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Autore: Sen    03/04/2014    4 recensioni
Cercò spasmodicamente con gli occhi qualcuna che potesse fare al caso suo, quando il suo sguardo severo incrociò quello di lei. Seduta un po’ in disparte, vestita in maniera decisamente meno vistosa e provocatoria delle altre, i capelli castani acconciati in morbide onde che seguivano la linea dolce delle spalle, le labbra arrossate dai pigmenti, come leggermente imbronciate.
Dedicata a Francine. Spin-off di "La Bambina dagli Occhi Verdi". Non è necessario leggere la storia principale per comprendere questa.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capricorn El Cid, Nuovo Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La Dernière Dance


Era notte e pioveva quando aveva lasciato Parigi, la borsa a tracolla che conteneva tutti i suoi, parchi, possedimenti era di un rosso sbiadito dall’utilizzo troppo frequente.

Maman”, aveva sussurrato alla donna che, in lacrime, l’aveva consegnata in cambio di pochi soldi ad un tizio losco, un demone che l’inferno stesso doveva aver risputato sulla terra.

Maman!”, con più urgenza, ora, la voce che salita di un’ottava rasentava l’isteria, le sue mani ghiacciate nella morsa impietosa dell’uomo.

Pourquoi, Maman?!”, gridava a pieni polmoni, ora. Dimentica della pioggia che l’inzuppava e della strada deserta.

Dimentica di quell’uomo dagli occhi di bragia che rideva con denti bianchissimi mentre la caricava senza tante cerimonie e la strappava per sempre alla vita che aveva condotto fino a quel momento.

Perse completamente il conto dei giorni, in quella carrozza di legno, rannicchiata meglio che poteva nella paglia che fungeva da giaciglio, scivolava nel sonno senza rendersene conto, svegliata con un grido o un calcio solo per mangiare del pane raffermo e bere un po’ d’acqua, quando era fortunata.

Giorni più tardi era stata trasferita con altre ragazze su una nave, diretta verso un luogo di sole e calore per soddisfare le voglie di uomini che le avrebbero trattate alla stregua di animali.

Francine pianse e pianse, fino al punto in cui si convinse di non avere nemmeno più una lacrima.


“Questa va a Rodorio!”, aveva sentenziato la voce sgraziata e gracchiante di una vecchia, al porto di Atene, mentre loro, stanche e provate, erano in piedi in un’ordinata fila indiana.

Giorni più tardi, ripulita e ben nutrita, sedeva come un’elegante bambolina nel bordello della signora Melina ai piedi di un Santuario dedicato ad un’antica divinità della quale non aveva mai sentito parlare.

“Seguimi”, aveva sussurrato, poi, la signora. I capelli stretti in un’acconciatura ordinata, senza trucco e vestita solo di un peplo bianchissimo.

C’era la luna piena quando Melina la fece inerpicare per un sentiero sterrato, nascosto a lato di templi e colonne, senza alcuna luce che recasse loro conforto se non quella lattea che proveniva dal cielo.

Francine aveva paura, ma le era stato insegnato a tacere e sopportare. Si strinse nel mantello candido, i passi da lenti ed incerti erano diventati più spediti e sicuri.

Avvertì un’eco di profumo di rose, trasportato dal vento, ed un fanciullo apparve alla fine della salita. Non poteva avere più di dieci o dodici anni, stimò lei, correndo col pensiero al suo fratellino; aveva occhi furbi e luminosi e lineamenti talmente aggraziati dal renderlo simile ad una ragazza.

Con un grande sorriso scortò entrambe verso la sala del trono, dove le attendeva il Gran Sacerdote Sage in persona.

“Mia cara Melina!” L’uomo severo dai lunghi capelli si aprì in un sorriso solare, stringendo la donna e baciandole le guance.

“Sommo Sage, mi rammarica importunarla ancora una volta ma...” Gli occhi andarono alla ragazza in piedi, qualche metro indietro, ferma e composta come una statua.

L’uomo annuì, serio.

“Non è un compito gravoso quello che chiedi a me, Melina cara”, confidò lui avvicinandola, una mano, comprensiva, sulla spalla. “Ma quello che chiedi a loro.”

La congedò con un gesto, mentre catturava gli occhi della ragazza con i suoi del colore del mare di notte.

“Seguimi, giovane donna” Attese che prendesse la mano che le porgeva, le sue dita esitanti e fredde contro quelle calde, decise, di lui.

La condusse in una stanza enorme, alla fine di un corridoio buio, il letto a baldacchino troneggiava proprio di fronte alla finestra a doppio battente dalla quale si poteva godere della vista del Santuario, l’intero Rodorio ed arrivare a scorgere perfino il mare.

“Qual è il tuo nome?”, le chiese sottovoce, fermandosi di fronte a lei.

“Francine”, sentenziò lei, stupendosi del fatto di aver compreso così bene le sue parole, quando, invece, intendeva a malapena ciò che le diceva Melina.

“Sai perché sei qui, Francine?”

Lei scosse i capelli e lui sorrise, attirandola a sé.

“Io sono colui che reclamerà la tua verginità e ti consacrerà alla dea Athena.”

Il repentino gemito che le sfuggì dalle labbra lo colpì come una condanna.

“So cosa stai pensando, ma non ti preoccupare. Il rito sarà presto concluso.” La guardò serio, avvicinandosi lentamente, mentre lei chiudeva gli occhi ed accettava il calore del suo bacio.

“Tu sarai per questi ragazzi una sorella, un’amante, una moglie, mai una semplice prostituta, ricordalo. Nessuna di voi, consacrate alla dea lo è.”

Francine annuì, come ipnotizzata. Avvertiva chiaramente il potere, immenso, fluire da quell’uomo dagli occhi di mare.

E d’un tratto si sentì piccola e insignificante

Maman mi ha venduta per pochi soldi.”

Le parole le fuggirono dalle labbra in un respiro, bisbigliate e troppo leste perché lei le potesse fermare.

Sage la guardò e Francine lesse una profonda gentilezza nel suo animo.

“E se non fossi abbastanza?”, concluse mentre le mani di lui le carezzavano, lente la schiena.

“Ognuno di noi è al proprio posto per un motivo, ricordalo, giovane Francine. Gli astri brilleranno per te, stanotte”, concluse lui liberandola dalla veste, sorridendole quando l’avvertì tremare sotto le sue mani.

“Non avere paura.” La attirò accanto a lui, sulla morbidezza di quel letto imponente.

“Non ti farò alcun male.”

La baciò di nuovo e Francine, questa volta, abbandonandosi a lui, gli credette.


Al suo risveglio, il sole era già alto nel cielo e di Sage nessuna traccia, probabilmente già impegnato con i compiti che il suo ruolo imponeva.

Sospirò alzandosi sulle gambe ancora doloranti. Concedendo un mesto pensiero alla notte appena trascorsa, a quell’uomo che l’aveva fatta prima sanguinare e poi gridare di piacere. Si rivestì con la semplice tunica che qualcuno le aveva lasciato ai piedi del letto, quando Melina entrò nella stanza, raggiante.

“Finalmente!”, esclamò impaziente, correndole incontro e baciandole le guance “Ora sei una di noi!”, e sputò tre volte alla schiena della ragazza.

E Francine, solo allora, sorrise.


Come si era ritrovato in quella situazione, El Cid stentava davvero a crederlo.

Scendeva lentamente i gradini del Santuario, ultimo di una chiassosa compagnia capitanata da Manigoldo, il che, già di per sé, era garanzia della discutibile serietà del progetto.

Il suo sguardo si spostò quindi sulla schiena possente di Sisifo, che sorrideva apparentemente a proprio agio. La sua calma e la profonda amicizia che lo legava a quel ragazzo splendente insinuarono un moto di speranza che aiutò il Capricorno a respirare in maniera più distesa.

Solo ieri aveva accettato di recarsi alla cena su al Tredicesimo Tempio alla quale la dea Athena in persona lo aveva tanto esortato a partecipare come tentativo di socializzazione.

“Sei sempre così solitario, El Cid!”, aveva asserito Sasha facendolo sentire in colpa con i suoi occhi verdi impossibilmente fermi nei suoi. “L’unico con cui scambi qualche parola è Sisifo”, aveva quindi stretto lo scettro, lo sguardo sapientemente rivolto al pavimento.

Così lui, alla fine, aveva ceduto, restando in silenzio, qualche sparuto sorriso, poche parole.

Almeno fino a quando il Santo del Cancro, aveva unilateralmente deciso che il giorno seguente sarebbero andati nella Casa dei Piaceri di Rodorio.

“Non puoi dire di essere un Santo d’Oro se prima non ti sei scopato almeno una delle donne di Melina!”, concluse quindi Manigoldo ed El Cid avrebbe davvero voluto, una volta per tutte, bloccare le parole dell’italiano al di là della sua coscienza. Legittimamente, intendeva, mentre sbuffava il fumo grigio dalle sue labbra strette.


E così, alla fine, si era trovato suo malgrado nel salone del palazzo con il grande pergolato di edera, circondato da discinte donzelle che, pareva, stavano rendendo Manigoldo ancora più irritante.

Cercò Sisifo con lo sguardo, ma il ragazzo dalle ali d’oro stava imboccando un corridoio laterale, al braccio una ragazza dai capelli scuri e la pelle abbronzata. Rasgado era scomparso, probabilmente già impegnato dietro a una delle porte chiuse dai colori sgargianti, così come Kardia dello Scorpione.

“Muoviti, caprone, altrimenti non te ne lascio nemmeno una”, scherzò quindi il santo del Cancro con un ghigno che faceva onore al suo nome.

El Cid rimase serio, degnandolo appena di un cenno del capo, dentro di sé l’urgenza di porre fine ad una situazione nella quale mai avrebbe voluto trovarsi invischiato.


Cercò spasmodicamente con gli occhi qualcuna che potesse fare al caso suo, quando il suo sguardo severo incrociò quello di lei.

Seduta un po’ in disparte, vestita in maniera decisamente meno vistosa e provocatoria delle altre, i capelli castani acconciati in morbide onde che seguivano la linea dolce delle spalle, le labbra arrossate dai pigmenti, come leggermente imbronciate.

“Lei” Una sola parola dal suo timbro roco e basso bastò tuttavia ad attirare l’attenzione di Melina.

“Ha buon gusto, nobile El Cid”, cominciò la donna, “ma la devo avvertire, che la ragazza è arrivata solo da qualche mese e potrei definirla ancora una novizia. Ammetto, però, che impara molto in fretta.”

Concluse con un sorriso sornione.

El Cid sigillò la sua richiesta con un cenno di assenso. “Meglio così”. proferì al sorriso dipinto di Melina. Mentre quella ragazza minuta lo conduceva verso la scala e quindi al piano superiore.

Il ragazzo prese posto nella poltrona di fianco al letto, con fare distratto, osservando il tenue lilla di pareti, mobilio e lenzuola.

Accavallò le gambe, le labbra sulla prima sillaba, mentre il resto della parola e dell’intero discorso rimasero irrimediabilmente impigliati nella gola: lei era di fronte a lui, le ginocchia a sfiorare le sue.

Completamente nuda.

El Cid stava cercando disperatamente di respirare, quando lei si sistemò addosso a lui.

“Non preoccuparti, monsieur, penso a tutto io.”


Lui gemette.

Avrebbe voluto dirle che no, non era il caso, che sarebbero stati rinchiusi lì dentro per un’ora o poco più e avrebbero solo conversato, lui avrebbe pagato Melina e sopportato le battute sagaci dei suoi colleghi. Nessuno avrebbe saputo la verità.

Nessuna sillaba di quel discorso, però, fu mai udita in quella stanza dai tenui toni lilla che faceva risaltare il colore vibrante degli occhi di lei.

Fu conscio di essersi spostato sul letto.

Cercò di ricordare dove fosse finita la camicia, e, soprattutto, quando l’avesse tolta, mentre lei baciava la pelle nuda del suo petto.

“Qual’è il tuo nome, Monsieur?”, gli chiese, baciando le sue labbra, lentamente, una mano persa nei suoi capelli corti e scuri.

Bella domanda, qual era il suo nome?

“El.. El Cid”, credo.

La sua voce uscì ancora più roca e graffiante di quanto fosse. Ma lei sorrise guardandolo negli occhi, il rossore sulle sue gote la faceva apparire ancora più giovane e bella. Il Capricorno aveva già avuto le sue donne, che fossero fidanzate o semplici passatempi, tuttavia non aveva mai avvertito simili sensazioni di totale passionale piacere.

Era dunque questo quello che i suoi colleghi intendevano quando affermavano l’assoluta necessità di provare almeno una volta quelle donne?

Cercò di ricordare dove fossero finiti i pantaloni, e, soprattutto, quando li avesse sfilati, mentre lei , baciandolo, calava su di lui, accogliendolo dentro di sé.

Lui gemette, stringendole i fianchi, il suo mondo si muoveva ondeggiando dentro e fuori di lei, ogni pensiero coerente lasciò la sua mente e lui si trovò a vagare in un universo di rossa passione.

“Francine”, sospirò alzandosi a sedere per baciarla, prendendo il controllo, sopra di lei, senza lasciare il tepore umido del suo corpo.

Sorrise quando la avvertì tendersi e gemere.

Chiuse gli occhi, stretti, quando venne dentro di lei.


Raggiunse gli altri che la sera era già sfociata nella notte. Dalle espressioni rilassate e, soprattutto, dall’assenza di sproloqui da parte di Manigoldo, intuì che anche per loro il pomeriggio era stato piacevole esattamente quanto il suo.

Si accese una sigaretta, seguendo, ancora una volta, la schiena dritta e robusta di Sisifo. Dopo qualche scalino, il vento lo chiamò a voltarsi e la vide, appoggiata stancamente alla finestra.

Un cenno, un saluto e poi corse verso la propria dimora.

Francine rientrò nella camera, guardando il letto disfatto ed umido che più tardi le inservienti avrebbero cambiato.

Gli occhi spaventati cozzavano con la serena gioia del suo viso.

Mai, dalla notte con Sage, aveva provato quella sensazione di assoluto, totale piacere, mai aveva perso il controllo con un cliente, nemmeno con quel ragazzo freddo che portava un nome francese come il suo e l’aveva fatta sentire a casa, anche se solo per un’ora.

“El Cid”, sussurrò alla notte, mentre scendeva a cenare con le ragazze nella sala comune.


La cercò di nuovo, constatò con gioia. Sempre lei, solo lei.

Anche quando era tornato ferito, nel corpo e nell’orgoglio, e lei gli aveva fatto dimenticare, per una notte intera, il dolore che aveva inferto e ricevuto, consapevole, per la prima volta dopo mesi, di quella verità di cui le aveva parlato Sage durante la notte della sua consacrazione. Aveva visto le sue lacrime, rosse come il sangue, e le aveva asciugate con la sua totale devozione.

Anche quando Aspros l’aveva lasciata livida e sanguinante, accasciata in un angolo della stanza, terrorizzata, e lui avrebbe voluto cancellare per sempre il dolore e la paura dai suoi occhi.

“Mi dispiace El Cid”, aveva sussurrato lei tra i singhiozzi, mentre lui la stringeva forte a sé.

“Non dovresti consolarmi, dovrei… dovrei…”

Ma lui l’aveva baciata, calmandola con le carezze e il suo calore.

“Non preoccuparti, Francine”, continuò calmo come il mare di primavera. “Ho già avvisato Melina, e Sage è stato informato della situazione.” Le baciò i capelli che profumavano di viole. “Aspros non verrà più, vedrai.”

Lei scosse la testa alzandosi a guardarlo negli occhi.

“Non devi essere tu a sacrificarti per la mia incompetenza”, asserì seria.

Ma lui rise baciandola e stringendola di nuovo.

“Quale sacrificio, sciocchina! Vieni”, le disse, conducendola alla finestra. Di fronte a loro le luci di Rodorio sfumavano nel cielo scuro e le stelle brillavano di vita, gemelle delle onde del mare.

E davanti alle sue stelle aveva avvertito qualcosa agitare il suo cosmo e il suo cuore, qualcosa che temeva più delle battaglie e delle ferite.

Qualcosa che temeva più della morte.

La lasciò addormentata alle prime luci dell’alba.

“Nobile El Cid”. lo salutò Melina contrita. “Mi dispiace per quanto è successo alla piccola, Sage ha già provveduto, a quanto riportano.” Sospirò abbassando il capo in un gesto di scuse. “Mi rammarico che Francine non sia riuscita a soddisfarla. Stasera non verrà conteggiata”, si affrettò ad aggiungere mentre lui le spingeva in mano un piccolo sacchetto tintinnante.

“No, signora Melina, la prego di accettarli. Mi impegnerò a scendere da lei ogni volta che posso”, la voce era un bisbiglio. “Ma me lo prometta. Non lasci che Aspros le si avvicini mai più.” La voce si abbassò di un’ottava. “Non le faccia avvicinare più nessuno.”

Se ne andò quasi correndo, senza vedere il sorriso che si allargava sulle labbra rubino della donna.


Eranthe era una ragazza strana. Nonostante la signora Melina la pregasse e scuotesse la testa tutte le volte che lasciava la casa mormorando incoerenti parole di benedizione per quella benedetta ragazza, figlia di quella sconsiderata di mia sorella, lei non aveva mai accettato di lavorare con loro.

“Forse le fa schifo Sage”, aveva commentato ridendo Cinthia dai boccoli d miele.

E Francine avrebbe voluto dire alla signora Melina che vedeva un alone scuro tutto intorno a lei, qualcosa che prendeva forma come un’ombra alata.

Un segreto dietro alle sue iridi scure.

Ma non lo fece, non lo fece mai.

Perché le era stato insegnato che ognuno ha i propri segreti e tali dovevano restare.

Così come non rivelò mai a nessuno di essersi innamorata del Santo del Capricorno.

Lentamente, senza rendersene conto, era caduta nel peccato più dolce e terribile che potesse commettere, ed ora avrebbe pagato il prezzo per la sua imprudenza.

Vedere la sua schiena che si allontanava, vederlo felice, anche insieme ad un’altra, migliore di lei.

Tutte sono migliori di me...

Vederlo combattere con la devozione devastante nello sguardo verso quella dea dagli occhi di fanciulla.

Abbassò il capo sorseggiando il decotto al prezzemolo che tutte le mattine dovevano bere per scongiurare una gravidanza, sulle spalle, in bilico, il peso della sua scelta.

Il suo cuore sarebbe appartenuto per sempre a lui.

Avvertì lo sguardo scuro di Eranthe su di sé, ricambiandolo con un mesto sorriso.

Aveva capito, lei aveva compreso: perché, forse, anche lei...?

Fu un secondo, quando la porta si spalancò e il suo cuore perse un battito alla vista del piccolo Atla che annunciava i nomi dei Santi che sarebbero partiti in missione.


C’era la luna piena, l’ultima notte del mese sacro a Persefone.

La notte inoltrata aveva spento qualsiasi rumore a Rodorio ed attenuato tutte le luci.

Il chiarore che inondava la stanza dai tenui toni di lilla, era testimone di un uomo, solo un uomo, seduto al bordo del letto, le spalle curve, la testa tra le mani, i muscoli delle braccia tesi.

Una ragazza, solo una ragazza, dagli occhi preoccupati, luminosi di lacrime, gli circondava le spalle in un timido abbraccio, baciandogli il capo.

“El Cid...”, mormorò lei, sottovoce, come se quel mormorio sommesso potesse disturbare la notte e il sonno dell’intero Santuario.

“Mi dispiace, Francine, io...io...Dannazione!”, esplose lui, lasciandosi cadere di nuovo sul letto disfatto e stringendola fra le braccia.

La luna sorrise.

Quella stessa sera, ore prima, come di consueto al confine tra il giorno e la notte, lui era sceso dal Santuario dopo quasi quindici giorni di assenza a causa di un’improvvisa missione.

Si era recato da lei, ignorando ogni altro suono che non fosse la sua voce, cieco ad ogni altro colore che non fossero i suoi.

L’aveva amata, con la disperazione della lontananza, del sottile timore di non tornare, di non poterla più rivedere.

E gli aveva fatto male, terribilmente; ogni colpo, ogni esplosione del suo cosmo, recava inciso il suo nome, la sua volontà di ritornare, tutte le volte.

Sopra di lei, nel rituale di quella danza antica quanto gli dei, l’aveva guardata negli occhi ed aveva sorriso, stupito di quanto lei si incastrasse perfettamente nelle pieghe della sua mente e del suo cuore.

Poi qualcosa lo colpì, potente come una marea, dentro al suo pensiero, dentro ai suoi sentimenti. Un’onda bianca di pura energia che lo fece gemere, aggrappare con forza alla testata del letto e aumentare il ritmo.

Lo sguardo impigliato a quello di lei, mentre tutto il resto del mondo svaniva e l’unica realtà di cui era cosciente erano i loro corpi nudi e uniti.

Si era chinato verso di lei, le labbra appoggiate al suo orecchio, appena prima che il suo corpo esplodesse in miliardi di stelle e la portasse con sé.

“Ti amo, Francine”, gemette. “Che Athena mi perdoni, io ti amo.”

La udì gridare il suo nome, poi il mondo fu travolto da una tempesta perfetta.

Quando si rese conto dell’assurda enormità di quanto aveva appena confessato, El Cid sperimentò per la prima volta, l’irrazionale timore che lei potesse scappare, allontanarlo e che lui non potesse più nemmeno avvicinarla.

Così si era seduto, al bordo del letto dai tenui lilla, la testa fra le mani, il timore nella voce.

“El Cid”, sussurrò lei, la testa appoggiata stancamente alla sua spalla, protetta nel suo abbraccio forte e caldo.

“Scusami, piccola Francine”, sussurrò lui, la voce profonda e roca rimbombava nel suo petto.

Lei abbozzò un sorriso, guardandolo negli occhi, lui si accorse che le labbra arrossate e gonfie dei suoi baci stavano tremando.

“Lo pensi davvero, oppure...” Lui la baciò interrompendo ogni discorso

“Sì.” Una sola sillaba che cambiò la sua vita per sempre. “Perché?”

“Perché ti amo anche io, El Cid.” Sottovoce, gli occhi bassi, nascosta dai capelli che inondavano di seta il suo petto.

E l’intero universo, in quell’istante, si fermò a guardare.


Passarono i giorni, nei quali la loro unione divenne palese e dolorosa. Trascorsero settimane, prima che lui ammettesse a se stesso di volerla con lui, nelle stanze private del suo tempio, nelle stanze segrete della sua vita.

Si stupì quando Sage abbozzò una risata.

“Sì, la piccola francese!”, concesse. “La ricordo bene. Quella notte Deneb Algedi brillava così luminosa...” I suoi occhi si fecero nostalgici.

Si rivolse poi al Santo ancora inginocchiato di fronte a lui.

“Sai a cosa stai andando incontro El Cid?” Gli rivolse la domanda, terribile, senza stupirsi quando il ragazzo annuì, serio.

“Athena ti concederà udienza appena terminate le celebrazioni in suo onore, El Cid del Capricorno”, concluse sforzandosi di non sorridere di nuovo di fronte all’estrema richiesta di quell’uomo così serio e solitario.


Shion lo aspettava di fronte al suo tempio. Tra le mani un sacchetto di cuoio contenete un piccolo anello che lui stesso aveva fabbricato da una scaglia dell’armatura del Capricorno, prelevata dalla placca che proteggeva il cuore.

Così che lei sia custode delle mie lacrime e del mio sangue.

Si sorrisero, senza una parola, prima che El Cid scendesse, quasi correndo, verso Rodorio.

La costellazione che gli faceva da guida brillava pura sfidando il sole al tramonto.


Note:

Dedicata a Francine, la mia sorellina a distanza, con un enorme GRAZIE!!

Caffè e baklavà?


  
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