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Autore: B Rabbit    30/03/2014    1 recensioni
Osservò quella mano prendere la sua con gentilezza e attrarlo nel morbido letto.
[Shonen-ai tanto per]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Oz Vessalius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Luce ed ombra



Rinvenne bruscamente dal sonno e d’istinto artigliò la coperta che malamente lo proteggeva.
Fissò sconvolto la finestra davanti a lui con gli occhi sgranati. Battiti agili, vigorosi, martellavano nel petto, nelle vene, nelle tempie. Gocce gelide di sudore gli pungevano la pelle del viso e del collo.
Rimase accucciato contro il morbido guanciale, stringendo di più la stoffa come un appiglio che, nell’insensato caso in cui un vuoto si fosse materializzato sotto di lui, lo avrebbe sorretto, salvandolo dall’ignoto.
Ascoltò i suoi stessi respiri sferzare il silenzio tessuto dalla notte nella sua semplice stanza da letto.
Aspettò che un senso di pace lenisse i sussulti del cuore, ma un leggero timore strisciava in lui, gelando ogni membra che sfiorava.
Deglutì. Si sedette sul materasso con un fruscio morbido, ma un lampo di dolore gli fece inarcare la schiena. Come lui attimi prima, si destò anche la ferita.
Si raddrizzò, ansimando sofferente.
«Fa male…» .
Voleva tastarsi la schiena per controllare la fasciatura, ma la paura di sentire il sangue inumidirgli le palme lo fermò.
Aspettò, e quando gli ultimi sprazzi di dolore si affievolirono tanto da mutare in semplice fastidio, il piccolo Gilbert realizzò ingenuamente ciò che lo circondava. Tenebre.
Era notte, il cielo un miscuglio di nero, blu scuro e scintille di luce.
L’elettricità del panico gli accese i sensi, i muscoli. L’immaginazione.
Gli occhi d’oro guizzarono su ogni punto della camera.
Lasciò in fretta la coperta, scese dal letto e si diresse verso la porta.
Si fermò con la maniglia nel pugno, esitante, ma appena lo sguardo sprofondò un'altra volta nel buio della camera Gil spalancò la porta, tuffandosi nei corridoi della villa.
Camminò a passo svelto per ovattare il più possibile i rumori che di giorno sarebbero parsi fiochi, dominando la voglia di correre – aveva paura, era terrorizzato da una strana sensazione; avvertiva qualcuno inseguirlo piano, divertito, aiutato dall’oscurità – .
Una luce azzurrata scendeva e bagnava le pareti, la pavimentazione, spandendo le ombre delle finestre, simili a rigide e piccole reti.
Rallentò il passo fino a fermarsi. Alzò il capo.
Deglutì e osservò indeciso l’ampia, pesante porta scura; si guardò intorno, scrutando timoroso le estremità del corridoio morte nel nero.
Posò nuovamente i grandi occhi dorati sul legno della porta. Attese.
Voleva rifugiarsi lì, all’interno della camera, fuggire dalla paura e dagli incubi, sentirsi sicuro, ma dentro di lui, qualcosa si contorceva, sussurrandogli pensieri penosi – “Lo disturberai” , “Si arrabbierà” , “Potrebbe ridere” – .
Indugiò ancora sulla soglia, stringendo nei piccoli e morbidi palmi la bianca veste da notte.
Si mordicchiò il labbro inferiore, aggrottò leggermente le sopracciglia. Udì un’eco vibrare lontana, un rumore sfumato, e spaurito si guardò attorno.
«Ho paura…» sussurrò con voce tremante. Sussultò, colpito da un fioco singhiozzo.
Guardò ancora la porta; deglutì e la dischiuse appena, rimanendo nascosto dietro a essa, e notò nel piccolo spiraglio una debole corona di luce rischiarare la coltre di buio. Aprì di più la porta spingendola con entrambe le manine, attratto da quel chiarore ammaliante, ed entrando nella stanza da letto incontrò due occhioni di giada che lo fissavano, lucenti di serenità e tenera consapevolezza.
Oz lo stava aspettando, come la notte precedente e quella ancora prima; era seduto sul grande letto a baldacchino dalle tende raccolte, un libro sulle gambe incrociate e due candele vicino alle ginocchia, pericolanti fra le lenzuola.
Alla vista di quelle fiammelle, troppo vicine alla pelle e pericolose lì sul letto, Gil sgranò gli occhi gonfi di sonno. «Ma… p-padron –» .
«”Oz”» lo rimbrottò lui, avvicinando fra loro le palpebre.
Il più piccino abbassò il capo. «O-o… z» si corresse; tentennava ancora a quella parola, a quel brevissimo nome, e le guance si tinsero di porpora appena il moretto notò un felice, caldo sorriso arcuare dolcemente la bocca del suo padroncino.
«Dai, vieni» lo invitò il biondino, richiudendo il tomo e lasciandolo sul comodino vicino.
Il bimbo obbedì e, facendo ridere l’altro, tolse subito le candele di cera dal materasso. «E’-è pericoloso» spiegò, lasciandole sul mobile in compagnia del libro.
«Non sono maldestro, io» e posò gli occhi socchiusi sul volto imbarazzato dell’altro, scoprendo ancora una volta il divertimento che provava nello stuzzicare quel poverino.
Gilbert si avvicinò di più al capezzale e abbassò il capo, guardando le proprie mani stropicciare il tessuto che avvolgeva il materasso. «Non sono… goffo» .
«Una settimana fa un vaso stava per caderti in testa» continuò lui per dispetto, e l’altro chinò maggiormente la testa, ponendo la fine a quella discussione.
Oz lo fissò senza dir nulla. Solo, aspettò ciò che, sicuramente, il proprio servo avrebbe chiesto.
«Le… le fa ancora male? La testa…» sussurrò il piccino, la propria preoccupazione in un mormorio, confermando il pensiero dell’altro bambino; continuò a tirare, avvoltolare e dispiegare la trama bianca sfumata di luce senza alzare il capo, gli occhi bassi, e inaspettatamente una pallida manina si intrufolò nel suo sguardo, posandosi sulle sue dita in movimento.
«No, te lo detto…» disse la voce che dolce e serena gli giunse alle orecchie.
Osservò quella mano prendere la sua con gentilezza e attrarlo nel morbido letto. Lui obbedì, docile.
Affondò un ginocchio nel materasso, si sedette fra le lenzuola; alzò lo sguardo e scrutò quegli occhi di un verde smeraldo che parevano risucchiare tutti i suoi timori, le sofferenze.
«Sto bene, davvero» proseguì lui, lasciandogli la mano, con la speranza di rasserenare quel fuoco d’ansie che spesso tormentava il più piccolo.
Oz si sdraiò sul fianco sinistro e l’altro lo imitò, coricandosi titubante sul letto.
Il bambino dai capelli dorati afferrò le lenzuola insieme alla trapunta e le tirò, facendo attenzione a coprire soprattutto Gilbert; sospirò e deliziato da quel tepore socchiuse gli occhi.
Stettero immobili, chi tranquillo, chi ancora a disagio; si guardarono, il dorato e lo smeraldo che si miscelavano nell’eco dell’altro colore.
Oz unì le palpebre. Il moretto lo osservò in silenzio per poi posare l’attenzione sul suo pugno schiuso dolcemente; indugiò, combattuto fra un sincero desiderio e la rigida ragione; fissò ancora una volta il suo padroncino e timidamente avvicinò la propria manina alla sua fino quasi a sfiorarla. Sorrise all’ombra di un tepore che le loro pelli si scambiavano.
E inaspettatamente, Oz unì le dita alle sue in una stretta delicata, facendolo tremare intimamente. «Anche domani te ne andrai presto?» chiese in un sussurro il bimbo più grande con una bizzarra leggerezza, gli occhi ancora chiusi.
Gilbert lo fissò per poi abbassare lo sguardo, colpevole. «Sì…» ammise, sentendosi un ingrato di fronte alla gentilezza del suo signorino. «E’ disdicevole, questo mio comportamento: se qualcuno lo scoprisse, il signor Oscar per esempio, il padroncino passerebbe dei guai» .
Morti alcuni secondi nel silenzio, Oz si lasciò sfuggire una debole risata, perdonando all’altro quel piccolo e usuale errore di appellativi.
«Scemo» e facendo arrossire Gil, strinse di più la sua mano. «Non c’è nessun problema» .
Sorrise in modo dolce, rassicurante, e il più piccolo percepì il cuore battere più forte per un fugace attimo.
«Gli altri domestici potrebbero vedere e…» .
«Non c’è nulla di strano. E poi, secondo me, lo zio ne sarebbe anche felice» .
Il moretto lo guardò confuso.
«Pensi troppo, Gil» e rise del mugolio amareggiato dell’altro; aprì appena le palpebre e guardò il bambino. «Ti ricordi cosa hai sognato, questa volta?» .
Il piccino sbarrò appena gli occhi e subito dopo abbassò lo sguardo. «No…» .
Oz guardò oltre le esili spalle dell’altro, amareggiato. «Cosa ti spaventa, allora?» osò.
Il moretto fissò le loro dite, le loro mani unite insieme. Vacillò un po’. «Il buio… ho la sensazione che mi inghiottisca» .
Oz gli carezzò la pelle liscia del dorso con il pollice.
«Sai…» cominciò, guardando anche lui quell’intreccio di calore e sicurezza. «C’è una favola che racconta di un luogo simile… si chiama Abyss» .
Gil si lasciò sfuggire un debole gemito e impulsivamente rafforzò la stretta, guardando l’altro.
Oz sorrise a quella reazione. «Tranquillo, ci vanno solo le persone cattive» .
«E se accadesse comunque?» domandò l’altro, la voce appena vibrante di paura.
Il biondino ricambiò il suo sguardo. «Ti verrei a prendere. E’ compito del padrone salvare il servo» .
Il moretto osservò il proprio riflesso luccicare nel verde . «Davvero…?» .
Il più grande sorrise. «Sì» .
«Adesso dormi, però » aggiunse, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio che coprì prontamente con l’altro palmo.
Gilbert annuì piano e avvertì il peso della stanchezza gravargli addosso all’improvviso; strusciò la guancia contro il grande cuscino e chiuse lentamente le palpebre sugli occhi d’oro liquido.
«Buonanotte…» sussurrò, e nel formulare un’altra semplice ma importante parola, si assopì con un’espressione serena dipinta sul volto.
Il bambino sorrise dolce. “Grazie”, voleva dirgli, Oz l’aveva colto chiaramente seppur portato da una debole voce.
«Buonanotte e sogni d’oro…» gli augurò lui con sincerità, unendo la mano destra alle altre due, e sperò vivamente di ritrovarlo al suo fianco, la mattina successiva.

















Quanto sono pucci Oz e Gil da piccini, quanto? In generale, eh, mica in questa fic.
Come state, popolo? Passati i conati per ciò che ho postato?
Beh, che dire, era da un po’ di tempo che volevo scrivere una cosetta su questi due patati (vero, qualcosa di decente era meglio, ma non ci sono riuscita).
La storia è ambientata una settimana circa dopo l’arrivo di Gil infatti è tutto infiocchettato di garze ecc. .
Spero che vi sia piaciuta. Un po’, non esagero.
Due anni! *^*


Ah… Niv, se per caso hai letto ciò ti dico una cosetta: tanti auguri vecchietta u.u

Bye bye a tutti =3


  
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