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Autore: Colli58    30/03/2014    8 recensioni
“Se dovesse ricapitare ne parleremo con più calma?” Rispose e Kate sorrise annuendo. “Prometto di cercare di non sbranarti.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Si passò distrattamente la mano sul viso, cercando di prestare attenzione al discorso in atto. La luce soffusa del locale non era del tutto adatta a tenerlo sveglio, non amava molto cenare a luce così bassa a meno che non si trattasse di una cena romantica. La sua attenzione venne richiamata dal freddo metallo al suo dito. Osservò la luce riflettersi dorata sulla superficie chiara del platino allargando le dita proprio di fronte al suo viso. Poi istintivamente strinse la mano a pugno, inclinò il polso fino a portare quello stesso metallo tra le sue labbra. Un bacio appena accennato e poi trattenne il dorso della sua mano appoggiato al suo mento. Le labbra ancora premute mentre il suo sguardo raggiunse il suo interlocutore. Sorrise sforzandosi di concentrarsi sulle chiacchiere a bassa voce. Accanto a lui Gina alzò il tono, con qualche acuto di troppo, per richiamare la sua attenzione, quel suo sottolineare le cose ovvie come una maestrina antipatica che lo urtava particolarmente. Si voltò a guardala con aria greve.
Scosse il capo per indicare che non la stava seguendo.
Non aveva nessuna voglia di assecondare il suo ennesimo sproloquio.
La sua attenzione tornò alla gentile coppia che stava in silenzio davanti a lui, aspettando una sua risposta.
“Mister Castle?” Chiede l’elegante signora Stevenson nel suo prezioso tailleur grigio di Valentino.
Scosse di nuovo la testa passandosi di nuovo la mano sul viso per poi andare a posarsi sulla propria coscia, non prima di aver sistemato con un gesto lento il lembo della giacca nera.
“Scusatemi, sono un po’… stanco.” Cercò di dire con un mezzo sorriso. “E’ stata una settimana pesante.” Aggiunse con un sospiro. La coppia gli dedicò un sorriso gentile e carico di comprensione.
La signora sembrò illuminarsi. “Un nuovo libro?” Chiese entusiasta. Ecco, quella era la ragione per cui lui era dovuto uscire comunque dopo una settimana orrenda e faticosa. Per coccolare due nuovi possibili azionisti della Black Pown, due clienti da adescare con il fascino dello scrittore fiore all’occhiello della casa editrice.
Che dire loro per non deluderli? Che cosa doveva raccontare loro? Che il suo nuovo romanzo era ancora alle origini, che quella settimana una donna era stata uccisa davanti agli occhi delle sue piccole gemelline e che lui aveva partecipato con Kate ad un caso che l’aveva scaraventata nei ricordi della morte di sua madre più di quanto ammettesse e lui aveva dovuto lasciarla sola a casa. Ci aveva anche litigato e si detestava per aver dovuto sottostare alle imposizioni di Gina.
“In realtà c’è stato un brutto caso di omicidio… Molto crudele…” Disse guardando la signora Stevenson. Il marito sembrò percepire la sua serietà e prese gentilmente la mano della moglie. Un gesto che Castle giudicò dolce e molto amabile, soprattutto per una coppia della loro età. Entrambi erano over sessanta. Lo spirito curioso della signora sembrava non contento della risposta, si spostò più avanti verso di lui.
“Sta parlando di un caso reale?” Chiese.
“Esattamente.” Rispose Castle. Gina gli lanciò un’occhiata scocciata e cercò di alleggerire l’atmosfera ma la coppia prese a ignorarla, cominciando a fare domande allo scrittore in merito a quella storia.
Così lui spiegò il suo lavoro accanto a Kate, la sua splendida moglie, sua musa. Omise di sottolineare che era anche parte della sua anima, sua amante, sua amica.
Il suo dialogo catturò l’attenzione dei due, che lo incalzarono con garbate domande sul perché sua moglie non fosse con lui quella sera. Disse la verità, che era troppo stanca, come lo era lui ma evitò di ripeterlo, come evitò di dire che forse psicologicamente non se la sarebbe comunque sentita e lui non voleva altro che tornare a casa per starle accanto e lenire le sue sofferenze. Furono compiaciuti di sapere che aveva sposato la sua musa ispiratrice, colei che aveva dato vita a Nikky Heat, trovando la situazione molto romantica. Per una volta nella sua vita pubblica non aveva visto negli occhi dei suoi interlocutori quello sguardo di compassione per la sua scelta un po’ prosaica. Perché poi sposare la propria musa era considerato così banale, oppure deplorevole? Mezzo mondo gliela invidiava ma averla sposata rendeva il loro legame meno interessante? Forse il menage casalingo sviliva il fascino del suo ruolo di musa? Ma che diavolo aveva in testa la gente? Avrebbero dovuto vederla in azione, inseguire e stendere un assassino! Non aveva nulla di banale.
Gli Stevenson al contrario, consideravano quell'aspetto molto affascinante e lo invitarono a continuare.
Raccontò quindi alla coppia delle indagini per arrivare a scoprire il colpevole, omettendo di descrivere la tensione che aveva investito Kate, di come i ricordi del passato l’avevano incupita. Di come aveva continuato a lavorare senza un attimo di riposo, senza quasi mangiare, per dare giustizia a quelle due bambine che avrebbero vissuto la loro vita in qualche modo segnata drammaticamente da quell’evento. Avrebbero costruito barriere emotive come lei? Avrebbero smesso di vivere, di sorridere, di amare?
Descrisse le indagini mettendo in risalto le procedure, la fatica per trovare le connivenze, i punti salienti che avevano portato ad una svolta decisiva. E poi l’inseguimento e la cattura.
La coppia rimase affascinata da suo racconto così Gina sembrò calmarsi e ad un certo punto rilassarsi.La sua abilità oratoria aveva fatto centro, ma non lo era lui quello rilassato. No, perché aveva litigato con Kate e non vedeva l’ora di tornare a casa e risolvere quello stupido scontro.
Finalmente Gina si prese un attimo per raggiungere la toilette e lui si trovò solo con i coniugi Stevenson.
Lui, Martin, sorrise incrociando le mani sul tavolo. “Se mi permette, ha l’aria piuttosto stanca, non era forse il caso di rimandare questa cena? Per lei non sembra essere stata una passeggiata…” Mosse quindi una mano sul tovagliolo appoggiandolo alla tavola.
Castle sorrise annuendo. “Non volevamo deludervi…” mormorò. In fondo erano due brave persone, gli sembravano anche sincere nella loro simpatia per il suo stato.
“Oh, per noi è davvero un piacere stare qui con lei, Richard, ma la ragione per rimandare era più che valida.”
Castle sorrise con gratitudine. “Non lo è per tutti.  Alcuni pensano che questa mia collaborazione con il distretto sia… solo un gioco.” Guardò verso il corridoio dove Gina era scomparsa e i due annuirono timidamente.
“Caro, dovremmo lasciarlo andare a riposare…” disse a bassa voce verso suo marito la signora Stevenson. Il marito annuì. Castle si sentì a proprio agio. La donna era molto materna e il marito altrettanto gentile, sinceramente gentile. “Ci penso io…” Mormorò a bassa voce verso di lui e sorrise con complicità.
Castle rimase piacevolmente stupito dallo sguardo vivace della donna.
Così al ritorno di Gina la loro ospite dichiarò di essere piuttosto stanca e che avrebbe gradito ritirarsi. Si dimostrò entusiasta del loro incontro e si fece promettere di poter fare un bis di quella simpatica cena.
Gina prima cercò debolmente di trattenerli, poi dovette cedere e lasciarli andare.
Il signor Stevenson pagò elegantemente la cena, non permettendo a Castle nemmeno di toccare il portafogli.
“Figliolo, torni a casa da sua moglie…” sussurrò accanto a lui verso l’uscita. “Da come coccolava quella fede, le sta mancando molto. E’ preoccupato?” Chiese quindi con serietà.
Castle sospirò. “Abbiamo discusso e… beh il caso l’ha colpita più del dovuto.” L’uomo sorrise e strinse paternamente una mano sulla sua spalla.
Non c’era bisogno di altre parole. Aveva capito. Uscirono dal ristorate e si salutarono sul marciapiede, dopo che Castle ebbe chiamato per loro un taxi. La signora Stevenson lo abbracciò e infilò nella tasca della giacca il biglietto da visita del marito. “Vediamo di organizzare una cena informale una volta di queste!” Disse con gentilezza. “Magari senza editor…” specificò quindi a bassa voce, nascondendosi da Gina. Castle sorrise divertito.
“Assolutamente.” Rispose.
“Ricordi che voglio conoscere sua moglie.” Disse quindi salendo in taxi. Castle sorrise e augurò alla coppia una buona notte. Poi una volta che il taxi fu lontano girò sui tacchi mettendosi le mani in tasca e strinse gli occhi alzando la testa verso il cielo scuro. Il collo indolenzito, gli occhi stanchi. Le spalle avevano perso un po’ della tensione dopo aver percepito l’amichevole comprensione degli Stevenson.
Camminò in silenzio verso il punto in cui aveva lasciato la ferrari, sotto il cipiglio scocciato di Gina.
“Mi dai un passaggio a casa?” Chiese le donna.
“Non ci penso proprio.” Rispose secco. Gina spalancò la bocca per la sorpresa. “Stai scherzando…” disse affrettando il passo verso di lui che aveva quasi raggiunto la macchina.
“No.” Disse appoggiandosi alla portiera della ferrari. Giocherellò con le chiavi, stropicciandosi il viso.
“Richard non fare il bambino per favore…” commentò Gina cercando di aprire la portiera del lato passeggero ma lui le lasciò volutamente chiuse.
“Non faccio il bambino. Me ne vado diritto a casa. Tu stai dall’altra parte di Manhattan. Prenditi un taxi. E scusa se non mi comporto da cavaliere, ma del resto tu non hai certo peccato di comprensione nei miei confronti stasera.” Rispose accigliato.
Gina sbuffò. “Richard sai bene cosa c’è in ballo.”
“Soldi come sempre.”
“Non mi sembra ti facciano schifo…” Sentenziò Gina. “E io te ne faccio avere molti mi sembra. Un po’ di lavoro di squadra per la casa editrice…”
Castle indietreggiò stupito. “Lavoro di squadra? Tu? Non sai nemmeno cosa voglia dire.” Sbottò.
Gina scosse il capo. “Richard guardati. Non fai più nulla per alimentare la tua notorietà, la tua fama si basa sul passato e ora sembri sepolto da questo ultimo tuo matrimonio.” Mise su la sua aria da donna arrivata, quella postura che lui aveva preso a detestare così tanto dal tempo del loro matrimonio e odiare ferocemente dopo il divorzio e la loro seconda rottura.
“Non ho più 30 anni. Il mio matrimonio va a gonfie vele ma tu… tu riesci sempre in qualche modo a colpevolizzare il mio matrimonio oppure mia moglie per qualcosa che non va nella mia carriera. Vedi sono stanco…” Iniziò a dire.
“Di cosa? A parte giocare a fare il poliziotto, scrivi un romanzo l’anno e non mi sembra una grande fatica!” replicò Gina.
“Sono stanco del tuo atteggiamento nei confronti della mia vita privata. Tu ne devi stare fuori. Cosa faccio o non faccio con mia moglie” sottolineò con forza alzando una mano aperta, “sono solo affari miei. Ma d’ora in poi Gina qualsiasi appuntamento tu voglia organizzarmi a scopo pubblicitario, deve essere concordato con me giorni prima. Niente più improvvisate come questa.” Specificò.
“Siamo diventati tutto ad un tratto pretenziosi…” Fu il commento acido di Gina.
“Potrei essere piuttosto occupato in futuro.” Rispose Castle seccato. Pensò che se avessero avuto un bambino lui non avrebbe permesso a Gina di strapparlo di casa all’improvviso per una cena di lavoro, era già Kate quella che veniva scaraventata fuori da casa e addirittura dal letto a tutte le ore per un omicidio. Quel genere di novità era sufficiente e non avrebbe voluto mai e poi mai abbandonare il proprio cucciolo in mani non sicure. Sorrise, l’idea di avere un piccolo per casa lo stava coinvolgendo molto. Sì, lo voleva un figlio da Kate, e le immagini nella sua mente erano vivide, quasi prepotenti, ma stupende.
Gina si appoggiò alla Ferrari ridendo. “E che hai da fare, sentiamo? Correre al distretto con lei? Stai perdendo il tuo charme e stai diventando rozzo come quei poliziotti. Del resto ne hai sposato uno.”
Castle si infuriò. “Non sono tutti rozzi, sono diretti e non ti azzardare a criticare Kate sia chiaro. Non te lo permetto.”
“Ti sei già dimenticato l’ultimo suo elegantissimo commento uscito sul ledger? Molto signorile davvero.” Castle si dovette controllare per non spegnere quel sorrisetto malefico con un ceffone ben assestato. Pensò a quanto gli sarebbe costato in avvocati e chirurgia plastica.
“Ti controlla per bene, a letto sarà una furia e tu per un po’ di sesso…”
“Smettila!” Ringhiò Castle. “Sei solo gelosa di quello che abbiamo. Che cosa ti rode? Eh? Perché è chiaro che c’è qualcosa che ti infastidisce molto…”
Gina minimizzò. “Niente, proprio niente.”
“Allora perché ti interessa cosa facciamo, cosa dicono di me e di lei? Se davvero non hai nulla perché insisti a punzecchiarmi sulle stesse cose, oppure insisti a criticarla? Kate non ti ha fatto mai nulla.” Si raddrizzò guardando Gina con freddezza. “Ripeto, stai fuori dalla mia vita o dovrò chiedere alla Black Pown un nuovo editor.”
Salì in macchina saltando la portiera e mise in moto. Era stanco ora era anche più nervoso di prima.
“Levati…” Disse a Gina chiedendole di spostarsi dalla portiera.
“Forse sei diventato l’uomo che volevo allora.” Disse Gina a bassa voce.
Castle rise, di gusto ma con amarezza. “Stai scherzando tu ora, vero?” Gina scosse il capo.
“Credi che io sia cambiato?”
Gina annuì. “Sei diverso. Sembri cresciuto, sei diventato finalmente un uomo.”
“Merito di Kate!” Esclamò Castle. Rise di nuovo, roco e con un ghigno malefico sul viso. Appoggiò la testa al sedile. “Non mi hai appena detto di essere diventato rozzo frequentandola?”
Gina sbuffò. “A parte certe buffonate…”
“Oppure lo divento solo quando mi fai incazzare, come stasera?” Aggiunse Castle, ancora indeciso se essere furioso o semplicemente divertito dall’assurdità che gli stava capitando.
Gina si girò a guardarlo. “Fammi capire. Con lei non credo tu passi ancora ore e ore a giocare con la playstation… Oppure a fare zapping in tv!”
Castle annuì. “Alcune volte ci gioca anche lei. Non la batto mai ad Halo.” Sorrise compiaciuto osservando lo sguardo stupito di Gina che era rimasta senza parole.
“Le piace Star Wars, andiamo al karaoke, lei ha una bellissima voce! E vogliamo dei figli… Una famiglia vera. Vogliamo serate davanti alla tv in compagnia di un bel film, giocare strip poker a mezzanotte del sabato… Eh sì, quello che succede a letto è grandioso. Ma anche fuori dal letto…”
Gina deglutì. Non aveva mai voluto figli, cambiare pannolini non era certo il suo stile e beh il karaoke? Detestava pure le serate davanti alla Tv, erano così banali.
“Non prendiamoci in giro Gina, non hai mai voluto quello che sono.” Finì Castle.

Kate stava seduta alla scrivania di Rick, nel suo studio. Giocherellò con la fiocina che Alexis aveva involontariamente riesumato dall’armadio dei cappotti andando a cercare una sua borsa.
Ne era uscita con quella in mano chiedendogli cosa significasse. Lei però non si era sentita di raccontargli quella storia assurda al distretto, non era in vena. Aveva quindi scosso il capo e aveva risposto che era roba che suo padre aveva lasciato n giro e che se ne sarebbe occupata lei.
Alexis aveva notato il suo cattivo umore e aveva intuito che lei e Rick avevano discusso in merito all’uscita di lui per quella cena non prevista con la sua editor, sapendo che aveva dovuto uscire in fretta e furia per accontentare Gina. Si era attardata con lei e aveva quindi speso parole gentili nei suoi confronti, rincuorandola. Le aveva sottolineato con dolcezza quello che lei sapeva già: che purtroppo quello era il lavoro di suo padre, anche lei quando era piccola aveva sentito la sua mancanza in certe sere. Ma lui faceva di tutto per tornare presto, e tornava sempre.
Le aveva ripetuto che lui probabilmente non vedeva l’ora di tornare. Sperò che fosse così. Era stata un po’ dura con lui, quella cena poteva essere rimandata e poi come poteva Gina arrivare e stravolgere i loro piani ogni volta? Lei aveva bisogno di suo marito, del suo uomo e della sua forza. Aveva bisogno di lui più di altre sere.
In quei momenti emergeva con tutto il suo peso il suo lavoro e la sua immagine pubblica. Il suo modo di vivere era legato a quello, ed ormai anche il proprio con lui indissolubilmente. Nonostante fossero una coppia affiatata quell’aspetto lo tendeva a dimenticare, forse perché egoisticamente teneva con sé Rick quasi tutti i giorni. Solo che era pur sempre Richard Castle, il suo romanziere preferito ed ora suo marito.
Appoggiò la fiocina al tavolo con un sorriso sfinito. Aveva pensato di buttarla ma si ricordò di quel giorno in cui l’aveva portata a casa, la sua faccia sulla porta, quella luce divertita nei suoi occhi blu. Era adorabile e alla fine ci avevano riso su, persino con suo padre. Si guardò intorno, per l’ennesima volta, assaporando la presenza di lui che aleggiava in quel posto. Sapeva di lui, del suo lavoro e dei suoi giochi, ma sapeva anche di loro, della loro vita insieme e dei momenti di dolcezza. Guardò la poltrona di pelle e sorrise pensando che spesso vi si sedevano entrambi, leggendo l’uno nelle braccia dell’altro anche lo stesso libro.
Si alzò quindi e riportò la fiocina nell’armadio dove l’aveva riposta allora, la prossima volta che avrebbero fatto un salto negli Hemptons, Rick l’avrebbe certamente portata con sé per giocarci. Sperò davvero che lui fosse di ritorno presto. Del resto era stanco quanto lei e si augurò che non bevesse, era fuori con la macchina e poteva essere rischioso. Castle reggeva l’alcool ma la stanchezza…
Si coricò presto, ma non riuscì a prendere sonno, pensando a quelle poche battute rabbiose che gli aveva rivolto. Si era rifugiata nel bagno negandogli pure il saluto e non permettendogli di replicare.
Si sentiva in colpa. Sbuffò per la milionesima volta e gli sembrò che l’estate fosse più torrida del dovuto in quell’attesa che la rendeva irrequieta. Stava sudando nonostante la serata fosse abbastanza fresca. Si alzò e accese il condizionatore quel tanto per raffrescare l’aria e togliere la sensazione di afa. Era stata una brutta settimana, non riusciva ad abbandonare quel caso, si sforzò di non pensare a quelle due creature traumatizzate e per riuscirvi avrebbe voluto stare tra le braccia di Castle per sentirsi al sicuro. Possibile che lui non avesse capito? Raddrizzò la schiena e si girò a toccare il cuscino di lui. Doveva scusarsi. Doveva dirgli cosa provava. I suoi occhi affaticati si chiusero con le palpebre pesanti come macigni.

Facendo la strada di casa a velocità sostenuta, Castle si trovò in difficoltà. I suoi occhi facevano fatica a stare aperti. Mancavano pochi chilometri e sarebbe arrivato. Si concentrò pensando a cosa dirle a come scusarsi per l’inconveniente. Decise che per il momento non voleva parlarle di quell’assurdo dialogo avuto con Gina. Non voleva lui stesso pensare di aver sentito quelle parole. Gina stava esagerando e niente di quanto da lei detto gli interessava comunque. Forse su una cosa aveva ragione, sul fatto che si sentiva diverso. Il suo trasporto verso la sua famiglia, la sua anche più ferrea volontà di proteggere i suoi cari e soprattutto lei, la voglia matta di avere un figlio erano segnali chiari di un cambiamento nella sua vita e Kate era la chiave di tutto. Ma si erano lasciati male e quella cosa feriva il suo cuore. Doveva chiarirsi, dovevano risolvere quello screzio tra loro.
Sicuramente Kate doveva già essere a letto. Sperò che almeno avesse preso sonno, ma l’idea che fosse tormentata da pensieri sull’ultimo caso si fissò imperante nella sua mente.
Sospirò prendendo una boccata di ossigeno nell’aria fresca della notte. Gli Stevenson erano una bella coppia e brave persone. Si prese nota mentalmente che avrebbe presto dovuto invitarli a cena, per ringraziarli di essere stati così benevoli nei suoi confronti e gli avrebbe presentato Kate.
“Kate…” Sospirò guardando verso le finestre del loft completamente spente.
Era già a dormire per fortuna.
Parcheggiò nel proprio box e poi prese l’ascensore per salire al piano. Quando entrò in casa lo fece senza accendere le luci, quelle dell’ascensore erano state fin troppo violente verso i suoi occhi stanchi.
Camminò a passo lento verso la stanza da letto. Entrò cercando di non fare rumore. Sentì l’aria fresca del condizionatore e notò Kate dormire rivolta al suo lato del letto. Abbassò il condizionatore di una tacca, poi si avvicinò al letto. Si chinò su di lei, portandole il lenzuolo a coprirle la schiena nuda. Face scivolare una mano sui suoi capelli in una carezza lieve. Con una mano si puntellò alla testiera del letto, abbassandosi a lasciarle un bacio tra i capelli. “Perdonami Kate, avrei dovuto starti accanto, mi dispiace. Ti amo…” Mormorò prima di sollevarsi e dirigersi con passi lenti e silenziosi verso il bagno.
Kate sospirò. Si era svegliata sentendo la porta d’ingresso aprirsi e aveva ascoltato i suoi movimenti. Non sapeva perché non aveva voluto fargli sapere che era sveglia, ma la sua frase di scuse accompagnata dai suoi gesti protettivi la fecero sentire anche più in colpa.
Si alzò accendendo la lampada sul comodino. Poi si diresse verso il bagno e bussò. “Rick?” Chiese prima di entrare e lui rispose. Era fermo davanti allo specchio. Si era tolto la camicia e si stava spogliando i pantaloni, appoggiando gli abiti ordinatamente sulle grucce. Aveva lo spazzolino da denti infilato in bocca.
“Ehi…” disse voltandosi verso di lei. Finì di lavarsi i denti e poi si sciacquò la bocca.
“Pensavo dormissi…” Aggiunse quindi rialzandosi dal lavandino con un sorriso mesto. Le occhiaie profonde di chi probabilmente aveva un mal di testa feroce la fecero intenerire anche di più.
Lei negò. “Non riuscivo. Tu sembri sfinito.”
Castle annuì. “Non volevo uscire, tesoro.”
“Lo so, scusami di averti aggredito.” Mormorò contrita.
“E’ nel tuo stile… però…” replicò esalando un lungo respiro. Si mise le mani sulla testa dolente. Kate si morse le labbra. “Analgesico?” Chiese e Castle disse di no. “Voglio solo stendermi. Con te.”  La prese tra le braccia e lei si sentì di nuovo bene.
“Non dovevo lasciarti sola, so che stai ancora pensando al caso… Non era il momento. Ma ho chiarito con Gina, le ho detto che voglio un preavviso. Niente più programmi a sorpresa.”  Le accarezzò il viso e la baciò tra i capelli di nuovo, prima di chinarsi e baciarla sulle labbra. Indugiarono per alcuni minuti con baci dolci e brevi. “Mi dispiace Rick… Volevo passare una serata in tranquillità.” Lui aveva capito eccome. E lei lo aveva sottovalutato. Gli era costato uscire, molto più del previsto. Si diede mentalmente della sciocca per aver reagito come una ragazzina.
“Anche io.” Rispose stringendola.
“Sei tornato presto. Alexis me lo aveva detto.” Mormorò. Castle sollevò il viso e cercò i suoi occhi.
“Non sarei riuscito a stare via molto. Non ero arrabbiato con te, ci sono rimasto male. Alcune volte Kate non dipende da me, il mio lavoro non è proprio una cosa ordinaria e non sempre posso evitare. Ma ti assicuro che da oggi in poi farò quanto in mio potere per evitare situazioni come queste.”
Kate scosse il capo. “Non è colpa tua, lo capisco, ero solo un po’ delusa.”
“E poi detesto… dio detesto non avere la forza di fare l’amore con te. E’ una settimana che non ti tocco…” aggiunse e Kate rise. “Forse è per questo che finiamo per discutere, la tensione…”
“La tensione sì…” replicò Castle deciso, riprendendo a baciarla.
“Come facciamo ad avere figli se non facciamo l’amore…” continuò con uno sguardo furbo vedendo Kate rallegrarsi.
“Già…” rispose lei giocherellando con l’elastico dei suoi boxer. Chiuse gli occhi, ispirò forte il suo profumo.  “E’… ok?” Chiese quindi cercando di incrociare il suo sguardo.
“Se dovesse ricapitare ne parleremo con più calma?” Rispose e Kate sorrise annuendo. “Prometto di cercare di non sbranarti.”
“Va già molto meglio!” Sentenziò Castle con un tono compiaciuto nella voce.
“Magari posso sbranare Gina.” Aggiunse Kate con ironia.
“Puoi… Si puoi…Ottima soluzione!” Rispose Castle ripensando al suo scontro con la donna.
“Sai, ha detto che sono finalmente diventato un uomo…” gli rivelò. Non voleva nasconderle nulla.
“Quella donna proprio non ti capisce.” Rispose Kate divertita e poi si allontanò da lui aggrottando la fronte analizzando le conseguenze di quella frase. Castle sorrise debolmente. “Pensa che tu mi abbia cambiato e che io non giochi più a videogames.”
Kate sbuffò. “Non ti conosce affatto!” Risero entrambi.
“Sono diventato noioso?” Chiese titubante Castle.
Lei negò. “Forse sono io quella che ha più problemi…” si giustificò. Castle le accarezzò il viso. “Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu sei quella cool, sei quella armata tra i due.”
“Ricordalo in caso Gina pensasse di riprovarci…” Sottolineò Kate con sarcasmo, impossessandosi delle labbra del marito. A Castle non sfuggì quella vena di ferocia sincera nelle parole della moglie. Gemette felice della possessività di lei nei suoi confronti.
La bocca di Castle sapeva di menta piperita del dentifricio. Era fresca e piacevole. Lo erano le sue labbra morbide, il suo abbraccio confortevole e Kate lasciò che il suo corpo si appoggiasse a quello del marito allentando la tensione.
“Non hai nulla di che preoccuparti. Mai, mai…” sottolineò con forza Castle stringendola.
Si guardarono, poi istintivamente entrambi fecero scorrere gli occhi intorno a loro. Erano abbracciati, vestiti solo del proprio intimo, in piedi nel bagno.
“Beh… ci mettiamo a letto?” Lei annuì.
Fare pace con kate aveva alleggerito anche il suo mal di testa. Castle sospirò stanco.
“Ma ora dimmi come stai… veramente piccola…” Disse Castle cingendole la vita e avviandosi verso il loro nido.
“Non lo so. Continuo a pensare a quelle due bambine… Per fortuna hanno la loro zia accanto, ma…” spiegò il suo tormento.
“Immaginavo ci stessi male, ci ho pensato tutta la sera.” Castle la strinse a sé. “Sono piccole e hanno qualcuno accanto che le ama come se fossero sue, ce la faranno.”
“Ma se dovesse succedere qualcosa a noi? Ai nostri figli?” Mormorò dando voce alle sue paure.
Castle sedette sul letto facendola sedere sulle proprie gambe. “Viviamo in un mondo crudele Kate, ma per questo vuoi rinunciare all’opportunità di avere dei figli?” Chiese titubante.
“No, no…” replicò Kate decisa. “Voglio dei figli con te. Non ho cambiato idea… Ho solo…”
“Paura?” chiese lui. Kate sospirò e disse di sì.
“E’ normale tesoro.” Rispose stringendola a sé.
“Mi sento così stupida, ci vivo in mezzo a tutto questo e ne sono consapevole. Ma pensarci ora per noi…”
“E’ il tuo istinto materno.”  Kate appoggiò la sua fronte a quella di lui.  “E’ probabile.”
La notte era silenziosa, calda e la loro camera da letto sembrava un rifugio sicuro. Castle la spostò delicatamente e la fece distendere nel letto. Kate si lasciò guidare docilmente. Castle si posizionò su un fianco proprio di fronte a lei cercando i suoi occhi nel buio della stanza.
“Ne possiamo parlare domani?” Chiese lei muovendosi sul cuscino cercando un punto comodo. Gli occhi appesantiti, la sua voce la stava rilassando così come le sue carezze.
“Sì” Espirò esausto tra i suoi capelli lasciandovi un altro bacio.
Kate sorrise e lui riuscì a scorgere le sue labbra arricciarsi.  “Dopo aver fatto l’amore…” finì Kate allungando le mani sul suo torace e lasciandole appoggiate. Castle le strinse nelle proprie.
“Svegliami quando vuoi…” Rispose a bassa voce. La sua mente vagò sulle sue parole.
L’istinto materno di lei si stava amplificando… che fosse… già successo? Aprì gli occhi per guardarla. Era bellissima. Sorrise immaginando che forse, senza saperlo, una nuova vita stava già crescendo in lei.

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Un altro scorcio di questo possibile e positivissimo futuro tra i due. Viste le molte angst che sono state pubblicate in questi giorni, io proseguo sui cuoricini per mantenere la media!

  
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