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Autore: cassiana    07/07/2008    3 recensioni
[ST VOY] "Erano trascorsi cinque anni da quando la Voyager era tornata finalmente sulla Terra. Erano stati giorni convulsi, pieni di avvenimenti più o meno spiacevoli. I conti dovevano essere chiusi, i fili riannodati..."
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Chakotay/Janeway
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'End Game fixed up!'
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Nel tuo abbraccio è la mia casa
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono. Questa storia è scritta per puro divertimento e senza scopo di lucro.

Nota: I fatti si collocano dopo il ritorno della Voyager sulla Terra. Alcuni particolari, per motivi narrativi, differiscono lievemente quindi si può collocare la storia in una timeline alternativa (ma di poco!)   


San Francisco si affacciava al di là della spettacolare finestra panoramica in tutta la sua sfavillante bellezza. Kathryn sorseggiava una bibita e osservava la città sotto di sé. Non sembrava mai paga di riempirsi gli occhi con la vista della baia. Erano trascorsi cinque anni da quando la Voyager era tornata finalmente sulla Terra. Erano stati giorni convulsi, pieni di avvenimenti più o meno spiacevoli. I conti dovevano essere chiusi, i fili riannodati. C’era stata una corte marziale per tutti loro, un atto dovuto dissero i procuratori che avevano istruito il processo. E il capitano Janeway aveva dovuto riconoscere che certi dibattimenti si trascinavano da ben prima che la Voyager scomparisse nel quadrante Delta. Soprattutto per gli ex maquis dell’equipaggio le cose non erano andate affatto bene. Qualcuno era stato degradato, altri non erano stati ammessi nei ranghi della Flotta, come B’Elanna. Nonostante tutti i ricorsi e l’appoggio dell’ammiraglio Paris, l’ingegnere capo della Voyager si era dovuta rassegnare. Era un peccato che la Flotta perdesse un così valido elemento, avevano tentato di consolarla gli amici e il marito (che era stato degradato un’altra volta). La stessa Kathryn si era vista rinfacciare ben più di un comportamento scorretto o quanto meno avventato. Non era stata messa una pietra sopra a tutto, la Flotta non poteva permetterlo. Ma nonostante tutto avevano pesato sulla bilancia in maniera ben più ponderosa i numerosi risultati economici, politici e culturali che la Voyager e il suo equipaggio avevano portato alla Federazione. E questo era stato loro riconosciuto. Lei stessa era diventata  ammiraglio, un risultato a cui la sua ambizione di certo l’aveva spinta, ma che non si sarebbe aspettata così presto.
Kathryn aprì la porta finestra sulla terrazza e si sedette su una delle sedie di midollino intrecciato. Guardava il cielo e il mare congiungersi lontano nella notte. Ancorata alla baia c’era la sua nave diventata un museo. In qualche modo la confortava averla sempre sotto gli occhi, forse aveva scelto quella casa anche per quello. Avevano avuto tutti alcuni mesi di franchigia, ed ognuno li aveva sfruttati per stare con le famiglie. Lei si era mantenuta più o meno in contatto con tutti poi aveva passato qualche tempo con la sorella, la madre e la nipote. Sorrise quando si accorse che Molly aveva posato il capo sulle sue ginocchia, guardandola con quei suoi occhioni nocciola e muovendo piano la coda.
“Siamo in vena di coccole eh?” mormorò grattando dietro le orecchie il cane, ormai anziano, che uggiolò piano. Il sorriso sul volto di Kathryn si spense. Dopo il suo ritorno a San Francisco aveva occupato i suoi ultimi giorni di vacanza a rompere con Mark. E pensare che lei si era aggrappata alla sua idea per tutti questi anni con una tenacia, una ferocia che rasentava il delirio. Era convinta che lui sarebbe stato l’uomo della sua vita e lui sarebbe dovuto essere. Quello era l’obbiettivo che si era data e l’aveva mantenuto nonostante fosse caduta in molte trappole tese dalla solitudine. I giochetti mentali di Kashyk, le amnesie, Jaffen, l’amicizia sempre al limite con Chakotay, perfino la sua infatuazione per Michael, l’ologramma irlandese, erano stati altrettanti scivoloni da cui si era faticosamente rialzata.

Quando aveva rivisto Mark il suo cuore era sembrato quasi scoppiarle in petto, era stata nervosa, impaurita perfino. Aveva temuto che lui non l’avesse aspettata, che non l’amasse più. Ma quando l’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata lei aveva percepito ogni paura svanire. Erano tornati ad essere la coppia che erano stati, andavano a teatro, a cena fuori oppure restavano in casa, tranquilli. Non che la passione fosse mai stata la cifra del loro rapporto, riconobbe con amarezza Kathryn. Lei aveva intuito che ci fosse qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire, anzi si rifiutava di ammettere che qualcosa non fosse esattamente come se l’era immaginato per tutti quegli anni lontana. Ma poi Mark le aveva presentato una collega, Tara Qualcosa, e Kathryn aveva percepito con chiarezza assoluta la verità. Tara era una donna gradevole, una buona conversatrice, colta, che le assomigliava perfino un po’. Ogni volta che s’incontravano Kathryn non poteva non notare quanto affiatamento ci fosse tra il suo fidanzato e la sua amica, ma non era solo questione di affiatamento, c’era una complicità e una tensione che li spingeva continuamente l’uno verso l’altra sebbene si comportassero in maniera più che corretta. Kathryn li osservava e sempre di più si convinceva che loro sarebbero dovuti essere la coppia e lei l’amica.
Quando alla fine aveva rotto con Mark era una notte tiepida come quella, una notte che profumava di gelsomini ed arance. Erano seduti sotto il pergolato del loro bar preferito. Dopo qualche chiacchiera insipida lei lo aveva interrotto:
“Mark, io credo che sarebbe meglio chiudere tra noi”
L’uomo era rimasto a bocca aperta, poi l’aveva richiusa lentamente. Il suo volto si era fatto inquisitivo:
“Ma che cosa stai dicendo?” per un momento i suoi occhi si erano incupiti “Insomma, abbiamo aspettato tutti questi anni, e ora che diavolo stai facendo?”
“Lo so, lo so. Ascolta, quando ci siamo persi nel quadrante Delta i primi tempi avevo una tale nostalgia di te che mi sarei strappata la carne dalle ossa pur di non sentirla più. Ho sempre, sempre pensato a te. E quando sono tornata ero convinta che fosse tutto come prima. Ma non è stato così. Non lo è mai.”
“Che cosa vuoi dire?”
“Che siamo cambiati, io, tu…e non c’è niente di male in questo. Solo…bè credo che quello che c’è tra noi non sia quello che fa per noi”
Mark le era sembrato ancora più confuso. Non aveva torto, lei stessa era turbata. Dopo qualche secondo di silenzio Kathryn riprese a parlare:
“E’ che…oh al diavolo! Tu e Tara…”
“Non c’è mai stato niente tra noi!” l’interruppe con veemenza Mark. Kathryn aveva sorriso.
“Si, ti credo. Sei sempre stato così leale. Ma Mark quando sei con lei…t’illumini”
L’uomo aveva chinato la testa. Kathryn aveva sospirato:
“Quello che c’è tra voi è così evidente, molto più evidente di quello che c’è tra noi. Lei è in gamba, mi piace” gli aveva preso la mano. Mark aveva alzato la testa.
“Io ti voglio bene Kathryn”
“Anche io Mark ti voglio molto, molto bene e ti auguro tutta la felicità che ti meriti”
“E tu?”
“Ed io me la caverò, come al solito. Ed ora accompagnami a casa, ti dispiace?”
Si erano lasciati con un ultimo bacio sulla fronte. Era stato tutto molto dolce, molto civile. Era sempre così con Mark. Quando la porta si era chiusa dietro la sua schiena Kathryn aveva sentito una fitta feroce attraversarle il ventre. Si era piegata in due e si era accasciata a terra. Da sola si era trascinata fino al divano e aveva pianto tutte le sue lacrime. Tutte quelle che non si era permessa fino a quel momento. Non era solo per Mark che piangeva, ma per tutte le illusioni che erano svanite come bolle di sapone scoppiate da una mano crudele.
E l’unica persona da cui avrebbe voluto essere consolata, il suo migliore amico, non c’era. Il farabutto si era congedato e se n’era andato sul suo maledetto pianeta. L’aveva a malapena salutata. Si era così infuriata che per molto tempo non aveva neanche voluto sentirlo nominare. Dov’era quando aveva avuto più bisogno di lui?

Era sempre così, ogni volta che amava un uomo questi se ne andava, suo padre, Paul, Mark…
“La storia della mia vita” pensò amaramente.
Non sapeva quanto era rimasta sulla terrazza, le braccia le s’incresparono di pelle d’oca.
“Basta autocomiserarsi Kathryn” si disse, alzandosi energicamente dalla sedia. Rientrò in casa. In fondo ora aveva raggiunto il suo equilibrio. Era ammiraglio, aveva le sue conferenze e le sue lezioni all’Accademia, i suoi amici, la piccola Miral che la chiamava già zia Katie e che nonostante avesse la fronte liscia come il padre sembrava aver ereditato il carattere della madre. Harry che tutte le settimane che Dio mandava in terra le inviava un lungo olomessaggio ragguagliandola sulla vita sulla sua nuova nave. Tuvok la veniva spesso a trovare e giocavano insieme a scacchi o a dama, ma non a quell’infernale kal-toh vulcaniano. E seguiva da lontano i progressi di Anneke che faceva la spola tra l’Istituto Daystrom e le missioni ai margini del quadrante Delta.
E poi aveva la sua bella casa, un gran bell’attico affacciato sulla baia. Una pazzia che aveva voluto concedersi e di cui non si era mai pentita. Una grande casa ariosa e piena di luce che aveva arredato con cura maniacale. Non l’avrebbe confessato neanche sotto tortura ma quello sembrava essere il classico comportamento di chi aveva subito un trauma, era come se volesse compensare i lunghi anni nel buio e nella ristrettezza della Voyager.
Guardò ancora una volta il messaggio olografico che le era giunto quella mattina. Era di Chakotay: stava tornando. Kathryn non sapeva se essere più arrabbiata o contenta, insomma dopo quattro anni lui si ripresentava così come se niente fosse. Era una cosa che le faceva male. Però aveva talmente nostalgia di lui, anche se non avrebbe voluto ammetterlo, che la possibilità di vederlo la riempiva di trepida attesa. Era sempre stato così con lui, una specie di danza del gambero: un passo avanti e due indietro. Il problema era che Kathryn non sapeva decidersi cosa voleva. L’indomani sera dopo quasi quattro anni l’avrebbe rivisto.

Chakotay premette il pulsante dell’ascensore corrispondente all’attico. Man mano che i piani scivolavano giù i ricordi gli si affacciavano alla mente uno dopo l’altro. Dopo la corte marziale aveva raggiunto un accordo: si sarebbe congedato prima che lo facessero loro con disonore. Così aveva lasciato la Flotta, aveva lasciato Anneke e aveva lasciato la Terra. Quando pensò alla ragazza bionda scosse lievemente la testa. La loro storia era durata poco più dei festeggiamenti per lo sbarco. E’ che lui per un momento era stato sedotto dal ruolo del pigmalione, ma ripensandoci non aveva più voglia di storie complicate, di donne complicate, non dopo quello che aveva passato. In un’improvvisa folgorazione si era reso conto che si era sempre scelto donne difficili, di carattere. Prima B’Elanna, poi Siska, il solo pensiero di quella serpe ancora lo svegliava di notte. Forse non aveva mai odiato tanto qualcuno. E Anneke e poi, bè, poi c’era stata Kathryn che quanto a carattere non aveva niente da invidiare a nessuno! Chakotay guardava i pulsanti illuminarsi l’uno dopo l’altro e riflesse che era stato il suo bisogno di conflitto che lo tormentava da sempre a spingerlo verso donne di quel tipo. Ma poi era cambiato tutto. Aveva avuto bisogno di cambiare vita ed era tornato al suo vecchio amore, l’antropologia e alla sua famiglia su Dorvan V. Aveva ripreso gli studi, si era aggiornato, aveva anche pubblicato alcuni articoli. Non era certo il materiale che gli mancava. Aveva raccontato alla sua gente l’incontro con i loro padri ancestrali e c’era stata una grande emozione. Per un po’ qualcuno aveva anche pensato che fosse una sorta di guida spirituale ed anzi molti avevano cercato di spingerlo verso quella direzione. Ma Chakotay si sentiva tutt’altro che una guida. Era stato anzi preso da quello che lui scherzosamente chiamava il morbo della mutanda bollente. Gli era presa questa smania e a quanto pareva l’unica cura realmente valida era quella di passare da un letto all’altro, cosa che lui aveva fatto con assoluto fervore. Non che se le andasse a cercare, ma le donne sembravano cadere ai suoi piedi e lui, da signore qual era, non poteva certo lasciarle lì per terra! Adesso era pentito di quel comportamento, con alcune si era comportato da vero mascalzone, ma non aveva voglia di complicazioni, non più.  Aveva deciso che era il momento di cambiare soprattutto adesso che era tornato sulla Terra, che avrebbe ricominciato a frequentare Kathryn. Provava una curiosa sensazione, non ci sarebbero più stati protocolli da seguire, la cosa gli procurava un certo formicolio che lo rimescolava tutto. La verità è che aveva accettato la cattedra in etnologia che gli aveva offerto l’UCLA perché gli mancava Kathryn. Strinse con forza la bottiglia di vino californiano che aveva portato per l’occasione. Quella sera avrebbero cenato da lei: “A patto che cucini tu!” aveva imposto Kathryn.
Chakotay fece un largo sorriso quando l’amica aprì la porta. La fotografò in un unico sguardo e quel che vide gli piacque. La sua figura si era ammorbidita, i capelli le erano cresciuti un po’ e le accarezzavano le spalle morbidi. Portava pantaloni di cotone al polpaccio e una semplice tunica di garza bianca. Ai piedi aveva delle infradito e l’unico vezzo erano le unghie color rosso scuro. Era ancora più bella di quanto ricordasse.

Kathryn era ancora un po’ arrabbiata quando aprì la porta. Non sapeva cosa aspettarsi, era contenta di rivedere Chakotay, ma certe ferite erano difficili da rimarginare. Quando rivide il sorriso tutto fossette del suo vecchio amico, per poco non si sciolse come una gelatina. Sembrava, se possibile, che fosse migliorato con gli anni: era dimagrito, abbronzato, i capelli tagliati di fresco. E il sorriso, ancora più splendente di quanto ricordasse, fu un vero colpo basso. Mentre lui si chinava a baciarla su una guancia lei gli tese la mano. Riprovarono imbarazzati e scoppiarono a ridere. Risolsero entrando semplicemente in casa.
“Mi hai procurato le cose della lista che ti ho mandato?” chiese Chakotay porgendole la bottiglia di vino. Si fermò un momento ad ammirare la bella casa di Kathryn. Un’ ampio salone arredato in maniera eclettica, con mobili moderni ed elementi tradizionali a fare da contrappunto. Un grande divano bianco ad angolo e pieno di cuscini colorati catturava lo sguardo. Kathryn lo guidò verso la cucina attrezzatissima separata solo da un’isola dal resto della casa. Chakotay fischiò d’ammirazione.
“Mi chiedo a cosa ti serve tutto questo ben di dio…”
Con una smorfietta Kathryn rispose:
“Ovvio, a far cucinare gli amici!”
Chakotay scosse la testa sorridendo. Mentre preparava la pastella per la tempura di verdure, Kathryn aprì la bottiglia di vino.
“E’ della Napa Valley, se fai attenzione noterai un lieve retrogusto agrumato”
La donna bevve un piccolo sorso.
“Sei diventato anche un esperto di vini?”
“Veramente…l’ho letto sull’etichetta!”
Scoppiarono a ridere. L’atmosfera si era fatta sempre più rilassata. In pochi minuti le verdure furono fritte a puntino. Era il momento di cuocere i piccoli saccottini di pasta fillo ripieni di seitan al sesamo. Kathryn era affascinata dal modo con cui l’amico si muoveva per la cucina come se fosse la sua. Le sue dita agili che smuovevano le pietanze nella padella o il modo con cui si portava il bicchiere alle labbra quasi sovrappensiero. A lei non rimase che preparare la macedonia. Sbucciò in maniera grossolana le pesche, le pere, le arance, e tagliò i frutti in pezzi difformi e sgraziati. Si vergognò quasi. Per fortuna erano troppo impegnati a parlare per notare il disastro. E continuarono a parlare anche mentre apparecchiavano sulla terrazza. Chakotay era rimasto senza parole solo nel constatare la splendida vista sulla baia.
“Non riesco a credere che tu sia diventato un accademico, quasi mi aspettavo di vederti con una giacca con le toppe e gli occhialini da prof!” scherzò Kathryn. Parlarono del secondo figlio in arrivo per Tom e B’Elanna e della quantità immorale di soldi che lei stava guadagnando con la sua compagnia. Chakotay la ragguagliò su Anneke che insieme a Icheb aveva brevettato i nanoidi borg.
“Quel ragazzo ha sempre avuto un grande spirito d’iniziativa!” commentò Kathryn. Disquisirono dell’ultima trovata del Dottore che aveva trovato il modo di non farsi riprogrammare, ma era diventato il cicerone della Voyager. E si era trovato una nicchia tutta sua conducendo un programma di divulgazione scientifica all’olotelevisione. Dopo la macedonia era calato tra loro un confortevole silenzio intenti com’erano ad osservare la notte.
“E tu Kathryn? Come ti senti?” esclamò all’improvviso Chakotay.
Sola, avrebbe voluto rispondere lei, invece disse:
“Bene! Ho una bella casa, un ottimo lavoro che mi tiene impegnata anche più di prima, buoni amici…insomma sono diventata una tranquilla donna di mezza età”
L’espressione sul viso di Chakotay era incredula e canzonatoria.
“Tu una terricola? E’ impossibile quasi quanto me come professore!”
scoppiarono di nuovo a ridere. Con una smorfia Kathryn cominciò a contorcersi.
“Ecco una cosa che sulla Voyager non mi mancava: maledette zanzare!”
“Eppure anche loro fanno parte dell’ecosistema”
“Non del mio!” piagnucolò Kathryn continuando a contorcersi per grattarsi la schiena.
“Vuoi una mano?” si offrì Chakotay. Si sedette accanto a lei e cominciò a grattarle la schiena. La donna mugolò di piacere, non c’era cosa più deliziosa.
Senza quasi che se rendessero conto le mani di Chakotay s’infilarono sotto la casacca, a grattare la schiena nuda. Questo provocò altri mugolii.
“Ci hai sempre saputo fare con le mani”
Le grandi mani ardenti si fermarono sui fianchi. Kathryn sentì il respiro di Chakotay sulla nuca, si girò a metà.
“Niente giochetti Chakotay” mormorò.
“Non ho mai voluto giocare con te” sussurrò di rimando l’uomo.
I loro occhi restarono incatenati in un lungo sguardo, le labbra si cercarono e si unirono. Le mani di Chakotay si mossero ad accarezzarle i fianchi. Il bacio divenne più intenso, con forza l’uomo rivoltò Kathryn verso di sé e le carezze divennero più ardite ed impazienti. Lei si sottrasse per un poco alla smania di Chakotay.
“Sto bruciando Kathryn” mormorò con voce rauca lui contro il suo collo. Ricatturò le sue labbra.
“Vuoi fare l’amore qui, davanti tutta la baia?”
Chakotay ghignò. “Allora mostrami la camera da letto.”


Kathryn aveva gli occhi aperti, Chakotay dormiva. Guardò il suo profilo irregolare stagliarsi nella penombra. Avevano fatto l’amore in maniera convulsa, quasi non potessero più aspettare un solo minuto di più. E lei aveva adorato Chakotay ogni singolo istante, accoglierlo fra le proprie gambe, sentire il suo peso che la schiacciava contro il materasso, il sapore della sua pelle. Era stato vorace, impetuoso, quasi aggressivo nella sua foga e lei l’aveva lasciato fare perché lo desiderava più di quanto non avesse mai potuto immaginare. Erano collassati insieme in un puro delirio di felicità. Poi Chakotay le aveva chiesto scusa per la propria irruenza e lei era scoppiata a ridere. Era bello riposare contro il suo petto, intrecciare le mani e continuare a baciarsi come due adolescenti al primo amore. Le carezze e i baci avevano risvegliato i loro corpi, si erano esplorati ad occhi chiusi, con le mani e le labbra e avevano ricominciato a fare l’amore, adagio. Avevano tutto il tempo del mondo. Kathryn a volte si chiedeva come il sesso poteva dare quelle sensazioni quasi mistiche e adesso se lo chiese di nuovo e di domandò anche se quello che c’era stato fra loro fosse stato solo  un puro stravolgimento della ragione. Il punto di non ritorno a cui avevano anelato dalla prima volta che si erano visti. Perché, Kathryn lo sapeva, tutto sarebbe cambiato da quel momento in poi e non sarebbero più potuti tornare indietro. Si alzò senza far rumore e si avvicinò alla porta finestra. Cercava di trovare un senso al groviglio di sentimenti che la riempiva, aveva desiderato Chakotay, l’aveva amato come un amico, lo aveva cercato e poi lo aveva allontanato e odiato e amato di nuovo. E si erano fatti del male, come solo le persone che si amano forse sono capaci di fare. La Voyager riempiva la notte. Forse per loro sarebbe cominciato un nuovo viaggio, non meno avventuroso e rischioso di quello nel quadrante delta.
“Che stai facendo?” la voce soffice e rauca di Chakotay lacerò il silenzio. Kathryn non rispose, non si voltò nemmeno. Chakotay si alzò e si avvicinò a lei. L’abbracciò da dietro e la baciò sul collo.
Il loro riflesso si sovrappose all’immagine della Voyager. Kathryn osservò i due volti riflessi e si sentì al sicuro, protetta. Tra le braccia di Chakotay, si sentì finalmente a casa.
   
 
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