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Autore: _Safyra    29/03/2014    2 recensioni
Spoiler!5x16.
Finale alternativo di una delle mie puntate preferite di questa stagione.
Elena e Damon sono entrambi affetti dal virus dello Squartatore.
Stefan e Caroline hanno trovato Enzo, sanno che c'è un antidoto e stanno cercando di contrattare coi Viaggiatori per tornare il più velocemente possibile da loro.
Damon nel frattempo è riuscito a farsi liberare da Jeremy per raggiungere Elena.
Se vi dicessi che accadranno cose minimamente immaginabili, durante la notte più lunga che i Delena potrebbe mai trascorrere?
Non basta che leggere ;)
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Oh death'
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Stay with me



Your eyes, they shine so bright

[Demons]




Damon correva. Correva veloce verso la macchina di suo fratello, pensando a lei, a Elena. Nella testa gli rimbombavano le ultime parole che le aveva sentito pronunciare al telefono prima che – ne era sicuro – potesse scaraventarlo per terra.


«Mi state mentendo. Tu mi stai mentendo, Damon!»


Doveva raggiungerla, doveva starle accanto, dirle che sarebbe andato tutto bene, che presto sarebbe tutto finito.


«Sto morendo, Damon.»


Le sue parole continuavano a tormentarlo anche se per cercare di non pensarci aveva acceso la radio della macchina e aveva alzato il volume al massimo.

Le strade di Mystic Falls sfrecciavano via come ombre lontane, le sue luci si allontanavano sempre di più diventando pian piano tanti piccoli puntini bianchi e arancioni.

E Damon stringeva il volante quanto più poteva per reprimere la voglia di andare contro un albero e demolire quell'auto, per reprimere i suoi sensi di colpa, la sua rabbia, la sua paura.


«L'ho ucciso. Ho ucciso io Aaron Whitmore.»


Ma non era vero, non era vero. Era lui che aveva ucciso Aaron Whitmore, non Elena.

Era lui che avrebbe dovuto trovare un po' più di coraggio per dirglielo ed evitarle quel tormento. Era lui che aveva perso il controllo dopo che Katherine aveva fatto sì che loro si lasciassero.

Era lui quello che doveva stare male, così male, non Elena.


«Non le farei mai del male, lo sai, Jeremy.»


Che bugia. Lui era stato il primo a farle del male dopo Katherine: con la loro rottura si era dato alla pazza gioia andando ad uccidere il suo amico Aaron, a trasformare e dissanguare persone innocenti. Si era messo nei guai fino a farsi anche infettare con quel virus maledetto.

E sebbene Elena non ci fosse stata, sebbene l'idea che lei non avesse saputo subito di tutti i guai che lui aveva combinato lo avesse sollevato, adesso si sentiva morire dentro. Si sentiva colpevole.

Per un momento pensò di esserselo proprio meritato il virus dello Squartatore, di aver ricevuto una giusta punizione per quello che aveva fatto.

Damon arrivò alla Whitmore in meno tempo di quanto avesse calcolato. Ormai era buio, e una leggera foschia si aggirava per le vie silenziose della città.

Il cellulare prese improvvisamente a squillare, stava entrando nel parcheggio del college quando vide sul display il nome di suo fratello.

Prima o poi avrebbe scoperto della sua fuga da casa, o meglio, avrebbe capito che, a casa, Damon non ci sarebbe potuto stare, non se Elena era lontana e in pessime condizioni.

Sapeva che Stefan era andato a cercare l'antidoto, ma – doveva ammetterlo, anche se il solo pensiero lo terrificava – non era certo del fatto che l'avrebbe potuto trovare e portare in tempo da lei. E dato che in quel preciso momento non se la sentiva di parlare con suo fratello, gettò il cellulare nei sedili posteriori e scese dall'auto con un enorme peso nel petto.

Qualcosa gli diceva che Elena non era più dentro la scuola, a girovagare per i corridoi in cui era bloccata, lei trovava sempre una via d'uscita, una soluzione, e la risposta alle sue sensazioni si presentò esatta quando, all'entrata principale della Whitmore, la vide barcollare nello spiazzale senza una meta precisa.

Damon riconobbe che, adesso, quella donna che stava osservando era davvero quella di cui si era innamorato, e non quella che gli aveva spezzato il cuore tre settimane prima.

Damon quasi corse verso di lei, e avvicinandosi notò quanto il suo viso fosse pallido, le sue occhiaie nere e profonde, i suoi capelli crespi e arruffati.

La sua espressione spaventata e smarrita sembrava urlare disperatamente aiuto. Per un istante Damon si sentì finalmente completo, felice, perché era accanto alla sua Elena, alla sua donna.

Quella sensazione però scomparve quando la vide osservarlo con stupore e pronunciare con tono interrogativo un nome che non era il suo.

«Aaron? Allora sei vivo...»

Elena sorrise debolmente, sollevata, e a Damon si strinse il cuore nel vederla in quello stato: stava avendo un'allucinazione. Allucinazione che lui capì essere finita quando il viso di lei si contrasse in una smorfia perplessa.

«Elena» le disse il vampiro dopo averla presa per le spalle «sono io, Damon. Sono qui con te.»

Sembrava quasi di parlare ad una bambina, troppo piccola per poter capire quello che le si diceva. Il suo sguardo vagava, ogni tanto si soffermava ad osservare i lineamenti contratti del viso di Damon, come per cercare di riconoscerlo.

«Damon...?» domandò poi lei, la voce ridotta ad un sussurro.

«Va tutto bene, ci sono io adesso.»

Damon la attirò a sé, fece per stringerla delicatamente al suo petto, ma Elena lo respinse, indietreggiando di qualche passo.

«No, non va tutto bene! Lei ha vinto... Katherine ha vinto!»

Elena pronunciò quelle parole piangendo, esternando tutto ciò che fino a un attimo prima si era trattenuta dentro.

Si sentiva sconfitta, debole. Capiva di essere ad un passo dal cadere nel baratro da cui aveva sempre cercato di tenersi lontana. E sebbene ci fosse l'uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo lì con lei, non riusciva a pensare che, forse, un briciolo di speranza c'era ancora, che superata quella notte avrebbe potuto ricominciare.

«Non dire così... Elena, tu...»

«Guardami, Damon. Guardami, guardami. Il flagello di Katherine Pierce continua a vivere!» lo diceva come se il suo fosse un insulto.

«Lei ha permesso che lo uccidessi, che uccidessi Aaron... Continua ad apparire ovunque, Damon, lo vedo anche qui, adesso, nel parcheggio... perché l'ho ucciso, l'ho ucciso io

«Non l'hai ucciso tu!» sbottò d'un tratto Damon, stanco di doverle tenere ancora segreta la verità. «Sono stato io ad uccidere Aaron Whitmore... è successo la notte in cui pensavo che tu avessi rotto con me, Elena. L'ho ucciso per convincermi del fatto che tu avessi ragione...»

Mentre parlava il vampiro notò la sorpresa condensarsi negli occhi lucidi di lei.

Le stava facendo del male, lo sapeva. Poteva immaginare il suo cuore essere trapassato dall'ennesimo coltello affilato che lui le aveva appena scagliato nel petto.

E gli dispiaceva, gli dispiaceva da morire.

«... Per convincermi del fatto che io fossi il tipo di persona in grado di uccidere a sangue freddo e che non sarei cambiato mai.» concluse, quasi con sofferenza. «Ecco perché.»

Elena lo fissò per un lungo istante, poi sbatté le palpebre e si riscosse dal colpo che aveva appena incassato. Il suo cervello iniziò ad elaborare la notizia e una scusa valida per non pensare al fatto che Damon avesse ammazzato Aaron senza una buona, o quantomeno plausibile, ragione.

«Ma eri già stato infettato, no? L'hai trasformato e l'hai ucciso perché avevi bisogno di sangue...» mormorò, posando gli occhi sulle labbra rosa di lui, come per sperare che da quella bocca potesse uscire un sì netto e sicuro.

«No, Elena, non ero ancora stato infettato.»

Altra pugnalata, altro colpo. Damon per un momento desiderò che il virus che aveva Elena potesse passare a lui.

La vide portarsi una mano alla testa e chiudere gli occhi per far sì che la fitta di dolore che la stava trapassando andasse via presto, ma evidentemente non fu così, perché subito dopo perse l'equilibrio e si sbilanciò verso Damon per non rischiare di cadere per terra.

E lui la prese all'istante, circondandole con un braccio la schiena e abbassandosi con l'altro a prenderle le gambe per tirarla su. Elena appoggiò la testa sulla sua spalla e rialzò piano le palpebre per incontrare il suo sguardo.

«Adesso ti porto via da qui.»

Damon voltò le spalle alla Whitmore e si diresse verso la macchina con cui era venuto, mentre Elena annuiva e iniziava a tossire.

Lui nel frattempo aprì la portiera e delicatamente cercò di farla sedere al suo posto senza farle sbattere la testa. Fece per richiuderla, ma quando vide la mano che lei si era portata davanti alla bocca sporca di sangue, si pietrificò.

«Da quanto tempo lo sputi?» le domandò, tornandole vicino.

Elena si convulse sul sedile, attraversata da un'altra fitta di dolore. Stava anche iniziando a sudare freddo, la fronte imperlata di goccioline d'acqua ne era la prova.

«Elena? Mi senti?»

La voce del vampiro tremava mentre le accarezzava una guancia con il dorso della mano.

«Da oggi pomeriggio...» gli rispose lei, aprendo all'improvviso gli occhi.

Il cellulare che Damon aveva lasciato sui sedili posteriori della macchina squillò di nuovo, facendolo quasi sobbalzare. Decise di rispondere, almeno quella volta, tanto per fare presente a Stefan o a chiunque lo stesse cercando che il tempo stringeva e che c'era bisogno di quell'antidoto.

«Pronto?»

«Damon, maledizione, cosa ti è saltato in testa? Dove sei?»

Era suo fratello, ovviamente.

«Ho raggiunto Elena.» disse mentre chiudeva la portiera dalla parte di lei e faceva il giro della vettura per raggiungere la sua.

Quando si sedette al posto di guida, Elena cercò subito la sua mano, che lui le diede senza pensarci due volte, stringendogliela appena.

«Non hai idea di quello che potresti fare se perdessi il controllo.»

«Sono perfettamente sotto controllo, Stefan. È Elena che non sta bene, okay? Devi sbrigarti, Stefan. Sbrigarti.»

Il suo tono era calmo mentre accendeva la macchina e prendeva la via più veloce per arrivare in autostrada. La sua calma era direttamente proporzionale alla rabbia e alla paura che lo stavano logorando da dentro.

Tutto tornò buio quando imboccò lo svincolo della superstrada. Solo la luna illuminava la carreggiata.

«Io e Caroline stiamo cercando di fare più in fretta possibile.»

«Ma c'è un maledetto antidoto?» domandò, la voce sempre calma e bassa, ma piena di furore. Si voltò a dare un rapido sguardo a Elena e istintivamente aumentò la stretta sulla sua mano.

Stava piangendo per il dolore, in silenzio.

«Sì. Sì, c'è l'antidoto. Damon, tu...»

«Sono in autostrada adesso. Sto andando alla casa sul lago*. È il posto più vicino a dove siamo ora: raggiungeteci lì.»

Senza aspettare una qualche risposta o tanto meno un saluto, interruppe la comunicazione e mise l'iPhone nella tasca interna del cappotto.

Damon sapeva che le probabilità per cui Caroline e Stefan sarebbero riusciti ad arrivare in tempo erano estremamente basse, ma ancora possibili.

E non mancava moltissimo. Lo leggeva in faccia alla donna che amava e che stava soffrendo accanto a lui, la sua donna, ma sapeva anche che non avrebbe mai permesso che lei morisse.

«Hai rovinato tutto, Damon.» cominciò lei, ritraendo la mano che aveva tenuto stretta alla sua. «Ancora una volta.»

Damon capì che stavolta Elena non l'avrebbe perdonato e che, molto probabilmente, sarebbe finito tutto.

«Mi hai messa in una posizione in cui devo difenderti. Ancora. Dove devo piegare la mia morale. Ancora una volta. Dove devo andare contro ogni singola cosa in cui credo. Ancora

Elena parlava normalmente, ma si sentiva che quelle erano parole di rabbia. Pura rabbia.

Damon decise di non rispondere, aumentò solo la stretta delle sue dita sul volante, trattenendosi dal distruggerlo in tanti piccoli pezzi.

Mentalmente si stava dando del coglione.

«Ma tutto questo succede perché ti amo.» sussurrò lei.

«Allora smettila di amarmi. Smettila di cercare una scusa per cui difendermi ogni volta che ti faccio del male.» replicò il vampiro, acido. Ma non acido verso di lei, verso se stesso.

«Non ci riesco.»

Elena lo disse sorridendo, come se stesse provando tenerezza per l'uomo che non ne combinava mai una buona. Ma quell'uomo non aveva bisogno di essere compatito, bensì di qualcuno che lo mandasse al diavolo e che gli facesse capire quanto sbagliato e mostruoso fosse stato il suo comportamento.

«Smettila di difendermi, Elena. Smettila, ti prego.»

Elena tossì di nuovo e nel farlo si voltò verso il finestrino per evitare di incontrare l'occhiata preoccupata che lui le stava riservando.

Odiava farsi vedere in quello stato.

«Non voglio che finisca così, Damon.» proseguì non appena la tosse scomparve, lasciando il posto ad uno strano dolore all'addome. «Non voglio morire lasciando te in balia dei tuoi sensi di colpa, allontanandomi.»

«Tu non morirai.» fu la controbattuta che espresse il vampiro, sospirando per non perdere proprio in quel momento il controllo.

Controllo che lo tratteneva dal ridurre in frantumi il manubrio che stava spasmodicamente torturando.

Elena sorrise di nuovo davanti alla determinazione che stava mostrando Damon, abbassando per un attimo le palpebre, divenute sempre più pesanti per la stanchezza.


Un raggio di sole giunse ad illuminare il viso addormentato dell'uomo con cui, per la prima volta in tutta la sua vita, aveva trascorso una notte di infinite passioni e infinite carezze.

Elena non sapeva da quanto tempo lo fissava, sapeva solo che venti minuti prima era suonata la campanella che sanciva l'inizio delle lezioni a scuola.

Lezioni che lei, in quel preciso attimo, pensava di marinare per poter passare il giorno a contemplare il viso e il petto perfetti di Damon che, nudo, dormiva fra le lenzuola bianche.

Si chiese come non avesse mai fatto caso agli innumerevoli attributi positivi che aveva stilato nel fissarlo da quando si era svegliata tra le sue braccia con solo il reggiseno nero addosso a quel momento.

Il profilo del suo naso, la sua mandibola ben squadrata, la sua pelle linda, le sue ciglia lunghe. Era una visione mistica, divina, quella di Damon.

Preoccupata di non riuscire a muoversi più da quel letto, Elena decise di alzarsi il più silenziosamente possibile, dirigendosi in bagno non prima di aver recuperato la camicia nera di lui dal pavimento, per indossarla.

Camminò a piedi nudi fino al bagno comunicante, raggiungendo il lavandino per darsi una veloce occhiata e magari anche una sistemata ai capelli.

Pochi minuti più tardi, il suo fine udito captò la voce di qualcuno che pronunciava piano il suo nome.

«Elena?» si sentì chiamare da Damon. Quando uscì dal bagno lo trovò intento a cercarla con lo sguardo.

«Ciao.» la salutò lui, sfoderando un debole sorriso.

Elena si gettò letteralmente sulla sua parte di letto, rimbalzando. «Ciao...»

E l'attimo dopo, le sue labbra vennero catturate leggiadramente da quelle del suo "compagno di avventure notturne", percependo una mano appoggiarsi automaticamente sul suo fianco destro per farla avvicinare.

Quando si staccò, Damon la fissava quasi come se stesse avendo un'allucinazione.

«Cos'è quella faccia?» domandò, scherzosa, al vampiro.

«Quale faccia?»

«Quella faccia.»

«Sono felice.»


«Elena?»

Era Damon quello la chiamava, il tono di voce uguale allo stesso con cui aveva pronunciato il suo nome qualche secondo prima.

Quando lo mise a fuoco si accorse di averlo più vicino di quanto pensasse: la guardava ad una distanza di pochi centimetri, una mano sulla sua guancia, un'altra sullo sportello aperto.

Si era addormentata?

«Dam... Damon...»

Elena rimase interdetta per qualche secondo quando sentì che il suo, di tono, era rauco e debole. Guardò il vampiro, realizzando che le sue condizioni non erano di certo migliorate, poi spostò lo sguardo oltre le sue spalle e riconobbe la casa sul lago in cui da piccola era stata solita trascorrere le estati.

«Vieni» le disse sottovoce il vampiro, mentre la aiutava a scendere dalla macchina avvolgendole la schiena con un braccio. «Ti porto dentro.»

Elena si accorse di avere anche tutti i muscoli intorpiditi e doloranti, quasi come se un treno le fosse passato sopra.

Damon la prese di nuovo in braccio, stringendola così come avrebbe potuto stringere un passerotto ferito per evitare di farselo scivolare di mano, e lei si accucciò di nuovo a lui, affondando il viso nel suo cappotto.


«Spogliati.»

Elena guardò impaziente l'uomo su cui si era messa a cavalcioni.

Era bello, troppo bello.

Non vedeva l'ora di rinnovare il ricordo che aveva dei suoi addominali, nascosti dalla camicia blu chiaro che indossava. Avrebbe voluto stracciargliela, ma se l'avesse fatto avrebbe buttato via i tanti soldi che sicuramente lui aveva speso per comprarla, così decise di usare maniere più gentili.

Non appena il vampiro spostò le dita dalle sue cosce ai bottoni della camicia, Elena si riabbassò per baciargli il collo, mentre con le mani lo aiutava a spogliarsi.

«Oh, Stefan...»

Un gemito le scappò dalle labbra quando il minore dei Salvatore aumentò la stretta sui suoi glutei per avvicinarla di più a sé.

Dopo aver tolto di mezzo la sua camicia, Stefan passò a sfilarle la canottiera nera, facendola rimanere in reggiseno.

Subito Elena decise di ribaltare le posizioni, ritrovandosi così sotto di lui. Il vampiro riprese quindi a baciarla, sulle labbra, sul collo, sulla spalla, sul petto, e sempre più giù, fino all'ombelico. E fu proprio mentre lui abbassava la cerniera dei suoi jeans che Elena si bloccò, quasi come se avesse preso vera coscienza di quello che stavano per fare.

«No, Stefan.»

Il suo ordine non sembrò scalfire più di tanto il vampiro, ancora impegnato ad abbassarsi i pantaloni.

«Stefan, smettila. Smettila! Questa non sono io, è Katherine. Katherine.»

Elena cercò di fermarlo prendendogli il viso fra le mani per obbligarlo a guardarla negli occhi.

«Io non farei mai una cosa del genere! Non farei mai una cosa del genere a te o a Damon.»

Stefan parve capire, o almeno così sembrava. Le si tolse di dosso, permettendole di scendere dal letto e di raccattare la sua canottiera prima di uscire da quella stanza.

Senza averne la minima idea, però, prima ancora di poter mettere la mano sulla maniglia della porta, questa fu aperta da Damon.

Il maggiore dei Salvatore entrò lentamente nella camera, lanciando un'occhiata iraconda prima a Stefan e poi a Elena.

«È così che fai, fratello? Appena la abbandono, tu decidi che è ora di riprendertela?»

«No, Damon, ti prego, non fare così. Questa è Katherine, non io... È lei che vuole mettervi in conflitto!»

La vampira, in qualche modo, cercò di attirare l'attenzione di quello che adesso era sicuramente il suo ex fidanzato, senza però riuscirci.

«È così che fai?!»


«Questo è il problema, fratellino.»

Damon diede un rapido sguardo alla veranda, dove sdraiata su un lettino c'era Elena. «Io ho bisogno di certezze, non di probabilità. È chiaro il concetto?»

Oltre la comunicazione sentiva la voce di Caroline in sottofondo.

«Pensi davvero che la lascerei morire senza aver fatto tutto il possibile per salvarla?» ringhiò dal telefono Stefan, indignato. Damon non rispose, sapeva che sarebbe stato da stupidi pensare una cosa del genere. E lui non era stupido.

«Okay, okay.»

«Come sta?» domandò l'altro.

«Come dovrebbe stare?»

«Sono passate otto ore dall'ultima volta che ti sei nutrito.» replicò dopo una breve pausa Stefan «Lo sai cosa vuol dire questo, vero?»

Damon inghiottì a vuoto, cercando di non fare caso al bruciore alla gola, pretenziosa di poter essere saziata con dell'altro sangue.

«Lo so.»

Interrotta la chiamata, il vampiro si diede cinque minuti per reprimere la sete che Stefan aveva risvegliato, poi raggiunse Elena fuori.

L'aria pungente dell'inverno lo investì in pieno quando uscì in veranda. Mancava poco più di mezz'ora all'alba, eppure il cielo non sembrava preannunciare l'arrivo del sole.

Damon si stupì di trovare Elena sveglia quando le si sedette accanto.

Nessuno dei due emise un fiato.

Semplicemente perché forse non c'era niente da dire, anche se lei sapeva che in realtà c'era tanto, troppo, da dire.

Spostando lo sguardo dall'orizzonte stellato che trapuntava il cielo agli occhi azzurri di Damon, le venivano in mente così tante cose da riuscire addirittura a confondersi.

Se si fosse trovata in un'altra situazione, magari con la forza necessaria per poter sostenere una conversazione con lui, gli avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene, che lei gli avrebbe perdonato tutti i casini che aveva fatto.

Che nonostante tutto, sarebbe rimasta al suo fianco, che avrebbe continuato ad amarlo.

Ma Elena cambiò idea nel fissare le iridi antartiche di Damon, le sue labbra socchiuse, riducendosi a dire tutt'altro tranne che la baraonda di parole che aveva in testa.

«Non pensavo che a quest'ora del mattino potesse essere così bello qui.» commentò. Gli occhi stavano iniziando a pizzicarle per le lacrime che non voleva versare.

«Già...»

Si voltò a guardare Damon, scoprendolo ad osservare l'orizzonte che si estendeva oltre il lago e i boschi, con un'espressione intristita ad accentuare le rughe sulla fronte.

«Se ti stai maledicendo per non avermi regalato quella notte travolgente di cui mi hai parlato oggi al telefono, sappi che ti stai sbagliando di grosso.» scherzò Elena, scandendo parola per parola come se le costasse davvero tanto formulare una frase.

Si sentiva a pezzi, letteralmente. E sapeva che anche Damon, seppur in un senso diverso, stava provando la stessa sensazione.

Almeno, con quella sua battuta di circostanza, Elena era riuscita nell'ardua impresa di farlo sorridere sinceramente.

«Meno male che quello che si occupava di fare del sarcasmo in momenti meno opportuni ero io.» disse lui, continuando a scherzare, mentre si voltava ad incrociare il suo sguardo.

Elena si trattene dal ridere, certa che farlo le avrebbe arrecato dolore nel novanta percento del corpo, senza accorgersi di una lacrima che, silenziosa, scese lungo la sua guancia fino ad arrivare sulla coperta in cui Damon l'aveva avvolta.

«Stefan ha trovato l'antidoto?» domandò dopo qualche minuto, tornando ad osservare il panorama.

«Lui e Caroline si stanno facendo aiutare da Enzo per riuscire a prenderlo.»

La voce di Damon era ferma, calma, troppo calma. Come quando aveva parlato a Stefan in macchina. Elena sapeva che quello non era un buon segno, anzi.

Sapeva anche che ciò che lui le aveva detto, in realtà non era così facile a farsi come a dirsi.

«Damon?»

«Dimmi.»

«Io ti perdono. Ti perdono per tutto quello che è successo mentre c'era Katherine. Per Aaron, per Jeremy...»

«Sei testarda, Elena.»

Damon la guardava dritta negli occhi, come se nel marrone scuro che li colorava potesse trovarvi un puntino verde, o azzurro.

«Noi abbiamo commesso tanti errori.» le disse, avvicinandosi di più a lei.

«Lo so.»

«E abbiamo fatto cose brutte l'uno per l'altra.»

Elena non capiva dove Damon volesse arrivare, ma anche a quell'altra affermazione rispose con un «Lo so.»

«Forse è per questo che non ci saremmo dovuti mettere insieme.»

Quell'ultima frase non fu pronunciata con la stessa sicurezza che il vampiro aveva utilizzato per le altre.

«Forse è stato proprio questo lo sbaglio più grande.» continuò, parlando con voce sommessa, oltre che insicura.

Elena lo ascoltava. Ascoltava anche il cuore di Damon, che parlava attraverso i suoi occhi chiari, e sentiva che quelle cose non le aveva dette perché gliele aveva suggerite il cervello.

«Eppure non me ne sono mai pentito. Perché penso che sia stato lo sbaglio più bello che abbia fatto.»

Un'altra lacrima fece capolino sulla sua pelle pallida e fredda, e prima ancora che potesse atterrare come la prima sulla coperta, Damon arrivò giusto in tempo a catturargliela con un bacio.

«Io non ti merito, Elena.» sussurrò, dopo essersi passato la lingua tra le labbra e aver assaggiato quella lacrima che sapeva di sale e amore.

«Ssh.» Elena lo interruppe mettendogli un dito sulla bocca «Questo non è vero.»

Damon si sentì come accarezzare da quelle parole. Ma soprattutto, si sentì fortunato di essere amato da quella ragazza.

E anche se percepiva la sua energia venire meno di minuto in minuto, anche se pensava che Stefan e Caroline fossero troppo lontani per poterla ancora salvare, lui continuò a credere di riuscire a farle bere quell'antidoto.

Continuò a sperare che, quel giorno sarebbero potuti tornare insieme a Mystic Falls e lasciarsi alle spalle tutto ciò che era successo ore prima, felici, ma soprattutto guariti.

«Ti prometto» iniziò, intrecciando le sue dita a quelle di Elena «che sarò migliore di così, e che ti farò passare davvero quella notte travolgente di cui ti ho parlato. E sarà così bello che desidererai rimanere chiusa dentro la nostra camera da letto per il resto della tua vita.»

Damon un po' rise al pensiero di poter rompere il materasso, e anche Elena sorrise.

«Tu non hai bisogno di essere migliore di così, Damon. E non è vero che questa notte non è travolgente.»

I due vampiri, intenti com'erano nel fissare l'uno il viso dell'altra, non si erano nemmeno accorti che pian piano, l'orizzonte si era schiarito e che tra non molto avrebbero visto l'alba.

La temperatura era già meno rigida di qualche ora prima: era come se Elena avesse preso un po' di quel freddo, cedendo un po' del suo calore.

La vampira sospirò, scoprendo che adesso le faceva male anche respirare, e chiuse piano gli occhi per poter assorbire il dolore senza emettere un gemito.

Damon se ne accorse, e per confortarla le strinse di più le mani.

Sapeva che mancava poco. E che Stefan doveva per forza darsi una mossa.

«Chiamo di nuovo Caroline e...»

«No, no.»

Elena bloccò il vampiro proprio mentre stava per allontanarsi da lei.

«Resta qui con me.»

Damon non rispose, si limitò ad accontentarla, sistemandosi sul suo stesso lettino per poterle tenere almeno un po' caldo.

«Sei gelata.» constatò, quando si mise sotto la coperta con lei e appoggiò la guancia alla sua fronte.

«Pazienza.»

Elena quasi non si fece sentire, mentre si metteva comoda fra le sue braccia.

«Ti amo, Damon.»

A quelle parole, il vampiro non poté trattenere oltre le lacrime che aveva tentato di reprimere.

«Ti amo anch'io, Elena. Adesso dormi, quando arriverà Stefan almeno avrai la forza per prenderlo a sberle mentre gli urlerai di non essere arrivato in tempo per vedere l'alba.»


Elena rise, appoggiandosi alla ringhiera che delimitava il balcone di casa.

«Sei sempre il solito scemo, lo sai?»

Pestò piano un piede a Damon, che le avvolgeva i fianchi da dietro.

«Certo che lo so.» disse lui.

Elena si voltò ad osservarlo, incrociando lo sguardo di quel viso perfetto che tanto amava, anche se aveva più rughe di quando lo aveva incontrato la prima volta. Rughe belle, da umano, capaci di donargli un aspetto un po' più adulto, un po' più dannatamente sexy, un po' più da trentacinquenne

Rughe più numerose rispetto a quelle che aveva avuto – se ne aveva avute – quando lo aveva conosciuto a ventitré anni.

«Stefan ha visto già altre volte l'alba. Non si perde niente di speciale.»

«Certo che si perde qualcosa di speciale. È come se tu dicessi "Stefan mi ha già visto altre volte. Non si perde niente di speciale". Ed è proprio qui che ti sbagli, perché tu sei speciale ogni volta che qualcuno ti guarda.»

Elena rise per il tono stupido con cui Damon disse quelle cose, e aprì i palmi delle mani che aveva appoggiato sul petto di lui per accarezzarlo.

Sull'anulare sinistro vide spiccare un anello d'oro, su cui era visibile la scritta scolpita: "Elena & Damon – 13 agosto 2015" .

«Eccola.» annunciò quello che aveva appena scoperto essere suo marito, facendola voltare verso il lago per scorgere il sole fare capolino da oltre le montagne per illuminare tutta la valle.

E proprio sul più bello, proprio mentre ad Elena si accapponava la pelle per l'emozione, il vagito di un neonato giunse a rovinare quel momento magico.

Elena si voltò automaticamente a guardare nella direzione da cui proveniva il pianto, ovvero da dentro la camera da letto con cui quel balcone comunicava. La sua vista si focalizzò quasi subito sulla culla che si trovava ai piedi del matrimoniale, provocandole altra sorpresa e altra emozione.

«Ah, mannaggia a te, piccolo monello.» borbottò Damon, gettando la testa all'indietro. «Vado io.» aggiunse, facendo scivolare via le sue braccia da quelle di Elena prima di entrare in casa e raggiungere la culla.

Lei seguì Damon con lo sguardo, osservandolo chinarsi sul lettino e allungarsi per prendere un piccolo bambino avvolto dal suo pigiamino azzurro confetto.

Il loro piccolo bambino.

Rimase allibita dalla tenerezza con cui Damon iniziò a cullarlo fra le braccia, una mano occupata a dare il ciuccio al neonato che continuava a piangere, mentre ritornava da lei.

«Ehi, Rick, non farmi arrabbiare. Non puoi volere sempre la tua mamma.» mormorò dolcemente Damon, sorprendendo Elena sempre di più, un attimo prima di porgerle il bambino, che si era preoccupato di avvolgere in una copertina per non fargli prendere freddo.

Rick arrivò sano e salvo tra le braccia dalla sua mamma, cessando quasi subito di piangere.

«Certo, anch'io vorrei farmi consolare da lei, se è così bella.» proseguì Damon, ammiccando verso sua moglie.

Elena prese a cullare il piccolo, spinta da un istinto materno che non si sarebbe mai aspettata di possedere.

Non smetteva di fissarlo: era perfetto, perfetto come se l'era sempre immaginato. E soprattutto, con i suoi occhi color del cielo.

Non poté non sorridere di gioia, davanti alla visione che stava avendo in quel momento di lei e Damon. Della loro famiglia.

«Ogni tanto non ti farebbe male riservare queste occhiate stupende anche a me oltre che a Rick, sai?»


Ed eccolo, l'ultimo regalo che Damon poté fare alla donna che amava un attimo prima di sentirla andare via, di percepire i raggi del sole riscaldare un corpo che ormai non aveva più bisogno di calore. E fu proprio in quell'attimo che Damon sentì la macchina in cui c'erano Stefan e Caroline graffiare l'asfalto per potersi fermare e spegnere dopo un secondo.

Fu proprio in quell'attimo che Damon decise di non volersi ritrovare da solo, con un corpo duro come la pietra tra le braccia.

Fu proprio in quell'attimo che il vampiro che aveva vissuto per più di centocinquanta anni – ma non abbastanza con la sua donna – scelse di sfilare sia il suo anello di lapislazzuli che quello di Elena dalle dita e di dissolversi in una nube di cenere con lei per far rimanere sul lettino dove si erano sdraiati, solo due anelli resi uniti dal fuoco.



*si tratta della stessa casa sul lago che abbiamo visto più volte nella seconda stagione, in cui Elena è andata con Stefan quando stavano ancora insieme.



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Ciao a tutti! Mi complimento con chiunque stia leggendo queste righe: vuol dire che è riuscito ad arrivare fino in fondo senza morire durante la lettura.

Ci ho messo anima e corpo per scrivere questa One-shot. L'ho partorita subito dopo aver visto la 5x16 e così mi sono messa al lavoro per ben due settimane.

Non so cosa sia venuto fuori, né se ciò che ho scritto sia troppo noioso o palloso.

Volevo descrivere un Damon e una Elena che si trovavano in un contesto del tutto diverso da quello della serie. Ma soprattutto, volevo arrivare a raccontare, almeno in questa vita, una scena insolita che li ritraesse felici e umani.

Ora che ce l'ho fatta, potrò sicuramente morire in pace ahahah

Per quanto riguarda alcuni particolari, ci tenevo a dirvi che nella prima parte, ho voluto inserire un po' delle battute e delle scene presenti nell'episodio, anche se leggermente rielaborati. In questo modo sono riuscita a trovare un punto di contatto tra ciò che è successo realmente e ciò che io mi sono immaginata.

La prima parte scritta in corsivo non è un'allucinazione, ma qualcosa che è accaduto nella 4x09. Penso che le Delena non se lo saranno dimenticato tanto facilmente ;)

Per quanto riguarda la seconda, in cui sono presenti Stefan ed Elena, beh, quella sì che è un'allucinazione, solo leggermente modificata.

L'ultima parte in corsivo invece è inutile dirvi che è ciò che Damon ha deciso di far vedere a Elena mentre albeggiava.

Penso di non essermi dimenticata niente, quindi ora è meglio che vada e che lasci a voi la possibilità di commentare questa shot.

Love you, guys <3

Sha

   
 
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