Una volta zia May aveva lanciato la pantofola
sinistra contro un ragno.
La cosa più strana non era tanto il fatto che zia
May avesse lanciato una pantofola –Quando si trattava di artropodi e/o insetti,
zia May poteva usare a proprio vantaggio qualsiasi oggetto utile presente nelle
vicinanze, dalla pirofila ancora insaponata allo spillone da maglia- quanto la
rapidità con cui l’esserino ad otto zampe era sgambettato via, ciondolando il
didietro bulboso e squadrando la donna con aria di palese rimprovero negli
occhietti striminziti.
Tralasciando il genuino moto d’affetto che Peter
aveva provato per l’eroico arrampica-muri –E Il netto disagio misto a terrore
al pensiero che uno degli schizzati con cui era solito avere a che fare, un
giorno o l’altro gli avrebbe scagliato contro una pantofola gigante per mettere
fine alla sua carriera di vigilante mascherato-, zia May aveva dato prova, di
nuovo e come solo lei sapeva fare, di una profonda saggezza: aveva infatti
supposto che il ragnetto, in barba a qualunque legge fisica e paranormale di
sorta, possedesse una percezione extrasensoriale che gli aveva appena impedito
di diventare un esponente di spicco dei Macchiaioli –Nozione che, a parare del
giovane Parker, avevano un po’ troppi, al mondo.(1)
Dopo aver debitamente ringraziato il Signore Iddio
per avergli concesso il Senso di Ragno e non la Ragnatela Rettale, Peter
approfittò del pizzicorico dono per scagliare lontano da sé la saccoccia di
fibra collante in cui aveva appena rinchiuso le pallottole dirette a Phil
Coulson.
Non era stato facile, a seguito della rivelazione di
Vermin e dell’assalto dei ratti alla camera ardente, svicolare via dalla folla
in un punto abbastanza nascosto –Soprattutto ad Occhio Di Falco, della cui
vista potenzialmente letale aveva sentito parlare diffusamente- per levarsi di
dosso gli abiti civili e fare un’entrata degna di Superman…Ops, Spiderman.
Neanche il tempo di gettare via il pacco espresso e
sanguinolento, che il Mutante aveva serrato la mano a pugno, ringhiato e poi
emesso un latrato abbastanza forte che dovevano averlo sentito anche ad Hell’s
Kitchen –E un po’ Peter ci sperava: l’aiuto di Devil o Luke Cage non sarebbe
stato da snobbare, in quel momento. Gli sarebbe andato bene anche Gordon
Ramsay, tanto era disperato.
La sacca aveva tremolato, percorsa di venatura
purpuree e poi era esplosa in un fragore di minuscole scagliette e pagliuzze
rosse.
L’arrampica-muri s’appese a testa in giù, la nuca
appena curva alle spalle per avere una migliore prospettiva della situazione:
Vermin continuava a dirigere l’esercito squittente, i due colleghi di Coulson
erano sommersi dai topi e intanto cercavano di proteggere le ultime persone
rimaste imprigionate a causa dell’assalto, Agente aveva appena lanciato la
corona commemorativa del sindaco contro un gruppo di ratti, e il Mutante,
appena compiuto un passo verso il feretro di Capitan America, era stato
rispedito indietro da una freccia a carica esplosiva. Dalla traiettoria, però,
Peter non faticò ad immaginare la difficoltà che doveva aver avuto Occhio Di
Falco nel scoccarla.
Assediato com’era da quegli esserini squittenti e
fastidiosi, Barton non era in grado di dare la copertura necessaria a mantenere
lo scontro in equilibrio stabile. Necessitava di qualcosa che fungesse da
barriera, da torrione in cui rifugiarsi e mirare e scagliare con chiarezza e
assoluta distanza dal resto del mondo, una bolla, una feritoia sopraelevata
come quelle degli antichi castelli.
Peter, sei un genio!
si lodò
Spiderman.
Fatto partire un getto di ragnatele e poi un altro
ed un altro ancora, sospeso a mezz’aria nell’ultimo salto che lo separava dal
pianerottolo dove era accucciato Occhio di Falco, l’arrampica-muri cominciò a
bombardare le orde di topi con boli di fibre compatte, in modo da tenerli a
distanza. S’affiancò all’Agente e, intanto che questi cercava di allontanare
Vermin dalla bara -Perché, poi, tanto interesse per la salma di Capitan
America? Collezionismo? Feticismo?, e
il Mutante da Phil Coulson, cominciò a costruire per lui due pareti a doppio,
triplo, quadruplo strato di ragnatela.
«Con questi dovresti essere okay per un po’» lo
avvisò Spiderman, levando il pollice.
Occhio Di Falco gli indirizzò uno sguardo di sbieco
e un sorriso pericoloso a fior di labbra -–Peter s’appuntò mentalmente di non
farlo mai infuriare, o comunque, nel caso, di togliergli dalle mani qualsiasi
utensile avrebbe potuto usare come sostituto di arco e frecce.
«Vai, amichevole Renzo Piano di quartiere.» lo
canzonò, un guizzo metallico negli occhi chiari «Mickey Mouse è tutto tuo.»
E il ragazzo, che non aspettava altro, si buttò
oltre il nido improvvisato per il compagno di squadra.
«Metterai una buona parola coi Vendicatori?»
strillò, allungando un braccio e schiacciando coi polpastrelli il meccanismo
per far partire le ragnatele.
«Contaci!»
Considerando, però, che le Leggi di Murphy
regolavano il suo mondo più che quella di Gravitazione Universale, Spiderman
annoverò lo sparo e il grido sotto di lui nell’elenco di conseguenze a sfavore
in vista dell’arruolamento nel corpo scelto di tutine in spandex e giocattolini
in vibranio.
La visione dell’italiano che teneva Phil Coulson in
ostaggio fu un non richiesto dissiparsi di ogni lecito dubbio sull’andamento
dei propri buoni propositi.
***
Loki si levò in piedi dallo scranno e il collare a
mezza luna si tinse d’oro e di fiamma. La presa sul lungo scettro si strinse
possessiva, un sorriso appena accennato s’adagiò soddisfatto contro le labbra
seriche: gli occhi, da verde intenso, parvero scurirsi, tingersi d’ombra al
punto tale da mutarsi in amigdale di giaietto; scostò piano la lunga mantella
che, nell’alzarsi, s’era avvoltolata al ginocchio sinistro, e le dita
affusolate brillarono bianche alla luce calda dei bracieri. Gli spallacci e i
bracciali si venarono di mille sfumature cremisi, le fasce di pelle nera al
torace si piegarono al lungo, affilato respiro, e barbagliarono di bisbigli
traslucidi; i tasselli bronzei al fianco sinistro risero, eloquenti, di quella
risata beffarda che vibrava palesemente
in tutto il corpo di Loki, ma questi non si faceva in alcun modo sfuggire.
Preferiva, al contrario, dimostrare il beffardo e
l’irridente sottoforma di canzonante cortesia, di inchini annunciati dall’arco
garbato della bocca e da inviti ospitali sprizzanti ironia e sarcasmo nella
pupilla dilatata per il crescente diletto.
Iron Man chiuse la manopola destra a pugno -Non
fossero state progettate e curate fino al minimo dettaglio, le giunture avrebbero
cominciato a scricchiolare per la rabbia con cui si ritrovarono accartocciate
su stesse. Il ramo d’oro baluginò, guaendo, senza tuttavia piegarsi o
deformarsi. Il magnate poteva avvertire lo sguardo furente di Steve addosso,
l’ira e l’impotenza di essere meno che uno spirito, intangibile, intoccabile e
per questo fondamentalmente inutile.
«Prego, prego» sogghignò il fratellastro di Thor,
allargando le braccia ad accoglierlo in un benvenuto che grondava del più
pesante scherno «Non sia mai che uno dei miei ospiti più attesi rimanga in
piedi, alla mia corte e al mio cospetto. Seggiole o banchine, scegli pure, Uomo
Di Ferro» socchiuse le palpebre, i denti brillarono affilati, conficcati nelle
gengive pallide «Serviti pure di ogni leccornia, non tralasciare alcun
intingolo: la mia mensa, oggi, è a tua disposizione. Basta anche solo un morso
di quella succulenta cacciagione, perché la tua anima rimanga imprigionata
nell’Ade, al fianco di colui che tanto ami.» una breve risata, udibile un
istante e quello dopo già perso nel roco ansimare del fuoco «Non è così, oh
Persefone? Dimmi, forse sbaglio sulla tua triste sorte, sul tuo infernale
destino?»
Sul trono accanto a quello di Loki, la Dea pressò le
labbra e le guance si contrassero: la forma ovale del viso, accentuata dalla
complicata capigliatura a quattro filari di chiocciole e perle, risultò gonfia,
grottesca, nella rabbia incontenibile che giganteggiava nei tratti imperiosi.
Gli orecchini a cerchio balbettarono di luce contro il collo teso, dall’aspetto
innaturalmente lungo e, a confronto della figura meschina e flessuosa di Loki,
persino sgraziato. I seni tondi, di sotto le pieghe dell’ampia veste e della
mantellina sottile, intessuta di nebbia e filamenti di rugiada, tuonarono nel
prendere una furiosa boccata d’ossigeno, gli occhi già enfi spalancati, le
narici del naso schiacciato dilatate per l’ira crescente.
Ai suoi piedi, il gallo arruffò le penne e i semi e
le granaglie che le caddero dalle trecce non fecero in tempo terra che già
erano irranciditi.
Pur avendo ogni perso ogni mastodontica e regale
bellezza, Tony non potè fare a meno di sentirsi schiacciato dalla rabbia e
dall’indignazione della Dea -Sensazione che, solitamente, provava soltanto al
cospetto di Pepper quando ce l’aveva a morte con lui e quando Natura Matrigna
ci metteva mensilmente lo zampino.
Il figlio di Howard si piazzò dinanzi a Steve, in un
moto spontaneo di difesa. Una volta tornati sulla Terra -Perché sarebbero tornati sulla Terra, nessuna obiezione- il
Capitano non avrebbe fatto altro che ricordarglielo fino alla fine dei suoi
giorni o fino a che lo stesso Stark non lo avesse piacevolmente zittito, intimandogli di smetterla di dar aria alla
bocca senza che ci fosse lui a concedergli l’apporto di fiato necessario.
«Cosa ci fai qui, Amleto?» lo apostrofò -E anche non
avesse avuto in sintetizzatore vocale, la voce non sarebbe potuta uscirgli più
metallica, fredda e tagliente di così.
«Oh, un’idea del Padre Odino» rispose tranquillo
Loki, un sorriso ferino e l’aria di chi stesse parlando delle nuove offerte al
supermercato «Per evitare che facessi ancora del male agli Uomini che suo figlio» il tono si mutò in veleno,
gli occhi assunsero il colore polveroso del serpentino «Tanto ama, ecco, ha
deciso di farmi Re: Signore Dei Morti, Sovrano dell’Ade.»
«La Regina Persefone non sembra essere molto dell’idea»
intervenne il Capitano, sprezzante e finanche derisorio -Tony si sentì un
maestro piuttosto orgoglioso «Né pare d’accordo con te»
Il Dio Norreno sollevò l’angolo sinistro della bocca,
in una smorfia contrariata, di disgusto.
«Cielo, Soldato, non ti hanno mai insegnato la
disciplina?»
Loki sollevò elegantemente la mano e schioccò le
dita: un borbottio e strisciare di legacci verdastri, un gemito di protesta da
parte Steve ed Iron Man non ebbe neanche il tempo di elaborare l’azione, che un
cordone spesso due dita, compatto, s’era accresciuto tra il palato e la lingua
del Capitano, chiuso al retro della nuca per impedirgli di parlare.
«Ora va meglio.» commentò il Dio, alzando il mento
con evidente soddisfazione.
Il figlio di Howard, gettato uno sguardo celato e
coperto dalla maschera dell’armatura al morso conficcato con violenza entro la
bocca di Steve, tese le braccia verso Loki e aprì i palmi: s’accordarono immediatamente
il ronzio di energia in carica ai repulsori, lo schermo entro la calotta andato
a posizionare uno sfolgorante mirino bluastro dritto dritto sulla faccia
dell’avversario.
«Ora ascoltami, Diva Repressa(2): non mi
interessa se qualcuno ti ha spento i capelli, se i tuoi leccapiedi indossano
articoli firmati o se le Parche ti hanno
parlato in rima(3)» sibilò «Fa’ il bravo e rendimi l’anima del
Capitano.»
«Non c’è fretta, Uomo Di Ferro, non c’è fretta» Loki
sventolò noncurante la mano «Non c’è fretta, né possibilità che tu esca da qui.»
Esistevano parecchie, parecchie cose che
infastidivano Anthony Edward Stark abbastanza da farlo uscire completamente
matto: i cibi ipocalorici, ad esempio, la dieta salutista, Justin e Justine
Hammer, suo padre, essere scambiato per suo padre, Hugh Jackman e ogni tanto
Wolverine, quando ne riscontrava la somiglianza col suddetto Huch Jackman(4).
Però nulla, nulla riusciva a torcergli,
arroventargli i nervi quanto l’espressione di assoluto compiacimento sul volto
del Dio, la sua insopportabile strafottenza e aria di superiorità che lo
rendevano più altezzoso, tronfio di un imperator
romano o di un gatto che avesse appena sottomesso il genero umano al proprio
volere.
«Sono stanco dei tuoi giochetti, Loki. Rendimi
l’anima del Capitano, ora.»
In tutta risposta, il Dio appoggiò il piede destro
sul primo gradino della scalinata che permetteva la discesa dal podio al
pavimento a lastroni; il taglio degli occhi divenne affilato, la voce gelida.
«Come osi anche solo pensare di potermi dare ordini, Stark?» sputò «L’unico che può
dare ordini, qui, sono io e le anime dei morti eseguono ogni mio comando!»
«Mi dispiace, Coriolano, Arthas ha molto più stile
come Signore dei Lych.(5)»
Lo sguardo dell’avversario divenne un pozzo di
cocente odio.
«Ridi, scherza, motteggia pure con me, Uomo Di
Ferro» la mascella si contrasse, illividì «Sei esattamente dove volevo che
fossi.»
La perplessità, se non direttamente lo stupore ed anche un gelido morso alla
bocca dello stomaco, ebbero il potere di zittire Stark per un paio di secondi:
non aveva nemmeno considerato l’idea che la sua discesa all’Ade fosse in realtà
una trappola atta e costruita da un Dio Norreno soggetto a frequenti sbalzi
d’umore e disturbi dissociativi. In effetti, il fatto che suddetto Dio Norreno
soggetto a frequenti sbalzi d’umore e disturbi dissociativi, stando a quanto
riportato dall’Armadio Dell’Ikea che gli era più o meno fratello, era rinchiuso
da qualche parte, non si sa bene dove, non si sa bene per quanto a lungo, in
una cella di Asgard aveva contribuito all’assoluta certezza che non ci fosse
alcun piano contorto dietro la morte di Steve. Più o meno, visto e considerando
lo sproloquio di Tyche. Ma comunque.
Se Thor non era in grado di accendere il microonde
senza far partire un complicato sistema di autodistruzione di cui nemmeno Pepper era a conoscenza, allora
Tony aveva decretato unilateralmente con se stesso che non c’era da
preoccuparsi: il loro compagno Tonante non avrebbe mai potuto mentire su una
cosa del genere come la prigionia di Loki.
Forse, doveva riconsiderare il significato di rapporto fraterno oppure ventilare
l’ipotesi che Odino avesse più segreti di Nick Fury.
Ora, un brivido poco da Stark alla colonna
vertebrale stava suggerendogli poco gentilmente di essere cascato nel tranello
con tutte le scarpe, scafandro compreso.
«La mia rivelazione pare sorprenderti, Uomo di
Ferro.»
E Iron Man, che ormai, in quanto a nervi, poteva
fare invidia Ms. Bennet di Orgoglio E
Pregiudizio –Pepper sia sempre dannata, lei e la sua passione per Laurence
Olivier- concordò con se stesso che il Cervo A Primavera aveva parlato anche
troppo. Ignorando il mugolio di protesta –Avvertimento?
da parte di Steve, caricò al massimo i repulsi e lanciò il primo colpo.
Loki non fece altro che passare lo scettro davanti a
sé per innalzare uno scudo protettivo, ma Tony non aspettava che quella mossa:
scattò e si proiettò in avanti.
Non arrivò mai a prendere il Dio dritto nel grugno:
un ruggito di fulmini, un rombare di tuoni, un cozzare di metallo contro
metallo, il fianco destro della scafandro che azzannava il bacino e parte del
torace nel suo appallottolarsi improvviso e la netta, netta constatazione che
le cose non stessero affatto andando
per il verso giusto.
***
Natasha rotolò di lato, ma il riverbero della
zampata sul terreno le urlò comunque lungo le terminazioni nervose, schizzando
da muscolo a muscolo e risuonandole bollente nelle ossa. Lo spostamento d’aria
causato da Hulk le diede il tempo di levarsi di nuovo in piedi, afferrare uno
degli scudi spezzati poco distante e lanciarlo dietro di sé con una feroce rotazione
del polso: Cerbero, uggiolando per la mole di Banner proiettata contro lo
stomaco, subì il colpo al muso centrale, che serrò di riflesso le palpebre unte
mentre le restanti teste ringhiavano e sbavavano.
Hulk, battendo le nocche poderose, si gettò contro
il Cane col pugno verde ben alto al cielo -Prima, però, le aveva scoccato
un’occhiata tanto complice che per Vedova Nera non era stato difficile cogliere
l’animo del dottore in quel breve lasso d’umanità. Steve non sarà contento di essere stato imitato le era sembrato
scorgere, in un lampo divertito. Natasha non aveva potuto esimersi
dall’arricciare le labbra in un sorriso. Lottare al fianco di Hulk contro il
mitologico Cerbero non era come lanciarsi da un aereo senza paracadute, ma
andava bene lo stesso. Avrebbe avuto comunque qualcosa con cui spaventare le
matricole alla mensa dello S.H.I.E.L.D.
Prendendo la rincorsa, la spia russa corse in
allungo verso il Cane A Tre Teste. Agguantò rapida una spada rugginosa, con
nervatura centrale e spezzata poco al di sotto della lama -Lo slabbro
metallico, ad un esame veloce, presentava un’affilatura abbastanza appuntita
per recare ancora qualche danno-, e, mentre Hulk teneva a bada i musi della
bestia, saltò sulla zampa posteriore di Cerbero e da lì, al momento adatto, il
secondo perfetto, s’appese alla coda e la usò come un trapezio per atterrare,
con grazia da vera prima ballerina del Bol’šoj, sulla leggera incavatura delle
vertebre toraciche.
Un ginocchio piegato tra i pelo lercio di sangue e
polvere, Vedova Nera si prese meno di un istante per recuperare fiato e
sollevare la fronte, la mano libera aggrappata ad alcuni ciuffi nerastri per non
essere sbalzata via.
Il muso di destra, avvertita l’estranea presenza, si
era girato per azzannarla: i denti schioccarono inutili e bavosi e un guaito
proruppe dalle zanne giallastre. Soddisfatta, Natasha si servì dell’attenzione
di Cerbero rivolta ad Hulk per salire fino al collo e, con le braccia a cingere
il collo della testa centrale, assicurarsi poco al disotto della sommità del
cranio.
Mantenere l’equilibrio non era per nulla semplice:
Hulk manteneva l’attenzione del Cane su di sé con calci e pugni e ruggiti,
sottoponendo così la spia a più di una capriola e torcimenti dorsali per
rimanere in piedi. Cerbero arretrava, scuoteva le enormi teste e le spalle, sia
per le ferite che andavano via via aprendosi sui nasi palpitanti e tra gli
occhi infuocati, sia per levarsi lei di dosso.
Ogni volta che il Cane rispondeva agli attacchi di
Banner, poi, i muscoli colossali si tendevano, si gonfiavano e rilasciavano
immediatamente il morso o la zampata con un mastodontico contraccolpo
dell’intera struttura ossea. Il che costringeva Natasha ad evoluzioni degne di
un arrampicatore di roccia.
Hulk tirò le braccia gigantesche all’indietro e
allungò il collo rigonfio di vene verso Cerbero. Vedova Nera, dalla posizione
in cui si trovava, lo vide aprire la bocca grottesca in un grido di guerra e
rabbia, selvaggio, di belva. Piegandosi e flettendo le ginocchia, Hulk si diede
la spinta e spiccò un balzo contro il Cane a Tre Teste: questi, di conseguenza,
ritrasse i musi e reclinò le nuche all’indietro.
Come ad un segnale che nessuno dei due aveva
convenuto, appena dottor Banner avvolse la gola di destra in una stretta
soffocante, Vedova Nera alzò la spada e la conficcò tra le vertebre della testa
centrale. Spinse con violenza la lama entro la carne molle, nel mezzo delle
fasce muscolari, il sistema circolatorio, i processi articolari, giù, sempre
più giù, fino a raggiungere e tranciare di netto il midollo spinale.
Cerbero ululò un lungo, strascicato uggiolio: il
corpo imponente ebbe un tremito e perse forza, le zampe non ressero più alcun
peso, la coda ricadde tuonando a terra, le spalle si sbilanciarono verso
sinistra. Hulk seguì lo squilibrio del Cane e vi accordò una pressione in
direzione dell’unica testa ancora funzionante; questa, incapace di sostenere da
sola l’intero assetto della creatura, torse il collo e guaì rantolando tutta la
sua pena. Natasha abbandonò l’arma ancora piantata nella colonna vertebrale di
Cerbero e scattò, le scapole dell’animale come trampolino di lancio.
L’onda d’urto che seguì il crollo del Cane fu tale
che rimase in piedi per puro miracolo. Col fiato ratto in gola e il sudore che
le incollava i capelli alla base della nuca, si voltò a controllare che la
situazione fosse stabile –Sperò anche totalmente sicura: la massa inerte di
Cerbero giaceva distesa su un fianco, riversa tra rimasugli materiali di anime
e pozze di sangue secco; Hulk stava abbandonando proprio in quel momento la
presa attorno al collo della terza testa. A giudicare da come gli occhi
spiccavano, prominenti e spalancati, dall’orbita e da come la lingua penzolava enfia dalla
mandibola mollemente aperta, Natasha intuì che doveva essere già morta soffocata
prima di toccare terra.
Vedova Nera si passò il dorso della mano sulla
fronte e si concesse un sospiro. Hulk le si affiancò, girandosi poi verso di
lei e rimanendo in silenzio.
Un lieve guizzo agli angoli della bocca: la spia si
ritrovò ad indirizzargli un sorriso di ringraziamento, un sorriso incoraggiante
e caldo senza essere riuscita a bloccarlo, a congelarlo in un’espressione meno
ferrea del volto o in un tono più scuro degli occhi seri. Lentamente, gli
sfiorò il braccio e annuì.
«Andiamo.» disse soltanto.
E Hulk la seguì.
***
Clint Barton possedeva alcune convinzioni che erano
il ciclopico fondamento della propria esistenza: la storiella della memoria
degli elefanti era una emerita cazzata,
dato che Boris si scordava ogni santo giorno di defecare nella zona specifica
che Occhio Di Falco gli aveva costruito con tanto amore -E per evitare di
dover, ogni volta, giocare ad una maleodorante caccia al tesoro; Christopher
Eccleston era un Dottore fantastico e
lo sarebbe sempre stato; Natasha era la progenie del diavolo, ma si sarebbe
evirato di propria sponte piuttosto che dirglielo in faccia…E Phil Coulson non
era un Life Model Decoy.
Anche gettando da parte qualsiasi ciancia
strabordante romanticume, l’uomo con cui aveva passato la notte, con cui aveva
fatto sesso, l’uomo che s’era nutrito di ogni suo gemito quale ossigeno per un
nuovo respiro, l’uomo che l’aveva stretto, amato e venerato, quell’uomo non poteva essere una fredda macchina carica
di upgrade e dati e memoria digitale. Non poteva esserlo, Clint ne era sicuro.
Per quanto sofisticato, un androide, o qualunque
fosse il giusto aggettivo da affibbiare alle action figure semoventi dello
S.H.I.E.L.D., non sarebbe mai stato in grado di simulare il lucore liquido
degli occhi di Coulson nel momento in cui, carezza dopo sfiorarsi, lo aveva
lasciato a torace nudo, le cicatrici come gemme bianche contro la pelle. Le
aveva toccate, baciate una per una, pregato, mormorato e pianto su e per ognuna
di esse, con una disperazione, con una desolazione di anima e corpo che non si
sarebbe potuta replicare in alcun modo.
C’era tanto, troppo, era tutto Phil, in una maniera così totalizzante da non poter essere,
per nessuna ragione, in un nessun Universo, un semplice impianto di personalità
digitalizzata.
Il problema, era che ora Clint Barton avrebbe dato
la zampa anteriore sinistra ed entrambi i reni per avere davanti un Life Model
Decoy: il Mutante teneva Coulson dinanzi a sé, alla stregua di uno scudo umano,
il braccio sinistro saldamente stretto alla sua gola, la mano destra -Quella
che impugnava il coltellaccio- con la punta perfettamente appoggiata allo
stomaco dell’Agente.
Spiderman aveva creato per lui due paramenti di
ragnatele perché fosse protetto da entrambi i lati, e Clint si trovava con la
corda già tesa e la freccia incoccata, al sicuro nello spazio triangolare tra
gradini e piano superiore, gli occhi fissi in quelli sgranati, eppure
straordinariamente calmi di Phil.
Il Mutante sapeva, maledetto lui e tutta la sua
stirpe, che essere centrato significava che Coulson avrebbe condiviso la sua
sorte, di qualunque sorte si fosse trattata. Colpire lui voleva dire colpire
Phil e questo era una possibilità che Occhio Di Falco non avrebbe mai messo in
conto, neanche sotto tortura –Una fitta alle tempie, un lampo verde-azzurro, il
ricordo bruciante della voce di Loki che suadente sussurrava bisbigli
all’orecchio e al cervello, l’obbedienza come il veleno più dolce, zuccherino e
letale che all’arciere fosse capitato di ingerire.
Scosse con violenza il capo e ringhiò, rigettando
nel fondo della memoria la vergogna, l’ira e la frustrazione che ancora portava
sulle spalle e nel cuore. Ingoiò un profondo respiro, ossigenò mente e sangue,
le nocche sbiancarono sul riser dell’arma.
Il fatto che il tempo si fosse fermato, attorno a
lui, nei ruscelli bianchi del nido intessuto di luce liquida, non era che
un’illusione repentina dei sensi: la sospensione era un accorgimento effimero
del cervello, stremato e affaccendato alla ricerca di una soluzione, di un
compromesso che gli permettesse di salvare Coulson e catturare il Mutante -Ma
il cervello sbatteva senza sosta contro il cranio, impattava e cozzava contro
le pareti ossee, non trovava via di scampo, non trovava via di uscita.
Spiderman dondolava sul soffitto, saltava e balzava,
sparava ragnatele ad intrappolare quanti più topi possibile, si scuoteva i
ratti di dosso, cercava di assalire Vermin da ogni angolo, da ogni parte, si
frapponeva tra le orde di pelo ispido e le persone che non era riuscite a
fuggire dalla Camera Ardente, affiancava Woo, salvava le chiappe a Sitwell, ruotava
la schiena ed era di nuovo attaccato alle pareti e poi in volo sospeso sopra
tutti loro, il costume uno scaglionare convulso, ritmico di blu e rosso, il
ragno al petto che pareva vivo tanto erano veloci i suoi movimenti.
Ai piedi del Mutante, il feretro aperto di Steve
Rogers, il volto pacifico nel riverbero plastico della morte.
In una preghiera al limite della follia, Clint
chiese a chiunque ci fosse più in alto di loro, più dell’Helicarrier e di Fury,
di ridare vita a quella salma immota perché imbracciasse lo scudo e tagliasse a
metà il ventre di quello stronzo italiano.
E mettere lui, Occhio Di Falco, in una spiacevole
situazione di stallo.
Le relazioni tra
colleghi non possono e non devono essere in alcun modo incoraggiate, Agente
Barton e quasi
gli venne da ridere ricordando il momento esatto in cui Phil glielo aveva
detto, sotto di lui, il viso congestionato e il collo rubizzo, in una notte
lontana in Mississippi, un attimo prima di sgretolare languido il suo nome nel
cocente liquefarsi dell’orgasmo.
Non poteva, dannazione, non poteva scagliare la
freccia esplosiva, non poteva, sarebbe scoppiata a pochi centimetri dal volto
di Coulson…
«Barton!» il grido di Phil ebbe il potere di fargli
drizzare il collo, le dita alla cocca del dardo livide per lo sforzo di
mantenerle in tensione.
L’Agente si agitò nella stretta del Mutante che, da
parte sua, gli circondò con ancor più forza e violenza la trachea: il colore
sulle guance di Phil esalò in un sussulto livido, l’uomo rantolò e boccheggiò,
deglutì –E nonostante tutto, non perse il contegno e l’aria di chi aveva
comunque ogni cosa sotto controllo, inconfutabile marchio di fabbrica della sua
persona.
«Colpisci, Barton!» ansimò, la voce roca e spezzata
dalla mancanza di fiato «Sono un Life Model Decoy! Non sono il vero Coulson!
Sono un Life Model Decoy! Fury ti ha mentito! Ha mentito a tutti voi!» la
disperazione trasfigurò il volto gemente dell’uomo, le narici si dilatarono e
la mandibola si contrasse a deglutire un singhiozzo agonizzante «Colpisci,
Barton! Colpisci!»
Il cuore di Clint raggrinzì cigolando nel petto.
«Colpisci, Barton! E’ un ordine!»
E, proprio malgrado, Occhio Di Falco obbedì.
***
«Sei impazzito, Point
Break?» inveì Tony, un pugno a terra per darsi almeno un punto d’appoggio
da cui partire e suonarle di santa ragione James Hunt(6) in mantella
e martello.
Cristo Dio, non gli aveva più visto addosso un’espressione
tanto furibonda dal giorno in cui aveva iniziato la sua santa crociata a Candy Crush.
Thor gli puntò contro Mjolnir e, da come socchiuse
le palpebre e lo sovrastò con astio innaturale, Iron Man capì che la situazione
non stava volgendo a proprio favore.
«Sta’ lontano da mio fratello, mortale.»
D’accordo, se si tralasciava il Sta’ lontano ed il Mortale
ancora ancora lo si riusciva ad accostare al biondone che cucinava uova
strapazzate la mattina insieme a Steve. Peccato che due parole non facessero una
frase, ergo quello che aveva dinanzi a sé o non era Thor oppure era un Thor con
qualche valvola in sovraccarico –Ecco cosa succede a giocare troppo con l’elettricità.
«Raperonzolo, non so se ti hanno avvertito, ma tuo
fratello è quello che in gergo comune si chiama Caotico Malvagio.»
A conti fatti, il ritrovarsi d’improvviso con la
schiena pressata contro le pareti in stucco e la mano poco gentile del norreno
arpionata alla giugulare era il chiaro segnale che Caotico Malvagio non era stata la scelta di termini più felice. Per
la violenza del gesto, inoltre, il ramo d’oro gli cadde di mano, rilucendo e
cantando.
Attraverso le interferenze singhiozzanti dello
schermo, Tony vide il Capitano tentare di divincolarsi dai legacci che lo
costringevano in ginocchio: muoveva e tendeva le spalle, gli occhi spalancati
per l’ira e per lo sforzo, la voce e gli ansimi che si spezzavano,
sfracellandosi, disintegrandosi a contatto col cordone che Loki aveva fatto
comparire per zittirlo.
Il Grande Principe Della Foresta, sommamente
deliziato da come si stavano svolgendo gli eventi, scese i gradini del podio e
s’avvicinò al fratello con movenze leziose da serpente a sonagli; dietro di lui
–E Iron Man corrugò la fronte da sotto la calotta dell’armatura- Persefone lo
fissava con occhi di brace. La Dea non s’era alzata dallo scranno, colossale e
plastica nella sua posa regale, eppure qualcosa in lei stava cominciando a
muoversi: chicchi di grano e sementi le cadevano sempre più copiosi dai seni,
rimbalzavano scampanellando sulla cista e il gallo che le era compagno,
singultando e ruzzolando, li raccoglieva uno per uno per ammonticchiarli con
ordine sui lastroni della pavimentazione.
Tony sarebbe rimasto a guardare ancora per un bel
pezzo quello spettacolo per carpirne le dinamiche, ma la voce di Loki lo
costrinse a rivolgere l’attenzione su di lui –E sul di lui fratello.
«Temo che il mio povero fratello abbia sofferto di
qualche problema di memoria, negli ultimi tempi» soffiò, appoggiando le dita
sottili sullo spallaccio di Thor «Aveva la gola secca, oh, così secca, e non vi
è nulla di più dissetante delle acque del Fiume Lete.»
Il Reattore Arc ebbe un sobbalzo e Stark avvertì
distintamente il fiato attraversargli gelido i polmoni contratti.
«Avvertilo di non
bere le acque del Lete o dimenticherà tutto.»
«Complimenti, Francis-Scott
Fitzgerald(7)» sputò Iron Man –E, oh diavolo, le nocche di Thor
attorno alla gola della scafandro s’erano strette con un gran stridere e
ribellare delle giunture, oh, diavolo «Sei ancora più schizzato di quel che
ricordassi.»
«E tu mi hai deluso, Uomo Di Ferro» Loki corrucciò
le labbra, nella grottesca pantomima di un bimbo arrabbiato «L’unico mortale
per cui provassi un minimo di rispetto…»
«Sì, molto probabilmente lo stesso che avresti per
un pesce rosso o un altro animaletto domestico.»
Loki non perse il sorriso mefistofelico e alzò
innocente le spalle.
«Sempre di rispetto si tratta» mostrò quindi i
denti, in un sogghigno malevolo «E invece. E’ bastata un’esca, una semplice,
patetica esca per farvi accorrere tutti qui come un gregge ignorante. E come un
gregge ignorante, eccovi pronti a farvi sgozzare sull’altare della mia gloria.»
sollevò le sopracciglia, la bocca storta in una smorfia cinica, amareggiata «E’
forse amore, Stark?»
«No. Del gran, buon sesso.»
Venire sballottato da un Dio Nordico del peso
complessivo di centoventi kili –Mjolnir escluso- fu annoverato immediatamente nella lista di esperienze
da provare una volta sola nella vita e poi cancellarle per evitare traumi sicuri
e futuri.
Tony si ritrovò steso ai piedi di Steve senza avere
la benché minima idea di come ci fosse arrivato. Poi Thor lo afferrò malamente
per il collo, lo scagliò più o meno come una marionetta disarticolata verso il
podio rialzato e allora capì.
I sistemi dell’armatura stridettero e si diedero
alla pazza gioia, J.A.R.V.I.S. lo riprese, lo ammonì, gli disse qualcosa, ma
Iron Man era troppo occupato a scatenare un lampo di repulsori in direzione del
Dio del Tuono per stare ad ascoltare i consigli della balia di turno.
Thor non sembrò così disturbato dal colpo ricevuto, anzi.
Piegatosi appena su stesso per un breve interludio e riflesso automatico, roteò
il Martello, accompagnato da un gran frastuono di saette e fischiare di
fulmini; un vento rauco di polvere e cenere s’avvoltolò attorno alla testa di
Mjolnir, ma –E Tony si chiese per quale accidente di motivo si fosse appena
concentrato su un particolare tanto stupido- il gallo di Persefone non interruppe
il proprio lavoro. Né e granaglie si spostarono d’un soffio, a quel turbine in
vitro: al contrario, le vide in qualche modo…Sparire, come risucchiate da un
foro della pavimentazione. O forse era soltanto una propria impressione.
Impressione o gioco di luci che fosse, perse ogni
attrattiva nel momento stesso in cui Thor si lanciò a volo d’angelo verso di
lui.
«Fatti avanti, cocco bello.» lo sfidò Tony,
ignorando ogni buonsenso.
Prima della palla da biliardo verde alta due metri
che ebbe la meravigliosa idea di scaraventare Thor oltre le banchine, addosso a
cacciagione grondanti miele e innaffiate di vino odoroso, prima, dunque, di
quello spettacolo al limite della risata isterica, Iron Man colse il volto di
Loki irrigidirsi e farsi livido. Poi la stanza rimbombò del grido famelico di
Hulk e un’ondata di giusta soddisfazione karmica scorse nelle vene del magnate
come nuovo sangue.
«Ce ne avete messo di tempo» Tony si voltò a
guardare Natasha con un sorriso di sbieco che lei sicuramente non poteva vedere,
aa di cui era certo ne avesse intuito l’esistenza dal tono.
La spia socchiuse le palpebre con finta aria
stizzita, un ghigno a brillare cremisi sull’angolo destro delle labbra.
«Chiedo scusa, siamo stati ingaggiati per fare i
dog-sitter.»
Il figlio di Howard si concesse una breve risata, i
palmi già rivolti a Loki –Hulk, intanto, aveva preso Thor per i capelli e lo
aveva colpito allo stomaco con un diretto tale che Iron Man si stupì di non
vedere le divine interiora del norreno schizzare via dalla schiena insieme ai
reni.
«Allora, Profondo
Mare Azzurro(8)» altro inveire mentale, questa volta contro
Steve e la sua mania di vedere ogni creazione video ludica riguardante Seconda
Guerra Mondiale e affini «Questa è l’ultima volta che te lo ripeto. Consegnami
l’anima del Capitano e forse passerò sopra il fatto che lo hai brutalmente
ammazzato per costringerci a venire tutti per il tuo infernale, in tutti i
sensi, thé delle cinque.»
«Ammazzato?»
ripeté il Norreno, per nulla interessato che Hulk avesse appena costretto Thor
in ginocchio, Mjolnir lontano da sé e la grossa mano sulla sua testa per
tenerlo fermo «Che termine orribile. Io non l’ho ammazzato. Le Parche hanno
tagliato il filo.»
«Su tuo ordine,
presumo.»
«Ordine?»
il tono adirato di Persefone sovrastò qualunque altro rumore, qualunque altro
sussurro «Le Parche non agiscono per
ordine di nessuno!» proseguì, collerica «Se non di loro stesse!»
«Oh.» Loki si portò una mano al cuore e si girò
verso di lei, inscenando un profondo, confutabile rammarico «Temo che alcune
cose siano cambiate nei tre mesi in cui sei stata lontana, mia signora. Iride
ha fatto loro una visita, di recente.»
«Iride? E da quando Iride serve ed obbedisce ai
comandi d’un sozzo barbaro usurpatore?»
«Da quando il suo sangue divino nutre fiori
rigogliosi sulle rive dell’Acheronte.»
Tony Stark non aveva scordato la magnifica,
irraggiungibile bellezza di Tyche, ma essa era nulla al confronto dei bagliori
di baleno che sgorgavano a fiotti celesti dallo sguardo della divinità comparsa
accanto a Steve, in uno sfolgorante tripudio di fumo verde.
Quell’accorgimento stilistico da ghiaccio secco,
considerò Iron Man, non doveva essere stato particolarmente apprezzato da
Persefone che, al contrario loro, era gelata sul trono come una statua di sale,
il corpo un’unica vibrazione d’orrore inesprimibile.
Le ali d’oro d’Iride sorvolarono con grazia i
capelli di Steve e gli sfiorarono a punta di piuma la spalla ed il braccio:
ogni bellezza, ogni meraviglia e splendore scomparvero dall’idea che Tony s’era
fatto di lei nel momento preciso in cui il Capitano si tese e si incurvò con
uno spasmo, vomitando un urlo di dolore soffocato dal cordone morso con
violenza dai denti tremanti.
Iride gettò la testa all’indietro ed un lampo bianco
cancellò dalla sua figura qualsiasi traccia della veste impalpabile, dello
scialle azzurro tintinnante di rugiada, dei calzari di vento. Al suo posto,
ora, l’algida forma di una donna dai lunghi capelli biondi, il seno florido ed
il ventre piatto fasciati da un busto a scaglie verdi, terminante in sottili
frange ridacchianti; bracciali di metallo smaltato le arrivavano a coprire
parte del dorso della mano con una punta a becco. La fantasia di cerchi
continui e verticali sulle calze nere sfrigolava di serpentino alla luce venerante
dei bracieri, le cui fiamme scintillavano languide sull’alta tiara malachite
che ella portava alla fronte.
«Amora…!» esalò Thor, con tono appassionato e la
donna piegò compiaciuta le labbra scarlatte.
Steve ansimò, boccheggiò, un’ustione butterata e
purulenta a gemere liquida lungo l’avambraccio. Iron Man alzò la fronte e non
dovette nemmeno chiedere, Loki rispose con gaudio alla domanda inespressa.
«La prima discepola di Karnilla, Signora delle
Norne.» stese la bocca in un sorriso tagliente «Fa’ dei morti ciò che lei più
desidera.»
«E di Thor il più devoto degli amanti» Amora sollevò
aggraziata la mano sinistra, le dita avvolte da una poco promettente
opalescenza giallastra «E del vostro mostro, il più fedele dei servi.»
Filamenti dorati scoppiettarono e palpitarono dall’improvviso
negli occhi di Hulk, che alzò il capo ciondolante e squadrò gli astanti con
sguardo appannato.
«Attacca»
fu l’unico ordine e se Tony non venne travolto da quel voltagabbana di Banner
fu perché Natasha lo superò con un salto e piantò nella faccia dell’omone verde
il tacco dieci. Grugnendo, Hulk si ritrasse, l’afferrò per la caviglia e la lasciò
andare e cozzare contro il filare processionale dipinto a stucco sulle pareti.
Se Iron Man non intervenne in aiuto della spia, fu perché troppo preso dal non
farsi sfarinare le costole dopo che Mjolnir, richiamato da Thor nel momento di
stasi seguita alla ribellione repentina di Hulk, lo aveva preso con perfezione
millimetrica al centro del Reattore.
Una ghironda di amici contro nemici, di confusione,
di caos, di cui Loki si pasceva con un gran sorriso sulla bocca trionfante. E
loro, come stupidi, come idioti, non avevano fatto caso a nulla, non aveva
pensato a niente. Avevano, anzi, contribuito a nutrire il suo ego ipertrofico,
a scatenare un’entropia senza precedenti.
Sbalzato all’indietro, il magnate cercò di rialzarsi
più in fretta che poté. A gettarlo di nuovo schiena a terra, però, fu il grido
e l’onda d’urto propagatasi da Persefone in piedi dinanzi al trono, il braccio
levato in gesto di comando.
Davanti al podio il pavimento crollò, a rivelare una
scala ad angolo retto infossata direttamente al di sotto dei lastroni(9).
Un frastuono d’acqua che risaliva e ribolliva, poi l’emergere serpentesco di
due essersi dal volto barbato e un’immensa coda a pesce: tenevano le braccia
allungate dinanzi a sé e sulle mani, forti e venose, solcate da rughe e intagli
salmastri, nacquero ciascuna un uovo alto quanto un essere umano.
Il gallo di Persefone svolazzò e frullò le ali
rosso-brunite sulla schiena squamosa dei tritoni, da lì al capo coperto di
ciocche lanose e infine beccò una volta, una volta sola, entrambe le uova sulla
sommità.
Rigature arzigogolate comparvero a segnare e
incidere la loro superficie liscia, abbagliante. Un tumultuare di galoppo
palpitò entro il guscio e, quando questi esplosero con un fragore di battaglia,
i tritoni drizzarono la testa, aprirono maggiormente i palmi e innalzarono a
curva la parte centrale del dorso. Le squame e le scaglie ondeggiarono d’azzurro
e turchese, di bianco e di spuma; le vesti, dalle spalle e sotto le ascelle,
gorgheggiarono e s’agitarono come le creste roboanti del maelstrom.
Incredibile a dirsi, allucinante a vedersi, le
creature marine sostenevano ora due giovani a cavallo, con una stella in
fronte, i capelli acconciati in trecce sottili e un balteo di cuoio di traverso
sul torace.
«Voi!» esclamò Thor, girandosi nella loro direzione
e distogliendo l’attenzione da Tony –Che ringraziò qualsiasi divinità
occidentale di avergli appena salvato la vita.
Il giovane con gli occhi celesti, con le carni
intessute d’oro, fece impennare il cavallo e saltò via dalle mani del tritone.
Impugnata la picca, il volto contratto dall’ira, alzò l’arma e si diresse
gridando verso il Dio Norreno.
«La vendetta di Polluce ti colpirà, ora, cane di
Asgard!» e nel mentre che prorompeva in quell’urlo, Tony notò il guizzo
rossastro, livido all’altezza dello zigomo.
Con la coda dell’occhio, ad Iron Man parve cogliere
un movimento da parte di Loki, un piegarsi veloce delle ginocchia come se
stesse per correre in avanti lui stesso. Che fosse realtà o meno, tuttavia,
quell’immagine fugace perse qualsivoglia importanza: Amora, all’ultimo istante,
s’era frapposta rapida tra la divinità chiamata da Persefone e il Principe di
Asgard.
Col petto fieramente sporto alla mercé della lama,
non un grido le sfuggì dalla bocca, nemmeno nell’attimo in cui il metallo le
trapassò le carni ed il cuore.
L’unico verso straziante e straziato che s’udì fu l’urlo
di Thor mentre la prendeva, cadente, tra le braccia –E anche il suo lamento
venne coperto dal sonagliare delle briglie dell’altro giovane che, smontato da
cavallo, aveva raggiunto il silenzioso Loki e lo aveva colpito al volto con l’asta
lignea della picca.
***
Phil Coulson avvertì la punta del coltello farsi
strada nelle viscere, prima della ventata ardente che gli azzannò il volto e
gli incendiò cornea, palpebre e ciglia.
Esalò un conato di vomito e dolore, due lingue vischiose a rigagnolare
appiccicose dagli angoli della bocca; le ginocchia gemettero, scricchiolarono,
ma non toccarono subito terra: ci pensò Bruno, con uno spintone, a gettarlo
contro il pavimento.
Con la testa roboante di silenzio ovattato, Phil
attorcigliò le labbra in un sorriso compiaciuto, orgoglioso: una freccia
esplosiva. Ottimo lavoro, Agente Barton.
Non seppe per quale grazia divina, ma Coulson
raccolse abbastanza coscienza da portarsi le mani al ventre e premere contro il
borbottio sanguinolento dello stomaco. Oh,
dannazione, pensò con una punta di autoironia che in quel momento
diagnosticava una lucidità mentale non proprio ai massimi livelli, Dovrei chiedere un aumento al Direttore.
Sentiva davvero il bisogno di un’altra cicatrice.
Come se il cordoncino a punto catenella che Loki gli aveva cortesemente
lasciato al petto non fosse già abbastanza riempitivo: cominciava a credere che
i supercriminali fossero degli esagitati maniaci dell’horror vacui.
Dio, pensò di nuovo, Sto sragionando.
E il fatto che ne fosse consapevole, che si fosse
accorto delle strane deviazioni, delle svolte improvvise del cervello era molto
probabilmente il primo segnale di un nefasto disturbo dissociativo. O, forse, stava
andando incontro alla morte molto più velocemente di quanto avesse preventivato
quando aveva ordinato a Clint di scagliare la freccia.
L’importante, però, era che Chianti era stato
colpito ed che stesse collassando a non troppa distanza da lui. Pur con la
vista appannata dal dolore e dai residui di fumo, Coulson poteva vederne il
volto ustionato, un crogiuolo ributtante di pus e carne scarlatta, paonazza,
costellata di vesciche ciangottanti liquido biancastro. I vestiti cadenti
fumavano di cenere, ridotti a pezzi, brandelli di tessuto puntolate di sghignazzanti
occhietti rossi.
La propria, di situazione, non doveva essere
migliore, ma era una cosa su cui Phil Coulson si sentiva in grado di passare
sopra.
Non che si sentisse in grado di fare molto altro, in
verità, se non scuotere il capo dolorante e gemere per gli artigli di fiamma
che a quel gesto avevano scavato unghiate bollenti nella guancia, scuoiando e
spolpando la carne a mani nude. I nervi palpitavano e s’attorcigliavano, abbrustoliti,
vibranti, il sangue colava a fiotti a macchiare camicia e falangi -Oh,
dannazione, ci teneva a quella camicia. E il completo era nuovo, preso
appositamente per l’occasione. Un po’ spiegazzato dopo che Clint l’aveva tirato
contro il muro, la notte prima, però non importava. Gli accartocciamenti si
vedevano appena ed era quasi felice della loro esistenza. L’aveva ripreso,
ovviamente, rimbrottato e brontolato, ma poiché erano opera di Clint, delle sue
mani, delle sue dita, allora andavano bene. Erano perfetti. Erano meravigliosi,
regalavano ai vestiti uno splendore che freschi di lavanderia non avrebbero mai
avuto.
Una consistenza gommosa, morbida -Una mano? Un guanto?, scivolarono a
sostenergli la nuca e a sollevargli piano la testa.
«Tranquillo, P.C.» gli arrivò la voce fosca di
Spiderman, da qualche parte sopra la fronte «Adesso arriva la cavalleria, veda
di tener duro.»
Coulson gli indirizzò un sorriso non troppo
convinto, le dita affondate nel ventre flaccido, unto e umido di umore e consistenze
gonfie, bavose che una parte atrofizzata della propria mente riconobbe fin
troppo facilmente quali boli oleosi di intestini e secrezioni acide da parte
dello stomaco forato.
«Vermin…?» s’informò, biascicando mozziconi
incomprensibili di suoni e fonemi.
«Non ha apprezzato troppo l’esplosione» rispose
l’arrampica-muri e mentre parlava, Phil avvertì una mucosa compatta, fredda
appoggiarsi e incollarsi all’altezza del ventre. Ramificazioni piacevoli, come
tanti sussurri di ghiaccio, si acquattarono e acciambellarono sulle
palpitazioni febbricitanti della carne lesa, lenendo in parte la sofferenza e
lo strazio. «Se ne sta occupando il suo Dinamico Duo.»
Coulson portò le mani alla pancia e i polpastrelli
entrarono a contatto con un rigonfio fibroso, in alcuni punti ancora un poco umido,
bagnato.
«L’ho imparato dagli scout.»
Phil fece anche un tentativo di reagire allo
scherzo, magari con una risata a fior di labbra che non sembrasse uno sbuffo
morente o un colpo di tosse mal riuscito, tuttavia quello che ottenne fu
soltanto un verso imprecisato, a metà tra la
preghiera e l’imprecazione.
Seguì un suono inarticolato, un rumore di risucchio
e un rigetto: la bocca si macchiò di nauseante metallo, si riempì di grumi
soffocanti, impossibili da inghiottire, che saldarono fra loro le arcate
dentarie come mastice. Girandosi di scatto sul fianco opposto a dove,
presupponeva, si trovava Spiderman, Coulson ansimò un conato di vomito ed ebbe
la netta sensazione –Anche dallo scroscio che udì esplodere contro il pavimento-
che le viscere bloccate dalla ragnatela dell’eroe avessero deciso di uscire
attraverso la gola. Nel fischio che precedette il mutismo assoluto dell’interno
e la nebbia più nera che l’Agente avesse mai visto, lo raggiunse l’affilata
bestemmia di Clint, lontana, soffocata, l’urlo di Spiderman, lo starnazzo
agonizzante di Bruno e il frastuono di tessuto lacerato.
Poi tra le mani e nella testa non gli restò che buio
e silenzio.
***
«Ho comunque vinto.»
«Che vuoi
dire?»
Tony mosse un passo per affiancarsi a Steve, che nel
frattempo aveva sollevato di scatto la testa e stava fissando con orrore il
ghigno malevolo di Loki. Non appena questi era stato messo con le spalle al
muro, l’incanto che aveva gettato sul Capitano era svanito.
Sentirlo parlare, sentirsi riprendere perché Mio Dio, Tony, sei un irresponsabile,
era più di quanto il magnate si era permesso di sperare.
Il fratello di Thor raddrizzò le spalle e assunse un
atteggiamento regale –A nulla valse la pressione che esercitarono Castore e
Polluce per farlo di nuovo inginocchiare a terra: in quel momento il Dio aveva
l’espressione esultante di chi avesse appena gettato il proprio dominio
sull’intero Creato. Non sembrava sconfitto. Al contrario, sebbene non avesse
raggiunto lo scopo di eliminarli uno dopo l’altro, conservava una spregevole
aria di deliziata vittoria.
«Prenditi pure la sua anima, Uomo Di Ferro» sorrise,
mellifluo «Non farai in tempo a tornare sulla Terra, che il Soldato non avrà
più un corpo cui appartenere.»
***
Fu con uno sforzo che nessuno avrebbe creduto
possibile che Bruno Chianti agguantò il bordo del feretro e vi si trascinò
sopra, ubriaco ed esangue. Gli doleva la testa, le tempie tremavano ed era
consapevole che sarebbe morto di lì a poco.
Che vita di merda, rigagnolò un ruscelletto di
pensiero nel soffuso soccombere della coscienza, Tante vale concludere in bellezza.
In fondo, era riuscito a conficcare il coltellaccio
nello stomaco di Coulson, era già di per sé una conquista. Però, perché
fermarsi? Sarebbe crepato comunque, perché non finire il lavoro affidatogli da
Amora?
Voleva prendersi una rivincita, su di lei e sul
mondo.
Quella baldracca svervegese lo aveva raccattato per
la strada come farebbe un barbone tra la spazzatura, non si era mai fidato di
lui e gli aveva dato quel compito semplicemente perché era un signor Nessuno
abbastanza disperato da accettare qualsiasi incarico gli procurasse moneta e
vino.
Anche il mondo pensava che Bruno Lambrusco Chianti fosse un buono a
nulla, no? Un essere disprezzato e disprezzabile capace solo di ingurgitare
cospicue sorsate di rosso per mantenere il sangue sempre attivo e utile.
Bhè, era arrivato il momento che Babbo Natale si
segnasse definitivamente il suo nome nella lista dei cattivi e all’Inferno
Lucifero gli preparasse una tavola come si deve tra gli Omicidi e i Predoni del
Primo Girone. Certo, avrebbe passato l’eternità a crogiolarsi nel sangue
bollente, ma persino le frecce dei Minotauri erano meglio delle saccognate
della polizia o di qualche Agentucolo in giacca e cravatta intenzionato ad
infilzarlo come un punta spilli per togliergli i poteri Mutanti.
Questione di punti di vista, d’accordo, però
chissene. Alla fin fine, stava per lasciarci le penne.
Facendo leva sulle ginocchia lorde di rosso,
bestemmiando per ogni guizzo della faccia stravolta dal fuoco, Bruno Chianti alzò
il coltellaccio sopra la testa -Stava morendo, stava perdendo il controllo ed
anche il manico andava liquefacendosi ogni istante di più, la lama una pasta
filamentosa tra le dita insensibili.
Ruggì un ultimo monito a se stesso e al mondo,
quindi diede il primo affondo.
Quando la pallottola lo raggiunse, Bruno Chianti
aveva squarciato il petto di Steve Rogers fino all’ombelico.
Cor Mortem Ducens
#09 Puoi Scegliere Ciò Che Resta E Ciò Che
Svanisce
Note
Finali
(1) http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2223167&i=1
(2) https://www.facebook.com/pages/Gli-attacchi-isterici-repressi-da-diva-incompresa-di-Loki-Laufeyson/500768069964422?fref=ts
(3) Citazioni da Hercules
(4) https://www.youtube.com/watch?v=YSVpfkBDOfU
(5) World of Warcraft
(6) Ruolo interpretato
da Hermswoth in “Rush”
(7) Ruolo interpretato
da Hiddleston in “Midnight In Paris”
(8) Film in cui recita
Tom Hiddleston
(9) Ispirazione molto
vaga dei bacini lustrali dei palazzi minoici
Note
Di Fine Capitolo
Il titolo viene dalla canzone “No light,
No light” dei Florence and The Machine. L'apparizione dei Dioscuri riprende gli acroteri del Tempio Ionico di Locri.
Alla Anthony Edward e alla Cap, che
sono finalmente tornate! *A*
Signore.
Signori.
Il prossimo è l’ultimo capitolo.