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Autore: breaking free    28/03/2014    0 recensioni
Ma la morte di quell’uccello fu per lui una catastrofe. Non perché, ahimè!, un amico era venuto a mancare; non perché non avrebbe avuto più compagnia la sera, prima di andare a dormire; non perché gli sarebbero mancate le penne di quell’ insolito animale.
Ma perché Pavarotti rappresentava ciò che legava Kurt e Blaine. La loro amicizia, il loro amore che solo Kurt percepiva. E se Pavarotti non c’era più, come poteva Kurt pensare in un qualcosa con Blaine?
Se il simbolo del loro –suo- amore impossibile era svanito così come era cominciato, il futuro poteva mai iniziare a cinguettare?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lugete, o Veneres Cupidinesque,
et quantum est hominum venustiorum:
passer mortuus est meae puellae,
passer, deliciae meae puellae,
quem plus illa oculis suis amabat.
nam mellitus erat suamque norat
ipsam tam bene quam puella matrem,
nec sese a gremio illius movebat,
sed circumsiliens modo huc modo illuc

ad solam dominam usque pipiabat.
qui nunc it per iter tenebricosum
illuc, unde negant redire quemquam.
at vobis male sit, malae tenebrae
Orci, quae omnia bella devoratis:
tam bellum mihi passerem abstulistis
o factum male! o miselle passer!
tua nunc opera meae puellae
flendo turgiduli rubent ocelli.❞ 
 
 
Lasciare il Glee club, per Kurt, non era stato del tutto facile.
Lasciare i suoi amici, il professor Schuester, il suo armadietto.
Gli mancava perfino la stridula voce di Rachel –Sono una Star- Barry: il che è tutto dire.
Però alla Dalton c’erano lati positivi: niente discriminazioni, tutti sembravano rispettarsi a vicenda.
La mensa non era mai affollata, i professori sembravano essere sempre molto aperti e disponibili. Blaine, però, una volta gli aveva detto che il professore di matematica aveva cacciato quasi tutta la classe fuori dall’aula per aver—
Blaine.
No, non lo stava dimenticando, anzi. Lo stava elogiando. Come faceva ormai da diversi giorni, e notti.
Lui, i suoi capelli sempre cosparsi di gelatina, i suoi occhi, o il suo sorriso bianco e luminoso. O il modo di muoversi, di ondeggiare con i fianchi, o di portarsi
una mano al petto quando c’era un acuto abbastanza difficile.
O il modo, sempre attento e puntiglioso, con cui si puliva le mani prima di mangiare; o quando si aggiustava la spilletta al fine di una canzone; o il suo comportamento da leader con il quale “addomesticava” gli altri Usignoli.
Gli piaceva e anche tanto, anche se il ragazzo non sembrava ricambiare. Ma odiava il fatto che gli Usignoli dovessero dipendere da Blaine come da un altro.
Il Glee era un gruppo corale, ognuno cantava una strofa, ognuno aveva un dono che mostrava sempre e comunque. Alla Dalton c’erano solo capre che seguivano il pastore, anche se questo era il ragazzo più bello sulla faccia dell’intero universo.
Quando Kurt provò però a riferirlo a Blaine, quest’ultimo non sembrò molto contento.
 
«Misery. Ottima scelta per incominciare un incontro degli Usignoli. Bravo come sempre, Blaine.»
«Noto del sarcasmo nella tua voce…»
«Sì, perché tu apri ogni incontro degli Usignoli. Noi sembriamo soltanto le tue spalle… Un “ oh yeah” di qua, un “uhh” di la e per noi la scena è conclusa.
Dovresti dare spazio anche agli altri.»
«.. E anche della gelosia. E’ il Consiglio che sceglie, Kurt, non io.»
«Oh, ma andiamo! Consiglio o no,  noi sembriamo tanto “I coristi di Blaine”! »
 Per quasi tre giorni i due ragazzi non si erano scambiati parola e né si erano guardati in faccia, e la tensione fra di loro non faceva che aumentare.
Eppure, per Kurt, l’averlo attaccato l’aveva immediatamente fatto sentire in colpa: non avrebbe mai voluto.
Ammetteva che era bravo, e lui lo dava a vedere sempre, forse anche troppo. Voleva soltanto dimostrare chi era e cosa sapeva fare, impressionare Blaine, toccargli il cuore. Renderlo fiero di essere nella sua squadra
Ma come poteva fare se nessuno gli offriva mai una possibilità?
 
Il ragazzo dalla mise nera di pelle corse per tutta la Dalton, scese le scale e poi le risalì di nuovo, pensando alle parole giuste e al tono di voce che doveva usare.
Poteva chiamare Mercedes, farsi dare un consiglio.
Ma quella era una questione che gli riguardava personalmente e doveva prendersi le sue responsabilità. A testa alta, con il petto in fuori, entrò nella Sala del Consiglio della Dalton, schiarendosi la voce. Tutti, lì dentro, rimasero ammutoliti. Kurt Hummel vestiva sempre eccentricamente: colori vivaci ravvivavano la sua candida pelle, pantaloni stretti, a volte a vita alta, camice e maglioni appariscenti. Forse era per questo che tutti si bloccarono quando Kurt fece ingresso nella sala, per il suo semplice e mesto abbigliamento.
O forse perché aveva ancora gli occhi rossi, decorati intorno da aloni di lacrime.
«Kurt… Cosa è successo?»
Eccolo lì, Blaine Anderson. Cravatta dritta, gel sui capelli, viso sconcertato. Occhi dilatati nel vedere l’amico così preoccupato. E quella mano che premeva sempre sul petto per gli acuti difficili, in quel momento era sulla sua bocca, spaventato nel vedere Kurt in questo stato.
«Pavarotti è... Pavarotti è morto. Probabile ictus…»
«Oh Dio, mi dispiace Kurt-»
Kurt riprese a piangere in silenzio, cercando di moderare il tono di voce e di raccontare come l’avvenimento era accaduto.
Era stupido piangere per un uccellino che gli aveva tenuto compagnia per poco più di cinque giorni, per un animaletto che sporcava dappertutto e che lasciava piccoli “ricordini” su tutte le mensole.
Ma la morte di quell’uccello fu per lui una catastrofe. Non perché, ahimè!, un amico era venuto a mancare; non perché non avrebbe avuto più compagnia la sera, prima di andare a dormire; non perché gli sarebbero mancate le penne di quell’ insolito animale.
Ma perché Pavarotti rappresentava ciò che legava Kurt e Blaine. La loro amicizia, il loro amore che solo Kurt percepiva. E se Pavarotti non c’era più, come poteva Kurt pensare in un qualcosa con Blaine?
Se il simbolo del loro –suo- amore impossibile era svanito così come era cominciato, il futuro poteva mai iniziare a cinguettare?
 
Blackbird singing in the dead of night,
take these broken wings and learn to fly
 
E successe, proprio alla morte di Pavarotti.
Il ragazzo dalla pelle candida e delicata, che cantava una canzone triste e melanconica, aveva spezzato un muro; nessuno sentì lo schianto che la voce di Kurt provocò, solo Blaine.
Perché era il suo muro che aveva rotto: quel muro che aveva impedito al ragazzo con il gel nei capelli nel vedere il ragazzo dalla pelle di porcellana.
Ora lo stava sentendo, lo stava vivendo.
E tutto questo sembrò estremamente piacevole per Blaine, così tanto che, egoisticamente parlando, si sarebbe alzato da quella poltrona di pelle e si sarebbe gettato tra le braccia di Kurt, come ad urlargli: «Mi ci è voluta una morte per iniziare a vivere.»
Blaine si aspettava che, una volta finita la canzone, tutto quello che stava vivendo sarebbe finito, così come era iniziato. E invece questo non successe, perché capì di volerlo più di prima.
 
 
«Che fai?»
Kurt alzò la testa di scatto, facendosi schioccare le ossa dietro al collo. Non si aspettava che qualcuno lo andasse a trovare, figuriamoci ritrovarsi Blaine davanti.
«Sto- Sto decorando la bara di Pavarotti. Questo colore credi che si intonerà alle sue piume colorate?»
«Pavarotti sarà nella bara, non si vedranno le sue piume, Kurt…», rispose Blaine, trattenendo un sorriso e incamminandosi vicino al ragazzo; prese una sedia lì vicino e la alzò da terra, portandola accanto a Kurt.
«Fa’ veloce, comunque. Dobbiamo provare il nostro duetto.»
Ormai Kurt si era abituato al fatto che- per tutte le pellicce Prada- avrebbero duettato insieme, o al fatto che si sarebbero dovuti guardare negli occhi per molto, molto tempo; o al fatto che erano Kurt e Blaine, insieme.
Nostro.
Non “il mio e il tuo”, non “il duetto”. Ma il nostro.
Kurt sorrise e annuì, abbassando la testa.
Il cuore batteva forte, forse più di quando l’alito di Blaine gli toccava le narici pronunciando “buongiorno”, ogni mattina.
 «P- Perché hai scelto me, per il duetto? Avrem- Avresti potuto concedere questo onore ad un altro, perché io? Ci sono ragazzi davvero bravi: Tom, per esempio..»
«Kurt.»
Lo frenò Blaine, deglutendo e guardandolo dritto negli occhi, come se quello nervoso non fosse solo Kurt.
«Kurt. A- Arriva un momento, in cui diciamo a noi stessi: “Oh –hum- eccolo là. Cerco uno così da una vita.»
Come se fosse stato ordinato da una forza superiore, Blaine mise una mano su quella di Kurt.
Impossibile, pensò il ragazzo dalla candida pelle, è impossibile che lo stia facendo, che stia dicendo tutto questo a me.
«L’altro giorno, vederti cantare “ Blackbird”… Mi ha davvero aperto gli occhi e- e ho capito una cosa. Tu- Tu mi emozioni, Kurt. E questo duetto sarebbe una scusa per passare più tempo con te.»
No, no, no.
Non era un sogno, per niente. E se ne rese conto quando Blaine, di scatto, lo baciò.
Si gettò su di lui, premendo le labbra su quelle di Kurt, fortemente. In modo impetuoso. E Kurt sentiva, sentiva quello che Blaine non aveva mai avuto il coraggio di dire: «Ho bisogno di te.»
Quel bisogno impetuoso che ti colpisce la mattina appena sveglio, prima di fare colazione, dopo scuola, dopo il lavoro, durante un semplice incontro, durante un semplice “cosa fai stasera”. Quel bisogno di essere amati e di amare, per sapere che si sta facendo la cosa giusta.
Blaine e Kurt avevano ormai capito che, quella forza superiore che li aveva fatto incontrare, non era altro che l’amore.
 


 
SPAZIO AUTRICE:
piccola nota, la parte in latino è di Catullo, dal carme III. Spero vi piaccia la storia e la mia interpretazione della morte del nostro, povero, Pavarotti.
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