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Autore: EllieMarsRose    31/03/2014    0 recensioni
[The Quireboys]
[The Quireboys][The Quireboys]Blu; il colore profondo di quegli occhi che osservano il mondo. Che vedono la vita dispiegarsi in un modo odioso, a tratti inaccettabile.
Spike si separa dal suo grande amore e sembra non volersi più appassionare a nulla.
Ma i suoi amici gli insegneranno a rimanere a galla, nonostante la vita voglia a tutti i costi voltargli le spalle.
...
Spike guardò l'amico ravvivarsi i capelli rossi: «Leah mi diceva sempre che l'essenziale è invisibile agli occhi»
«Aveva torto» Tyla si rigirò fra le mani la bottiglia di Chardonnay «io l'essenziale l'ho sempre trovato qui dentro»
(cit. capitolo #5 "Pianto")
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era rimasto pietrificato, con il viso inespressivo ed il gomito poggiato al bancone. Leah lo fissava sorridendo, come se quella che stava facendo fosse la cosa più innocente e naturale del mondo. Gli occhi blu di Spike saltellarono per un attimo dallo sguardo della sua ex a quello di quel francese spaesato, che a sua volta lo fissava cercando spiegazioni. Da come lo stava guardando, non aveva nemmeno realizzato chi lui fosse; probabilmente pensava che fosse un fratello, un cugino o, alla peggio, un caro amico d'infanzia di Leah. Qualcuno che per lui non possa costituire una minaccia. Spike gli guardò le pupille frementi e preoccupate e, in una frazione di secondo, riconobbe quella speranza che lui stesso aveva nutrito per pochi secondi in quell'appartamento disordinato a Lione, quando aveva osservato nella penombra del corridoio il ragazzo che baciava Leah sulle labbra. Tutto d'un tratto la bocca gli si riempì di un sapore orrendo, come se avesse bevuto del veleno, e subito realizzò che tutti gli avvertimenti dei suoi amici e di sua sorella riguardo a Leah e tutti i cazziatoni di Guy contro la sua cecità ed ottusità del non voler vedere come realmente stavano le cose avevano un senso. Tutte quelle frasi che nei mesi precedenti non aveva voluto ascoltare tornarono indietro con la potenza di un tornado e gli riempirono la scatola cranica, creando un gran frastuono. Quanto avevano ragione. Tutti, dal primo all’ultimo. Con i denti stretti e le mani che iniziavano a prudergli, si alzò dallo sgabello, animato dall’impulso di assestare un bel destro sul naso di quel francese, ma subito si bloccò: in fondo, non è colpa sua. Le sue iridi blu ritornarono su quel sorriso stridente e finto: Quella che dovrebbe prendersi il pugno è lei… ma le ragazze non si picchiano mai, per nessuna ragione al mondo. Neanche fossero bastarde come questa qui. Così arricciò velocemente il viso in una smorfia e, senza proferire parola, si avviò con passo lento e deciso verso la porta del camerino, aprendosi un corridoio fra la folla, lasciando Leah ed il suo nuovo ragazzo alle proprie spalle. Il deejay aveva già iniziato a far suonare “Doctor Doctor” degli UFO, ma la mente del ragazzo era così prepotentemente occupata da quei pensieri assordanti che non riusciva nemmeno a percepire le note che arrivavano dalle casse. Una volta arrivato nel backstage, appoggiò silenziosamente la pesante porta tagliafuoco allo stipite, lasciandosi dietro tutte le voci ed il tintinnio dei bicchieri, chiuse gli occhi e picchiò con veemenza il pugno sulla parete: «Quella stronza!». Sibilava al pari di un serpente, con la faccia al muro ed il sudore che cominciava ad intingergli la bandana; sulle palpebre aveva ancora fissa l’immagine di Leah che lo beffeggiava allegramente. Iniziò a sentire un tremito continuo e nervoso attraversargli tutti i muscoli. Diede un altro pugno alla parete, poi un altro ed un altro ancora. Al quinto pugno riuscì a ruggire; riaprì gli occhi e spalancò le fauci alla pari di una tigre infuriata: «Che stronza maledetta!». Si voltò verso il centro della stanza tenendo gli occhi blu iniettati di sangue fissi sul pavimento e lanciò la propria bandana rossa sul persiano consumato. Spike accartocciò le falangi e se le passò iracondo nei capelli scuri: «Prima fa tutta quella tenera ed innamorata, poi…». Si rese conto di non essere in grado di finire la frase, nonostante avesse un milione di insulti da snocciolare, tutti dettati dalla rabbia. Strinse i denti così forte da rischiare di ricacciarli dentro nelle gengive; poteva sentire un leggero sapore ferroso scorrergli sulla lingua mentre si toglieva le mani dal capo e contraeva le dita in pugni così stretti da fargli diventare le unghie bianche. Bastarda. Insensibile bastarda. Ed io cieco, cieco come non mai! Spike sentì la propria temperatura raggiungere il picco, provocandogli un gran mal di testa; doveva assolutamente sfogare tutta quella rabbia o sarebbe imploso. Così aprì la bocca ed ululò al soffitto con tutto il fiato che poteva riempirgli i polmoni. Urlò con tutta la potenza graffiante della sua voce, quasi volesse scheggiare i vetri di quel piccolo stanzino.
Tutti i membri dei Dogs e Katherine, entrata poco prima di lui per salutare Tyla, si voltarono a fissarlo, preoccupati.
Ma la cosa sembrò non scalfire minimamente Spike: «Puttana che non sei altro!».
Bam staccò lentamente le labbra dal bicchiere di Cuba Libre, attonito; gli sembrava impossibile che Spike avesse detto quelle parole. Lui, la persona più posata che conosco.
«Sei una grandissima stronza» gridò nuovamente, rischiando di strapparsi le corde vocali; poi, accecato dalla rabbia più nera, prese la cassetta che fino a quel momento aveva custodito all’interno della sua giacca bianca e la scaraventò con violenza sul pavimento. La custodia trasparente si divise in due ed il nastro scivolò fuori dal suo involucro; rimase a guardarlo, con le piccole bobine che lo fissavano come due occhietti impauriti, quasi volessero chiedergli di calmarsi, ma Spike non si fece impietosire.
«Jon?» la voce esterrefatta di Tyla gli giunse alle orecchie, facendogli alzare lo sguardo; il cantante dei Dogs dischiuse la bocca nel vedere Spike posseduto dalla rabbia più cieca e non ebbe più il coraggio di aggiungere altro nel momento in cui i suoi occhi verdi velati di malinconia incrociarono quelli blu striati di rosso dell’amico. Aveva paura che, se l’avesse interrotto nel bel mezzo della sua sfuriata, non sarebbe uscito vivo da quello stanzino.
«Non dire nulla, Timothy, sta' zitto» Spike ruggì alla pari di una tigre inferocita, poi sollevò da terra lo stivale destro «quella può anche andare a fanculo, FANCULO!» e con il tacco sbriciolò la cassetta con tre colpi ben assestati.
Tutti si immobilizzarono e trattennero il fiato per qualche secondo; gli occhi di Tyla, Bam, Steve, Jo e Kat erano puntati su quel ragazzo, non troppo alto e non esattamente muscoloso, che con una forza quasi animalesca aveva disintegrato quel nastro.
Tyla lo studiava, con le pupille dilatate e gli occhi stupiti; l’amico respirava affannosamente ed aveva un filino di bava che si aggrappava disperatamente al suo labbro inferiore per evitare di sfracellarsi a terra. Sembrava quasi che Spike stesse per tramutarsi in un lupo mannaro. La voce gli uscì spezzata dalla gola: «Jon… era» deglutì rumorosamente «era la cassetta con su quei due brani che avete registrato l’altro giorno alla Tana?».
Spike voltò lentamente il capo per guardarlo in viso; stava ancora digrignando i denti.
Il cantante dei Dogs continuò: «Quelli che avete registrato con Rudy?».
«Sì, sì… E ALLORA?» Spike diede un calcio ai rimasugli di quello che voleva che fosse l’ultimo regalo per Leah.
Tyla vide rosso per due secondi, poi esplose a sua volta: «Dico, sei rincoglionito?». Con il dito indicò la cassetta distrutta: «Io ti ho donato parte del mio tempo e lo spazio per poter realizzare questa fatica E TU ME LA BUTTI VIA COSI'?».
«Merita di essere buttata via» Spike fece un passo verso l'amico, scansando malamente con la punta dello stivale la cassetta spappolata «DEVE essere buttata via!».
Anche Tyla avanzò verso di lui, con la temperatura corporea che stava raggiungendo livelli altissimi: «Certo, buttiamo via anche il bene che ti vogliono gli amici per quella lì!».
«Non sto buttando via il tuo bene, Timothy!» il cantante dei Quireboys gli arrivò, in punta di piedi, a due centimetri dal naso, mentre gli sputava addosso quelle parole. Il suo alito sapeva di birra e amarezza.
«Invece sì» con un sibilo quasi impercettibile, l'amico gli restituì come un boomerang tutto l'astio che gli stava rovesciando addosso; poi alzò la mano aperta per scagliarla contro la sua guancia: «e non mi chiamare Timothy che mi dà FASTIDIO!».
Spike ridusse gli occhi ad una fessura, pronto a ricevere il colpo, mentre alzava l'avambraccio per proteggersi quanto bastava, ma in una frazione di secondo si sentì tirare indietro dalle mani di Jo intanto che Bam bloccava il braccio destro a Tyla dietro la schiena.
«Basta, smettetela tutti e due!» una voce femminile si intromise in quel contesto così carico di testosterone per cercare di raffreddare gli animi. Kat si piazzò esattamente a metà fra loro e li fissò con gli occhi saturi di disapprovazione: «Questo non è un comportamento maturo».
«Perché tu pensi che siano maturi?» si intromise Steve.
La risposta fu un corale: «Zitto» da parte di Tyla, Spike e Kat.
La ragazza si ravvivò i capelli biondi facendo un respiro profondo e poi riprese: «Qualunque cosa sia successa, Tyla, perché non gli fai spiegare il motivo del suo gesto?».
Spike si liberò dalla presa di Jo e fece spallucce: «Lasciamo perdere»
«E invece ne parliamo» Tyla gli puntò l'indice dritto contro e lo fissò in cagnesco.
Alla fine, il cantante dei Quireboys cedette: «Va bene, però vai tu fuori a prendere qualcosa di forte da bere e ci mettiamo in un posto tranquillo».
Dieci minuti dopo erano rintanati nello sgabuzzino del Dark Crimson Velvet, circondati da ramazze e secchi per lavare i pavimenti. L'aria aveva un odore a metà fra l'ammoniaca e la muffa ed era piuttosto umida; la lampadina che avrebbe dovuto rischiarare l'ambiente si era bruciata quando i ragazzi avevano acceso l'interruttore, quindi avevano dovuto ripiegare su una candela incastrata nel collo di una bottiglia vuota di Jack Daniel's. Sedevano l'uno affianco all'altro, con la schiena poggiata alla parete e lo sguardo puntato sulla fiammella arancione che si librava nell'aria, rischiarando a malapena i loro visi. Per il primo minuto stettero entrambi in silenzio, sorseggiando vodka liscia come se fosse acqua minerale dai loro bicchieri della Coca Cola, accompagnandola con sporadiche boccate di tabacco; fu Spike ad interrompere l'immobilità: «Ho visto Leah».
Tyla lo guardò con la coda dell'occhio, parlando dentro il bicchiere: «So che avevi appuntamento con lei stasera».
«Volevo darle quella dannata cassetta» Spike diede il colpo di grazia alla sigaretta e poi si mise a bruciare il filtro con la fiamma della candela «ma lei mi si è presentata con un francese».
Il cantante dei Dogs appoggiò il bicchiere a terra e corrugò le sopracciglia: «Ma... "quel" francese?».
Spike lasciò cadere quel poco che rimaneva del filtro direttamente nella fiamma: «Magari». Emise una corta e roca risata e si riempì la bocca di vodka.
Tyla annuì socchiudendo gli occhi: «Ho capito». Si voltò verso l'amico, guardandolo da dentro il fumo della Marlboro che stringeva fra le labbra: «Hai avuto la schiacciante conferma che tutti noi avevamo ragione».
Il ragazzo dagli occhi blu guardò per la prima volta in viso Tyla dopo il loro litigio. Lo fissò con consapevolezza ed amarezza, sentendosi crepato ma più forte; non sentiva più il bisogno di piangere, ma solo quello di urlare al mondo la propria rabbia.
Tyla inspirò a fondo dalla sigaretta e gli mise una mano sulla spalla: «Meglio tardi che mai. Vedrai che nei prossimi giorni ti sentirai meglio».
«Certo che avevo proprio le fette di salame sugli occhi» Spike si sentì le guance più calde mentre diceva quelle parole e ringraziò il fatto che la lampadina aveva deciso di tirare le cuoia quando loro erano entrati in quello stretto stanzino.
Il cantante dei Dogs annuì abbozzando un sorriso, poi spense la sigaretta contro il muro: «Però mi è girato il cazzo quando hai distrutto la cassetta. Sia per la fatica e l’impegno che ci avevate messo voi a registrare, sia per il fatto che io vi ho dedicato del tempo aiutandovi in questo piccolo progetto e mi sono visto ringraziare con un bel calcio nel culo».
Spike abbassò lo sguardo, parecchio imbarazzato, sentendo tutte le scuse che stavano per uscirgli dalle labbra completamente inutili.
«Per fortuna che ho imparato a fare sempre una copia in più di tutto» Tyla bevve l’ultimo sorso di vodka e si schiarì la voce «Una volta in Finlandia mi è caduta una cassetta fuori dal finestrino del treno mentre attraversavamo la steppa. Ti lascio immaginare le parolacce che ho detto. Ho dovuto rimettermi giù ad incidere il pezzo da capo con i ragazzi, anche se, alla fine, abbiamo ottenuto un risultato migliore». Il ragazzo si voltò verso l’amico e lo vide ridere sinceramente; sorrise a sua volta, sentendo un brivido di freddo percorrergli la schiena: finalmente un po’ di luce in fondo al tunnel. La luce che forse io non vedrò mai. Rilassò i muscoli del viso, sentendo la tristezza e la malinconia velargli la mente che nel frattempo volava qualche metro più in là, al di fuori di quel buco di cemento, in una stanza più spaziosa ed illuminata, dove Kat gli aveva detto che l’avrebbe aspettato ancora per un po’: «Ma non troppo Tyla. Sai, Jack non sa che sono qui; si incazzerebbe a morte se lo sapesse. Ti ha preso in antipatia e non so perché. Però io ti voglio bene e non voglio rinunciare a vederti».
Spike gli lesse negli occhi flebilmente illuminati dalla candela quella voglia così proibita, sbagliata e dolorosa di voler parlare con lei ancora per qualche minuto, così si alzò e raccolse il suo bicchiere: «Mi dispiace bello. Scusa per la cassetta e scusa per il tempo rubato. Ma sai una cosa?». Tyla non proferì parola, così il cantante dei Quireboys continuò: «Sono fortunato ad essere tuo amico». Detto questo gli diede le spalle ed uscì dallo sgabuzzino, lasciando Tyla ed il suo sorriso malinconico a volteggiare nel buio, rischiarato a malapena da quel timido moccolo aranciato incastrato in una bottiglia di whisky. Si diresse a passo deciso verso il bancone in legno scuro e grezzo del locale, ormai quasi vuoto, per andare a consegnare i due bicchieri svuotati dell’alcol. Salutò Julie con un fugace cenno della mano ed uscì in strada, dove l’aria umida londinese iniziò immediatamente ad accarezzargli amorevolmente un lembo della bandana rossa che gli scendeva sulla spalla. Spike sollevò gli occhi blu verso la lampadina di un lampione, pochi metri più avanti di lui; nell’alone giallastro rarefatte gocce d’acqua ronzavano alla pari di sciami di zanzare, indisciplinate ed innumerevoli, spostandosi seguendo il vento che arrivava dal Tamigi e sbattendo contro le sue guance, rendendole velate di pioggia. Rabbrividì, infilando le mani nelle tasche della giacca bianca ed incassando il collo, cercando di ripararsi dagli spifferi: meglio che mi sbrighi ad arrivare a casa… Guy avrebbe anche il coraggio di chiudermi fuori solo perché ho rivisto Leah per due secondi. Fece due passi, sentendo le suole lisce dei suoi stivali strisciare sull’asfalto bagnato, quando la sua attenzione fu attirata da due voci che risuonavano dal vicolo attiguo al locale.
«Senta, perché rompe mi le palle? Io non ho fatto proprio un bel niente. La colpa è di quello con i capelli rossi che era con me».
Delinquente.
«Se non ti spicci a svuotare le tasche, te le rivolto io. Quanto scommettiamo che ci trovo dentro quelle cinquanta sterline che sono sparite?».
Poliziotto.
Sapeva che era rischioso e sapeva ancora meglio che se si fosse fatto i cazzi suoi sarebbe stato meglio per tutti quanti, ma la curiosità vinse e Spike fece capolino dal muro del Dark Crimson Velvet e guardò le due figure muoversi in quel buio quasi totale, mentre tratteneva il fiato. Ascoltò il ragazzo sbuffare e trafficare con le dita dentro i jeans: «Questo è tutto quello che ho. Cinque misere sterline. Se le faccia bastare». A giudicare dalla voce, probabilmente ha la mia età.
Ci fu un attimo di silenzio, poi un tonfo sordo rimbalzò sulle pareti in mattoni del vicolo, seguito da un urlo strozzato e dal ragazzo che cadeva sulle proprie ginocchia: «Per stavolta accetto solo un quinto del totale che ti sei sgraffignato. La prossima volta non la passi liscia».
Spike strabuzzò gli occhi e fece qualche passo indietro in punta di piedi; doveva proseguire il suo cammino verso casa passando davanti al vicolo, ma non voleva assolutamente farsi intercettare dal poliziotto: se mi scambia per un complice mi massacra. Così si appoggiò al muro, ad una distanza ragionevole dal vicolo, e si accese una Lucky Strike.
Vide il poliziotto uscire dall'ombra a passo spedito e passargli di fianco; gli si fermò davanti, sistemandosi l'elmetto nero con fare arcigno: «Hai qualcosa da nascondere?».
Il cuore prese a martellargli nel petto per la paura; per essere uno delle forze dell'ordine, era aggressivo oltre misura. Cercò di mascherare il proprio nervosismo, stringendo più forte che poté la sigaretta, evitando che gli ballasse fra indice e medio: «Mi scusi?».
«Cosa ci fai qui a quest'ora?» fece un passo verso di lui e sguainò il manganello.
Spike deglutì rumorosamente, per paura di essere preso a botte ingiustamente: «Signore, io... sto aspettando mia sorella. Lavora qui dentro» si appiattì ancora di più contro il muro «si chiama Julie. Julie Gray».
Il poliziotto corrugò le sopracciglia, poi rimise a posto il manganello nella fondina: «Effettivamente le assomigli. So chi è» e senza salutare, si avviò per il marciapiede in silenzio.
Spike tirò un sospiro di sollievo e guardò il filtro della sigaretta che teneva nella mano destra; lo aveva stretto così forte che aveva assunto una forma ovale. Non si riesce nemmeno a tirare un po' di tabacco. Fece un passo verso il posacenere che stava fuori dal locale, quando una voce dietro le sue spalle gli urlò: «Tu sei veramente il fratello di Julie Gray? Quella di Newcastle?».
Il cantante dei Quireboys riconobbe la voce del ragazzo del vicolo; si voltò, sospettoso: «Come fai a conoscerla?». Si portò la sigaretta deformata alle labbra, cercando di assumere la sua miglior espressione di sfida: «Cosa vuoi da lei?».
Il giovane fece un passo in avanti, uscendo dal cono d'ombra dove era stato nascosto fino a quel momento. I capelli castani con i riflessi mogano gli incorniciavano un viso perfettamente sbarbato e dall'espressione furba, in cui spiccavano due grandi occhi color nocciola; le labbra carnose erano distese in un sorriso inaspettato: «Ma come Spike, non mi riconosci?».
«Dovrei?» non sapeva come reagire; se sentirsi più tranquillo perché chi aveva davanti sembrava amichevole oppure agitarsi ancora di più, perché magari poteva essere uno squilibrato.
Il ragazzo aprì le braccia, come se volesse mostrargli qualcosa di fin troppo evidente: «Dai Spike, andavamo a scuola insieme! Non puoi esserti dimenticato di Ginger!».
Spike si immobilizzò per qualche istante, poi corse a buttargli le braccia al collo: «Cazzo Ginger, sei tu davvero! Che figata, non sapevo che anche tu ti fossi trasferito qui».
«Già, sono un paio di mesi».
Spike non stava più nella pelle; fu assalito da una gran voglia di andare in qualche locale che rimaneva aperto fino al mattino per poter parlare con quel vecchio amico e di raccontarsi tutto quello che era successo negli anni in cui non si erano visti, ma Ginger lo anticipò: «Scusa bello, però ora devo proprio fuggire. Però se mi lasci il tuo indirizzo ti passo a trovare fra un paio di giorni».
«Volentieri» così gli annotò l'informazione su un volantino che Ginger teneva nella tasca interna della giacca e poi lo guardò correre via nella notte umida. Solo in quell'istante, mentre riprendeva il suo cammino verso casa, si ricordò della disputa che quel vecchio compagno di scuola aveva avuto con il poliziotto; ma di sicuro sarà stata una cavolata. Diede un calcio ad una lattina di birra mentre attraversava la strada: ogni tanto capita che le forze dell'ordine se la prendano con quelli un po' diversi. Salì le scale in tutta fretta e bussò alla porta del proprio appartamento.
Dopo qualche secondo, Guy fece capolino da dietro lo stipite: «Ah, ma sei ancora vivo? Ti ho visto sparire nel backstage e poi, quando sono venuto a chiamarti, non eri più lì».
«Sono andato a parlare con Tyla in un'altra stanza» Spike si tolse la giacca e rabbrividì «Vado a prepararmi un tè».
Guy lo seguì sospettoso fino in cucina: «E... com'è andata con Leah?».
Il ragazzo non si voltò a guardarlo negli occhi, ma gli parlò fissando davanti a lui e sputando veleno sull'antina dell'armadietto delle tazze: «Deluso». Fece una smorfia e lo ribadì: «Deluso in pieno».
Il coinquilino ghignò alle sue spalle in silenzio: ben svegliato bello.
Spike si voltò di scatto stringendo tra le mani la bustina di infuso, con il volto ancora segnato dal disprezzo: «Sai cos'ha fatto? Si è presentata con un altro francese! Non quello con cui mi ha tradito, NO! UN ALTRO! TI RENDI CONTO?».
Guy lo zittì, facendogli segno con le mani di abbassare il tono: «Non urlare, che è una certa».
Spike se ne infischiò: «Portami la chitarra».
«Che?» il coinquilino sgranò gli occhi «Così rasentiamo lo sfratto, sei matto?».
«Non ci sfrattano» il ragazzo dagli occhi blu gli consegnò malamente la bustina di tè e si avviò verso il soggiorno, verso la chitarra: «Siamo in pari con l'affitto».
Guy cercò di ribattere: «Ok, ma ricordi che ci hanno già richiamato più volte per rumori molesti?».
Spike scoppiò a ridere: «No, un momento; diciamo le cose come stanno. TU sei stato richiamato più volte per rumori molesti. Non sono io che faccio urlare la mia trombamica a squarciagola alle tre di notte e alle quattro e anche alle cinque».
Il chitarrista digrignò i denti, sibilando: «Ho già detto a Danielle di limitarsi, ma non mi dà retta».
Spike annuì con fare di chi non credeva ad una sola parola di ciò che aveva appena detto Guy e suonò un accordo di sol: «Ti piace?».
Guy arrossì di colpo: «Ma chi? Danielle?».
«Ma va!» il cantante scosse la testa, poi risuonò il sol seguito da un re ed un la: «Il riff intendevo».
Il chitarrista arricciò le labbra e si fece passare la chitarra; ripeté la sequenza, poi annuì soddisfatto: «Prendi carta e penna».
Spike afferrò il gesso e cominciò a scarabocchiare sulla lavagnetta della cucina:

Jenny was a shy girl I gave her my love
And everything she was dreaming of

Poi si voltò a guardare Guy: «Però lei sì».
Il chitarrista bloccò le corde con la mano aperta: «Lei chi?»
«Non fare il finto tonto».
Guy non aprì bocca e suonò nuovamente il giro.
Spike aggiunse altri versi sulla lavagna mentre canticchiava a bassa voce ciò che scriveva:

She don't want me that's alright
Ain't no reason no time to fight

Poi riprese a guardare il coinquilino: «Chi tace acconsente».
Guy diventò bordeaux: «Vai-a-fare-in-culo».
Spike sorrise rigirandosi il gessetto fra le dita.

I caught you out no word of a lie
See you walking with another guy
All ya said and all ya done
Oh baby, you did me wrong yeah

«Guarda che non c'è nulla di strano» cercò di rassicurarlo il ragazzo dagli occhi blu, ma Guy gli urlò contro:
«DANIELLE NON MI PIACE, CHIARO?».
Spike scosse il capo, mentre con il gesso incideva sulla lavagna il suo sentimento mutato per Leah. Si allontanò di qualche passo, poi lo cantò ad alta voce:

Hey you what can I do
Can't you stand by your man like the other girls can

Lui e Guy si guardarono negli occhi soddisfatti e fecero per scambiarsi un cinque, quando l'inquilino del piano superiore diede due colpi con il manico della scopa al pavimento: «Silenzio! Che c'è gente che dorme!».

   
 
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