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Autore: Mokona_    28/03/2014    7 recensioni
Buonsalve!
No, non sono morta, non vi siete ancora liberati di me, nè delle mie jerza.
Quindi, ecco un'AU che vede un Jelly capo di un'azienda ed Erza sua fidata manager, che cerca di tenere a bada (senza riuscirci, inutile dirlo) l'animo ribelle e le assurde trovate del suo boss.
Dal testo:
"Non era stata lei a dire di voler separare la vita privata dal lavoro?”.
Scarlet lo guardò con odio.
Certo, separare vita privata e lavoro.
“Perché cazzo hai fatto quella cosa, stamattina? Chi pensavi di prendere in giro?
Sotto lo sguardo di tutta l’azienda, per giunta!”
“Non riesco davvero a capire di cosa lei mi stia accusando.” Continuò a far finta di niente l’uomo.
“Ti sei accorto che indossi la mia camicia?”.
“Si intona meglio con la cravatta, non trovi? E anche a te la mia sta molto bene.”.
“Jellal.”.
L’uomo roteò gli occhi e inclinò la testa di lato, fingendo –senza ottenere risultati apprezzabili- uno sguardo addolorato: “Pensavo che avresti accettato subito il mio regalo.”
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza, Scarlet, Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IM ALIVE
*but I’m barely breathing now, so place my lungs under the ground, lay me down….*
Story Of the Year a parte, sono tornata grazie alla febbre che mi ha permesso di scrivere questa cosa che non so che è, esattamente, ma vabbè. Ci vediamo giù.
 
 
 



Try to figure out who’s the boss


 
 
 
 
 
Era successo tutto troppo in fretta.
Un attimo prima era da solo, cercando di sistemare velocemente alcune faccende con imprenditori oltreoceano che lo avevano trattenuto fino a quell’ora tarda senza curarsene troppo (spesso gli capitava che i suoi interlocutori dimenticassero la differenza di fusi orari); e poi, all’improvviso, proprio quando aveva posato il telefono e si era gettato sulla poltrona e aveva allentato la cravatta, gli era arrivato quel messaggio:
“Posso portarle il rapporto su quegli scambi di cui abbiamo parlato questa mattina?”
Aveva alzato un sopracciglio, confuso: non ricordava di averle chiesto un rapporto su nessuna delle sue trattative, e non poteva che trovare strano che gli stesse dando del lei. Non lo faceva mai, quando non erano in pubblico, non via messaggio. E sì, c’era stato tra loro un qualche tipo di scambio, quella mattina, e forse lo aspettava un brutto quarto d’ora. O bello, ma questo non dipendeva da lui.
Non aveva avuto il tempo di pensarci, comunque.
Lei era entrata troppo in fretta, quasi avesse aspettato fuori dalla porta che fosse libero, il passo sostenuto, lo sguardo arrabbiato, spingendolo con forza sulla poltrona: e ora si trovava lì, con la sua manager preferita sopra di lui, il ginocchio che premeva con troppa forza contro il cavallo dei suoi pantaloni, una mano che gli bloccava il braccio, mentre con l’altra si aggrappava al bordo dello schienale, quei capelli scarlatti che tanto amava raccolti in una coda alta, e due occhi di fuoco che lo fissavano attraverso le sottili lenti.
Senza riuscire a trattenere un sorriso, decise di ignorare il caldo improvviso e la voglia di saltarle addosso per divertirsi un po’: ”Di che cosa voleva parlarmi, Miss Scarlet?”.
 Come aveva previsto, quella domanda mandò su tutte le furie la donna, che, afferratogli il colletto della camicia, avvicinò pericolosamente i loro volti, per sibilargli sulle labbra: “Di che cosa vuole parlarmi Miss Scarlet un cazzo, Jellal.”.
L’uomo non aveva avuto il tempo di dire o fare nulla, prima che le labbra di lei si avventassero sulle sue, fameliche, possessive, bisognose. Lo coinvolsero subito in una battaglia furiosa, che probabilmente avrebbe dovuto distrarlo dalle mani della donna che gli sbottonavano la camicia.
Avrebbe dovuto.
Con un unico, fluido movimento, Jellal si alzò, afferrandole i polsi, spingendola ed effettivamente intrappolandola fra sé e la scrivania.
“Ah, Miss Scarlet –le sussurrò languidamente ad un orecchio, mordicchiandone al contempo il lobo- le sembra questo il modo di comportarsi con un suo superiore?”.
Jellal ridacchiò vedendola combattere per liberarsi, per poi arrendersi, almeno apparentemente: i suoi occhi bruciavano ancora: “Sei uno stronzo, Jellal.”
“Miss Scarlet, ritengo davvero che lei debba moderare il linguaggio che adotta con i suoi superiori, o sarò costretto a licenziarla.” La rimproverò, corrugando le sopracciglia, il ghigno che non accennava a sparire.
“E poi…-aggiunse, abbassando la voce- non era stata lei a dire di voler separare la vita privata dal lavoro?”.
Scarlet lo guardò con odio.
Certo, separare vita privata e lavoro.
“Perché cazzo hai fatto quella cosa, stamattina? Chi pensavi di prendere in giro?
Sotto lo sguardo di tutta l’azienda, per giunta!”
“Non riesco davvero a capire di cosa lei mi stia accusando.” Continuò a far finta di niente l’uomo.
“Ti sei accorto che indossi la mia camicia?”.
“Si intona meglio con la cravatta, non trovi? E anche a te la mia sta molto bene.”.
Jellal.”.
L’uomo roteò gli occhi e inclinò la testa di lato, fingendo –senza ottenere risultati apprezzabili- uno sguardo addolorato: “Pensavo che avresti accettato subito il mio regalo.”
La sua manager per tutta risposta gli diede una gomitata nello stomaco nell’intento di nascondere il violento rossore che le aveva imporporato il volto: “E’ tutta colpa tua, mi confondi, e non mi fai capire mai quando mi prendi in giro o quando sei serio, e così agisco senza pensare” mormorò, senza riuscire a guardarlo negli occhi, e ripercorrendo tutti i momenti trascorsi in quella giornata fino a quel momento.
“Sei uno stronzo.” Ripeté allora, il tono ancora più definitivo di prima.
Jellal sorrise, prima di stringerla a sé e chinarsi sulle sue labbra, abbandonando l’atteggiamento strafottente che aveva mantenuto fino a quel momento, senza riuscire più a trattenersi: “Ti amo anche io, Erza.”
 
 
 


 
 
Quella mattina
 
 
Erza, come tutti i giorni, si era alzata presto, aveva fatto una doccia veloce e una colazione leggera, per poi dirigersi verso la Rosemary Company, azienda in cui lavorava da anni, insieme a quella che ormai considerava la sua famiglia: Natsu e Gray erano i suoi due fratelli minori, che lei doveva costantemente tenere d’occhio, e Lucy, che anche se entrata in azienda solo da qualche anno, era già diventata come una sorella, per lei.
E poi, beh, c’era lui.
Quando aveva accettato quell’incarico da manager, non avrebbe mai immaginato che il suo boss sarebbe stato lui.
Jellal Fernandes, suo amico d’infanzia e unico uomo che avesse mai amato in tutta la vita; dopo che lei se n’era andata dall’orfanotrofio che era stata la loro casa da piccoli, aveva perso completamente le sue tracce, ma non era mai riuscita a dimenticarlo. Avrebbe scoperto solo dopo molti anni che aveva voluto avviare una catena di dolci (specializzata nelle torte) proprio per lei, nella speranza che, un giorno, sarebbe riuscito ad incontrarla di nuovo –come d’altronde era successo.
All’inizio c’erano state incomprensioni, ostacoli da affrontare, ma erano riusciti a superare tutto, insieme.
E, nonostante fosse restia ad ammetterlo, Jellal era diventato la persona più importante della sua vita.
Ma, essendo quello dell’economia un mondo spietato, in cui bastava un nonnulla per rovinare la propria immagine, declassificarsi e rendere vani tutti gli sforzi per raggiungere quella posizione, avrebbero dovuto essere molto attenti; per loro due in particolare, che si erano fatti strada in quell’ambiente così duro con unghie e denti, riuscendo ad arrivare al successo senza l’aiuto di nessuno, anzi avendo più opponenti che sostenitori, sarebbe bastato un nonnulla per un crollo della loro immagine. Non potevano rischiare di far scoprire la loro relazione: ne andava dell’immagine da manager di fama internazionale di lei e di ottimo boss di lui. La gente avrebbe potuto pensare che lei Erza era arrivata fin lì solo grazie al suo corpo, non grazie al suo lavoro e alle sue abilità manageriali, mentre Jellal avrebbe potuto rischiare di essere preso per un pervertito che non svolgeva il suo lavoro seriamente, ma pensava solo a farsela con la prima manager di turno. Cose da tutti i giorni nella maggior parte delle aziende, ma Rosemary era famosa proprio per la sua politica rigida basata sulla meritocrazia, anche un piccolo scandalo del genere avrebbe distrutto la sua reputazione.
Per questo, fin da quando si erano fidanzati, avevano instaurato la regola: separare la vita sentimentale dal lavoro.
In verità era stata Erza ad insistere, Jellal aveva fin da subito chiarito che non gli interessava cosa pensassero gli altri. Ma in fondo era lei ad essere la manager, quindi aveva accettato ad aderirvi.
Per qualche anno, sembrava che sarebbero riusciti a mantenere questa unica, semplice regola.
Poi, però, era arrivato quel S. Valentino.
Era stata Erza la prima ad infrangerla, quando, sapendo che quel giorno il suo capo non aveva nulla di troppo importante da fare, aveva deciso di portargli i cioccolatini che gli aveva preparato direttamente in ufficio, sperando di non aver confuso il sale con lo zucchero come aveva fatto l’anno prima.
Se anche non gli erano piaciuti, Jellal non l’aveva dato a vedere.  D’altronde, non le aveva permesso di uscire dal suo ufficio, ma aveva insistito affinché rimanesse con lui per  “mangiare una fetta di torta insieme e discutere un po’ di affari.” Inutile dire che erano usciti da quello studio solo a notte fonda.
Sta di fatto che, da quel giorno, il suo capo era diventato molto più menefreghista nei confronti di quella regola.
Aveva iniziato a passare “per caso” molto più frequentemente davanti al suo ufficio, spesso senza neanche preoccuparsi di trovare una scusa credibile, senza parlare del fatto che aveva iniziato a cercare contatti ravvicinati –sicuramente inappropriati per il capo di un’azienda e la sua manager- anche quando erano in pubblico.
Quando Erza si era arrabbiata con lui, la sua risposta era stata: “Non riesco più a starti lontano mentre lavoriamo, non dopo aver scoperto quant’è divertente infrangere le regole.” Aveva anche aggiunto: “E poi, farlo sulla scrivania è stato fantastico”; su quell’ultimo dettaglio, però, la donna non aveva potuto controbattere, quindi si era limitata a schiaffeggiarlo con più forza possibile e cercare di limitare al minimo tutti i contatti, almeno sul posto di lavoro. Jellal sembrava essersi adeguato: non la cercava più continuamente, e aveva smesso di mantenere con lei una distanza minore di quella che teneva con tutti gli altri dipendenti.
In compenso, però, aveva iniziato a prendersi gioco di lei con una serie interminabile di sguardi carichi d’intensità, che riuscivano a farla rabbrividire all’istante, piccoli sorrisetti strafottenti per sfidarla o, al contrario, sorprendendola nei momenti in cui meno se l’aspettava con quei sorrisi dolci che riservava solo a lei: aveva tessuto una rete in cui era quasi ingenuamente rimasta intrappolata, in cui –già lo sapeva- più lottava, più sarebbe rimasta invischiata nei suoi fili.
Non poteva scappare, se ne rendeva conto, né sarebbe riuscita a resistere a quegli sguardi magnetici senza saltargli addosso a lungo.
E Jellal avrebbe reso quella trappola definitiva proprio quella mattina, ma questo Erza non poteva saperlo.
Entrò normalmente in ufficio, cominciando da subito ad impartire ordini a destra e a manca, premurandosi di svolgere al meglio il suo lavoro, e fare in modo che anche i più pigri, e quelli che si distraevano più facilmente (Natsu e Gray, insomma) facessero lo stesso.
Era estremamente grata che Jellal non si stesse facendo vedere: immaginava che avesse troppo da fare con il lavoro per venire a flirtare a distanza con lei.
Dovette ricredersi quando sentì Lucy cacciare uno strillo: preoccupata, uscì subito dal suo ufficio, per poi pentirsi all’istante di averlo fatto: Il suo capo, il suo miglior sorriso sul volto, avanzava verso di lei, sotto gli sguardi scandalizzati, basiti o sconvolti (e, nel caso di Lucy e pochi altri, emozionati), portando  in braccio l’enorme pupazzo di un orso.
Il pupazzo di un orso.
Per lei.
Per chi l’aveva presa, per la sua sorellina?
Era impazzito, non c’erano altre spiegazioni.
Tutto le fu più chiaro quando, una volta che l’ebbe raggiunta, Jellal dichiarò, premurandosi di mantenere il tono alto e chiaro: “Buon Withe Day, Miss Scarlet.”.
Erza, occhi e bocca spalancati, aveva iniziato a far rimbalzare lo sguardo dai dolci occhioni del peluche a quelli maliziosi del suo boss,  che dopo qualche minuto chiese, trattenendo a stento le risate: ”C’è qualche problema?”.
La manager, digrignando i denti, cercò di ricomporsi: “Penso che lei abbia fatto un errore, Mr. Fernandes.”
“Oh, no, nessun errore, Miss Scarlet: chi cerco è proprio di fronte a me.” Sussurrò, prima di oltrepassare il peluche per lasciarle un bacio a fior di labbra, che lasciò lei stessa e tutti i presenti interdetti.
“Jellal…” Ringhiò quindi, la tonalità del volto che si abbinava a quella dei suoi capelli, le sopracciglia corrugate e gli occhi lucidi, forse per la sorpresa, forse per la consapevolezza di quello che sarebbe successo in seguito a quel gesto.
E Jellal sembrò sentirsi in colpa, anche se solo per un attimo: distolse lo sguardo dal suo e corrugò le sopracciglia, mentre gli angoli della bocca andavano a formare una curva all’ingiù.
“Non me ne frega un cazzo –mormorò, in modo che solo lei potesse sentirlo- E’ stupido che dobbiamo stare lontani solo per qualche inutile convenzione sociale; abbiamo affrontato tanti ostacoli, insieme, supereremo anche questo.” Concluse, recuperando il sorriso.
Erza scosse la testa: aveva ragione, lo sapeva, l’aveva sempre saputo, anche se non aveva mai voluto ammetterlo.
“E quello che c’entra?”
Un ghigno sospetto rimpiazzò il sorriso gentile sul volto dell’uomo, mentre si avvicinava all’orecchio della manager per sussurrarle: “Qualche notte fa mi hai detto che avevi problemi a dormire, se io non sono con te…Ho portato un sostituto.”
Pur aspettandosi la gomitata alle costole, Jellal non poté che piegarsi dal dolore, mentre vedeva sbattersi la porta dello studio di Erza in faccia.
Tutto sotto lo sguardo basito degli astanti, che lo videro poi rialzarsi dopo qualche minuto, e andare a bussare insistentemente alla porta, mormorando qualcosa con un tono di voce troppo basso per essere udito dagli altri. Alla fine sembrava essere riuscito a farsi aprire: schivando abilmente la ginocchiata che Erza avrebbe voluto dargli, s’infilò tra lei e la porta, che chiuse dietro di lui.
E, se a tutti fu chiaro cosa successe da quel momento in poi (nessuno avrebbe potuto avere dubbi, dopo che Lucy aveva fatto notare lo scambio di camice), nessuno riuscì ad immaginare il motivo per cui Erza cacciò letteralmente Jellal dallo studio, premurandosi di tirargli dietro le prime cose che le erano capitate in mano.
Perché, dopo che avevano fatto l’amore, prima di ritornare nel suo ufficio, Jellal aveva preso il peluche, aveva preso una piccola scatolina vellutata, si era inginocchiato, e aveva chiesto: ”Erza Scarlet, mia manager preferita e unica donna della mia vita, vuoi sposarmi?”
La domanda era stata così improvvisa che lì per lì la donna aveva pensato che la stesse prendendo in giro come al solito (e la sua espressione poco seria non lo aiutava), quindi si era lasciata trasportare dalla rabbia e lo aveva cacciato via in malo modo, anche se non c’era cosa che avrebbe voluto di più al mondo.
Quando però si era resa conto di quello che aveva fatto in preda alla foga del momento, aveva provato a raggiungerlo in tutti i modi possibili, ma senza risultato: ogni volta lui inventava una qualche scusa, o attirava l’attenzione di qualcun altro, in modo che non rimanessero mai da soli.
E, se all’inizio era preoccupata che lui si fosse offeso, aveva presto capito da qualche sua occhiata che in verità si stava solo divertendo a prenderla in giro, e tenerla sulle spine.
Uno stronzo.
Erza davvero non riusciva a trovare un epiteto più appropriato.
E quando, a notte fonda, finalmente Jellal si era liberato degli ultimi impegni, la manager non riuscì a trattenersi oltre; non gli avrebbe permesso di giocare oltre con i suoi sentimenti, né comunque sarebbe riuscita a stargli lontano anche un solo secondo di più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbero poi chiarito chi era il boss, e fatto pace.
 

 
“Allora, questa risposta?”
“Allora ti interessava, nonostante tutto.”
“Figurati, so benissimo che non puoi dirmi di no.”
“Si vede, mister sto sudando così freddo che mi sono congelato.
“Perché non rispondi e basta?”
“Sei davvero un idiota.”
“Continui a non rispondere, devo preoccuparmi?”
“Sì”
“Cosa?”
“Sì, Mr. Fernandes, la sua cocciuta manager Scarlet sarebbe davvero onorata di diventare sua moglie.”
“Ti amo.”
“Ti amo anche io.
Ma questo non vuol dire che mi lascerò trattare di nuovo come hai fatto oggi.
Non ci provare mai più, o….”
“Certo, certo”
“Mi stai ascoltando?”
“Mmm”
“Jellal?
Jellal!
Tu, Jellal Fernandes, essere disgustoso, non puoi addormentarti in un momento del genere!
Svegliati subito!”
“Se mi sveglio e ti ascolto, tu che mi dai in cambio?”
“Brutto stronzo pervertito del cazzo, vaffanculo.”
 
 

…O forse no.








Ispirato a queste due meraviglie



   
                                 
 
 
 
 Angolino di Mokona_
Io chiedo perdono. Innanzitutto perché non ho la più pallida idea di cosa sia questo. E’ che è spuntato fuori dal nulla prima il tweet di mashi con jelly, e io già lì stavo scrivendo qualcosa però non ero del tutto ispirata, poi è spuntato fuori anche QUEL CAPOLAVORO ASSOLUTO DI RBOZ FATTO BENISSIMO E COSI’ AUIFHBIAHDOUIASDHJIFHBVIUHAFIH CI STO FANGIRLANDO DA DUE GIORNI e poi il fatto della camicia non me lo sono inventato del tutto, fateci caso, i colori sono uguali. Parlo della camicia di Erza a sinistra e quella di jelly a destra. Non potevo non scriverci sopra qualcosa, dai, anche se non è decisamente il mio genere.
Comunque.
…Sono praticamente tre mesi che non aggiorno. Chiedo umilmente perdono, davvero.
Questo è dovuto principalmente alla scuola, che non ho mai davvero odiato come in questo periodo, non mi lascia un attimino di pausa, e se sono qui adesso è perché ho sfruttato la febbre per scrivere, altrimenti starei ancora studiando.
Poi…non sono molto ispirata, ultimamente, non so se si vede. Mi sono stancata del mio stile di scrittura, mi annoia, non sono per niente soddisfatta. Non sono neanche soddisfatta della caratterizzazione dei personaggi, qui sono andata con l’OOC a mille, ma vabbè. Più che altro non ho la più pallida idea di come sia possibile che abbia mantenuto il rating sull’arancione, quando ho iniziato a scrivere ero convinta che sarebbe uscito qualcosa di rosso, anche se non voglio scrivere rosso, non so farlo.
E…vorrei poter dire che aggiornerò presto, ma so già che, una volta che mi sarò rimessa, sarò di nuovo completamente assorbita dalla scuola. Vedrò di darmi da fare quest’estate per recuperare tutto il tempo perduto *^*
Btw, qualcuna di voi viene al Romics?  Mi farebbe davvero piacere fangirlare insieme a voi <3
E come al solito ho parlato troppo, dovrebbero mettere un limite alle parole da usare negli angoli autori.
Ciao a tutti, spero che la storia non vi abbia fatto schifo e sia valsa la pena arrivare fin quaggiù <3
Kiss
Mokona_
 
Ps: oh, e di nuovo, non so cosa sia questa fic. E se ci sono errori è perché sono molto infebbrata, non ho piena coscienza di me stessa, ecco.
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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