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Autore: Kaika    30/03/2014    6 recensioni
Quinta classificata al contest: “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf su forum di EFP
Qualsiasi temine si decidesse di usare, rimaneva quello il difetto fatale che mi era stato attribuito: la superbia. Io non concordavo. Pensavo ci fosse una cosa decisamente peggiore: l'ostinazione.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipante al contest: "Percabeth or Pernico? This is the problem" indetto da Water_wolf su forum di EFP

Nome autore (sia su EFP sia Forum): Kaika
Titolo della storia: Difetto fatale
Tipo di storia: Flashfic, Slice of Life
Rating: Verde
Coppia scelta: Percabeth
Citazione scelta: L'avevo detto, l'ostinazione è un male molto forte; si aggrappa al cervello e spezza il cuore. Di ostinazioni ce ne sono molte, ma quella dell'amore è la peggiore. (Isabel Allende)
Breve introduzione: Qualsiasi temine si decidesse di usare, rimaneva quello il difetto fatale che mi era stato attribuito: la superbia. Io non concordavo. Pensavo ci fosse una cosa decisamente peggiore: l'ostinazione.
Note dell'autore: Per quanto ami la Percabeth, è la prima volta che mi cimento in una storia con questa coppia. Non so come sia venuta fuori, dato che l'ho scritta di getto in un paio di giorni (sotto scadenza, logicamente). Spero di non essermi fatta sfuggire nulla e... niente, incrociamo le dita ^^".

 

Arroganza. Presunzione. Boria.
Qualsiasi temine si decidesse di usare, rimaneva quello il difetto fatale che mi era stato attribuito: la superbia. Io non concordavo. Forse anche questa era altezzosità, ma non potevo farci niente. Pensavo ci fosse una cosa decisamente peggiore, una cosa che, una volta che ti ha afferrato, non ti molla più, aggrappandosi con le unghie e con i denti, diventando un tarlo che ti mangia dentro giorno e notte: l'ostinazione.
La mia ostinazione aveva due occhi verde smeraldo e si chiamava Percy Jackson.


Quel nome sembrava stridere come unghie su una lavagna. Una voce così bella non avrebbe dovuto pronunciarlo.
Rachel.
Rachel.
Rachel.
Mi stava raccontando dell'ultimo sogno premonitore di quella ragazza. Una mortale. Cosa poteva avere una mortale più di me? Cosa? I suoi occhi non avrebbero dovuto brillare mentre ne parlava, i miei non avrebbero dovuto pizzicare, io non avrei dovuto sentire le lacrime affiorare. Un sorriso malizioso gli si disegnò sulle labbra sottili.
-Sei gelosa?- Mi chiese, punzecchiandomi con un gomito. Ingoiai il nodo che avevo in gola.
-Testa d'Alghe.- Sussurrai con il tono più infastidito che mi fosse possibile usare in quel momento. Iniziai a camminare più veloce, diretta verso la Casa di Atena. Non volevo continuare a vederlo, per quel giorno mi bastava così. Lo sentii chiamarmi. Il mio nome suonava decisamente meglio di quello di lei. Non mi fermai. 

Eppure, per quanto il cuore potesse farmi male, per quanto l'orgoglio potesse bruciare, quel tarlo non se ne andava. Per quanti "basta così" potessi ripetermi, continuavo ad alzare lo sguardo il giorno dopo e a sorridergli, in un ciclo infinito. L'avevo detto, l'ostinazione è un male molto forte; si aggrappa al cervello e spezza il cuore. Di ostinazioni ce ne sono molte, ma quella dell'amore è la peggiore.
Amore...                  
Mi ero sempre immaginata che quella parola avesse un sapore dolce, invece lo scoprivo amaro come il fiele.
 

-Sei grande, Sapientona!-
Sorrise felice come un bambino. Era incredibile come riuscisse a convincermi ogni volta ad aiutarlo con i compiti delle vacanze e come, ogni volta, si riducesse agli ultimi giorni. Logicamente, si trattava dei compiti delle vacanze di Natale, dato che, cambiando scuola ogni anno, non ne aveva mai da fare durante l'estate.
-Dovresti imparare a farli da solo.-
Lui finse di non avermi sentito, con un'aria tanto indifferente da essere palesemente falsa. Finì di rimettere a posto i libri e, prima di alzarsi, mi schioccò un bacio sulla guancia.
Era il figlio di Poseidone, il dio del mare, eppure, con un gesto così semplice, fu capace di farmi andare il volto in fiamme.

Quel fuoco non si era più spento, era semplicemente passato dal mio viso al mio cuore, dando ancora più energia all'instancabile ostinazione che mi tormentava.
Solo quella notte, tempo dopo, accoccolata contro il petto di Percy, mentre ascoltavo il suo respiro, lo sentii smettere di bruciare. Quando mi sollevò il volto, delicatamente, e mi baciò, la parola "amore" tornò ad avere un sapore dolce.

 

 

 

   
 
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