Premessa: La storia si
svolge a metà fra una missione del passato di
Allen e Lenalee, in Finlandia,
mentre l'altra metà durante un presente in cui la ragazza
affronta Eishi il
pittore, un akuma di livello tre.
Quando ormai Lenalee capisce di star morendo, in qualche modo riesce a
raggiungere Allen però...
Näkemiin
Era una
missione come le altre.
Più
o meno.
"Perchè
non ci è andato il signor
Komui?"
"Mio
fratello ha detto che era occupato, e
che comunque potevamo cavarcela da soli"
"Si... Ma..."
Il ragazzo
guardò fuori dal finestrino, lo
sguardo perplesso. Il paesaggio scorreva veloce davanti ai suoi occhi;
distese
verdi intervallate qua e là da qualche macchia
d’acqua dominavano il paesaggio
Finlandese.
La ragazza
davanti a lui notò l'espressione sul
suo volto e, sporgendosi leggermente in avanti, gli domando: "Qualcosa
ti
turba?"
Lui si
voltò di colpo, gli occhi puntati in
quelli di lei.
"No,
cioè... Non lo so"
Il silenzio
calò per un attimo fra loro, subito
interrotto, però, dalla risata sommessa della ragazza.
Lui, dal
canto suo, inarcò un sopraciglio,
sbuffando.
"Lo trovi
tanto divertente, Lenalee?"
"No,
scusa... è che... sei tanto buffo
Allen-kun!" le lacrime, appena asciugate, tornarono a bagnarle gli
occhi.
"Sai,
Allen-kun" iniziò, tornando
seria, "stavo pensando che, insomma" fece una pausa, "sei molto
cambiato rispetto al giorno in cui sei entrato all'Ordine"
Non glielo
aveva detto.
Come al
solito.
Voleva
raccontargli di Quel sogno, ma non ci era
riuscita.
‘Però’,
pensò fra sè e sè, mentre Allen
iniziava
a parlare, ‘prima o poi gli dirò tutto; prima o
poi ce la farò’
***
Aprì
leggermente la bocca,
inghiottendo un altro po’ d'acqua.
La vista
s'annebbiò e smise
di lottare.
Scivolò
sempre più a fondo,
nelle buie profondità del mare.
Sopra di lei
sentiva il
nemico ridere e disperarsi al tempo stesso. "Probabilmente",
pensò,
"non può vedermi morire..."
Cercò
di sorridere,
malinconicamente, ma non ci riuscì.
Un'altra
cosa da aggiungere a
quella lunga lista.
La
lunghissima lista delle
cose che si proponeva di fare ma che alla fine non riusciva a
realizzare.
Voleva
respirare e non
riusciva.
Voleva
sorridere ma proprio
non ce la faceva.
Voleva
rivederlo, ma non ne
era in grado.
Avrebbe
voluto averlo
accanto, ma sapeva che non era possibile.
Si era
promessa di proteggere
il suo mondo, ma non lo stava facendo.
***
Il treno si
fermò, emettendo un fischio acuto.
I passeggeri
scesero assonnati con le valige alla
mano.
Non appena
Allen toccò terra, la pallida luce
della luna lo accarezzò in volto. Un'aria leggera e fresca
gli scompigliò i
capelli argentei, mentre la ragazza che lo accompagnava in quel viaggio
stava
immobile, a fissarlo.
Allen stava
lì, gli occhi chiusi e il sorriso in
volto, beandosi di quel momento.
Il volto da
bambino risplendeva di gioia.
Lenalee lo
aveva visto fare così spesso.
In effetti,
quella scena si ripeteva tutte le
volte che terminavano un lungo viaggio ma, guardarlo sorridere in quel
modo, la
rendeva felice in qualche modo. Per un attimo si permise di pensare
come la ragazza
che era e arrossì leggermente.
"Lenalee,
andiamo?"
Trasalì
quando si trovò il viso di lui a pochi
centimetri dal suo.
"Cos'hai?"
"N-Nulla...
Andiamo!"
Si
incamminarono, le valige alla mano e gli occhi
stanchi.
"Andiamo in
hotel ora, Allen-kun?"
"Certo! Ho
una fame!"
***
Un dolore
lancinante lo
attraversò da parte a parte, destandolo dal sonno.
Si mise a
sedere, issandosi
sul braccio, con la mano premuta sull'occhio maledetto.
"Ma che...?"
Lo raggiunse
una voce,
chiara, inconfondibile.
Allen-kun
"Lenalee...?"
Alzò
lo sguardo al soffitto,
come se avesse potuto trovarla lì.
Allen-kun
Ecco. Era
ancora lei.
Una
sensazione strana si
impadronì di lui mentre lo sfarfallio allo stomaco aumentava.
"Lenalee..."
***
TOC TOC
Qualcuno
bussò alla porta, interrompendo i suoi
pensieri.
Si
voltò di scatto verso la fonte del rumore e,
di mala voglia, si alzò dal letto per andare ad aprire.
"Chi
è?" domandò, prima di girare la
chiave e abbassare la maniglia.
"Sono io,
Lenalee!"
Il ragazzo
la lasciò entrare e lei andò a sedersi
sul letto.
Avevano
appena finito di mangiare ed erano saliti
subito nelle loro camere, dopo che alla reception avevano consegnato
loro le
chiavi.
Allen prese
la sedia della scrivania di fianco al
letto e vi si sedette sopra, osservando attentamente la ragazza. Lei
non
parlava, si limitava a stropicciarsi l'orlo dell'abito, nervosa. I
capelli
sciolti le ricadevano sulle spalle e la lunga frangia le copriva in
parte il
volto, nascondendolo agli occhi attenti del ragazzo.
"E' successo
qualcosa?"
Nessuna
risposta.
"Lenalee...
E' tutto ok?"
Ancora
nulla, solo una stretta più salda da parte
di lei sull'abito.
Allen si
mise in ginocchio, davanti a lei,
cercando di scorgerle gli occhi sotto i folti capelli neri.
"Ti prego,
dimmelo... dimmi, cos'è successo.
Se c'è qualcosa che non va puoi dirmelo"
"Io..."
iniziò lei, chiudendo gli
occhi, "Io... devo dirti una cosa"
Il ragazzo
rimase in attesa, silenzioso, ancora
davanti a lei.
"Io...
qualche giorno fa ho fatto un incubo
e vo-volevo dirtelo..."
Allen non
capiva il motivo di quel gesto, ma
attese ancora. L'avrebbe lasciata sfogare, così sarebbe
stata meglio.
"Ho sognato
la fine del mondo... del mio
mondo..." iniziarono a caderle qualche lacrima dagli occhi e Allen
sorrise
lievemente. Quello era un gesto così tipico da parte della
ragazza. Quelle
lacrime avevano qualcosa di diverso da quelle di tutte le altre persone
che
conosceva; racchiudevano in loro amore, odio, felicità e
sofferenza, tutte
emozioni che lei provava da una vita e che combattevano per avere la
meglio
l'una sull'altra.
"Non c'era
nessuno... era tutto silenzioso,
non sentivo nulla... c'erano le rovine dell'Ordine e poi..."
Ormai il
piccolo sfogo da parte della ragazza era
divenuto un vero e proprio pianto a dirotto. Lei, le mani sugli occhi e
il
corpo scosso dai brividi, non lo guardava.
"Allen-kun,
io..." si bloccò,
fissandolo con gli occhi lucidi, "... ho visto te... c'eri anche tu in
quel sogno..."
Il ragazzo
le si sedette accanto, tenendole la
mano, sorridendole.
"Lenalee...
era solo un sogno..."
"Ma tu... tu
eri morto!"
***
Non se lo
sarebbe mai
aspettato, ma erano lì, uno di fronte all'altro.
Allen-kun
Il ragazzo
rimase immobile.
Era
sicuramente lei, ma aveva
un qualcosa di strano, inconsueto. Più che la vera Lenalee,
sembrava un pensiero,
un fantasma dal passato, così lontano eppure così
vicino.
Nonostante
questo lei era lì,
inginocchiata sul letto, accanto a lui.
Gli occhi
fissi l'uno in
quelli dell'altra.
Allen-kun...
Scusa
La figura
davanti al ragazzo
non aprì bocca, ma la voce riecheggiò nella sua
testa, forte e chiara.
"Lenalee...
come?"
Io... ho
sbagliato Allen-kun.
Ho sbagliato ad abbandonarti al tuo destino...
L'espressione
della ragazza
mutò, divenne malinconica, supplichevole.
Scusami...
***
Al mattino,
dopo una sostanziosa colazione, i due
ragazzi si avviarono per le strade intricate di quella cittadina.
Si trovavano
lì per fare una cosa del tutto
idiota, non consona ad i compiti di un esorcista: ritirare
un'invenzione a nome
di Komui che, da quanto avevano capito, sarebbe stata subito confiscata
da
Reever e compagni.
Dovevano
solo trovare il negozio di
quell'inventore ma, a quanto pareva, nessuno sembrava conoscerlo o
anche solo
aver sentito il suo nome.
Allen aveva
delle grosse borse sotto gli occhi e
in volto aveva dipinta l'aria di una persona che ha passato tutta la
notte in
bianco.
Non aveva
chiuso occhio, neanche per un attimo.
"Per ieri
sera, Allen-kun... Scusa..."
"Non
importa... Col maestro ho sopportato di
peggio."
La ragazza
fece una smorfia con le labbra; un mezzo
sorriso un po’ contrariato dalle parole del compagno. A causa
sua Allen non
aveva dormito e, almeno un po’, se ne pentiva.
Dopo averla
consolata, Lenalee si era
addormentata fra le sue braccia, le lacrime ancora agli occhi. Lui non
si era
mosso, timoroso di poterla svegliare.
Era rimasto
così, per tutta la notte, immobile,
gli occhi spalancati per controllare la ragazza e per assicurarsi che
stesse
dormendo tranquilla.
"Beh,
l'importante è che non hai avuto
incubi, vero, Lenalee?"
"Vero!"
alzò il volto, sorridente,
"è la prima volta da mesi che succede..."
Nessun
incubo quella notte aveva bussato alla
porta del suo sonno, aveva dormito beata, immersa in sogni che neanche
ricordava.
Giunsero
davanti un bivio.
Si
guardarono un attimo negli occhi e, in tacito
accordo, svoltarono a destra. Superarono un lampione che aveva qualcosa
di
conosciuto e si ritrovarono nella stazione della notte prima.
“Ma
questa…”
Lenalee
lasciò cadere a terra la valigetta con le
carte di suo fratello.
“E’
la stazione di ieri!”
***
La forma
evanescente della
ragazza parve per un attimo più debole.
Solitamente
era lui, Allen, a
chiedere scusa e sentire quelle parole pronunciate dalla voce della
ragazza gli
procurò una stretta al cuore.
Era una
situazione strana,
inusuale,
E se in quel
momento fosse
spuntato qualcuno da dietro la porta?
Che cosa
avrebbero detto?
Allen-kun
Il ragazzo
la guardò, un po’
timoroso, spaventato da ciò che stava accadendo. Credeva che
non avrebbe più
rivisto i suoi amici, che non avrebbe più rivisto lei,
Lenalee.
“Lenalee,
io…”
Sh…
La ragazza
gli posò un dito
sulle labbra e gli si avvicinò, i capelli sciolti che le
incorniciavano il
volto.
Allen-kun,
io…
Si
avvicinò un altro po’,
finendo a pochi centimetri da lui.
Lo
osservò a lungo, come se
volesse fissare la sua immagine in mente. Si soffermò per
qualche secondo di
troppo sul braccio sinistro che, per la prima volta da quando era nato,
mancava.
Allungò
la pallida mano fino
a sfiorare ciò che rimaneva di quel braccio che avevano
odiato tanto entrambi.
Quel dannato braccio infestato d’innocence che
però aveva permesso che loro due
si incontrassero quel giorno all’Ordine, dopo la lunga
scalata del ragazzo
lungo la parete di roccia che portava al castello.
Il tuo
braccio…
Non sapeva
di preciso cosa
dire; le parole le venivano a fatica.
…
Ha fatto male?
‘Che
domanda stupida!’ pensò
subito Lenalee, ‘non avevo di meglio da chiedere?’
Pensieri
spiacevoli
affiorarono alla mente di Allen e subito le lacrime iniziarono a
solcare il suo
volto. Prese la mano della ragazza fra la sua, soffocando una risata
amara.
Anche lei
iniziò a piangere,
di una gioia repressa. Finalmente era lì, con lui!
***
“Questa
città è un labirinto…”
sbuffò Allen,
mentre mettevano piede per l’ennesima volta nella stessa
piazza.
Lenalee,
accanto a lui, sorrise debolmente,
dandogli delle pacche sulla spalla.
“Sono
sicura che lo troveremo”
“Ma
è già mezzogiorno passato e non ho ancora
mangiato…” Si lasciò cadere a terra,
un’espressione abbattuta in volto. “Dici
che i ciottoli sono commestibili?”
Lenalee rise
genuinamente, facendo sobbalzare
alcuni piccioni che stavano beccando a terra, sulla piazza.
“Oh,
Allen-kun…!” Si inginocchio accanto a lui,
il volto ancora sorridente, “su, dai, prima lo troviamo prima
mangerai!”
Allen si
alzò, di mala voglia, una mano sullo
stomaco.
“Ok…”
Si
rincamminarono ancora una volta in quella
città, insieme, l’uno accanto all’altra.
Le case
apatiche chiudevano le vie acciottolate
in una morsa inquietante, rendendo tutto cupo, nonostante fosse giorno
inoltrato.
Il sole giocava continuamente a nascondino con le nuvole, facendo
apparire
tutto ancora più inquietante.
Quella
sembra una città fuori dal mondo,
abbandonata e disgustata pure dai suoi cittadini.
Le case
erano tutte uguali, le finestre
spalancate e i muri grigi come l’umore degli abitanti del
luogo.
“Allen-kun…
non trovi che sia strano?”
Il ragazzo
alzò la testa di scattò, ancora un po’
depresso.
“Che
cosa?”
“Non
l’hai notato?” chiese, indicando alcune
persone sedute ad un Pub. Stavano là, il boccale di birra in
mano a quell’ora,
la testa appoggiata al bancone e grosse borse sotto gli occhi.
“Ma
quelli sono solo degli ubriaconi…” disse ancora
più depresso. ‘Come il
maestro…’
Lenalee
scosse il capo, la lunga frangia che
sfiorava le ciglia.
“Sono
tutti così, anche quelli non seduti al bar.
Ricordi quei tizi a cui prima abbiamo chiesto se conoscessero
l’inventore?”
Un lampo
attraversò gli occhi del ragazzo,
facendolo tornare serio e composto.
“E’
vero!” batté il pugno sul palmo della mano,
“che ci sia di mezzo l’innocence?”
“Non
lo so… mio fratello non mi ha mai parlato di
innocence quando mi ha descritto questo posto…”
Ad Allen
ormai si erano illuminati gli occhi;
aveva (quasi) dimenticato di aver fame.
“Lenalee,
forza! Mettiamoci ad indagare!”
Il ragazzo
partì alla volta del Pub, la divisa
dell’Ordine ben sistemata sulle spalle ora, la spilla in
risalto.
“Allen-kun!
Aspetta!”
***
Lenalee si
asciugò le lacrime
col dorso della mano.
Il sorriso,
che stonava tanto
con gli occhi gonfi di pianto, affiorava ancora sulle sue labbra.
Ed ora, che
sapeva di star
sprofondando nel mare, non riusciva a reprimere quella
felicità tanto
travolgente.
Si protese
verso Allen e lo
abbracciò stretto, temendo di perderlo ancora, e sapeva che
non lo avrebbe
sopportato un’ulteriore volta.
Aveva
bisogno di lui, così
come lui ne aveva di lei.
“Lenalee…”
Il ragazzo
singhiozzò, affondando
il volto nella divisa della ragazza. Sentì subito
sentì un forte odore di
salsedine.
“Lenalee…
tu…”
Fece per
alzare la testa, ma
lei prontamente lo bloccò, tenendolo vicino.
Ti prego,
aspetta. Aspetta
ancora un altro po’.
***
Con il capo
abbassato e l’aria stanca, Allen uscì
dal locale.
“Nulla?”
“Nulla”
A quella
risposta anche il sorriso di Lenalee
scomparve. Erano passate ore da quando avevano iniziato quella
‘caccia alle
informazioni’, ma non avevano ancora cavato un ragno dal buco.
L’idea
di cercare l’inventore l’avevano
abbandonata ormai. Ogni tanto, però, provavano a chiedere
così di sfuggita se
qualcuno lo conoscesse ma la risposta, purtroppo per loro, era sempre
negativa.
“Ah…”
Allen
appoggiò la schiena al muro di una casa, il
volto in su, verso il cielo. “Io ho
fameee….”
Lo stomaco
seguì le sue parole, brontolando
rumorosamente. “Se non mangio credo che
morirò…”
Lenalee si
sedette a terra, accanto a lui.
“L’hotel non si trova… e qui nessun pub
o simile vende qualcosa che sia almeno
commestibile…”
L’ennesima
nuvola si fermò davanti al sole,
facendo ripiombare la città nel buio.
Una
nebbiolina fredda si insinuò nelle vie e nei
cunicoli e, all’improvviso, sembrò esser calato
l’inverno.
“Ma
che…?”
Allen ci
capiva sempre meno in quel che stava
accadendo. Tutto era così sospetto, ma gli abitanti di quel
posto rimanevano
impassibili ad ogni cosa, che se non li riguardasse.
“E’
stano… non trovi, Lenalee?”
Si
voltò verso di lei. Era ancora a terra e stava
tremando -per il freddo- come una foglia.
Il ragazzo
si tolse il pastrano dell’Ordine e
glielo face scivolare sulle spalle, il sorriso stampato in volto.
Iniziò
a cadere una neve fitta che andò a coprire
i tetti delle case come una candida coperta bianca.
“Ma
Allen-kun…”
Lenalee
alzò il capo, incontrando gli occhi grigi
dell’altro.
Arrossì
e si alzò di scatto, allontanandosi verso
la strada più amplia seguita a ruota dal compagno che,
ormai, aveva abbandonato
da tempo l’idea di capire quei suoi comportamenti.
La neve
coprì velocemente tutta la città,
rendendola meno buia e cupa.
Tutti i
negozi avevano chiuso, gli abitanti
avevano sbarrato le finestre delle case e il silenzio era piombato fra
le
strade, prepotente.
“Lenalee!”
La ragazza
si voltò in direzione della voce del
compagno.
“Cos’è
successo?”
“Riesci
a leggere lì?”
Su un
cartello appeso ad un muro, c’erano delle
scritte, in un'altra lingua, ma non ricordava di averlo visto prima.
«…
Kuolema ei ole
loppu.
Se vain toisen alkua… »
Allen
inclinò
la testa di lato, pensoso.
“Che
lingua è?” domandò infine, non
riuscendo proprio a capire ciò che ci fosse
scritto.
Lenalee
scosse il capo.
“Non
saprei. Forse è la lingua del posto…”
Allen
si mise in punta di piedi, aggrappato al muro.
“Guarda!
Là c’è scritto qualcosa!”
Sul
lato destro del cartello, coperta da un po’ di muschio,
c’era un’altra scritta,
non stampata come la prima, ma fatta a mano.
La
calligrafia e minuta e spigolosa, quasi illeggibile.
Ja
haluat kuolla?
“E
questo?”
Il
ragazzo allungò la mano, aggrappandosi alla parete.
Una
luce sembrò attraversare in qualche modo le scritte; per un
attimo parvero
vive.
“No
Allen-kun! Non toccarlo!”
Si
sporse in avanti, verso di lui, aggrappandosi al colletto della sua
camicia.
CLACK
Uno
schiocco.
I due
erano scomparsi.
***
La pressione
dell’acqua stava aumentando, lo
sentiva e lo vedeva.
Il peso allo
stomaco la opprimeva ma non avrebbe
ceduto, doveva proteggerli, doveva proteggere il suo mondo.
“Lenalee…”
Allen la
chiamò e lei riaprì gli occhi,
trovandoselo davanti.
Non riusciva
a capire come potesse accadere una
cosa simile, era un qualcosa che la sua mente reputava impossibile.
Eppure era
lì, in chissà quale modo, ma era lì,
davanti al compagno che aveva abbandonato e che aveva creduto morto.
Allen-kun…
Gli fece
alzare la testa e lo guardò negli occhi.
La guerra lo
aveva cambiato ma quegli occhi grigi
erano sempre gli stessi, pieni di amore sia per gli umani che per gli
akuma. In
quel momento, però, sembravano colmi di tristezza, una
tristezza troppo
profonda e grande per essere completamente compresa.
Allen-kun
ricordi com’era la neve, quella volta
che andammo in Finlandia in missione?
Il ragazzo
annuì, un po’ perplesso per domanda
alquanto fuori luogo.
Mi
piacerebbe vederla ancora… Era molto bella.
Allen
annuì vistosamente. Non comprese appieno
quelle parole ma, dal tono di voce della ragazza, capì che
qualcosa non andava,
c’era qualcosa di strano.
“Lenalee…
cos’è successo?” Voce flebile, quasi
impercettibile.
Lasciava
trasparire troppa preoccupazione da
quegli occhi innocenti e maledetti.
“Lenalee…?”
Allen-kun…
***
Luce.
Fu la prima cosa che notò.
Una
luce bianca che quasi la accecò.
“Lenalee!
Che sollievo! Stai bene?”
Si puntello
su un braccio, per alzarsi, tenendo una mano sulla nuca che un
po’ le doleva.
“Uh?”
Allen
era davanti a lei, volto sorridente e aria un po’ stanca.
“Stai
bene?”
Le
sorrise ancora, gli occhi chiusi e il capo leggermente inclinato.
In
quei momenti poteva anche sembrare un ragazzo come gli altri, uno
normale, che
non ha basato la sua intera esistenza sulla guerra contro un nemico
millenario.
Però… quei capelli bianchi e quella cicatrice che
correva lungo il lato
sinistro del suo viso spezzavano quell’immagine di
normalità.
“Si…
credo…”
Si
mise a sedere e fu in quel momento che notò ciò
che le stava attorno: era in
una casa o, almeno, qualcosa che le somigliasse. Montagne di scaffali
ricoprivano le pareti e centinaia di carte scarabocchiate giacevano a
terra.
Per un attimo le parve di essere tornata da suo fratello Komui, in
Inghilterra.
“Dove
siamo?”
Era
adagiata su di un divano, anch’esso pieno di scartoffie e,
oltre le spalle di
Allen, scorse una scrivania invasa da montagne di fogli.
“Credo
che abbiamo trovato l’inventore” proferì
con calma, osservando un foglietto
scarabocchiato ai suoi piedi.
“L’abbiamo
trovato? Come?”
Il
ragazzo si sporse dalla sedia di legno su cui era seduto e raccolse il
foglietto che tanto lo aveva incuriosito.
“Beh,
non lo abbiamo trovato… E’ stato lui a trovare
noi”
La
calligrafia su quel pezzo di carta era la stessa che aveva visto prima
sul
cartello.
Elämä
päättyy.
Kuolema
on
peruuttamatonta.
Se
periaate, meidän
on hyväksyttävä se.
Rilesse
le tre righe più volte, sperando di comprenderle grazie a
qualche miracolo ma
non accadde nulla, non capiva proprio ciò che vi era
scritto. Piegò il
foglietto e lo infilò in tasca; magari una volta tornato
all’Ordine avrebbe
trovato qualcuno che capisse quella lingua.
Lenalee
si alzò. Aveva ancora indosso la divisa di Allen, ma non se
ne curò. Iniziò a
girare per la stanza, osservando tutto attentamente, il rumore prodotto
dai
tacchetti rimbombava in quel piccolo spazio.
“E…”
la ragazza si voltò di scatto verso il compagno,
“dov’è adesso
l’inventore?”
Ad
Allen s’illuminaro gli occhi.
“Ha
detto che ci sta cucinando qualcosa! Qualcosa di commestibile
Lenalee!”
***
Il silenzio
era calato pesate fra loro.
Oltre le
spesse mura della stanza si faceva
sempre più strada l’indistinguibile suono della
pioggia.
Un lampo
illuminò la stanza a giorno.
Il volto di
Lenalee parve scomparire, ma quando
tutto ritornò buio come prima, Allen la notò che
era ancora lì. Era tutto così
strano, ma smise di porsi domande. ‘Infondo anche
l’innocence non è normale…’
Allen-kun…
Il ragazzo
si concentrò su di lei, in attesa di
qualche parola, di qualche spiegazione.
Allen-kun…
Potresti salutarmi mio fratello? E
anche tutti gli altri?
***
Un
uomo barbuto spuntò da dietro uno scaffale con un vassoio
fra le mani.
“Eccomi!”
Allen
s’alzò di colpo dalla sedia, il cuore colmo di
felicità.
“Si
mangia!” lo disse con sorriso fino alle orecchie.
L’inventore
spostò con un braccio tutte le scartoffie dalla
‘scrivania’, lasciandole cadere
con noncuranza a terra.
“Oh,
signorina, ti sei svegliata?” domandò, notando
Lenalee seduta sul divano.
La
ragazza scosse la testa, sorriso sulle labbra.
“Bene”
L’uomo
prese delle sedie e le portò accanto alla scrivania,
invitandoli con un gesto
della mano ad avvicinarsi.
Lenalee
si alzò lentamente -le girava ancora un
po’ la testa- e quasi cadde.
“Sei
vuoi ti prendo in groppa” le disse Allen avvicinandosi, la
mano destra tesa
verso di lei.
La
ragazza avvampò, però lo lasciò fare.
Le piacevano certe attenzioni, ne era
abituata sin da piccola e poi, da parte sua le gradiva ancora di
più.
“Eccoci…”
Allen
la lasciò scivolare lentamente sulla sedia, sempre
sorridendo e si sedette
acconto a lei.
Mangiarono
di fretta –soprattutto Allen- davanti
allo sguardo sbalordito dell’inventore
che, per paura o per senso di ospitalità, non
toccò nemmeno un pezzo di pane.
“Signor
inventore…” iniziò Lenalee, pulendosi
la bocca con un tovagliolo.
“Chiamami
pure Johannes” disse l’uomo sorridendo.
“O-Ok,
scusi… mio fratello non vi aveva detto il suo
nome!”
Allen
la vide arrossire lievemente. Era
così carina quando era in imbarazzo!
“Non
preoccuparti signorina… piuttosto, tu non sarai mica la
sorella di quel
bastardo di Komui, vero?”
Lenalee
rimase sconcertata dalla domanda, mentre il ragazzo accanto a lei cadde
dalla
sedia, le forchetta ancora in bocca.
“Ehm…
se mi è concesso saperlo… cosa le ha mai fatto
mio fratello per essere definito
con quel termine?”
L’inventore
la fissò negli occhi, serio. Un’aria strana si
infiltrò fra loro.
“Vuoi
saperlo?”
Strinse
entrambe le mani sui pantaloni, lo sguardo basso.
“Quel
bastardo… mi ha semplicemente rovinato la vita!”
Picchiò
un pugno sul tavolo, la disperazione negli occhi.
“Ma
un
giorno me la pagherà… o sì…
e la pagherà veramente cara!”
Allen
si rialzò a fatica da terra e si risedette sulla sua sedia,
silenzioso. Non
voleva di certo entrare in una simile discussione. ‘Per
evitare che mi
interpellino, farò finta di mangiare questo
budino.’ Peccato che la sua idea di
“far finta” significava mettere in bocca grossi
pezzi del dolce al mango e
inghiottirli.
“Signor
invent… cioè, Johannes, mi fratello ci ha mandato
qui” indico lei e il suo
compagno, che si stava avventando su di un altro dolce,
“perché abbiamo il
dovere di ritirare un invenzione a suo nome. Mio fratello mi ha inoltre
riferito che lei sa esattamente a cosa mi
riferisco…”
L’uomo
fissò per un po’ il soffitto, grattandosi il mento.
“Ah!
Sì! Forse ho capito… aspettate che vado a
prenderla…”
E
mentre parlava si allontanò dalla stanza, lasciando da soli
Allen e Lenalee
che, con un’occhiata alquanto eloquente, capirono
l’uno il pensiero dell’altra.
***
“Quando
si capisce che non si avrà mai un futuro,
si cerca disperatamente di aggrapparsi al passato”
Lo aveva
sentito dire da sua madre, prima che
quella catastrofe colpisse la sua famiglia.
“Tieni
strette a te le persone che ami, e non
dimenticare mai di dimostrar loro il tuo affetto…”
Stava
parlando con suo fratello, ma lei, curiosa,
aveva origliato da dietro la porta.
Non aveva
mai capito appieno quelle parole, però
le aveva sempre tenute dentro di sé, reputandole importanti.
Non
ricordava il volto di sua madre, e nemmeno il
timbro della sua voce. Quelle parole erano l’unica cosa che
l’era rimasta,
l’unica di una donna che ormai sembrava solo un illusione del
passato.
“Perché,
Lenalee?”
Il volto del
ragazzo davanti a lei la risvegliò
da quei ricordi offuscati dalla nebbia, riportandola ad un presente che
sapeva
non sarebbe durato molto.
Dì
a tutti loro che sono sempre stati importanti
per me. Anche Kanda.
Abbassò
il capo, sentendosi colpevole in qualche
modo per quelle parole.
“Lenalee,
cosa stai dicendo? Torneremo tutti
insieme! Andremo in Giappone, dal mio maestro e…”
Fa
ciò che ti ho chiesto ti prego.
***
L’inventore
tornò da loro dopo qualche minuto.
Un
grosso livido spiccava sulla sua testa quasi del tutto canuta.
“Penso
sia questa l’invenzione che vuol tuo
fratello…”
Posò
fra le mani di Lenalee una piccola sfera di vetro opaco; era leggera ma
sentiva
che dentro di essa c’era qualcos’altro.
Allen
si avvicinò, allungando una mano per toccare
l’oggetto ma venne subito bloccato
dall’inventore.
“Fate
attenzione. Se quella cade mi farete saltar in aria la casa”
Con
molta cautela, la ragazza porse la sfera al compagno di missione.
“E’
meglio se la tieni tu! Io sono sbadata!”
Sorrise,
sperando di esser stata abbastanza convincente.
“Eh!?”
Allen spalancò gli occhi, temendo veramente per la propria
vita. Era risaputo
che qualsiasi invenzione fosse in qualche modo connessa al Signor Komui
risultava pericolosa, molto pericolosa.
“Suvvia,
Allen-kun! Ho piena fiducia in te!”
Sorrise
ancora, non molto convinta dalle sue parole. L’ultima volta
che gli aveva detto
parole simili, lui si era perso per la città del
Riavvolgimento.
“Se
lo
dici tu…”
Si
alzò dalla sedia, la piccola sfera fra le mani.
“Andiamo?”
Lenalee
annuì e fece lo stesso.
“Grazie
mille dell’ospitalità, Signor Johannes”
L’inventore
strinse la mano ad entrambi, stando attento ad Allen.
“Salutami
tuo fratello, signorina. E fammi il favore di dirgli che non
l’ho mai perdonato
per quello che mi fece tre anni fa”
La
ragazza scosse la testa vigorosamente. Voleva allontanarsi il
più presto
possibile da quell’uomo.
Si
avvicinarono ad una porta sul cui stipite erano incise le parole
“Vapauttaa.
Jotta maailma yksitoikkoinen.”
Le
scritte sembrava vive, esattamente come quelle che avevano visto sul
cartello
in quella via innevata.
“Un’ultima
domanda, signor inventore!” Sbottò Allen,
voltandosi a guardare l’uomo dietro
di loro.
“La
città e tutte le persone che vi abitano sono strane, lei per
caso conosce la
causo del loro strano comportamento?”
Johannes
guardò il soffitto, con aria rassegnata.
“Quelli
sono così da quando son nati. Sono noiosi. Se stavate
pensando a qualcosa come
l’innocence sappiate che è inutile cercarla, i
Finder sono rimasti qui per anni
ma non hanno trovato nulla. E il tempo qui è
così, cambia come se nulla fosse.
Quindi non preoccupatevi”
Sotto
la folta barba dell’uomo apparve un amplio sorriso. Diede una
pacca ad entrambi
e li spinse contro la porta.
“Näkemiin!”
Tutto
divenne buio e all’improvviso si ritrovarono nella via
principale della città,
davanti al cartello con quelle scritte strane.
La neve
cadeva ancora, imperterrita si posava dovunque, trasformando ogni cosa.
Allen prese
Lenalee per una mano, trascinandola lungo la strada, un sorriso genuino
in
volto.
“Ci
conviene trovare l’hotel! Abbiamo lasciato là i
bagagli!”
E per
l’ennesima volta i loro piedi iniziarono a battere le strade
intricate della
città, ovviamente senza trovare il loro obiettivo.
La
ragazza si accasciò contro un muro, sprofondando nella neve
ormai molto alta.
“Abbiamo
dimenticato di chiedere una mappa
all’inventore…”
Allen
la fissò mentre sbuffava. Quel piccolo broncio non le si
addiceva, però aveva
un’espressione tanto dolce. Gli venne un’idea per
farla sorridere che, per
quanto fosse stupida, era l’unica cosa che gli veniva in
mente.
Prese
la sfera che aveva affidato loro Johannes e iniziò a farla
passare da una mano
all’altra assieme a due palle di neve, a mo’ di
giocoliere.
“Hey,
Lenalee! Guarda come sono bravo a fare il Pierrot!”
La
ragazza lo guardò divertita, prima di accorgersi
dell’invenzione per suo
fratello.
“Allen-kun!
Attento!”
Il
compagno si fermò, lasciando cadere le braccia lungo i
fianchi.
“Eh?”
BAM!
Due
giorni dopo Komui arrivò in Finlandia, preoccupato per la
sorella.
I due
ragazzi erano stati ricoverati in un ospedale vicino alla
città-labirinto che a
quanto pareva, aveva concesso loro una camera privata.
“Lenaleeeeeeee!”
Il
Supervisore entrò piangente nella stanza dei due esorcisti,
gettandosi subito
sul letto della sorella.
“Cosa
ti è successo!?”
Lenalee
sorrise, dietro le bende che la coprivano in volto.
“Non
è
nulla Nii-san, solo qualche graffietto!”
Komui
la abbracciò stretta-stretta, le lacrime ancora agli occhi.
“Stai
veramente bene?”
La
ragazza annuì, cercando di staccare il fratello di dosso.
“Sicura?”
“Si,
Nii-san!”
Allen
osservò i due litigare ed abbracciarsi dal suo letto. Si
sentiva un po’ a disagio.
Aveva molto l’impressione di essere il terzo incomodo.
“Bene”
disse Komui infine, tornando serio e alzandosi dal letto,
“vuoi che ti prenda
qualcosa da mangiare o da bere?”
Lenalee
sembrò pensarci un po’,
poi chiese solo
dell’acqua.
Il
Supervisore uscì dalla stanza, lasciandoli soli.
“Lenalee…
Scusami…”
La
ragazza si voltò verso di lui e quando vide
l’espressione sul suo viso che
chiedeva perdono, sentì una stretta al cuore. Non era brava
a parlare con quel
ragazzo. La sua espressione dispiaciuta la metteva con le spalle al
muro
sempre.
“Allen-kun…”
Allungò
il braccio intatto verso di lui, incontrando la sua mano, stringendola.
“Non
c’è bisogno che tu ti scusi, in un certo senso
è stata colpa mia…”
Si
sporse ulteriormente verso il compagno, per poterlo guardare bene negli
occhi.
“Tu
sei una parte importante nella mia vita, quindi, promettimi
che…”
***
La pioggia
all’esterno era diventa più forte e i
lampi continuavano ad illuminare il cielo.
Il rumore
dell’acqua che si infrangeva al suolo
si confondeva con milioni di rumori ma, nonostante questo, rimaneva
inconfondibile.
Un fulmine
squarciò l’aria, seguito dal rumore di
un tuono.
“Lenalee,
cosa sta succedendo?”
La ragazza
di fronte a lui si sentiva mancare,
una debolezza improvvisa si era impadronita di lei.
Allen-kun,
scusa! Non volevo finisse così…
Si protese
verso di lui, prendendogli il viso fra
le mani per osservarlo bene, almeno per un’ultima volta.
“Lenalee…
cosa…?”
Lei chiuse
gli occhi, respirando l’aria umida
della sera.
C’è
una cosa che ho sempre voluto dirti, ma non
ne ho mai avuto il coraggio.
Si avvicino
al viso di Allen, ancora confuso e
spaventato da tutta la situazione.
Io ti amo.
Sfiorò
le labbra dell’altro con le sue, in attesa
di una risposta bramata da tempo che, con sua gioia arrivò
dopo qualche
secondo.
Avevano
smesso entrambi di pensare, si
concentravano solo sul quel contatto che, per quanto strano in quel
momento,
aveva impregnato ogni fibra del loro essere.
Rimasero
così per qualche secondo poi Lenalee
schiuse le labbra, approfondendo il bacio.
Nemmeno il
cielo sapeva quanto aveva atteso quel
momento, che sembrò passare troppo svelto.
Allen-kun…
Si
scostarono leggermente, fissandosi negli
occhi.
Allen-kun,
addio.
E scomparve,
lasciando dietro di sé solo un forte
odore di salsedine.
***
“Promettimi
che non mi dirai mai addio…”
N.d.A.:
La
lingua straniera che viene usata è il Finlandese, qui di
seguito trovate le
traduzioni:
(1)
«…
Kuolema ei ole loppu.
Se
vain toisen alkua…
»
«…
La
morte non è la fine.
E’
solo un altro inizio… »
(2)
Ja
haluat kuolla?
E
tu vuoi morire?
(3)
Elämä
päättyy.
Kuolema
on peruuttamatonta.
Se
periaate, meidän on hyväksyttävä se.
La
vita finisce.
La
morte è per sempre.
E’
un
principio dell’uomo, bisogna accettarlo.
(4)
Vapauttaa.
Jotta maailma
yksitoikkoinen.
Uscita.
Per
il
mondo monotono.
Anche il
titolo “Näkemiin”
è Finlandese e
vuol dire “Addio”.
Ringraziamenti:
La prima
persona che voglio ringraziare è Kodamy,
che mi ha fatto tornare la voglia di scrivere questa fanfiction e mi ha
incitata durante la stesura della storia. Grazie mille!
Un grazie
particolare anche a tutto il mio forum,
che ha saputo darmi una pausa quando non avevo nemmeno
un’idea per la testa.
Ringrazio in
anticipo anche coloro che leggeranno
questa fanfic e che commenteranno, perché ricevere delle
critiche è sempre
bello e gratificante!