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Autore: Neverland98    31/03/2014    4 recensioni
-Chi sei, come ti chiami?- vorrei avere un tono sicuro, ma la voce mi muore in gola; così ne esce solo un verso strozzato.
Lui non sembra scomporsi, continua ad osservarmi con i suoi occhi glaciali. Non dev'essere molto più grande di me, eppure lo sembra. E' bellissimo, i suoi lineamenti delicati e la sua carnagione lattea lo fanno assomigliare ad un essere sovrannaturale. Ne sono subito attratta. -Mi chiamo Arden, ma non vedo come questo possa aiutarti a risolvere il tuo problema.-
Deglutisco a vuoto, i battiti del mio cuore mi rimbombano nelle orecchie. -Che problema?-
Arden sfodera un sorrisetto cattivo. - Come farai ad uscire da qui-
-Da qui dove? E' soltanto un sogno- mi sorzo di sembrare tranquilla.
-Dici davvero, ragazzina? E allora perchè non ti svegli- mi prende in giro.
-Lo faccio subito-
Serro le palpebre, smetto di respirare, stringo i pugni.
Ma non succede niente, lui è ancora davanti a me.
Questo non è un sogno.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2. APPUNTAMENTI, SPECCHI E  CORVI
 

"I sogni non riguardano mai delle sciocchezze; non permettiamo infatti
che il nostro sonno venga  turbato da inezie" 
-Sigmund Freud



-Allora com'era il suo ufficio?- mi chiede Pete. 

-C'erano gli attrezzi da tortura?- gli fa eco Chris.

-Secondo me aveva gli scheletri dei suoi studenti conservati in teche di vetro... Ho ragione, Lia?- questo invece è Sam.

-Ma non dite sciocchezze! Altro che scheletri... C'erano i cadaveri mummificati, non è vero?- Lily dà il suo contributo.

-La volete piantare o no?- si intromette Kerr, bloccandoli con il suo solito tono autoritario. -Non le date nemmeno il tempo di respirare!-

-Hai ragione. Scusaci, Lia, è che siamo così curiosi...!- si giustifica Sam.

Io sorrido divertita. Siamo in mensa, al nostro solito tavolo. Da quando ci siamo seduti, nessuno ha ancora avuto il coraggio di toccare cibo. Dopo che, poco fa, Collins ha interrotto la lezione per riprendere me e Kerr che chiacchieravamo, e ha approfittato per ricodarmi “la strigliata che mi ha fatto ieri pomeriggio nel suo ufficio”, tutti i miei compagni di classe mi sono piombati addosso per assalirmi di domande. Com'era l'ufficio? Quanti teschi c'erano? Quanto era terrorizzante da uno a dieci? E così via. Menomale che Kerr mi ha soccorso, ormai ero sul punto di una crisi di nervi. Non ho ancora iniziato a leggere il libro che mi ha dato, comunque. Nè l'ho fatto vedere a qualcuno, mia madre compresa (che dopo scuola ha mantenuto la sua promessa di venirmi a prendere, figuriamoci!).

Riprendo la conversazione.-Vi capisco. Ma giuro che la sua stanza era un ufficio normalissimo, niente cadaveri o pugnali o roba del genere- mi ficco una forchettata d'insalata in bocca e finalmente anche gli altri mi imitano, come se si fossero ricordati solo in quel momento dei loro piatti.

-Forse ha messo apposto l'ufficio visto che dovevi andarci tu- ipotizza Lily, con un gusto particolare per le cose macabre.

-Forse- acconsento, infondo l'ho pensato anch'io.

-O magari tu non sei la vera Lia ma un clone robot creato nel suo laboratorio per ingannare noi altri studenti!- Pete mi punta contro la forchetta con fare accusatorio, fissandomi da sotto i suoi spessi occhiali da vista. Io scoppio a ridere e lui fa lo stesso, in breve stiamo tutti ridendo spensierati.

-Ciao- dice una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Mi volto e arrossisco violentemente. Davanti a me, vestito all'ultima moda, con i capelli biondi scompigliati e il sorriso ammaliante, c'è Damen. E mi sta rivolgendo la parola. Sono così felice che potrei spiccare il volo. Ha diciotto anni (è due anni più grande di me) e ho una cotta per lui da sempre. Peccato solo che sia il ragazzo più ricercato della scuola e abbia così tante ragazze da non poter pensare proprio a me. Sono ormai due anni che fantastico su come sarebbe la nostra vita insieme e riempio la testa a Kerr con i miei sogni irrealizzabili. Fino ad ora.

Kerr mi allunga una gomitata, per ricordarmi come si fa a parlare.

-Ciao...- balbetto, pregando di non passare dal rosso al viola.

-Sei Cecilia, giusto?- mi chiede, con la sua voce morbida e assolutamente sensuale. Sento le farfalle nello stomaco.

-Gli amici mi chiamano Lia- spiego con un sorriso. Anni e anni di libri e telefilm mi hanno insegnato qualcosa. In questo modo, se accetterà di chiamarmi Lia, accetterà anche di essere mio amico. E chissà, da cosa nasce cosa...

-Capisco. Be', Lia, ti posso parlare un attimo?- fa ruotare lo sguardo sui miei amici. -In privato?- aggiunge.

-Certo. Ragazzi, torno subito- dico con finta nonchalance, e mi allontano con Damen mentre Kerr mi fa l'occhiolino e tutti gli altri fanno gesti di vittoria.

Quanto adoro i miei amici.

Seguo Damen fuori dalla sala mensa e raggiungiamo il corridoio degli armadietti. Mi maledico per non essermi vestita meglio – pullover chiaro e leggins neri non sono esattamente il massimo – e mi chiedo cosa vorrà da me. Quando finalmente ci fermiamo, trovo il coraggio di chiederglielo.-Come mai volevi parlarmi?-

-Be'- inizia, passandosi una mano tra i capelli. Io mi mordo il labbro, fantasticando su quanto possano essere morbidi. -Ecco- riprende, sembra in imbarazzo. Mi chiedo come mai.

-Sai, dicono che ieri sei stata nell'ufficio di Collins.-

Wow, penso, se avessi saputo che serviva andare nell'ufficio di Collins per farmi rivolgere la parola da Damen, l'avrei fatto subito.

-Già- sorrido.

-Sei... Sei diventata molto popolare qui a scuola. Lo sai?-

Io scuoto la testa. Non è affatto vero, oggi è stato proprio come tutti gli altri giorni. Be', più o meno. In realtà mentre passavo con Kerr per i corridoi tutti mi fissavano e mi sorridevano come se fossi tornata dalla guerra. All'inizio pensavo che lo facessero per prendermi in giro (non ho una grande autostima), ma poi ha iniziato a farmi piacere. Ricordo anche di aver pensato che è così che deve sentirsi Damen ogni giorno.

-Invece sei diventata davvero molto popolare.- mi spiega. -Io non... non mi ero mai accorto di te, fino ad ora. E mi sento uno stupido, perchè solo adesso capisco quanto sei bella-

Non svenire. Non svenire. Non svenire.

-Io... Ecco... Volevo chiederti, ti va di uscire con me sabato sera?-

Vorrei mettermi a urlare per la gioia, ma mi sforzo di mantenere la calma. -Cioè domani?- non posso credere che manchi così tanto. Sì, esatto. Quarantott'ore sono tante per me, se mi separano da un appuntamento con Damen!

Lui annuisce, abbozzando un sorriso timido. Ma quanto può essere bello questo ragazzo?

-Sì, certo che posso.- sorrido, il cuore mi martella in petto.

-Allora ci vediamo davanti scuola alle otto, ti va?-

Certo che mi va, ma è stupido?

-Sì, perfetto.-

-Allora a dopo- e poi, giusto per farmi sciogliere ancora di più, mi dà un bacio sulla guancia e se ne va.

Rimango per non so quanto tempo con un sorriso ebete stampato in faccia e la mano sulla guancia che mi ha appena baciato. La campanella suona per ricordare a tutti che la pausa pranzo è finita, e per ricordare a me che un'ora in meno mi separa da domani sera.

Quando raggiungo la classe (un miracolo, direi, viste in che condizioni versa il mio cervello), Kerr mi tempesta di domande su quello che è successo. Le racconto brevemente dell'invito e mi soffermo soprattutto sul bacio.

-Com'è stato?- mi chiede, a bassa voce.

-Bellissimo, indescrivibile-

-Le sue labbra erano morbide?-

-Oh, sì. Come due marshmallow- dico con aria sognante.

Ridiamo entrambe.

-Waldorn! Taylor! E' dall'inizio della lezione che parlate, vogliamo farla finita?- ci riprende la prof. di inglese. -Ci scusi- dice umilmente Kerr, con la sua voce irresistibile, facendoci perdonare entrambe. Il resto dell'ora lo passiamo in silenzio, io, in particolare, a disegnare cuoricini sul quaderno.

Oggi sono riuscita a convincere mia madre ad andare e tornare da scuola a piedi, quindi faccio una parte del tragitto insieme a Kerr.

-Sai già che ti metterai, domani sera?- mi chiede.

Cavolo, non ci avevo pensato.

-Ehm, veramente no!- confesso. -Devi aiutarmi!- Kerr è bravissima in fatto di moda, non c'è da stupirsi se la metà dei ragazzi della scuola è innamorata di di lei.

-Okay, okay!- ci pensa un po'. -Mettiti una gonna!- esclama con un tono che non ammette repliche.

-Quale, quella nera di pelle o quella beige a balze?-

-Quella di pelle!-

-E sopra? Che maglietta?-

Con la sua voce che mi dà consigli su cosa indossare domani, arrivo a casa in tutta tranquillità. Giro la chiave nella serratura ed entro, non c'è ancora nessuno. Mamma sicuramente è ancora a lavoro e papà... be', papà ha lasciato mamma quando avevo sei anni. Me e mamma, per la precisione. E' stato allora che abbiamo deciso di cambiare città e trasferirci qui, anche se casa vecchia mi manca parecchio. Questa qui (quella nuova) è molto vecchia, ci sono tante cose da far riparare, doccia compresa. Ma è stata la prima che abbiamo trovato, e non costava nemmeno troppo. Durante i primi tempi ci ripromettemmo di comprarne un'altra appena possibile, poi abbiamo deciso di lasciar perdere e ci siamo tenute questa. Non è il massimo, ma l'ultima cosa che mi va di fare adesso è trasferirmi un'altra volta. Vado in camera mia e abbandono lo zaino per terra accanto alla scrivania. Ormai sono le otto, a momenti arriverà mamma e potremo cenare. Mi tolgo le scarpe scalciando e lego i capelli con un fermaglio, ignorando le numerose ciocche che mi ricadono sulle orecchie e sulla fronte. Infine, vado in salone e mi butto sul divano, un pacco di patatine sulle gambe, accendendo la TV e faccio un po' di zapping. Kika, la mia gatta domestica, si accorge della mia presenza e mi sale in grembo miagolando. Le accarezzo il pelo corvino e lei fa le fusa. L'ho trovata l'anno scorso, per strada, e ho deciso di adottarla. E' bellissima, il pelo è completamente nero e ha una particolare predilezione per me. C'è voluto un bel po' per convincere mamma a farmela tenere, visti i danni che rischiava di provocare al mobilio, ma adesso credo ci si sia affezionata anche lei. E così Kika è diventata parte integrante della nostra famiglia di sole donne.

Con una mano accarezzo il felino e con l'altra mi porto alla bocca qualche patatina, non molto attratta dal film che stanno dando in TV. Più che altro persa tra i miei pensieri. Sono successe così tante cose negli ultimi giorni.

Tutto è iniziato con il sogno; incubo, direi; poi l'allucinazione nella doccia; ma era davvero un'allucinazione? Non mi è mai capitato, prima; poi ancora il libro che mi ha dato Collins e infine l'appuntamento con Damen. Forse quest'ultima è l'unica nota positiva. Ripenso al sogno, allo specchio e ai corvi. Mamma conserva tra gli scaffali della libreria un volume di Freud sull'interpretazione dei sogni, forse potrei consultarlo. Lo studio dei sogni mi ha sempre affascinato. Sono una realtà tutt'ora incomprensibile, che a volte riesce anche a mostrare fatti che in seguito si verificheranno. Spero proprio che non sia il mio caso.

Faccio scendere Kika dalle gambe e mi alzo di malavoglia, combattendo la stanchezza di una giornata a scuola. Ciabattando mi dirigo verso la libreria e cerco tra i numerosi (e polverosi) volumi che contiene. Ce ne sono di tutti i tipi, libri di cucina, romanzi di vari generi, testi scolastici, quaderni, agende, album fotografici... Ma niente di Freud. Probabilmente mamma deve averlo buttato, in fondo credo che neanche lei l'abbia mai aperto. Sbuffo e ci rinuncio. Vado in camera mia perchè non mi va di stare seduta, sono troppo agitata. Ed è allora che mi ricordo del libro che mi ha datto Collins, abbandonato sulla mia scrivania. Non l'ho nemmeno aperto, ancora. Ancora. Decido di farlo adesso.

Come pensavo, è una sorta di “dizionario dei sogni”. Chissà perchè Collins vuole che lo legga e, soprattutto, chissà come fa a sapere del mio sogno. Il pensiero mi fa rabbrividire, magari il mio professore di matematica ha davvero qualche potere sovrannaturale. Mi siedo sul letto a gambe incrociate e sfoglio le pagine ingiallite del libro, pensando che debba essere molto vecchio. Mi fermo alla lettera C e cerco la parola “corvo.”

Dunque, “collana”. No. “Coccodrillo”... No.

Ah, eccolo.

“Corvo”

Leggo la definizione:

Il corvo è 'simbolo di idee oscure che scaturiscono dal profondo del subconscio di una persona; si tratta di pensieri tristi, malinconici, lugubri. Il corvo, infatti, colpisce per il suo colore nero, per il suo gracchiare tetro e per il suo nutrirsi di cadaveri.

Senza che me ne accorga, le lacrime iniziano a solcarmi le guance. Non so il perchè, in realtà. Ma evidentemente il mio subconscio sì. A volte vorrei proprio farci due chiacchiere.

Mi asciugo il viso con il dorso delle mani proprio mentre sento la serratura della porta scattare e mia madre che entra in casa. La sua voce mi giuge ovattata dal piano di sotto.-Lia, tesoro, sono io.-

E chi altro potrebbe essere? Vorrei dirle.

Sento i suoi passi lungo le scale e poco dopo me la trovo davanti, il sorriso stanco dopo una giornata di lavoro. Si avvicina per darmi un bacio sulla guancia, io la lascio fare.

-Come è andata oggi a scuola?- mi chiede, sedendosi sul letto accanto a me. Non posso fare a meno di notare i suoi occhi verdi e i capelli corvini, e pensare che da giovane dovesse essere stata una bellissima ragazza. Io non sono come lei, sono fin troppo simile a mio padre. Mi domando se avere vicino qualcuno così simile a lui non la turbi almeno un po'. A me non l'ha mai dimostrato, e le sono grata per questo.

Ecco perchè adesso sorrido. -Sì, certo. E tu?-

Mamma è la segretaria in un azienda importante, ecco perchè torna a casa così tardi. -Stressante come al solito- mi dice sorridendo e alzando gli occhi al cielo. Poi si accorge del libro che ho aperto tra le mani. -Hai comprato un nuovo libro?-

-No, me l'ha prestato Kerr- mento. Non mi va di spiegarle di Collins, perchè altrimenti dovrei anche parlarle dei miei sogni.

-Oh, e come si chiama? E' bello?- fa per toccare la copertina, probabilmente alla ricerca del titolo, ma io ritraggo il libro. -Sì, molto- le dico in tono freddo.

-Capisco. Immagino che tu non mi voglia dire di che parla. Eh, questi giovani d'oggi- mi fa l'occhiolino. -Ho ordinato le pizze, prima di arrivare a casa. Dovrebbero portarcele a momenti, va bene?-

-Sì- sorrido, cercando di essere il più gentile possibile. In realtà non vedo l'ora che se ne vada, voglio continuare a leggere il libro di Collins.

-Be', allora io sono in cucina.- mi dice prima di andarsene. Forse nutre ancora la speranza che mi vada a sedere insieme a lei, ma adesso proprio non posso. Non sono insensibile, e mi dispiace vederla soffrire per me, ma è anche per questo che non voglio coinvolgerla in quello che mi sta succedendo.

Riapro il libro e cerco “specchio”.

Nei sogni lo specchio è scoperta di se', consapevolezza, introspezione. E' uno strumento prezioso attraverso cui il sognatore arriva a scorgere ciò che nella situazione contingente è importante o ciò che deve considerare di se stesso.

Ragiono. Se i corvi sono le mie “idee oscure” e lo specchio è “ciò che devo considerare di me stessa”, allora c'è qualcosa di oscuro in me. Sono orgogliosa dell'intelligenza che ho dimostrato, ma la conclusione a cui sono arrivata non mi tranquillizza affatto. Non avrei mai pensato di dirlo, ma... devo parlarne con Collins. Non che mi fidi chissà quanto, ma ho bisogno di discuterne con qualcuno, e fin ora il mio prof di matematica è stato l'unico ad aver intuito ciò che mi sta succedendo. In fondo è stato lui a darmi il libro. Il problema è come fare ad andare nel suo ufficio di mia spontanea volontà senza convincere i miei amici di essere stata davvero sostituita da un robot. Magari potrei farmi rimproverare un'altra volta, forse addirittura rispondergli male. Sono certa che Collins capirà che quello che voglio è essere convocata nel suo ufficio e starà al gioco. Sì, farò così. Lunedì però, non domani. Domani è un giorno interamente dedicato a Damen.





Ebbene sì, aggiorno in fretta. Forse un po' troppo, dite? Naaa, è che non voglio farvi aspettare troppo ahahah <3
Be', fatemi sapere che ne pensate! :)

   
 
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