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Autore: Shirokuro    01/04/2014    4 recensioni
{ airplaneshipping | one-shot di 1350 parole circa | angst; introspettivo | non. ho. davvero. scritto. questa. cosa. }
Alzò il volto e rimirò quello della Capopalestra di tipo Elettro. Si avvicinò cauta e studiò il viso niveo, mentre la donna – accortasi di quella distanza fattasi più ravvicinata – ricambiava ciò. «Ancora non ti capisco.
«Vuoi cambiare, eppure sei bellissima, spumeggiante e non hai nulla da invidiarmi. Allora come mai vuoi cambiare? Perché la gente sparla di te? Loro non valgono nulla in tuo confronto. Non perderai notorietà e soprattutto io non cambierò mai idea su di te, noi tutti della Lega ti difenderemmo con le unghie» espose pacata, senza alzare la voce, semplicemente rivolgendosi a lei. Sorridendo, la bionda non rispose.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Anemone, Camelia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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C'è una ragione se nell'icon appare questa tenerissima Rina - che poi amo quest fan artist, veramente. La verità è che dato che non trovavo icons adatte di Anemone e Camelia non mi pareva adatta alle icons (?), ho usato il mio asso nella manica! Perché sì, non potete immaginare quanto la protagonista che si muove nell'Unima di due anni dopo gli eventi legati al mio storico OTP e relativi. Senza di lei, non eravate qui a leggere i miei epici sproloqui. Quindi eccovi la breve storia di come nasce questa one-shot dai toni particolarmente malinconici (NON FIDATEVI OK).
Ho scoperto che l'ultima volta che giocai a Pokémon Nero 2, risaliva al ventinove Dicembre duemiladodici. Sono rimasta abbastanza sbalordita quando vidi ciò - ero fissata con il PokéMusical e ovviamente i dati rimanevano impressi sulla bacheca dell'edificio una volta salvati e dato che successivamente vennero il Capodanno e la scuola, non mi è difficile capire che lo abbandonai al suo destino con quell'ultimo spettacolo Pokémon danzante. Mi sono precipitata nell'Asse dei Ricordi, rivenendo che Amelia che è una peste ha sbloccato due dei famosi ricordi. Così mi impongo di sbloccare i restanti del tempo in cui collegai la mia versione Bianca alla Nera 2 - ancora non so se ne vennero aggiunti altri o se sono scaricabili dalla NWFC. E l'ho visto, il Ricordo di Anemone, l'ho visto. Io, che shippo Airplane fin da prima di amare la FerrisWheel, ho interpretato quel flashback malinconico in maniera da rendere canon questa ship. Poi uno la vede come vuole (sì Ale, i riferimenti a te non sono molto casuali), ma fatto sta che sono in preda ai feels da allora.
Comunque, proprio perché è scritta in un momento di totale fangirling sulla coppia yuri che più amo in questo fandom, non aspettatevi un granché, nonostante una frase che ha scritto la mia beta (è l'ora dell'avventura! di creditare Class Of 13) che mi ha abbastanza inorgoglita. Tengo anche a precisare che il terzo ed ultimo paragrafo, contiene un riferimento al ricordo stesso - o più precisamente quel che Anemone dice dopo averle mostrato il suo ricordo - che ha veramente scatenato queste mie seghe mentali ♥
Mh. Non so se tornerò presto su questa sezione con una qualche one-shot, mi sto concentrando su altri fandoms quindi se torno, torno certamente con la Long o la Raccolta di drabbles (GIA', ME LA RICORDO E NON E' NEL DIMENTICATOIO). Bhe, cos'altro dire? Vi auguro col cuore una buona lettura.

 
Perché questo amore deve restare tra noi tre
   Silenziosa, ascoltava e basta. Anemone era disposta a qualunque cosa pur di aiutare Camelia. Le sue lamentele sui risultati finora ottenuti, in fondo, venivano comprese in questo suo aiuto.
   «Non devi cambiare» le aveva ripetuto fin troppe volte. La rossa non capiva davvero questo suo desiderio di voler stravolgere se stessa, non riusciva seriamente a decifrare quel comportamento infantile. Non ci riusciva e basta; per lei Camelia era perfetta così.
   Con quel suo modo di fare provocante e la postura innaturale quanto plastica, il suo accento tipico dell’Unima orientale – cosa che la Capopalestra comunque non comprendeva, dato che certamente non poteva averlo acquisito stando a Sciroccopoli tutto il tempo – e il modo stanco con il quale rispondeva alle chiamate. Tutto – per lei – era perfetto. Ma, sentendo le voci che giravano su di lei, Camelia aveva smesso di crederle.
   «Che t’importa se le tue freddure fanno pena o non sai fare battute?» Le domandava ingenuamente alle volte. Lei sorrideva e di tutta risposta chiudeva gli occhi, e la bionda che aveva sempre conosciuto, quella spigliata che rispondeva sempre pronta, spariva; diveniva una Camelia più anonima, lasciava trasparire quella parte di sé che solo l’aviatrice conosceva. «Perché potrei perdere notorietà e anche per te diverrei solo una conoscente» rispondeva.
   In quei due anni trascorsi assieme, tutti quei week end all’insegna di lezioni d’umorismo che parevano più confronti senza senso logico, nulla era cambiato. Camelia girava per le strade con quello stesso chiodo fisso e mai si era smossa dai giorni del Team Plasma, quelli in cui la modella di Sciroccopoli era stata sostituita dall’Allenatrice nonché Eroina e dal suo stesso rivale, quelli in cui tutti avevano cominciato a rivolgerle uno sguardo di apprezzamento in meno ed uno di scherno in più.
   Spesso, quando si sentiva a disagio, non si faceva scrupoli e correva da Anemone, anche in lacrime talune volte. A Ponentopoli si sentiva a casa più di quanto non fosse nella sua città, forse perché l’inseparabile amica di sempre risiedeva proprio lì. La Capopalestra di tipo Volante, però, aveva capito per qual ragione in realtà, la donna tornava sempre da lei.
   Anemone non rappresentava uno specchio dei tanti.
   Camelia aveva da molto tempo rotto tutti gli specchi di casa sua. Si odiava e guardando tutti quelli che abitavano nella sua città e che condividevano le sue stesse caratteristiche, il suo stato d’animo mutava; i colori sgargianti venivano contrastati da altri più scuri, la passione per la moda e le più disparate analogie. Anemone rispecchiava tutto quello che Camelia desiderava invece essere. Varie volte, per spiegarglielo senza diventare troppo profonda o falsamente drammatica, le diceva «Vorrei avere il tuo seno», considerando – oltretutto – l’evidente differenza tra le due.
   Rideva, la rossa. Non riusciva a capirla davvero. L’adorava così com’era. Eppure ambedue avevano pensieri fortemente contrastanti. 
   Un Sabato, durante l’ennesimo incontro, Camelia scoppiò dall’impazienza. «Allora, cosa vogliamo fare? Sono secoli che stai lì dentro», urlava. Anemone era sempre stata molto disordinata, la mattina vestirsi era un vero suicidio visto il caos che regnava nel suo armadio, ma proprio ora che più aveva bisogno di quel disegno che aveva preparato con tanta premura, non riusciva a trovarlo. 
   Gli occhi della rossa brillarono di commozione quando finalmente trovò il disegno. Corse immediatamente verso la donna e gli porse il figurino. «Questo sarebbe...?» Incitò incerta la modella. L’immagine fatta a matita, piena di cancellature e nient’altro che uno schizzetto, raffigurava quasi del tutto Camelia. L’unico dettaglio che non rispecchiava la donna era l’abbigliamento. «Il tuo nuovo outfit» rispose Anemone.
   «So che è poco, ma se vuoi cambiare, dovremmo iniziare così. Probabilmente non servirà a molto e non credo ti piaccia un granché, ma credo che ispiri qualcosa di innovativo e fresco e che tu voglia essere così, o mi sbaglio?» Mentre lei parlava freneticamente, la bionda analizzava attentamente il disegno; non poteva definirlo un capolavoro, né tanto meno un lavoro degno di uno stilista d’alto livello, oltretutto quel giaccone così pieno e gambe proporzionalmente scoperte non facevano il loro effetto, ma sorrise comunque.
   Si voltò verso Anemone, che aveva arrestato il suo discorso per attendere una risposta. «Grazie tante, amica mia» sussurrò. L’altra sfoderò il migliore dei suoi sorrisi e le si buttò a capofitto addosso, cingendo le braccia attorno al collo, cadendo sul pavimento. «Sono felicissima!» Esclamava mentre Camelia chiedeva di lasciarla respirare e quando il silenzio si fece padrone della casa, ambedue non fecero altro che guardare punti differenti, senza ragioni particolari.
   L’espressione di Anemone, però, si fece presto meno serena: perché? Perché era tanto felice di quello che stava accadendo, di vedere Camelia sorridere o di esserle stata d’aiuto?
   Alzò il volto e rimirò quello della Capopalestra di tipo Elettro. Si avvicinò cauta e studiò il viso niveo, mentre la donna – accortasi di quella distanza fattasi più ravvicinata – ricambiava ciò. «Ancora non ti capisco.
   «Vuoi cambiare, eppure sei bellissima, spumeggiante e non hai nulla da invidiarmi. Allora come mai vuoi cambiare? Perché la gente sparla di te? Loro non valgono nulla in tuo confronto. Non perderai notorietà e soprattutto io non cambierò mai idea su di te, noi tutti della Lega ti difenderemmo con le unghie» espose pacata, senza alzare la voce, semplicemente rivolgendosi a lei. Sorridendo, la bionda non rispose.
   Si alzò – scansando la Capopalestra – e raccogliendo il figurino, uscì dalla porta. «Lo farò realizzare, ok? Tu aspetta una risposta».
   Anemone non si mosse minimamente, rimase inginocchiata ed immobile a fissare l’uscio che combaciava quasi perfettamente con la porta stessa. Per qualche ragione non faceva altro che osservare il percorso che Camelia aveva compiuto.

   Finalmente Camelia si vedeva con quello stravagante coordinato. Lo specchio di Anemone, uno di quelli tipici di Ponentopoli, era molto più grande che prima aveva. Le braccia impossibili da vedere per metà e le gambe nude fino a metà coscia erano inguardabili e le ballerine poi, non capiva cosa c’azzeccassero con tutto il resto – che fine avevano fatto i tacchi?
   «Bellissimo» sussurrò. Anemone si chiedeva se sarebbe servito alla Capopalestra, ora ne era meno convinta che mai. Le lacrime che uscivano dai occhi spenti della bionda – tinta di nero oramai – non erano certamente di felicità. 
   Anemone lo sentiva chiaramente, quella non era lei. Non le interessava se aveva disegnato lei stessa quel completo, a Camelia non piaceva ed era evidente. «Toglili», le disse.
   «Perché mai?» Chiese di rimando, regolando la voce spezzata. 
   «Perché io ti avrei dovuta aiutare, non rovinare».
   «Non mi hai rovinata».
   «Sì, entrambe ci siamo rovinate! Guardati, a provare dei vestiti nuovi per cercare di sembrare una donna che non sei e mai sarai e io che ho fatto tutto questo per aiutarti, per starti accanto ciecamente, senza criterio, per essere qui».
   Il silenzio calò tra le due. Camelia si morse il labbro inferiore, non sapendo cosa fare. Strinse la giacchetta e le lacrime divennero più dense, cadendo sulla moquette. Si asciugavano in fretta, lasciando solo un alone grigiastro che faceva contrasto con il resto che le circondava; fragili, semplici da eliminare. Invece loro due non potevano dimenticare tutto talmente facilmente.
   Anemone si avvicinò all’altra, voltando il volto colmo di quelle righe che avevano lasciato un segno delebile quanto indelebile. La guardò cercando di capire perché continuasse a sorriderle, tanto ingenua o impazzita. L’aviatrice sgranò gli occhi, quando improvvisamente le dolci e rosee labbra di Camelia finirono sulle sue, provando stupore ed immenso calore.
   Senza preavviso, scorretto, ingiusto, senza senso, stupido, caldo, piacevole. Così sapeva descrivere quel gesto. Un bacio mai desiderato, eppure che in quel momento non poteva rifiutare. Innamorata o semplicemente sorpresa, Anemone ricambiò il tutto.
   Quando Camelia si allontanò, i suoi occhi – ancora gonfi – parevano chiedere perdono. Dopo qualche istante uscì dall’appartamento.
***
   Anemone non avrebbe mai creduto che confidarsi con Rina le sarebbe tornato utile. Dopo le poche nozioni ricevute in precedenza, spesso la castana tornava alla Palestra della più grande chiedendo di conoscere altri dettagli sulle vicissitudini passate con Camelia dopo quella richiesta e ora, in seguito a molti tentativi vani, aveva ottenuto il permesso per ascoltare la storiella che la riguardava.
   «Non ci parliamo più da allora. Oh, tu però non dire nulla a Camelia, d’accordo?» Chiese portando l’indice davanti alla bocca e sorridendo, mentre una lacrima si faceva strada sulla guancia.
   
 
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