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Autore: Zay Espurr    29/03/2014    5 recensioni
Indossava gli stessi abiti di un mese prima.
Una felpa grande e sformata, che gli arrivava quasi alle ginocchia. In origine doveva essere bianca, ora era solo una massa di macchie verdi e nere.
Pantaloncini troppo corti per l'inverno, ma troppo lunghi per l'estate.
Scarpe così malmesse, che somigliavano più a degli stracci che a delle calzature, e a Jack sembrava impossibile che potesse camminare nel fango, così, fregandosene altamente dell'acqua sporca che gli si infiltrava tra i piedi.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Storia ispirata alla canzone "Brain Damage".

«Ah fantastico!» ruggì Jack, estraendo il piede dal fango.
Già immaginava le storie che avrebbe fatto sua madre quando avrebbe visto in che stato si erano ridotte le sue scarpe:
Vergognati! Hai quasi 23 anni e sei irresponsabile come un bimbo di 3! Cosa devo fare con te Jack, eh? Cosa devo fare?”
«Cosa devo fare, Jack? Eh, Jack?» borbottò il ragazzo, imitando il timbro di voce della donna.
Dannazione agli autisti e ai fottuti scioperi dei mezzi pubblici, dannazione alla pioggia e al fango, dannazione a
«Fanculo!»
Tagliare per il parco non era stata affatto una buona idea. Sperava che in questo modo sarebbe arrivato prima a casa, in modo che sua madre non si potesse lamentare di nessun ritardo, invece ora si ritrovava in mezzo al fango, con i pantaloni inzaccherati, e una scarpa che era affondata nel fango fino alla caviglia. Mai affrontare una strada fangosa senza essersi preparati prima ad affrontarne le conseguenze.
Ora poteva sentire chiaramente lo schifoso composto di acqua e terra che gli si liquefaceva sotto il piede.
Jack davvero non poteva immaginare come poteva la sua giornata prendere una piega più brutta di questa.
Non sapeva che la Disgrazia lo stava seguendo. Appollaiata tra i rami. Là dove i suoi colori si mescolavano con quelli del quadro della natura. Dove i suoi suoni si confondevano con la canzone della foresta. Forse se il ragazzo si fosse messo in ascolto l'avrebbe sentita. Forse se avesse aguzzato lo sguardo ne avrebbe scorto l'ombra. Ma troppi grilli cantavano nella sua testa. Troppi pensieri gli offuscavano la vista.
Un tonfo rimbombò tra gli alberi. Jack si voltò di scatto e si allontanò a saltelli dall'orribile spettro che gli stava davanti, fin quando la sua schiena non urtò contro un albero.
Rimase immobile sinché il suo sguardo non incrociò gli occhi iniettati di sangue dello strano essere.
Ma durò solo un istante.
Perché l'inseguitore sie era piegato in due, incapace di trattenere le risate.
Tony.
«Avresti... avresti... avres...»
E di nuovo giù a ridere.
«Tony! Che ti salta in mente!» ruggì adirato.
Ma un secondo dopo la rabbia aveva lasciato posto ad un altro sentimento.
Tony.
Erano cresciuti insieme lui e quel ragazzo. Erano stati grandi amici. E probabilmente quella fu l'unica vera amicizia che Jack avesse mai sperimentato. Ricordò i giochi. Le risate. L'infanzia che aveva vissuto assieme alla magra figura che gli stava davanti.
Improvvisamente si irrigidì.
«Non te ne eri andato in vacanza, Tony?»
L'altro smise di ridere.
«No, non mi piaceva più stare là. Così ho preso le mie cose e sono andato via.»
cominciò a frugarsi nelle tasche dei pantaloni.
Tony.
Aveva 21 anni, l'aspetto di un sedicenne e il comportamento di un undicenne.
Non avrebbe dovuto essere lì.
Tirò fuori dalle tasche: un vetruzzo, un collare per cani, una piuma rossa, degli spiccioli, un sasso nero. Le sue “cose”.
Aveva sempre avuto i capelli lunghi, Tony. Di un color biondo molto chiaro, e perennemente spettinati. Ora però erano intrecciati anche a rametti, e foglie, e pezzetti di corteccia.
Da quanto tempo non vedono più un pettine?
«Non sono belle?» chiese, mettendo il contenuto delle sue tasche sotto il naso di Jack.
Tony.
Indossava gli stessi abiti di un mese prima.
Una felpa grande e sformata, che gli arrivava quasi alle ginocchia. In origine doveva essere bianca, ora era solo una massa di macchie verdi e nere.
Pantaloncini troppo corti per l'inverno, ma troppo lunghi per l'estate.
Scarpe così malmesse, che somigliavano più a degli stracci che a delle calzature, e a Jack sembrava impossibile che potesse camminare nel fango, così, fregandosene altamente dell'acqua sporca che gli si infiltrava tra i piedi.
Che cosa ci faceva lì?
«Sono bellissime» sospirò il ragazzo dai capelli castani.
Tony era sempre stato molto magro, ma mai Jack aveva visto il suo volto così scarno ed emaciato. I suoi occhi facevano l'effetto di sembrare più grandi.
Gli faceva davvero pena.
«Anch'io ho qualcosa, sai?» tirò fuori dalla tasca una barretta di cioccolato.
Quasi lo spaventò il modo in cui il suo amico sgranò gli occhi vedendola.
«Ne vuoi un pezzo?»
«S-Sì per piacere...»
Il biondo afferrò il cioccolato e se lo portò alla bocca, divorandolo in fretta, avidamente, come se qualcuno glielo volesse portare via.
Come è arrivato fino a qui? Da quanto tempo è a piede libero? Una settimana, due, tre? Cosa ha mangiato per sopravvivere tutto questo tempo? Come mai io non ne sapevo niente?
Come ha fatto a scappare dall'ospedale psichiatrico?
«Ne hai ancora?»
«No...»
«Ma io ho fame...»
Jack rimase in silenzio.
Anzi, tutto era silenzio. Poteva quasi sentire il suo stesso battito cardiaco.
Cosa posso fare? Di certo non posso lasciarlo qui, da solo. Ma d'altra parte non ho modo per aiutarlo. No. Un modo ce l'ho ma è rischioso. Però in fondo... che male potrà mai fare il caro vecchio Tony?
«Ma a casa mia... – lo sguardo del biondo si illuminò – ...ho molte altre cose...»
«Che aspettiamo allora? Andiamo, dai!»
Almeno non si è fatto pregare.
Corsero. Corsero nel fango, e nell'erba, e sulla strada. Corsero anche se erano senza fiato. E risero, risero come se all'improvviso fossero tornati bambini. Il primo incurante del pericolo, il secondo semplicemente non poteva immaginare quali conseguenze potevano avere le sue azioni.
Tanto la madre di Jack non aveva modo di scoprire del passaggio del giovane vagabondo in casa sua. Infatti era uscita per una commissione che l'avrebbe fatta tornare a casa tardi. Jack se lo era ricordato solo all'ultimo, e ora si stava maledendo per questo.
«Casa tua è ancora la stessa» rise il biondo «però me la ricordavo meno colorata».
Raccolse da terra un giornale, e la prima cosa che fece fu odorarlo attentamente.
«Mi ricordo di questo odore» cominciò a sfogliare attentamente le pagine e ad analizzare scrupolosamente ogni scritta, cercando di leggere tutto il più in fretta possibile.
«Puoi prenderlo se vuoi – sorrise Jack, divertito dal modo in cui il suo amico si affannava – tanto, ogni giorno il ragazzo dei giornali ne porta nuovi.»
Tony seguì l'amico trotterellando, fino alla cucina.
Quando poi Jack tirò fuori il pacco dei biscotti, il vagabondo si mise quasi a piangere dall'emozione. E mentre lo guardava, Jack si rese conto della fastidiosa sensazione alla pancia che si portava dietro da prima. Si diresse, senza pensarci troppo, verso il bagno, convinto che i biscotti avrebbero tenuto il suo amico troppo impegnato da permettergli di cacciarsi nei guai.
Ma si sbagliava.
Una cucina.
Aveva lasciato Tony solo in una cucina.
E, è facile accorgersene se ci si riflette attentamente, una cucina è una sala di tortura in miniatura.
Al suo interno ha tutto quello che possa tornare utile a tagliare, affettare, sminuzzare, tritare carne e ossa di una povera vittima sacrificale. Con un forno e un freezer abbastanza grandi si potrebbe anche cuocere o congelare una persona.
E presto Tony perse interesse per i biscotti, intorno a lui era pieno di sportelli da aprire e di ripiani da esplorare!
In particolare, trovò davvero interessanti gli oggetti argentati che stavano nel primo cassetto a sinistra.


Quando Jack vide cosa era successo nella cucina per poco non ebbe un infarto.
Tony era accucciato a terra.
Gli occhi sgranati, sembrava che qualcuno avesse appena risposto a tutte le sue domande sull'esistenza.
Con una mano si versava il sangue scarlatto sulle guance, mentre con l'altra stringeva il lungo coltello con cui si era inciso la mano e il braccio.
Il biondo alzò lo sguardo verso Jack.
«Guarda Jack... guarda... mi stanno crescendo dei fiori rossi sulle mani!»
Ma Jack era inorridito.
«Guarda... non sono belli? Io ho sempre adorato il rosso...» prima che potesse finire di parlare l'altro gli aveva già strappato il coltello dalle mani, e dopo averlo gettato sul pavimento, aveva afferrato le braccia dell'amico e le aveva messe sotto l'acqua fredda.
«Noooo! No! No! Lasciami! Lasciamiiii!» con un violento scatto il ragazzo si liberò dalla stretta e poi si guardò le braccia su cui nuovo sangue stava prendendo il posto di quello che era appena stato lavato via.
«...Anche se li hai uccisi altri fiori stanno prendendo il posto di quelli di prima...»
Jack prese l'amico per le spalle.
«Ma che ti passa per la testa, eh? Eh?! Sei impazzito? Quello è sangue! Quello è il tuo fottuto sangue, non fiori!» Lo scosse così forte da fargli battere i denti.
Tony alzò lo sguardo.
Gli occhi.
Quegli occhi.
Iniettati di sangue e di un misto tra la furia più rossa e la disperazione più nera.
Urlavano.
Jack se ne rese conto solo per un secondo, gli occhi del suo amico gridavano, gridavano e imploravano aiuto.
Ma un attimo dopo un'ombra oscura offuscò le iridi verdi come smeraldi.
«Oh, capisco»
Ancora una volta si liberò dalla morsa in cui era chiuso e si chinò lentamente, sorridendo, e Jack non potè far nulla per fermarlo.
«Sono davvero un egoista... scusa... immagino che anche tu voglia dei fiori»
Jack percepì chiaramente ogni singolo brivido che gli attraversò, ad una ad una, tutte le vertebre, tutte le costole, tutte le ossa, salendo dai piedi e risuonandogli nella scatola cranica.
Fece un passo indietro.
«Tony...?»
Scappa, imbecille, SCAPPA.


Ogni passo, ogni falcata, erano intrise della forza della disperazione.
Due volte inciampò lungo le scale. E la seconda gli fu quasi fatale. La lama lo colpì di striscio in quel punto della schiena in cui non si arriva mai quando ci si vuole grattare, creando un lungo strappo.
Gridò.
Il dolore gli oscurò la vista e i pensieri, gli investì tutto il corpo, sentiva la pelle che si squarciava, sentiva il sangue che usciva a fiotti, inondando ogni cosa.
Il bagno era il posto più vicino ad avere una chiave, e riuscì a chiudercisi prima che l'altro potesse accoltellarlo ancora.
Si tolse la maglia e rovistò come un pazzo alla ricerca di una garza o qualcosa che potesse arginare la ferita, o sarebbe morto dissanguato.
Tony intanto cercava di infilare il coltello nella serratura, fortunatamente con scarso successo.
Oh Dio, cosa devo fare? Cosa devo fare?!
«Ehi Jack? Jaaaaack!? Mi fai entrare?»
Picchiettò sul legno della porta con la punta della sua arma.
Jack si ricordò che nell'armadietto sua madre teneva un paio di forbici. Erano grandi. E appuntite. Ma potevano competere con una lama di 20 centimetri? Certo che no.
Dio salvami, ti prego, dimmi cosa devo fare, aiutami! Sto perdendo sangue, non ho nessun telefono non ho armi, non ho nulla! Cosa dovrei fare!
Non posso aspettare soccorsi, non posso aspettare mia madre (il coltello picchiava sulla porta) ci metterebbe troppo e si troverebbe davanti ad un pazzo armato.
La finestra!
Spalancò la finestra mentre il coltello continuava a picchiare, e dilatò le narici per inspirare l'aria fresca.
Quanti metri per il suolo?
Almeno quattro, se non cinque. Gamba rotta assicurata. Meglio un osso rotto che un
No! Come fai a correre per chiedere aiuto con un osso rotto?
Con le mani tra i capelli, con il sangue caldo che colava e creava un lago rosso sulle mattonelle bianche, Jack si accovacciò nella vasca da bagno.
Immobile. In silenzio. Cercando disperatamente di trovare una soluzione.
Ma la soluzione non arrivava.
Non arrivava nulla.
Nemmeno i suoni arrivavano.
Nemmeno. I. suoni.
Oddio.
«Ehi, Jack...»
No.
«La porta non si apre più, lo sai?»
Come aveva fatto?
«Ma pensavo»
La finestra.
«che dei fiori ti sarebbero potuti piacere...»
era passato dalla fottuta finestra rimasta aperta, semplicemente ha camminato sul cornicione, passando dall'altra stanza. Esattamente quello che avrei potuto fare anche io.
Jack alzò gli occhi.
Lui gli stava davanti.
E i suoi occhi rossi erano grandi e infuocati, l'ombra scura era sempre su di loro.
Il suo respiro era affannoso.
Fece un passo avanti.
«Però stavo pensando...» scrutava il suo riflesso sulla lama con occhi famelici.
«Non sarebbe fantastico se potessimo avere tutti dei fiori al posto degli occhi?»


«...Ed è per questo, signora, che alla fine ho deciso di trasferirmi. Mi è dispiaciuto un po', anche perché qui non mi piace per niente... non mi fraintenda, lei è una brava persona... è il resto della gente che non mi piace...»
L'uomo che teneva loro compagnia guardò impaziente l'orologio.
«È tardi, dobbiamo tornare indietro...»
«No, preferirei parlare ancora un po' con la signora.»
Ma prima che potesse dire altro il robusto individuo lo aveva afferrato per le spalle e lo stava trascinando con se.
«Aspetti! La signora c'è sempre quando ho bisogno di parlare con qualcuno, me la lasci almeno salutare!»
«Tranquillo amico» ghignò la guardia «I pali della luce non camminano... ma si, tu che ne puoi sapere in fondo, eh?»
Lo lanciò nella cella di isolamento senza fare la più minima fatica, anche perché Tony non aveva modo di opporre resistenza con la camicia di forza addosso.
Il giovane rimase immobile, con la schiena contro il pavimento, a pensare.
L'orbita vuota aveva ricominciato a fargli male, ricordava ancora chiaramente il giorno in cui aveva perso l'occhio. Non pensava che avrebbe fatto così male.
Stava ancora aspettando la sua visita. La visita speciale del suo amico.
Si era convinto che sarebbe venuto prima o poi, anche se aveva già contato 98 giorni esatti. Ma poi chissà come funziona il tempo in realtà. E poi lui era solo un povero pazzo, che poteva saperne di quanti giorni dura un mese, o se alla fine Jack sarebbe tornato da lui, per mostrargli ancora i fiori rossi sulle sue braccia?
Chissà, poi, se si può camminare senza gambe, vedere senza occhi, vivere senza sangue.
Chissà...
Immerso nei suoi pensieri, il giovane non poteva certo sapere che per venire a trovarlo Jack avrebbe dovuto fare lo sforzo immenso di abbandonare la sua confortevole e comoda casa di legno, lunga un metro e ottanta e larga mezzo metro.
  
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