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Autore: giraffetta    03/04/2014    4 recensioni
//Gale!centric / Katniss!centric // accenni Everthorne / Everlark // |Post Mockingjay|
“Credo che sia proprio un fato, mamma. Non si muove da lì, è come una statua. Forse non può essere mosso, non finchè non ha finito la sua missione.” pigola Willow, slacciandosi la mantellina rossa con maestria.
Katniss riflette su quelle parole, assorbendole come una spugna. Forse non può essere mosso. Non ha finito la sua missione.
“E quale sarebbe questa missione?” si ritrova a chiedere.
“Come quale? Sta aspettando la sua fata, naturalmente. Ogni fato dagli occhi grigi ha la sua fata dagli occhi grigi, non credi anche tu?” spiega la bambina, fissando Katniss nei suoi occhi grigi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                      L’uomo che non può essere mosso
-The man who can’t be moved-


 

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Going back to the corner when I first saw you
Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move
Got some words on cardboard, got your picture in my hand
Saying : "If you see this girl, can you tell her where I am."

Some try to hand me money, they don't understand
I'm not broke, I'm just a broken hearted man.
I know it makes no sense, but what else can I do
How can I move on when I'm still in love with you...



Un uomo con dei jeans logori e una maglietta bianca a maniche corte cammina a lunghi passi verso il confine del Distretto 12, laddove una volta sorgeva la Recinzione e dove ora si estende un prato di fiori colorati.
Il cielo quasi plumbeo sembra presagire l’arrivo di un temporale, ma a quell’uomo non importa. Continua a camminare deciso verso la sua destinazione, senza curarsi di nulla.
Il passo spedito, l’andamento fiero, lo sguardo attento. Chiunque potrebbe riconoscere in quella figura la fisionomia di Gale, Gale Hawthorne. Non è poi così cambiato, almeno non esteriormente.
Ha ancora i capelli neri, leggermente scompigliati, la carnagione olivastra e gli occhi grigi da giacimento, anche se ormai lui non vive più lì.
Gale si guarda intorno, aggrottando le sopracciglia. È tutto come ricordava: il bosco fitto, le radici degli alberi sporgenti dal terreno, i cespugli di more e il sole pallido e lontano che filtra tra i rami, proiettando ombre strane sui tronchi.
Sembra sia passato un giorno e non anni da quando è andato via.
Il cielo si è fatto più scuro e un vento freddo ha iniziato a soffiare, portando odore di terra bagnata e foglie umide, ma Gale continua il suo percorso. Sa già dove deve andare.
Sposta un ramo basso e scansa appena in tempo uno scoiattolo, che lesto si arrampica sull’albero più vicino. Sono gesti meccanici, di chi conosce il territorio, di chi si sente a casa.
Dopo un’altra svolta, si ferma all’improvviso, di botto. Dinanzi a lui, pochi metri più sotto, il lago dorme tranquillo, increspato solo a tratti dalle raffiche di vento freddo.
Gale avanza cauto, scrutando con gli occhi le rive ghiaiose e gli arbusti secchi tra le rocce, finchè non individua l’oggetto delle sue ricerche.
Si avvicina attento e la prima cosa che fa è allungare una mano e sfiorare la superficie callosa e ruvida della roccia. È ancora lì, un po’ usurata dalle intemperie, ma lì. Lo sperone di roccia dove tante volte si era acquattato con Katniss è ancora in piedi.
Gale ci si innalza sopra e si siede a gambe incrociate. La vista è magnifica da lì sopra, domina il lago, la valle, il mondo.
Quanti sogni ci ha costruito sopra, su quella roccia scheggiata e sporca! Sogni di bambino, di ragazzo, di uomo. Sogni che non si sono realizzati, spazzati via da qualcosa di più grande della speranza, distrutti da un fuoco che ha bruciato, e non curato, vecchie ferite.
Gale sospira e scaccia con una mano una ciocca di capelli ribelle, scivolata sulla sua fronte. Non sa perché è arrivato fin lì, o forse sì.
La sua partenza è stata improvvisa, ma necessaria: erano giorni che continuava a svegliarsi di soprassalto, nel cuore della notte, senza ricordare nulla di ciò che aveva sognato. Non erano i soliti incubi, popolati di bombe, grida e sangue, tanto sangue. Era un sogno vuoto, nero, opprimente, come era diventato il suo cuore.
Adesso, seduto su quella roccia amica, sente il respiro farsi più leggero e la fitta al petto attenuarsi. Chiude gli occhi e per un attimo gli sembra di tornare indietro nel tempo, di essere al sole, su quella stessa roccia, a dividere un pezzo di pane con una ragazza dagli occhi grigi e una treccia castana.
Il volto di Katniss irrompe prepotente sulla scena e sembra inghiottire tutto il resto, colpendo Gale nel profondo. Spaventato, l’uomo apre di scatto gli occhi, ritrovandosi a fissare tra gli arbusti due occhi azzurri, o forse grigi, e due trecce castane.
Il tempo sembra fermarsi e i ricordi lo inghiottono con prepotenza, ma prima che Gale possa anche solo muovere un dito, la figura è scomparsa, inghiottita dalla vegetazione, lasciandolo con la bocca aperta a parole non dette e con le mani artigliate al nulla.
“Cat…nip…” sospira dopo quella che sembra un’infinità di tempo. Ma non ode nessuna voce di ragazza squillare allegra tra gli alberi, rimproverandolo di star zitto per non far scappare le prede. Non ode nessun vibrare d’arco e nessuno sciocco di freccia tra il silenzio fitto della foresta.
Ancora scioccato per l’apparizione –o sogno?- non si è nemmeno accorto della pioggia che ha iniziato a cadere copiosa, sommergendolo come uno scoglio in mezzo alla tempesta. Così rimane lì, seduto sullo sperone di roccia, bagnato dalla pioggia e sferzato dal vento, immobile.
A pochi passi da lui, un’esile figuretta con un cappuccio rosso tirato sulla testa gli scocca un’ultima occhiata dubbiosa prima di mettersi a correre verso il bosco.

 

***


“Mamma! Mamma!”
Una bambina di circa sette anni irrompe con gran chiasso nella panetteria Mellark. È fradicia di pioggia e lascia piccole impronte fangose lungo il suo cammino, insieme ad una scia d’acqua.
Katniss esce dal retrobottega, le mani sporche di farina avvolte nel grembiule, e fissa sua figlia con un cipiglio corrucciato.
“Willow!” esclama risentita, osservando sua figlia. “Che cosa hai combinato? Sei tutta bagnata…” continua, la voce smorzata dalla preoccupazione.
Si avvicina a sua figlia e le slaccia veloce la mantella rossa, appallottolandola ai suoi piedi. Le sfila gli stivaletti infangati e la stringe a sé, per darle calore, sfregandole le braccia con le mani.
“Mam… mamm… mamma! Mi fai il solletico!” sghignazza Willow, cercando di divincolarsi dalla presa materna.
Katniss trattiene un sorriso e lascia che la figlia le sgusci via dalle mani, correndo verso il bancone dei dolci. La vede adocchiare una ciambellina glassata sul vassoio con circospezione e quando Willow le scocca un’occhiata interrogativa, non può far altro che annuire.
Mentre la piccola addenta felice la sua merenda, Katniss cerca di pulire il disastro combinato nella panetteria, asciugando il pavimento. Una volta finito, raggiunge la figlia dietro il bancone e la guarda seria.
“Willow, quante volte ti ho detto che non devi allontanarti da sola nel bosco?” la rimprovera. Willow si stringe le mani e distoglie lo sguardo. Sa benissimo che le è vietato andare da sola nel bosco senza avvertire, ma non sa spiegare perché quegli alberi e quei cespugli esercitino su di lei un richiamo irresistibile. Sembra quasi che il suo corpo decida di andare in direzione della foresta prima ancora che la sua mente formuli il pensiero.
“Allora? Ti sei anche tutta bagnata, perché non sei rientrata subito appena hai visto il cielo scurirsi? Ti ho insegnato a capire i cambiamenti del tempo, sei grande ormai per sapere quando sta per piovere.” continua Katniss, chinandosi all’altezza di sua figlia. Willow annuisce, compita.
“Lo so mamma.” mormora. “Ma…” si ferma, incerta. Non sa se dire alla mamma cosa l’abbia trattenuta nel bosco, sotto la pioggia. E poi, se anche glielo dicesse, le crederebbe sua madre?
“Ma?” la incalza la madre, tirandole gentile una treccia finita di sbieco su una spalla.
“Ma ho visto la fata dei boschi!” esclama alla fine la bambina, battendo le mani e sorridendo allegra. Katniss corruga la fronte, stranita.
“La fata dei boschi?” domanda. Willow annuisce, energica.
“Sì! In realtà era un fato, credo…” riflette, cercando di riportare alla memoria l’immagine dell’uomo che poco prima ha visto nel bosco.
“Willow, vuoi spiegare alla mamma cosa hai visto? Cosa sarebbe questo… questo fato? >> domanda con espressione dubbiosa. Poi, sorride tra se e sé e blocca la spiegazione di Willow con un cenno.
“Ah, scommetto che aveva le ali! E magari era vestito di foglie dorate come nel racconto che papà ti narra la sera, vero?” sta al gioco la madre. Sua figlia si sarà sicuramente fatta trasportare dall’immaginazione. La bimba però scuote la testa, facendosi d’un tratto seria.
“In realtà aveva una maglia bianca e stava seduto sulla grande roccia sopra il lago. Ha continuato a rimanere lì anche mentre pioveva, ecco perché mi sono bagnata. Lo stavo osservando, sperando che tirasse fuori le ali e volasse via.” spiega Willow, facendosi di nuovo prendere dall’entusiasmo.
Katniss stringe le labbra: la grande roccia. Sono secoli che non ci passa più. E solo un’altra persona potrebbe… No, impossibile.
“E così non era vestito di foglie… e vuoi dirmi com’era, te lo ricordi?” la incalza. Ha bisogno di altri particolari, anche se non capisce perché il suo cuore ha già iniziato a battere più furioso nel petto.
“Io… ricordo che aveva uno sguardo triste, molto triste.” mormora Willow, rattristandosi anche lei.
Katniss sorride e accarezza il visino della figlia. Allontana i pensieri dalla testa, pensieri sciocchi dopotutto, e si concentra sulla bambina.
“Forse il fato era triste per la pioggia, Willow.” cerca di rincuorarla, rialzandosi in piedi. “Adesso, perché non vai a preparare qualche biscotto? C’è ancora dell’impasto da usare, di là.” le propone, sapendo bene quanto sua figlia ami preparare biscotti per le sue bambole.
Infatti, la bambina si illumina e, saltellando, si dirige verso la cucina sul retro, già immaginando che forme preparare per il tè con le sue bambole.
Katniss la segue con lo sguardo, il cuore che è tornato a rallentare al battito normale. Nasconde gli stivaletti infangati sotto il bancone e ripiega la mantella appallottolata e ancora umida.
“Mamma?”
Katniss si volta verso la testolina della figlia, che fa capolino dalla porta, guardandola interrogativa.
“Il fato, sai… aveva gli occhi grigi. Grigi come i tuoi!” esclama, felice di aver ricordato quel particolare. Poi, scompare con una risata oltre la soglia, lasciando sua madre stupita, con una mano a stringere il petto per calmare di nuovo il suo battito impazzito.

 

***


Peeta osserva con sguardo dolce sua moglie, che, per l’ennesima volta, si sposta sospirando un ciuffo di capelli dal viso, mentre convince i bambini ad andare a letto.
“Sei stanca?” le sussurra all’orecchio, avvicinandosi alle sue spalle. Katniss sobbalza, voltandosi di scatto verso Peeta e guardandolo impaurita.
“Cosa c’è, Katniss?” sussurra il marito, accarezzandole una guancia con preoccupazione. La donna scuote la testa e accenna un sorriso, prima di tornare ad inseguire Willow con in mano i calzettoni.
“Willow!” le urla dietro, mentre la bambina si nasconde dietro il divano. Katniss la raggiunge sventolando un calzettone rosso, ma Willow sguscia via e corre dietro le gambe del padre, ridendo.
“Papà, difendimi!” urla, sbirciando la madre da dietro la mano poggiata sugli occhi. Peeta scoppia a ridere e inizia a fare versi da orso in direzione della moglie, nel vano tentativo di incuterle paura. Katniss si ferma accanto al tavolo e sorride. Adora quando Peeta gioca coi bambini, adora come li assecondi in ogni cosa, con pazienza e dolcezza. Adora lui, da sempre.
“Willow.” richiama sua figlia. La bambina fa capolino con un ghigno divertito e la fissa, in attesa.
“Se ti lasci infilare questi calzettoni, ti racconterò la favola che preferisci, va bene?” cerca di corromperla. Willow rimane pochi secondi pensierosa, poi corre incontro alla madre e si lascia infilare gli odiati calzettoni con velocità, correndo poi verso la sua stanza. Katniss la segue, non prima di aver lanciato uno sguardo complice al marito, che afferra Rye e se lo carica in spalla, pronto per portarlo a letto.
Dopo aver narrato la favola scelta appositamente da sua figlia, Katniss si alza in punta di piedi, per evitare di svegliare una Willow apparentemente addormentata. Sta per mettere piede fuori dalla stanza, quando una voce la richiama.
“Mamma?”
Katniss si volta, scontrandosi con due occhi azzurri spalancati nella penombra.
“Si?” domanda.
“Domani… domani posso tornare a vedere il fato?” mormora, la voce già impastata di sonno.
Katniss sussulta impercettibilmente. Il fato… ci pensa da tutta la sera ormai e non sa nemmeno più cosa pensare in realtà.
“Willow domani… domani devi aiutare papà con la torta glassata, lo hai dimenticato?” le ricorda. Willow annuisce, forse già nel mondo dei sogni, ma Katniss spera che sua figlia l’indomani non vada nel bosco. Vuole capire, deve capire se si è sbagliata o no.
Chiude la porta della stanza con dolcezza e fa un giro della casa per controllare che sia tutto in ordine, prima di andare a letto.
In cucina rimette a posto il barattolo dei biscotti lasciato sul tavolo e appende lo strofinaccio al gancio rosso. Accosta una sedia al muro e poi passa a raccogliere il pupazzo di Rye, finito chissà come sotto il tavolo. Tornando in corridoio spegne tutte le luci e raccatta da terra la felpa di Willow, posandola nella cesta dei panni da lavare. Indugia dinanzi alla stanza dove suo marito è solito dipingere, ma poi si accosta solo alla porta con la fronte, senza aprirla.
Sta ritardando il momento di andare a letto e lo sa. Ma non ha voglia di dormire e nemmeno di sognare. Perché ha paura, paura di sognare lui.
Da quanto tempo non ci pensa? Da quanto tempo non lo pensa?
Potrebbe sbagliarsi, certo. Ma chi altri uomini conosce che andrebbero nel bosco e proprio a quella roccia? Nessuno. O meglio, soltanto uno.
Katniss sospira e si decide a raggiungere la camera da letto. Peeta è ancora sveglio e le sorride da sotto le coperte, appoggiato ai cuscini. La donna si spoglia veloce, infilandosi il pigiama gelato, e si distende accanto al marito, poggiandosi al suo petto. Sente Peeta lasciarle un bacio tra i capelli e istintivamente lo stringe più forte, come a voler sparire in lui.
Peeta la avvolge delicatamente tra le sue braccai e sembra cullarla, come una bambina. Katniss si rilassa e ringrazia mentalmente il marito per non averle fatto domande. Ma lui non gliene fa mai: sa sempre cosa la turba senza nemmeno chiederglielo e sa sempre come calmarla.
Infine, adagiata al petto del marito, Katniss si tranquillizza e comincia a sentire un familiare torpore impossessarsi delle sue membra Prima di scivolare nel sonno, fa appena in tempo ad appuntarsi in un angolo della mente di recarsi nel bosco l’indomani, per vedere coi suoi occhi questo fato dagli occhi grigi. Grigi come i suoi.

 

***

 

'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And you heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you'd see me waiting for you on the corner of the street.

So I'm not moving
I'm not moving...



“Allora, stamani siete tutti di papà!” esclama Katniss, sorridendo ai bambini seduti al tavolo e intenti ad in zuppare dolcetti al burro nel latte.
Willow batte le mani e Rye sorride contento, addentando il suo biscotto e facendo colare un rivolo di latte fin sul mento. Peeta glielo asciuga lesto, scompigliandoli i capelli e contemporaneamente aggiustando il fiocco della treccia di Willow. Katniss sorride, contemplando quella scena. Gli fanno sempre tanta tenerezza, Peeta e i bambini.
Quando la truppa lascia la casa per recarsi in panetteria, Katniss inizia a sparecchiare velocemente. Ripone i dolcetti, sciacqua le tazze, posa i cucchiai nel cassetto e scuote la tovaglia di briciole. Alla fine, esausta come se avesse corso, rimane immobile al centro della cucina.
Ora che è mattina, ora che è un nuovo giorno, non sa bene se la sua sia una buona idea.
Si torce le mani, indecisa. Insomma, non c’è nulla di cui aver paura a fare una passeggiata nel bosco. O forse sì?
Scacciando i pensieri, si infila la giacca imbottita e si decide ad avviarsi verso la vecchia Recinzione. Una passeggiata le farà bene e inoltre deve verificare coi suoi occhi i suoi sospetti.
Quando si ritrova ai margini della foresta, inspira aria a pieni polmoni, venendo investita dai suoi odori preferiti: terra, foglie, erba, rugiada. Odori familiari, forti, pungenti.
Si inoltra spedita lungo in sentiero, schivando radici e piccoli scoiattoli affaccendati. Man mano che procede nel fitto della foresta, sente una nuova energia investirla. Cammina rapida, per nulla affaticata, fermandosi di tanto in tanto per osservare i deboli raggi del sole che penetrano tra le fronde.
Non appena riconosce il percorso che porta alla destinazione che si è prefissata, si blocca di colpo. Mancano pochi metri alla svolta che conduce alla grande roccia, pochi metri per vedere se il fato esiste veramente o è solo frutto dell’immaginazione di una bambina di sette anni.
Adesso Katniss è indecisa: potrebbe tornare velocemente indietro, lasciarsi alle spalle tutta quella stramba storia e tornare a casa, come se non fosse successo niente. Non è successo niente, infondo.
Ma sa che non è vero, qualcosa è successo. Una piccola lucina di speranza si è accesa dal giorno prima nel suo cuore e sa che spegnerla è difficile, a meno che non affronti la realtà.
Si morde un labbro, indecisa e impaziente, poi riprende di corsa a camminare, svoltando di botto l’ultima curva e trovandosi dinanzi la roccia a picco sul lago. Il suo cuore perde un battito e sente la testa girare non appena i suoi occhi incontrano quelli grigi di Gale, il fato. Occhi grigi contro occhi grigi, che sembrano urlare ciò che le bocche non riescono a dire.
Anche lui rimane stupito e accenna a dire qualcosa con le labbra, ma Katniss è già sparita, inghiottita dal fitto della foresta, evaporata insieme alla rugiada mattutina.
La donna non si ferma se non quando è al sicuro oltre la vecchia Recinzione. Solo allora si piega in avanti e tenta di riprendere fiato, appoggiandosi alle ginocchia. Non riesce ancora a credere a quello che ha visto, non può crederci. Forse si è sbagliata, forse la testa le ha giocato qualche brutto scherzo, forse soffre di allucinazioni. Non può essere lui. Lui è andato via, anni fa.
Katniss riprende a camminare e va dritta a casa, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.
Si nasconde sotto il letto, -è un’ abitudine che ha preso quando è spaventata da qualcosa e non ha Peeta accanto a sé-, e si raggomitola su se stessa.
D’un tratto si sente svuotata e non sa cosa fare. Tornare alla roccia e affrontare la realtà o restarsene rannicchiata lì sotto, sperando di dimenticare?
Alla fine, Katniss sguscia via da sotto il letto e si siede sul bordo del piumone. Con la mente ancora confusa, realizza che forse ha sognato, che ha solo immaginato di vedere quello che in realtà non potrebbe accadere. Sì, è stato solo uno scherzo della sua mente instabile, una specie di visione, di proiezione.
Si alza lentamente e getta un’occhiata fugace allo specchio sulla parete: la sua mente può pure usare quella scusa per non affrontare la realtà, ma i suoi occhi, grigi e profondi, non possono mentire. E, in quel momento, Katniss vi legge dentro che ciò che ha visto, chi ha visto, non è altro che realtà.

 

***


Sono passati due giorni da quando Gale si è accampato sul grande sperone di roccia, due lunghi giorni. Non si è mosso di un millimetro, perso nelle sue riflessioni.
Alla fine, l’ha vista. Era lei.
È fuggita via in un attimo, ma Gale sa che era lei, poteva solo essere lei. Ecco perché tra tanti posti ha deciso di appostarsi proprio lì: solo loro due sono a conoscenza di quel luogo, solo loro due sanno cosa rappresenti.
L’uomo si passa una mano sul viso, sporcandosi di terra, e sospira. Non sa quanto ci vorrà, ma è disposto a rimanere lì anche per anni se necessario. In quella solitudine, in quel silenzio, è riuscito a mettere ordine ai suoi pensieri come mai prima di allora. Ha rivissuto i passi principali di un’intera vita, ha soppesato le sue scelte, giuste e sbagliate, ha versato fuori lacrime e dolore, ma anche risate e ricordi gioiosi.
A quella roccia, dove aveva iniziato a sognare la libertà e un futuro, ha confessato tutte le sue promesse infrante, e gli sbagli, le mancanze, le perdite, le delusioni. Ha liberato tutto ciò che si portava dentro il cuore, lavandosi di anni di ricordi marciti e ferite mai cicatrizzate.
Gale si umetta le labbra secche con la lingua e scuote i capelli umidi: ha piovuto a tratti in quei due giorni, ma lui non si è mosso. Perché sa che lei tornerà, deve tornare. Ci metterà del tempo, come sempre del resto, ma alla fine dovrà tornare a quella roccia e affrontarlo.
È per lei che è tornato. È per lei che si è seduto su quella roccia, in attesa.
Quando gli è balzata in testa quell’idea, di tornare, la prima reazione è stata paura. Peccato che gli sia venuta solo quando era già sul treno diretto al Distretto 12. Era tardi per un ripensamento, ormai ci era già dentro fino al collo.
Ma, mentre camminava per quei boschi così familiari, per quei sentieri battuti tante volte in gioventù, aveva capito che era stata la scelta migliore. Era stata la scelta migliore perché era stato il suo cuore a suggerirgliela, così, spontaneamente.
Riflettendo sulle vicende che, concatenate le une alle altre, lo hanno portato lì, Gale si sente vacillare. Per un attimo, quella roccia gli sembra sospesa sull’orlo di un baratro nero e non sul lago. Per un attimo i ricordi gli offuscano la vista e deve far leva con tutto se stesso per impedire a nuove lacrime di rigargli le guance.
Succede sempre così: a volte, anche quando gli sembra di aver fatto pace col passato, le emozioni più inconsce attanagliano di nuovo il suo cuore e gale non può sentirsi altro che sconfitto.
Mentre osserva il lago tranquillo, scacciando i pensieri tristi dalla mente e dagli occhi, un rumore secco, come uno schianto, lo fa sobbalzare. Alle sue spalle c’è qualcosa che si muove furtivo e Gale si accuccia in una posizione di attacco, scrutando la boscaglia con l’attenzione di un cacciatore esperto.
Una treccia ballonzola tra i cespugli e Gale emette un verso strozzato. Una treccia, quella treccia.
“Catnip!” urla nitido, come non era riuscito a fare due giorni prima. Sente il sangue defluirgli dal viso e la bocca farsi improvvisamente secca, mentre annaspa in cerca d’aria.
Si era sempre immaginato il suo incontro con lei un tantino diverso, senza quell’espressione da pesce boccheggiante che sente di avere stampata in viso. Ma gli sembra davvero di aver dimenticato come respirare, troppo concentrato a calmare il cuore e i pensieri.
La treccia continua a muoversi tra le foglie, finchè due occhi azzurri non fissano Gale da dietro il cespuglio di more, curiosi. La bambina, avvolta in una mantella rossa, rimane accucciata a guardare Gale, che a sua volta la scruta inebetito. Quegli occhi… sono azzurri. Ma quella treccia è la stessa di…
Lentamente, come in trance, si alza in piedi e striscia fino al cespuglio, tendendo una mano. Deve toccare, deve verificare che non sia un’apparizione frutto della sua fantasia.
Ma quegli occhi azzurri…
Le dita della mano fanno appena in tempo a stringere un nastro rosso della treccia, che la bambina schizza via rapida, perdendosi tra gli alberi fitti e lasciandolo solo, con il nastro in mano.
Gale fissa quel nastro, curioso, e lo avvolge al dito una, due, tre volte. Si rimette seduto stancamente e, guardando il lago, un sorriso gli increspa le labbra. La sua attesa sta per finire. Ora sa che lei tornerà.

 

***

 

People talk about the guy
Who's waiting on a girl, oh whoa
There are no holes in his shoes
But a big hole in his world.

Maybe I'll get famos as "The man who can't be moved"
And maybe you won't mean to but you'll see me on the news.
And you'll come running to the corner
'Cause you'll know it's just for you...




Katniss inforna una teglia di biscotti a forma di anatroccolo e torna al bancone della panetteria. È quasi ora di chiudere per il pranzo, ma Willow ancora non è tornata.
A volte, Katniss pensa che sia troppo vivace e che potrebbe cacciarsi in qualche guaio, ma subito sorride ai suoi sciocchi pensieri. Willow è come lei, determinata e indipendente. Sa badare a se stessa e non farebbe mai niente di pericoloso.
Lancia un’occhiata a Peeta, che sta finendo di pulire il pasticcio combinato da Rye sul bancone delle guarnizioni per torte, e guarda distrattamente la vetrina coi dolci in esposizione. Mentre sistema una torta di fragole in una posizione più centrale, la porta si apre e Willow fa il suo ingresso all’interno trafelata. Si blocca di colpo dinanzi alla mamma e rimane in silenzio.
Katniss la scruta, verificando con una rapida occhiata che non abbia ferite o lividi, e poi la raggiunge, chinandosi dinanzi a lei.
“Che succede, Willow?” le domanda, gentile. Le accarezza una mano e le sistema la mantella, scivolata da una spalla. Nel farlo, scorge che una delle trecce è disfatta e si accorge che non è più legata col nastro rosso, come l’altra.
“Che hai fatto ai capelli, tesoro?” le chiede, accarezzando le ciocche scomposte. Willow non risponde, mordicchiandosi un labbro. Non sa se dire che è stata di nuovo nel bosco e ha visto il fato, che le ha pure preso il nastro, o inventare una bugia. Alla fine, decide di confessare: non è mai stata tanto brava a mentire.
“Sono andata nel bosco.” sputa, evitando di guardare la mamma. Katniss sorride, cercando di mantenere un’espressione vagamente severa, e immagina già come sia andata a finire: a forza di correre tra gli alberi, sua figlia si sarà impigliata in qualche ramo con la treccia e, invece di scioglierla paziente, avrà strappato il nastro. Sta quasi per scoppiare a ridere, liquidando la faccenda con una carezza, quando le parole di Willow la bloccano.
“E… c’era il fato. Era ancora lì, sulla roccia.” continua la bimba. A quelle parole, Katniss aggrotta le sopracciglia e stringe le labbra.
Lui è ancora là, pensa. La sta aspettando.
“E cosa hai fatto al nastro?” Cerca di concentrarsi su Willow, ma la sua testa sta già volando verso altri pensieri, verso altri ricordi. Non può concedersi il lusso di estraniarsi dal mondo, però, non ora.
“Me lo ha tirato via lui. Mi ha visto e me lo ha tirato. E io sono scappata.” conclude Willow, lisciandosi le pieghe della mantella. Katniss annuisce, senza sapere cosa dire. L’emozione che prova è troppo forte per poter parlare, così si alza e meccanicamente scioglie anche l’altra treccia di Willow, tenendosi il nastro in mano.
“Non sei arrabbiata con me?” chiede circospetta la bambina, guardando la mamma. Katniss la fissa dritta negli occhi, chiedendosi cosa lui vi abbia visto, e scuote piano la testa. Le parole sembrano essere state risucchiate via dalla sua bocca. Non riesce nemmeno a pensare a come articolarle, troppo scioccata per concentrarsi.
Willow sospira e riprende a ridere, piroettando sulle punte. Temeva di ricevere una ramanzina, ma la mamma non le ha detto niente. È strano, ma Willow liquida la faccenda senza pensarci troppo: lei sa che la mamma a volte è un po’ stramba, ma le vuol bene comunque.
“Credo che sia proprio un fato, mamma. Non si muove da lì, è come una statua. Forse non può
essere mosso, non finchè non ha finito la sua missione.” pigola Willow, slacciandosi la mantellina
rossa con maestria.
Katniss riflette su quelle parole, assorbendole come una spugna. Forse non può essere mosso. Non ha finito la sua missione.
“E quale sarebbe questa missione?” si ritrova a chiedere, senza sapere nemmeno come ha fatto a parlare. Willow la guarda sorridendo e batte le mani.
“Come quale? Sta aspettando la sua fata, naturalmente. Ogni fato dagli occhi grigi ha la sua fata dagli occhi grigi, non credi anche tu?” spiega la bambina, fissando Katniss nei suoi occhi grigi.
Katniss rimane spiazzata da quella semplice confessione e sente il pavimento vorticare sotto i suoi piedi. Non le sembra opportuno svenire così nel bel mezzo della panetteria, non con i bambini e suo marito. Peeta, suo marito. Si preoccuperebbe troppo, lo sa.
Respira a pieni polmoni e si sforza di mantenere l’equilibrio. Willow la sta guardando perplessa, con la bocca socchiusa e le mani a mezz’aria, sul punto di battere le une contro le altre. Sforzandosi, Katniss le rivolge un sorriso rassicurante e le carezza la testa.
“Perché non vai ad aiutare tuo fratello a decorare i biscotti di cioccolato?” propone alla fine, mantenendo la voce neutra. Willow scatta contenta e sparisce nel retro, lasciando sola Katniss con in mano il nastro rosso e nel cuore un dubbio: affrontare o no la realtà?

 

***

 

'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I ccould be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you'd see me waiting for you on the corner of the street.

So I'm not moving
Iìm not moving...




Katniss si asciuga con una manica una goccia di sudore che le cola dalla fronte. Ricordava la via per raggiungere la roccia meno impervia, eppure ci sta mettendo molto più tempo del dovuto.
È l’alba del terzo giorno e lei è sgusciata via di casa come una fuggitiva, incamminandosi spedita verso la sua meta, cercando di non pensare.
Una parte di lei sente che ciò che sta facendo è assurdo, ma l’altra parte invece la sprona a farlo. Deve arrivare a quella roccia e deve vedere la realtà.
A pochi metri dalla famosa svolta, si arresta, esausta. Pochi passi la separano da lui e solo adesso sembra rendersi conto di quello che sta per fare. Una strana inquietudine le afferra lo stomaco, ma si costringe a continuare. Il nastro rosso che ha in mano sembra essere una specie di talismano, un amuleto contro tutto quello che troverà oltre la svolta. O contro tutto quello che non troverà affatto.
Finalmente, decide di compiere quei pochi passi e sbuca ai piedi della roccia. La prima cosa che mettono a fuoco i suoi occhi sono un altro paio di occhi. Grigi, come i suoi. Lo sguardo sale ai capelli neri scompigliati e scende sulla bocca leggermente dischiusa, ma poi torna a fissarsi sugli occhi. Grigi. Accesi. Brillanti.
Katniss scruta Gale e sente il cuore batterle furioso contro la gabbia toracica. Vi poggia una mano sopra, la mano che stringe il nastro rosso di sua figlia, e prova a calmarlo, respirando.
Gale la sta osservando, immobile. In mano ha un nastro rosso identico al suo e lo lambisce piano con le dita, come in una carezza gentile.
L’aria sembra essersi cristallizzata e il tempo fermato: non si ode niente, se non il rumore di brevi sospiri accelerati. Poi, succede tutto in fretta. Katniss avanza di un passo, Gale scatta in piedi e in un attimo sono lì, abbracciati, stretti, le mani chiuse sulle spalle e i volti immersi tra i capelli.
“Catnip…” riesce a sussurrare Gale tra i capelli della donna, stringendola a sé con forza. Katniss invece non riesce ancora a parlare e si limita a nascondere il viso contro il petto dell’uomo, lasciando scivolare fuori qualche lacrima salata.
Dopo quello che sembra un secolo, i due si spostano, rimanendo abbracciati a guardarsi in viso. Gale osserva qualche piccola ruga sul volto della donna, le guance più piene e le labbra morsicate; Katniss contempla i segni di espressione intorno agli occhi dell’uomo, il viso più smorto e la pelle un tantino più scura. Ma, sono loro, Katniss e Gale.
Finalmente riescono a spezzare quella specie di incantesimo e si sciolgono definitivamente dall’abbraccio, sentendosi imbarazzati.
“Cosa… Cosa ci fai qui, Gale?” pronuncia Katniss a fatica, strascicando le parole e pronunciando il suo nome in un sussurro. L’uomo la guarda: cosa potrebbe dirle? Perché è andato lì?
“Io…” comincia, non sapendo trovare le parole adatte.
“Sediamoci.” la invita, indicando la roccia. La loro roccia. Katniss rimane incerta, poi si adagia sulla roccia ruvida, le gambe strette al corpo e le mani a circondarle, come una difesa, uno scudo. Gale le si siede di fianco, senza sfiorarla, e giocherella col nastro rosso. Anche Katniss continua a stringere il nastro e capisce che sua figlia ha detto la verità, dopotutto. Gale è seduto su quella roccia da tre giorni, è lui il fato.
“Sono… sono venuto qui, all’improvviso.” comincia Gale, guardando fisso le sue mani. Katniss si riscuote dai suoi pensieri e si volta verso di lui.
“Non lo so bene perché… Una notte ho fatto un incubo, uno diverso dagli altri: era tutto nero, opprimente, deserto. Poi mi sono svegliato, sudato, impaurito e la prima persona a cui ho pensato eri tu, Catnip.” confessa, girandosi finalmente a guardarla. La donna annuisce, comprensiva: conosce gli incubi come le proprie tasche. Non se ne vanno mai. Non se ne sarebbero andati mai.
“Questo si è ripetuto per due notti. Poi per tre, poi per quattro, e così via, ogni singola notte. Così, eccomi.” ammette. Katniss continua a fissarlo, deglutendo piano. Ha in testa tanti pensieri, ma non riesce a formularne nemmeno uno, non riesce a trovare le parole per dar voce a quelle sensazioni che le ballonzolano dentro.
“Perché questa roccia?” chiede alla fine. “Come sapevi che… che sarei venuta?”
Gale le sorride. Alza gli angoli delle labbra e le sorride, così, semplicemente.
“Non lo sapevo, ci speravo però. Ho pensato che se un giorno avessi sentito la mia mancanza… beh, questo è il posto dove saresti venuta. Dove ci siamo incontrati la prima volta. Così, sono venuto qui, proprio su questa roccia.” spiega l’uomo.
Katniss sorride. Le sembra un bel pensiero quello. Poi, si rende conto che non è un pensiero, è la verità. I primi tempi, quando Gale le mancava come se le avessero strappato via un arto, era lì che andava. Si stendeva sulla roccia e rimaneva immobile, per ore. Col tempo, poi, ci era andata sempre meno, fino a smettere. Preferiva tenere lontano il ricordo di Gale, di un tempo ormai passato, di un’altra vita. Era meno doloroso, meno pauroso da affrontare.
Con un accenno di sorriso, Katniss tende la mano verso Gale e lui la stringe. Si voltano insieme a guardare il sole che inizia a salire in cielo, tingendo tutto con la sua luce calda e rimangono così, in silenzio. Le parole verranno, dopo.

 

***


“Devo andare” mormora Katniss. Sono rimasti in silenzio a lungo, lei e Gale. Non che non avessero nulla da dirsi, tutt’altro. Solo che non era importante, non in quel momento, almeno.
Gale annuisce, muovendo il pollice in lenti cerchi sul dorso della mano di Katniss.
“Lo so.” dice piano.
Eppure nessuno dei due si muove: Katniss rimane ancora seduta e Gale continua ad accarezzarle la mano, lento. Il sole ormai è sorto completamente e la donna sa che a casa Peeta si starà preoccupando non vedendola tornare. Sebbene suo marito sia abituato a non trovarla a volte in casa -il suo bisogno di isolarsi, a volte, è più forte di lei-, Katniss sa che lui si preoccupa comunque. E poi ci sono i bambini. Non può proprio rimanere.
Con delicatezza sposta la mano da quella di Gale e stende le gambe dinanzi a se. Non c’è bisogno di dire nulla, non c’è né tempo né voglia. I due si alzano in piedi contemporaneamente e rimangono lì, su quella roccia, fermi, a dominare il lago sotto di loro.
“Allora…” prova a dire Gale, sorridendo impacciato. Come dovrebbero salutarsi? Mille pensieri affollano la mente di entrambi, ma nessuno ha voglia di tirarli fuori, non ora.
“Allora…” gli fa eco Katniss, guardandolo imbarazzata. Una stretta di mano? Un abbraccio? Cosa deve fare?
Nessuno dei due realizza bene come accade, ma si slanciano entrambi nello stesso momento, fondendosi l’uno nelle braccia dell’altra. Si stringono forte, muti, con il battito accelerato e il fiato corto, come dopo una lunga corsa.
“Tornerai nel 2, vero?” riesce infine a chiedere Katniss. Quello era il pensiero che più forte le vorticava dentro, che le pesava sullo stomaco come una pietra. Gale annuisce, spostandole una ciocca dalla fronte.
 “È lì casa mia ora.” Spiega. Vorrebbe dirle che no, non se ne andrà, non di nuovo. Che rimarrà lì, nel 12, con lei, ma sa che non può. Le loro strade si sono divise anni prima e non basta un abbraccio e un sorriso per ricucire insieme i lembi di una ferita che continuerà a rimanere aperta, pur con tutta la buona volontà di chiuderla.
Tocca a Katniss ora annuire, prima di spostare lo sguardo dagli occhi di Gale. A volte non riesce a reggere quel grigio, che sembra scavarle dentro, divorandole l’anima a poco a poco.
“Ehi…” la richiama Gale. Le alza il volto con un dito e incatena di nuovo gli occhi ai suoi.
“Voglio che tu mi prometta una cosa. Quando… quando sentirai la mia mancanza, Catnip, voglio che tu venga qui. Io ci sarò.” La guarda intensamente, aspettandosi un accenno di assenso, una promessa, anche muta.
“Come farò a sapere che ci sarai?” chiede invece la donna. Quante volte si è recata a quella roccia per cercare conforto, non trovando altro che solitudine e vecchi ricordi dolorosi?
Una piccola lacrima le riga una guancia e Gale è veloce nel raccoglierla col suo pollice. Katniss stringe le labbra e ricaccia indietro le altre lacrime. Non può permettersi di piangere, lei è forte. Lo è sempre stata.
“Ti prometto che ci sarò. Non mi muoverò di qui.” mormora Gale, con una tale intensità che Katniss gli crede. Sa che sarà impossibile, ma gli crede. Lui sarà lì, sempre, su quella roccia. La loro roccia. Annuisce e accenna un sorriso.
“Diventerai famoso allora.” lo pungola. Gale aggrotta la fronte, dubbioso.
“Famoso?” chiede perplesso.
“Sì. Sarai l’uomo che non può essere mosso.” spiega sorridente, scoppiando poi a ridere. Una risata vera, cristallina, rumorosa. Anche Gale sorride, anzi ride, sereno.
L’uomo che non può essere mosso. Mi piace.” afferma.
“Anche a me.” ribatte Katniss. Sorride ancora e si stringe un’ultima volta a Gale. Rimangono stretti, sospesi nel tempo e nella convinzione di una promessa che sarà mantenuta. Da entrambi.
Alla fine, si sciolgono con delicatezza, i volti imbarazzati.
“A presto.” dice soltanto Katniss, scendendo dalla roccia e camminando all’indietro verso il bosco.
Gale alza una mano e le lancia un sorriso a mezza bocca.
“A presto.” ripete. Sorridono insieme, poi Katniss si volta e sparisce nel folto degli alberi, camminando a passo svelto verso casa. Gale si siede nuovamente sulla roccia e osserva il lago inondato di sole, che appare come un grosso specchio luccicante. Se potesse arrivare a riflettere  le cose fin lassù, fino a quella roccia, vedrebbe specchiarsi nelle sua acque l’uomo che non poteva essere mosso con un enorme sorriso stampato sul volto.
Il sorriso di chi è davvero felice.


 

Going back to the corner where I first saw you,
Gonna camp in my sleeping bag, I'm not gonna move.
-The Script-








Note:
L’idea per questa storia è nata un pomeriggio di qualche mese fa, quando, ascoltando distrattamente la canzone dei The Script (una delle mie preferite, fra l’altro!), mi si è dipinta in mente l’immagine di Gale che aspettava sulla roccia Katniss…poi la fantasia ha viaggiato, ed è venuta fuori questa cosina qui. Avevo in mente di scrivere su Gale da tempo, ma non riuscivo a trovare uno spunto adatto. In realtà, la storia era nata solo come Gale!centric, una specie di introspettiva su di lui... ma ci si è intrufolata prima Willow, poi Katniss e di conseguenza anche Peeta e Rye, e quindi è uscita fuori questa versione qua.
Ci tengo a fare alcune precisazioni: dal libro si capisce che i due in realtà si siano incontrati per la prima volta vicino ad una trappola di Gale, ma ho deciso di “ambientare” il tutto alla famosa roccia, mi sembrava più poetico, ecco.
Per quanto riguarda i nomi dei figli di Katniss e Peeta, mi sono scervellata per trovare dei nomi per i due bambini, sul serio! Non essendoci riuscita, né avendo bene in mente, in realtà, una fisionomia adatta per loro, mi sono appoggiata a quelli che vengono indicati come “nomi ufficiali dati dalla Collins”.
Inoltre, è anche la prima volta che provo ad usare un cambio di prospettiva da un personaggio all’altro, e spero la storia sia comprensibile!
E niente, grazie per essere arrivati fin qua!
Alla prossima!


Baci,Giraffetta
 

 
 


 

 




 

 
  
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