non sembrò trovare quello che stava cercando, qualunque
cosa fosse, la tensione si affievolì e prese un’aria rilassata, aperta alle
confidenze. “John, durante il caso a Baskerville. Devi averne letto sul suo
blog.”
Molly fece
mente locale. “Sì, ora ricordo. Il gas allucinogeno, giusto?”
Sherlock
annuì. “Se ti interessa saperlo anche i miei genitori, Mycroft e Mary questo
Natale, ma si trattava di un potente narcotico ed è stato Wiggins a prepararlo
e a somministrarglielo.”
“Perché tu
gli hai detto di farlo.”
Sherlock
ebbe un breve moto di noia. Cadde il silenzio, non imbarazzante e spinoso,
piuttosto una pausa piacevole.
Molly ne
approfittò per trascrivere le informazioni del John Doe, ora riconosciuto Will
Minchin. Per la famiglia il ritrovamento avrebbe mitigato la tragedia.
“Hai detto
che John sembrava sconcertato.”
Molly non
alzò lo sguardo, continuando a ricopiare gli appunti. “Sì, l’ho detto.”
“Mi sfugge
il perché.”
“Ti sfugge
perché John sembrava confuso?” Molly quasi non credeva alle parole che aveva
appena pronunciato. Non era quello l’effetto che Sherlock intendeva ottenere
dal teatrino che aveva messo in piedi? Lo guardò e nella trama di pensieri che
gli aveva adombrato il viso scorse le prime avvisaglie di disappunto.
C’era
contrarietà nella sua voce, malcontento. “Non trovi anche tu che abbia avuto
una reazione esagerata?”
“No?” azzardò
Molly.
Sherlock
inspirò rumorosamente, le narici allargate. “Molly Hooper, cosa abbiamo detto del
rispondere a una domanda con un’altra?”
Ecco. Quando
Sherlock usava quel tono, Molly avrebbe avuto voglia di prenderlo a schiaffi. O
di baciarlo, in alternativa.
Abbassò la
testa in fretta, tormentata dall’idea che dopo tutto questo tempo ancora si
perdesse in fantasticherie del genere. “Sherlock Holmes, non ho qui quel tuo
dannato manuale per controllare,” replicò in tono sarcastico, “ma sono sicura
che fosse qualcosa di altamente illuminante.”
Forse aveva
esagerato. Non le importava. Lo stesso arrischiò un’occhiata per constatare
fino a che punto la sua risposta lo avesse infastidito. Quel che vide le tolse
il fiato. C’era un’intensità nel viso di Sherlock, qualcosa di molto diverso
dall’euforia che lo animava durante la risoluzione di un mistero o dal
compiacimento che compariva alla fine di un esperimento che aveva mostrato gli
esiti prospettati. Uno sguardo che gli aveva visto rivolgere solo a John, in
una circostanza particolare.
“Sherlock?
Cosa c’è? Ho detto – fatto qualcosa che…”
“Molly.”
Sherlock fece un passo avanti, la distanza tra loro era ridotta tutta a una
quantità esecrabile di aria. “Credevo avessimo superato da tempo la fase dei
tartagliamenti.”
Molly fu
fiera di non essere ancora arrossita.
“Lo stesso”,
proseguì Sherlock, serio e pensoso, allungando una mano verso il suo viso e poggiandogliela
sulla guancia – Molly rabbrividì al contatto della pelle di lui con la sua e
non per il freddo, sgranò gli occhi -, “non posso dire che non mi sia mancata
questa parte di te.”
“Sherlock”,
disse lei, intendendo molto altro. Cosa
diavolo stai facendo? Se è uno dei tuoi giochi ho uno scalpello e una mano in
grado di usarlo e –
Sherlock
riempì lo spazio che li divideva con la sua presenza ingombrante e la baciò. E
Molly non smise di pensare. Non sentì i fuochi d’artificio o altre amene
chincaglierie romantiche. Aveva piena coscienza della bocca di Sherlock che si
muoveva sulla sua, delle sue mani tra i capelli. Le aveva strattonato
l’elastico e ora le ricadevano sulle spalle. Alla fine si sarebbe ritrovata un
nido di rondine al posto della testa, altroché. Non che si stesse lamentando.
“Molly.
Smettila di pensare. Per quanto pertinenti possano essere, trovo che i tuoi
pensieri intralcino l’atmosfera.”
Molly gli
sorrise e lui rispose a quel suo con uno così luminoso - pulito da ogni
riflessione esterna o secondo fine - che si chiese se fosse tutto un sogno. Forse
l’aveva davvero drogata.
“Ipotesi inverosimile”,
fu il commento di Sherlock.
“Sherlock”,
Molly prese un respiro profondo, “mi hai appena baciata e ad oggi posso
assicurarti che questa è la cosa più incredibile e strana che mi sia mai
successa.”
“Devo
ricordarti della volta in cui quel cadavere che stavi per dissezionare si è
alzato a sedere o quell’altra-”
“Per l’amor
del cielo, taci!”
L’ultimo suo
desiderio era che lui disturbasse l’armonia del momento. Un momento valso un’attesa
di sei anni.
Sherlock dovette
fraintendere positivamente quel ‘taci’ con un ‘baciami’ perché fu per l'appunto
quel che fece.
Ancora e
ancora.
E tutto tacque.
Eppure in quel tacere s'avanzò nuovo inizio, cenno e mutamento.
Rainer Maria
Rilke
N/a:
C’è poco da
dire. In effetti nulla. Solo la speranza, come al solito, di averne cavato
qualcosa di almeno decente e una lettura tutto sommato gradevole.
Un abbraccio
e buona primavera a tutti :)