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Autore: Shetani Bonaparte    29/03/2014    2 recensioni
[Ju-on The Grudge]
Li hai uccisi, la troia e Toshio. E anche il gatto.
Prima che morissero, li avevi guardati negli occhi per l’ultima volta e dentro vi avevi letto paura, dolore, tristezza, curiosità.
Ed infine solo...
RANCORE
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Ciao! Allora, ho da poco visto The Grudge, mi è piaciuto un sacco e non potevo evitare di scriverci qualcosa al riguardo.
Ebbene, ho voluto narrare come la maledizione Ju-On ebbe inizio; non so se è tutto corretto poiché ho visto solo The Grudge e non i sequel, ma spero vi piaccia.
Un bacione,
Shetani

 

Sorridi, sentendo la porta d’entrata sbattere: tuo marito è tornato.
Sei una donna fortunata: sei sposata con un uomo che ami, siete fedeli l’uno all’altra, avete uno splendido bambino, una meravigliosa casa, qualche soldo in tasca. Una vita perfetta.
Senti Takeo salire le scale lentamente.
Deve essere stanco, tanto cammina lento; probabilmente avrà da lavorare in casa fino a tardi anche stanotte.
Ti appunti mentalmente di chiedergli di riparare il lavandino della cucina, che sgocciola incessantemente da questa mattina. Beh, glielo chiederai domani, se oggi è troppo spossato.
“Ciao amore!” lo saluti vedendolo avanzare verso di te.
Gli sorridi apertamente, sinceramente lieta di poter passare del tempo con lui.
Ma il tuo sorriso si spegne in fretta: eviti per un pelo la lama del taglierino che ha in mano.
Takeo è bravo con gli scherzi, ma questo è proprio di pessimo gusto. Lo guardi in viso e vedi la sua espressione.
È arcigna. Stralunata. Malata. Crudele.
Quello non è l’uomo che hai sposato. Quello sembra un mostro.
“Takeo, che c’è? Stai bene?” chiedi con il terrore tessuto a doppio filo nella voce.
Lui non risponde, no, si limita a tirarti un ceffone. Cadi a terra, con le lacrime agli occhi, mentre senti il colpo impattare sul tuo viso.
Un colpo così potente da mozzarti il respiro e da accecarti dal dolore per un istante.
Poi Takeo, il tuo solitamente dolce, amato, Takeo, ti agguanta per i capelli.
Urli, disperata, mentre ti trascina per i gradini lignei che conducono al sottotetto. Cerchi un qualsiasi appiglio; sbatti contro i gradini più e più volte. Domani avrai i lividi. Sempre se ci sarà, un domani, ma le tue budella si contorcono e presumi che forse morirai.
Dei lampi di dolore ti esplodono nel cervello quando la lama del taglierino ti trafigge.
Il tempo sembra rallentare, quasi fermarsi, le lama entra ed esce dalle tue carni innumerevoli volte con sempre maggior lentezza. Il sangue – il TUO sangue – inzuppa il tuo abito bianco, quello che avevi comprato apposta per tuo marito.
Ti senti debole… troppo debole… non urlo nemmeno più, la tua voce è solo un rauco lamento.
Perché? Perché sta succedendo? Cosa può indurre un uomo a provocare tanto dolore alla donna che lo ama? Perché? Perché vuole che lei lo odi?
Non lo sai e, per l’amor del cielo, non ti interessa poi così tanto.
Prima che la morte sopraggiunga, hai solo un pensiero in testa: Toshio, il vostro amato, piccolo, Toshio.
E preghi: non anche lui, non anche lui, ti prego, risparmialo. Non anche Toshio.
+++++++++
Senti tua madre urlare.
Papà deve averle fatto un brutto scherzo.
No, aspetta, l’urlo continua, è un urlo di straziante dolore.
Pensi che quello ch’è entrato in casa non è papà. No, la mamma non urlerebbe mai così con papà.
Papà è buono e dolce. Ad esempio, quella mattina, è stato lui a medicarti il ginocchio sbucciato dandoti il suo fazzoletto in stoffa preferito.
Senti dei rumori, le urla continuano mentre qualcosa viene trascinato su, fino al sottotetto, un rumore liquido che si ripete più e più volte.
Sei paralizzato dal terrore, il cuore ti martella nel petto come se volesse esplodere.
Poi qualcuno scende le scale; senti il gatto soffiare e miagolare, dell’acqua, il gorgoglio di qualcosa che si agita nella suddetta acqua.
Vuoi urlare, ma non puoi, sei troppo spaventato per farlo.
Ti guardi attorno, in cerca di un rifugio, e ti infili nell’armadio.
Fai come ti ha sempre detto di fare la mamma se un uomo cattivo entra in casa: ti nascondi, ti stringi le gambe al petto e non fai il minimo rumore.
I minuti passano. Il rumore di acqua che si agita finisce e senti dei passi lenti, inesorabili, che entrano nella tua cameretta.
La paura è tanta, gli occhi bruciano di lacrime e un singhiozzo si fa strada, prepotente, tra le tue labbra.
I passi si fermani, t’accorgi col cuore in gola, e si avvicinano.
Sei pronto ad urlare quando l’uomo cattivo apre l’anta dell’armadio e ti priva del rifugio sicuro del buio che vi regnava. Ma non urli, quasi sospiri di sollievo: l’uomo non è un uomo cattivo. È papà.
No, aspetta… perché papà è bagnato di acqua e marmellata? Perché è marmellata, quella, vero? anche se puzza di sangue, vuoi che sia marmellata. Sì, la marmellata che ti ha regalato la nonna.
Quasi non ti accorgi della lama che ti trafigge la carne, ma in fondo non sai nemmeno di piangere.
Ma poi il dolore si fa sentire.
Lo odi. Odi quell’uomo cattivo che ha la stessa faccia di papà.
Poi non senti più niente.
+++++++++
Tua moglie è una sgualdrina, vero?
Vero, è una sgualdrina, una sgualdrina furba, ma non abbastanza; no, no, no, tu l’hai scoperta. L’hai trattata come una regina ma a lei è bastato? Certo che no, no, no, lei doveva farsi ingroppare da chissà chi, doveva farti crescere Toshio come se fosse tuo figlio; ma no, no, no, lui non è tuo figlio, lo hai cresciuto come tale, hai speso del denaro per lui, lo hai amato, ma no, no, no, lui non è mai stato tuo.
Lei ti tradisce.
Lei è una squallida, vile, puttanella.
Una bugiarda. Una brava bugiarda, ma no, no, no, non brava abbastanza.
Non abbastanza.
Sei riuscito a scoprire il suo gioco. Ora le farai scacco matto.
Sali le scale, quelle scale di pregiato legno per cui TU hai pagato, quelle scale sempre in ombra, in quella casa che TU hai comprato e in cui lei ha vissuto, tessendoti attorno una menzogna. Come un fottuto ragno.
E tu odi i ragni.
I gradini cigolano pacatamente mentre con una mano stringi un taglierino. Lo stringi tanto forte che le tue nocche sono bianche come il latte.
“Kayako” mormori a denti stretti, tanto piano che nessuno potrebbe sentirti. Quasi non ti senti tu.
La trovi in camera, intenta a stirare.
“Ciao amore!” ti dice. ‘Amore’… come vorresti crederle. Ma no, no, no, lei è una puttana. Lei mente.
Lei è quel tipo di donna che ti sposa, si fa trombare ogni tanto, così, giusto perché tu non ti mangi la foglia, e che poi si fa ingravidare da qualcun altro. Magari il lattaio. O il ginecologo.
Quasi ti fa pena, quel qualcun altro. Magari lei lo sfrutta come ha fatto con te.
No, no, no, ora la puttanella non farà più nulla di tutto ciò. Ora la puttanella morirà.
Devono morire. Tutti. Lei, Toshio e quell’altro.
Chissà chi è, quell’altro. Magari l’avvocato della casa accanto. No. Tom è un fottuto frocio.
Forse il pizzaiolo. No, è troppo brutto perfino per una troia come Kayako.
“Takeo, che c’è? Stai bene?” ti chiede la puttana.
Stai bene? No. Ma poi starai meglio, dopo che saranno morti.
Morti tutti. Lei, Toshio e quel qualcun altro – forse il banchiere? Il barista del Nyan Bar? Forse Tom non è totalmente frocio, forse è lui che ha ficcato l’uccello tra le cosce di tua moglie.
La lama del taglierino la sfiora appena. È veloce, la vacca da monta.
Ma no, no, no, non abbastanza.
“Takeo! Che fai, sei impazzito?!?” urla allarmata.
Le rifili uno schiaffo tanto potente da farla cadere a terra e la afferri per i neri capelli setosi.
La trascini su per una scalinata, nel sottotetto, e le sue membra si contorcono in cerca di un appiglio e sbattono crudelmente contro gradini e angoli.
Urla, urla finché ti pare, tesoro; no, no, no, nessuno ti sentirà, nemmeno Tom, o il lattaio, o chiunque sia quel qualcun altro, pensi mentre raggiungi a forza il sottotetto.
La lama del taglierino fa breccia nel suo corpo una, due, tre volte e poi perdi il conto. Vedo solo il sangue che, come un fiore, sboccia sul suo vestitino bianco.
Forse lo aveva messo per quel qualcun altro.
Lei cerca di parlare, avvolta da un bagno di sangue, ma la sua voce è solo un roco e lungo gorgoglio.
Sorridi, sprezzante, e torni al secondo piano della casa. La TUA casa.
Qualcosa ti finisce tra i piedi e soffia di frustrazione. Lo guardi: il gatto.
Quel gatto bastardo per qui spendi soldi a forza di cibo, lettiera e veterinario. Il gatto di Toshio, del figlio della troia e di qual qualcun altro.
Afferri la palla di pelo per la pelle della schiena; la bestia miagola, miagola forte, di dolore, e graffia e soffia e sbraita e si dimena e ti dirigi in bagno. Tieni fermo il micio mentre la vasca da bagno si riempie a sufficienza e poi ce lo schiaffi dentro.
L’animale si agita sotto il pelo dell’acqua ma poi i suoi piccoli polmoni si svuotano d’aria e allora lasci il suo piccolo cadavere lì, nella vasca. Che ci marcisca pure. No, no, no, non t’importa.
Con le mani ancora bagnate di sangue e acqua, vai nella cameretta di quello che no, no, no, non è tuo figlio.
Non c’è.
Dove sei, Toshio, dove sei? pensi tra te e te. Dove sei?
Un singulto.
Guardi l’armadio, quel bellissimo armadio bianco decorato con dei delicato ventagli che TU hai pagato ben due stipendi. È lì dentro il bastardo. Lì dentro.
Apri un’anta e lo vedi: piange, seduto in mezzo ai vestiti, piange e si stringe le ginocchia al petto.
Un ginocchio è ancora coperto da un panno. Glielo hai messo tu, dopo che se l’era sbucciato, prima di capire il doppio gioco della puttana.
Il taglierino affonda in lui ancora e ancora, e tu ti sporchi di sangue ancora e ancora.
No, no, no, non è vendetta, è giustizia. È la tua giustizia.
La vita lo abbandona quasi subito.
Ora manca solo quel qualcun altro.
Sorridi. Un sorriso sadico, folle, malato, perverso. Il sorriso di un mostro.
Li hai uccisi, la troia e Toshio. E anche il gatto.
Prima che morissero, li avevi guardati negli occhi per l’ultima volta e dentro vi avevi letto paura, dolore, tristezza, curiosità.
Ed infine solo...
RANCORE

  
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