Note
autore:
Storia by earlgreytea68,
originariamente postata su Archive Of Our Own, al link:
http://archiveofourown.org/works/618913
Traduzione a cura di:
_opheliac.
Beta: PapySanzo89,
sempre grazie a lei e al piccolo aiuto dall’esterno.
Letters: Redux
Caro John,
è
uscito fuori che sono ancora non-morto.
--Sherlock
****
Caro John,
Immagino che
dovrei chiarire un po’ la cosa, spiegarla
meglio, ma
Ti ho inviato
tutte le lettere. Tutte le stupide, stupide
lettere. Non posso neanche immaginare cosa
Avrei dovuto
essere morto. Non capisco come sono riuscito a
tirarmi fuori dalla situazione e a ritrovarmi ancora vivo.
--Sherlock
****
Hai letto le
lettere? Vorrei poter sapere se hai letto le
lettere.
****
Il punto
è, ero un disastro
quando le ho scritte. Lo capisci? Devi. Sono sicuro, se le
hai lette, devi
averle fissate e devi esserti chiesto cosa mi sia preso e se abbia
perso la
ragione. Ho ovviamente perso la ragione. Sono ancora qui a scriverti delle lettere.
****
Caro John,
l’ultima
lettera, poi
****
Intendevo ogni
singola parola di quell’ultima lettera, John.
Ogni singola parola.
--Sherlock
****
Scommetto che
hai ricevuto le lettere e le hai gettate via. È
questo che hai fatto, non è vero? Eri furioso con me, quindi
le hai gettate
via.
****
E dopo sei andato e le hai recuperate,
vero? È così
da te. Sei andato e le hai
recuperate e le hai lette tutte.
E COSA HAI
PENSATO?
****
Caro John,
sto per
spostarmi in Siberia.
--Sherlock
****
Caro John,
sono arrivato in
Siberia.
La
verità è che non lo sto facendo per evitare te.
Lo sto
facendo per evitare tutto.
****
Mi ero
ripromesso che avrei messo tutto su carta, una volta
arrivato in Siberia, e invece ho scritto tre frasi e mi sono fermato, e
non è
Inizierò
adesso:
Caro John,
penso che ormai
saprai che sono vivo. Non sei stupido, e hai
appena ricevuto una pila di lettere chiaramente datate dopo la mia
morte.
Quindi sai che sono vivo, o lo sospetti. Possibilmente sei andato a
parlarne
con Mycroft. Non so cosa Mycroft ti abbia detto. Dovrei tenermi in
contatto con
lui ma non posso
Sono così stanco,
John. Sono stanco come non lo sono mai stato prima. Prima il mio
problema era
sempre stato la troppa energia. Anche i giorni in cui ero letargico,
ero
comunque irrequieto sotto sotto, cercando disperatamente di non
annoiarmi. E
ora sono così stanco da non poter pensare lucidamente. Mi
è servito ogni
residuo di energia che avevo per trasferirmi qui in Siberia.
Voglio che torni
tutto com’era prima, tutto. Tutto.
Voglio riavvolgerci, tornare
indietro al giorno dopo che ti ho incontrato, quando hai ucciso il
tassista per
me e siamo andati a mangiare cinese e siamo tornati
all’appartamento molto
tardi. Eri leggermente ubriaco, frastornato dall’adrenalina
residua dallo sparo
e dal drink che avevi bevuto al ristorante. E l’appartamento
era ancora nuovo
per te, così non sapevi dov’era
l’interruttore della luce. Sei entrato prima di
me, e hai cercato a tentoni l’interruttore, e hai ridacchiato
al non essere in
grado di trovarlo, ed era buio, con solo le luci dalla strada che
entravano
dalla finestra, e avrei voluto spingerti contro il muro e baciarti,
assaggiare
la risata sulle tue labbra, bere la tua adrenalina, farti mio. Avrei
dovuto
farlo. Voglio riportarci indietro e voglio farlo.
Avrebbe cambiato tutto. Non so se avresti risposto al bacio come avrei
voluto.
Ero spaventato che non l’avresti fatto. Ecco
perché non l’ho fatto. Averti lì
dopotutto, dissi a me stesso, era meglio del non averti affatto.
Perché
se non avessi sentito le stesse cose, te ne saresti
andato. Non saresti mai rimasto a condividere con me
l’appartamento. E forse
sarebbe stato meglio per entrambi. Non sentirei così tanto
la tua mancanza,
come potrei, se non mi fossi abituato alla tua presenza? E non ti avrei
rovinato nella maniera in cui so di aver fatto.
Ma se avessi
risposto al mio bacio
Avrei dovuto
baciarti. Avrei dovuto accettare cosa eravamo.
Non l’ho fatto, e ci ho portati a questo punto, e mi dispiace
così tanto.
Mi manchi con la
disperazione di
Mi manchi.
Quanto
è testardo il corpo umano. Il modo in cui il mio cuore
continua a battere e i miei polmoni continuano a respirare, anche se io
mi
sento morto.
Immagino che
dovrei essere morto, quindi ha senso che mi
senta tale. Mi chiedo se sia una conclusione inevitabile che se uno
finge la
propria morte allora poi si senta morto, anche se tecnicamente rimane
vivo. Una
qualche sorta di suggestione mentale psicosomatica, o qualcosa del
genere. Come
la tua zoppia, forse. Come condurre questo esperimento. Impossibile.
Sono un esperimento
unico, e il resto del mondo è il gruppo di controllo.
È
possibilmente la cosa più giusta che abbia mai scritto
nella mia vita. Non ci rifletterò ulteriormente.
Ritornerò al punto della
lettera:
Mi manchi.
Vorrei poter
Se dovessi farlo
di nuovo, ti direi ogni giorno che ti amo.
****
Caro John,
avendo riletto
la lettera precedente, non sono sicuro di
esserne felice. Non sono sicuro che comunichi quello che volevo
comunicare,
cioè quanto ti amo e mi manchi e quanto abbia reso tutto un
disastro. Ho
promesso che avrei scritto tutto su carta, ma non so come fare. Posso
dirti che
ti amo, posso dirti quando è iniziato, ma dire il resto,
usare parole per dire il resto,
è impossibile.
E non è una parola che uso con leggerezza.
Ho rovinato ogni
cosa. Ogni cosa. Se sapessi in che stato mi
trovo al momento, mi uccideresti tu stesso. Sto cercando di ricordare
l’ultima
cosa che ho mangiato. Penso di
aver
mangiato un cracker l’altro giorno. O qualcosa. Hmm, devo
aver mangiato più di
quello, per necessità biologica, visto che sono
apparentemente ancora vivo, ma
non riesco a ricordare. Ne saresti sconvolto.
E avevo tutto.
Tutto quello che avrei mai voluto. Avevo te,
che è più di quanto avevo mai
realizzato di volere e più di quello che avrei mai pensato
di poter avere.
Avevo te, ogni notte e ogni mattina e ogni momento in mezzo. So che eri
solito
essere esasperatamente confuso dalla mia tendenza a parlare con te
anche quando
non eri nell’appartamento, ma non penso tu abbia mai capito:
non lo facevo
perché non mi rendevo conto che non eri lì, lo
facevo perché, per me, tu eri sempre
lì, eri ovunque, ti portavo con
me, un punto fermo come il cuore nel mio petto. Quei momenti in cui non
eri
accanto a me erano dati non importanti, irrilevanti, eliminati non
appena
accadevano. Mi hai accusato di essere una macchina, l’ultima
volta che abbiamo
parlato faccia a faccia, ed avevi davvero ragione letteralmente
parlando,
perché ero come una
macchina, che
prendeva vita soltanto in tua presenza. Il resto della mia vita non
esisteva,
per me.
E lo sapevo
– lo sapevo
– prima di buttarmi da quel tetto. Sapevo ogni
briciola di quello che ti
sto dicendo. Le emozioni non sono una cosa così estranea da
non riconoscere che
ero innamorato di te, così disperatamente, in maniera
così devastante, tutti
quei cliché poetici che si sono rivelati essere accurati.
Quello che non sapevo
è quanto mi saresti mancato, quanto la tua perdita avrebbe
Se chiedi a
Lestrade o a Mycroft di me, ti diranno qualcosa
di sorprendentemente simile, cioè che faccio sempre un passo
di troppo.
****
Caro
John, scrisse
Sherlock, sul pezzo di carta
di fronte a lui. Aveva appena finito di rileggere l’ultima
lettera che aveva
scritto, e ne era insoddisfatto esattamente com’era stato con
la lettera
precedente. Non ci stava riuscendo, come aveva fallito miseramente in
molte cose
nel passato recente, e il suo braccio stava dolendo e il suo fianco
faceva male
e il vento ruggiva al di fuori e scuoteva i muri della baita.
Sherlock si
accigliò e batté la penna sulla scrivania e
guardò le lettere del nome di John, la curva della J, il taglio della coda della n.
Il nome più comune, semplice e stupido del mondo.
Praticamente una presa in
giro, così comune, semplice e stupido. E Sherlock
l’aveva detto così tante
volte al giorno, detto con affetto e irritazione e paura e lusinghe e
senza
pensarci, e non aveva smesso di pensare a come il non dirlo
più avrebbe causato
che il nome gli sarebbe rimasto bloccato in gola, soffocandolo, come
accatastato in una fila disordinata.
Il bussare alla
porta fu così inaspettato che per un attimo
pensò fosse il vento che faceva sbattere qualcosa, fuori. E
dopo successe di
nuovo. Sherlock guardò la porta e prese la pistola dalla
scrivania vicino alla
lettera che non stava riuscendo a scrivere. Non sembrava probabile che
un
assassino avrebbe prima bussato, ma sembrava improbabile che chiunque bussasse alla sua porta. Era
andato contro diversi dolori per essere morto,
meticolosamente e in maniera assoluta, stavolta. Supponeva di
aver chiuso
con ogni contatto umano.
Bussarono di
nuovo, e la curiosità ebbe la meglio, come
accadeva sempre. Sherlock non era incline a vestire i panni del Buon
Samaritano, ma doveva sapere chi stava girovagando per la Siberia nel
bel mezzo
di una bufera infernale. Quindi tenne la pistola carica e pronta a
sparare e si
mosse per aprire la porta.
Della neve
entrò vorticando, insieme ad una sferzata d’aria
fredda, e Sherlock dovette strizzare gli occhi resistendo a quella
forza,
mozzandogli il respiro, e quando riuscì a vedere attraverso
il candore che gli
stava davanti, vedere la scura e solida figura di un uomo, seppe chi
fosse
quasi immediatamente e si rifiutò di crederci,
perché era impossibile, perché
doveva star avendo le allucinazioni, perché….
Il nome nacque
nella sua gola e traboccò dalla sua bocca e lo
soffocò mentre usciva. Per la prima volta in sei mesi e nove
giorni, Sherlock
Holmes disse ad alta voce, “John.”
Note
della traduttrice:
Ecco qui la terza parte di letters,
breve e straziante
come mai. Chiedo scusa per il piccolo ritardo nella pubblicazione, la
vita
reale mi reclama sempre più prepotentemente e difficilmente
riesco a
resisterle! Questo capitolo ha portato un paio di problemi per
l’utilizzo di un
paio di metafore particolari ( sono sicura che riuscirete a capire
quali sono!
) e ho richiesto una breve spiegazione ad earlgreytea68
al riguardo..E’ tanto contenta che la storia
piaccia anche al fandom
italiano, e porgo qui i suoi ringraziamenti per le recensioni!
La quarta ( e penultima, ma fino ad
un certo punto )
parte arriverà tra al massimo una decina di giorni. A presto!
_opheliac