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Autore: foreverwithyou    28/03/2014    6 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Amber Josephine Liu è una giovane vent'enne originaria della Cina che, dopo lavori part-time e commissioni varie, è riuscita a racimolare una discreta somma per iscriversi ad una delle più importanti accademie di musica, la Liberty Academy di Londra.
Entusiasta al sol pensiero, Amber si precipita in Inghilterra, sebbene in ritardo di dieci giorni, e lì il destino sembra essersi finalmente rivelato: non sgobberà più avanti e indietro per le piccole stradine del villaggio di Hua Tian, sotto ordine della sua burbera madre, ma percorrerà serena i corridoi della Liberty Academy fino al diploma. Ma sarà davvero così semplice come pensa?
Arrivata in Inghilterra vedrà che la realtà non è come quella immaginata. Amber verrà scambiata per un maschio e le verrà assegnata la stanza numero 143. Una stanza che cambierà la sua vita per sempre.
Tratto dal capitolo:
[...]
«Tu sei una ragazza?» Domanda balbettando.
«Sì. Vuoi controllare?» Dico aprendomi la felpa.
«No, per carità!» Urla indietreggiando e cadendo col culo per terra.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Chapter one.
Bye bye China, hello England!


 
Il mio taxi è arrivato.  Prossima fermata: Londra. Finalmente sono in Europa, non ci posso credere!
La Cina non era mica posto per me! Io sono una donna di mondo, gente.
Ah, non vedo l’ora di buttarmi sul materasso di quella stanza riservata a nome Liu da un’infinità di mesi.
Spero che non mi sottopongano alle questioni burocratiche perché non ne ho proprio voglia.
Perché se è così m’incazzo sul serio. Ho mandato la richiesta e il video di accettazione a quell’Accademia prima dell’estate e si sono degnati di rispondermi via e-mail solo quattro mesi più tardi.
Tre settimane fa, per l’esattezza.
«Maledizione!» Dico con sdegno portandomi la mano alla testa.
Mi sono appena ricordata che sono atterrata sul suolo inglese una settimana dopo il giorno della ripresa delle lezioni.
Tutti i novellini si dovevano presentare il giorno dieci di settembre, no diciassette.
«Pazienza! Non è mica colpa mia se quel fottuto aeroporto ha dichiarato sciopero.»
L’autista mi guarda mezzo schifato dallo specchietto retrovisore.
Cosa gli prende? Non ha mai sentito imprecare in Cinese?
Faccio le spallucce e schiaccio il tasto play del mio mp3 facendo ripartire la canzone che stavo ascoltando: Breakaway di Kelly Clarkson.
Guardo il mondo che scorre lento fuori dal finestrino mentre il cielo diventa sempre più scuro, finchè non si ferma del tutto.
«Eh?» Mi tolgo le cuffiette dalle orecchie e mi rivolgo all’autista sfoggiando il mio perfetto inglese «Scusi, perché ci siamo fermati?»
Stavolta non si limita allo specchietto retrovisore, fa un mezzo giro e mi guarda incredulo.
Cos’è, credevi che parlassi solo Cinese, brò?
Inarco un sopracciglio e ghigno sotto ai baffi che, sfortunatamente non ho. Non sia mai, già mi prendono per un maschio a causa del mio vestiario e del mio look, figuriamoci se avessi pure i baffi. Che ridere!
«Allora?» Insisto stizzita.
«C’è traffico.» Mi risponde con sufficienza.
Sbuffo accigliata. Ho un ritardo di sette giorni, minuto più, minuto meno non credo faccia la differenza.
Finalmente la lunga fila di macchine inizia a scorrere e in pochi minuti seminiamo la strada caotica per addentrarci in una non del tutto isolata.
«Siamo arrivati alla Liberty Academy. Fanno 50£.» Mi dice tendendo una mano.
«50£? Ho i soldi contati perché la banca non ha voluto effettuarmi il cambio dei Yuan quindi niente mancia, bello. Duìbuqǐ[1]» Dico porgendogli poco più della metà dei soldi che mi aveva chiesto mentre gli faccio un inchino con il capo.
Il tassista dal capello rosso carota mi guarda ancora una volta dallo specchietto retrovisore per poi scendere in modo frettoloso dall’auto.
Assumo un’espressione sbigottita mentre lo vedo fare il giro del black cab e aprire lo sportello e trascinarmi per la felpa fuori dal taxi.
«Hey! Ma che diavolo fai?» Urlo sistemandomi la felpa stropicciata.
Il tassista rosso in viso come in testa apre il portabagagli e solleva il mio trolley giallo fluo e lo lancia a terra.
Spalanco la bocca, atterrita da tanta maleducazione.
Elmo si rimette in macchina e sfreccia via borbottando qualcosa nella sua madre lingua.
«Dalle mie parti diciamo: tā mā de guānbì[2]!» Urlo spudoratamente battendo i piedi a terra.
Cominciamo bene! Un perfetto primo approccio con la società inglese. Qui dentro ne vedrò delle belle!
Afferro il mio prezioso trolley giallissimo e mi dirigo verso la colossale struttura che prende il nome di Liberty Academy dal millenovecentoequalcosa!
C’è una grande bacheca fuori dove ci sono attaccati tutti i foglietti di benvenuto e liste di chi, da qui dentro, è uscito vittorioso ed ha sfondato nel mondo della musica, del canto o del ballo.
Mi giro il cappellino verso sinistra permettendomi una visuale a 360°.
Alzo lo sguardo e scorgo  una torretta sperduta in cima con una bandiera che sveltola allegra con sopra un rosa bianca su sfondo blu.
Attraverso il cortile dalla superficie piastrellata e abbellito da pianticelle qui e lì, apro l’enorme e pesante porta in finto legno e mi ritrovo in un androne gigante.
Sarà almeno cinque metri per sei, o qualcosa in più.
«Buongiorno, posso aiutarti?» Mi domanda un tizio sulla ventina, di bell’aspetto con indosso un’uniforme.
Presuppongo sia un’uniforme: ha uno stemma sul cardigan grigio che è uguale a quello sulla bandiera sulla torre che ho visto prima.
«Sì, sono Amber Josephine Liu dalla Cina.» Dico in un’ampia riverenza.
«Benvenuta Amber, seppure in ritardo. Io sono Jonathan Stevenson, il caposcuola.» Dice imitando il mio inchino.
Annuisco soddisfatta. Sembra simpatico questo ragazzino esile dai capelli color dell’oro e gli occhi verdemare.
«Seguimi, ti porto in segreteria dove ti muniranno del tuo tesserino personale, dell’orario delle lezioni e della chiave della tua camera.»
Abbandoniamo quel presunto androne e imbocchiamo un corridoio molto largo e, ai lati, pieni di armadietti blu.
«Zhè hěn kù!» Esclamo sorridendo.
«Come, prego?» Domanda Jonathan confuso.
«Che figata! L’ho detto in cinese!»
Il biondo se la ride.
«Sai, sei la seconda persona cinese che frequenta questa scuola!»
Vorrei dire qualcosa per approfondire la questione e scoprire almeno l’identità del mio connazionale, ma Jonathan mi avverte che siamo arrivati e di aspettarlo.
Qui c’è troppo silenzio. Possibile che siano tutti con le teste sui libri?
Faccio qualche passo e sbircio un po’ dalla finestra che ha una bella veduta di questo importante quartiere inglese.
Sono arrivata direttamente dalla Cina dopo anni e anni di risparmi. Mi sento così realizzata!
Sfilo il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni rosso fuoco e vedo che sono le dodici e tre minuti.
Sento un brontolio nel mio stomaco che quasi fa eco in quel corridoio vuoto dalle pareti bianco latte.
Quanto ci mette il caposcuola? Io ho fame e sono stanca. In aereo ho dormito poco e niente.
Improvvisamente sento una musichetta da carillon che mi sfiora i timpani. È quasi impercettibile.
Faccio qualche passo in avanti e noto che la musica si fa sempre più forte.
Non è un carillon, però! È un pianoforte!
In effetti, c’è una sala a pochi metri da me e grazie alla grande finestra posso vedere un ragazzo intento a suonare.
Ha i capelli ricci e biondi che gli sbucano dal berretto color pesca, il quale fa pendant con il maglione super largo che indossa.
«Che fighi quei calzoncini beige. Li voglio!» Dico in un soffio.
Adoro lo stile di questo tizio. Chi sei? Dove abiti?
«Amber, andiamo!» È Jonathan che richiama la mia attenzione.
Do’ un ultimo sguardo a quell’individuo per poi seguire Jonathan che ha già ripreso a camminare.
«Questi sono: la tabella di marcia dell’Accademia e tutti i corsi che devi svolgere obbligatoriamente, tu del primo anno, il tuo tesserino e la chiave della tua stanza.» Dice porgendomi tutte le cose da lui stesso elencate.
«Centoquarantatre.» Dico leggendo la targhetta appesa alla chiave.
«Si trova al secondo piano. Ci puoi arrivare tramite questa rampa di scale. Se ha dei problemi, non dubitare a chiamarmi.» Dice fermandosi.
«Anche perché sei l’unico che conosco! Grazie di tutto, Jonathan.»
«Ah, prima di andare in camera, ti sarei grato se andassi a presentarti al preside. Lui ci tiene ad avere un contatto diretto con i nuovi arrivati. Trovi il suo ufficio dietro quella porta.» Dice indicando dietro di me.
Annuisco, saluto il caposcuola e mi avvio.
Busso energicamente aspettando il permesso per entrare.
«Avanti»
«Buongiorno.» Dico entrando e porgendo una riverenza all’uomo che si trova dietro alla scrivania, il quale presumo sia il preside.
«Buongiorno, tu sei?» Domanda aggiustandosi gli occhiali sul naso e aguzzando gli occhi.
«Amber Liu, signor preside. Sono appena arrivata. Piacere di conoscerla.» Dico in un’altra riverenza.
«Oh, buongiorno. Ti do il benvenuto alla Liberty Academy. Siedi, facciamo due chiacchiere.»
È un uomo con un cuore d’oro, il preside Deacon.
Sta sulla cinquantina, ma ne dimostra sessanta. Sarà perché è calvo e grasso, in compenso ha maniere molto affabili e aggraziate.
È un maniaco dell’ordine. La sua scrivania è e deve rimanere immacolata.
Credo che su quest’ultimo punto non andremo molto d’accordo!
Finita la nostra chiacchierata, mi accompagna alla porta e mi rivolge un ultimo saluto.
«Vedrai che ti troverai bene qui, ragazzo!» Dice stampandosi in faccia un sorriso giocondo.
«Ragazza. Sono una ragazza, signor preside.» Lo correggo.
Mi guarda da capo a piedi, squadrandomi.
«Oh santi numi, perdonami. Sai, è facile confonderti con questi vestiti così maschili.» Dice alludendo ai miei pantaloni e alla mia felpa gigante che copre ogni mia piccola, ma pur sempre esistente, curva.
«Oh. Cercherò di rimediare. Arrivederci!»
Rido divertita incamminandomi verso la rampa di scale che arriva fino al terzo piano.
Fortunatamente devo fermarmi al secondo: la mia stanza, la 143, non deve essere molto lontana.
«Centoquarantadue.. Centoquarantatre. Eccola!» Dico inserendo la chiave nella serratura.
Entro e mi accoglie un ambiente sobrio e soleggiato. Faccio un paio di passi e mi ritrovo  due letti divisi da un comodino alla mia destra, un armadio color ciliegia, due scrivanie e alcuni scaffali poveri di libri alla mia sinistra.
Di fronte a me c’è una porta; sarà il bagno.
È tutto impeccabile e profumato. Sembra che non ci abiti  nessuno.
Sbuffo posando il mio trolley accanto al letto più vicino e butto un occhio sul comodino. C’è un cellulare in carica, allora qualcuno c’è.
La porta del bagno si apre e ne esce un ragazzo nudo, con solo un asciugamano appuntato in vita, bagnato come un pulcino.
Lancia un grido, sorpreso di vedere qualcun altro nella stanza.
«Cominciamo bene!» Sbotto togliendomi il cappello e passandomi una mano tra la capigliatura biondo platino e la rasatura potente sul lato.
«Sei il mio coinquilino?» Domanda terrorizzato.
Dagli occhi a mandorla denoto che è orientale come me.
«Amber Josephine Liu, brò.» Dico facendo le dita a V.
«Henry Lau, piacere.» Dice tendendomi una mano.
Tipico occidentale. Non credo che questo tizio venga dall’Oriente.
Gli afferro la mano con un po’ di titubanza per poi sedermi sul letto.
Qui in Inghilterra non ci tengono al pudore: lasciano che i maschi e le femmine dividano la stessa camera. Che cosa moderna!
«Sei un po’ in ritardo.» Mi fa notare.
«L’aeroporto ha dichiarato sciopero proprio il giorno in cui dovevo partire.»
«Comunque, benvenuto. Puoi prenderti questa parte dell’armadio e il letto su cui sei seduto.» Dice indicando un’anta.
Annuisco facendo fatica a mantenere gli occhi aperti.
«Amber..» Dice quasi a se stesso.
«Mh?»
«Dev’essere stato difficile abituarti!» Mi dice passandosi un asciugamano tra i capelli bagnati, più biondi dei miei.
«A cosa?»
«Il tuo nome è così femminile mentre tu sei un ragazzo. A cosa stavano pensando i tuoi genitori quando te l’hanno dato?» Domanda ghignando.
«A quant’era bello quel nome prettamente americano per la loro seconda figlia femmina.» Dico calcando l’ultima parola.
Gli occhi di Henry si sgranando mentre li punta su di me.
«Tu sei una ragazza?» Domanda balbettando.
«Sì. Vuoi controllare?» Dico aprendomi la felpa.
«No, per carità!» Urla indietreggiando e cadendo col culo per terra.
Mi piego in due dalle risate mentre Henry è ancora incredulo.
«E io poi te lo lasciavo fare! Míhuò.» Dico continuando a ridere mentre lui si massaggia il fondoschiena, alzandosi.
«Come mi hai chiamato?» Domanda curioso.
«Illuso. È cinese. Io sono cinese, tu non lo sei?»
«No. O meglio: la mia famiglia lo è. Io sono nato in Canada.»
«Zhè hěn kù! Che figata!»
Mi regala un sorrisone smagliante e poi si congeda per andare in bagno a vestirsi.
Henry sembra una donnina. È il mio esatto opposto. Spero di trovarmi bene qui!
Amber, hao yun qi [3]


Angolo Autrice.
Ni hao, donzelle (っ◔◡◔)っ ♥
Grazie per aver letto il primo capitolo di 143 I LOVE YOU.
L'ho scritto, pensate  un po', alcune settimane fa, ma stavo aspettando un segno divino per pubblicarlo. E oggi è arrivato! Festeggiamo toghetah.
Sbattetevene dei miei deliri e ditemi come vi è sembrato tramite una recensione dalla bandierina
rossa,verde,bianca, multicoloreCome vi pare, d'accordo?
La coppia: HenBer
 (*o*)/
Per chi è un appassionato di kpop, come me, la conosce già.. per chi no.. *si-getta-da-un-ponte*
Vabbè pure se non la conoscete non è che casca il mondo.. tanto nella storia ci sono pochi riferimenti alla realtà che non
vi farò assolutamente pesare, o voi sconosciuti del mondo del kpop.
Comunque avrete modo di conoscere meglio i personaggi e tutto il resto °-°
Se vi ha incuriosito, mettete la storia tra le seguite e attendete il prossimo aggiornamento.. sennò.. *si-fucila*
Aigoo, è troppo tardissimo e io me ne devo andà!
Vi mando un mega kiz.
-FOREVERWITHYOU

Ahh, qui sotto ci sono dei numeri che portano la traduzione di alcune espressioni cinesi di Amberina non tradotte nel testo. Arasso??

[1] Mi dispiace
[2] Vai a quel paese
[3] Buona fortuna
 
Vi lascio con una bella gif di Josephine ml
Quel faccino, oddio. Me la mangio gnam *^^*
 
   
 
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