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Autore: Jooles    03/04/2014    4 recensioni
Basta la domanda sbagliata per rompere l'idillio.
E Rin sa bene che se la risposta non è un 'sì' immediato, non lo sarà mai.
«Allora, non rispondi?»
Haruka lo guarda allibito.
«Ora non mi va.»
«Che cazzo vuol dire ‘non ti va’?» sfiata Rin, allucinato.
Haru alza le spalle mentre continua a pelare le patate.

[RinHaruka]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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testo

Sotto il cuscino
 
 
 
L’acqua è ancora lì che si culla, quasi impercettibilmente ormai. I bordi di cemento della vasca sono più scuri nei punti in cui l’acqua si è alzata e li ha bagnati, smossa dalle bracciate di qualcuno che fino a poco fa era lì.
Rin sa già cosa deve fare non appena mette piede nel tendone che ospita la piscina. Digrigna i denti così avidamente che questi cozzano con dolore tra loro a ogni falcata che intraprende verso gli spogliatoi. C’è una tavoletta di gomma per terra –chi diavolo è che si allena ancora con quelle cose da principianti?-, Rin la calcia rabbioso, quasi senza accorgersene, forse il suo inconscio gli dice che è meglio prendersela con un attrezzo d’allenamento piuttosto che con lo zigomo di Haru. Ma solamente perché è più etico. Segue con sicurezza le impronte umidicce che bagnano le piastrelle, ormai ha imparato a riconoscere la pianta del suo piede tra mille. Percepisce uno scroscio dalle docce e quasi spera di trovarcelo affogato.
Invece sotto il soffione non c’è nessuno. Vi si avvicina e spinge il pomello verso il basso, arrestando la caduta d’acqua. Impreca quando si bagna l’orlo della manica.
Non può essere andato via, il bagnoschiuma è ancora lì per terra. E guai se lui dimentica le sue cose in giro, non lo ha mai fatto nemmeno a casa di Rin. Ora che ci pensa, Haru non ha mai portato niente di suo nell’appartamentino in cui si è stabilito temporaneamente, e doveva capirlo già da allora che quelli erano i primi sintomi.
Doveva capirlo che Haru è uno spirito libero, che nemmeno la testardaggine di Rin lo avrebbe incatenato.
 
Eppure adesso sembra così docile.
Ha la schiena poggiata al muro mentre siede sulla panchina negli spogliatoi. Sta scivolando sempre più in avanti a causa del peso del corpo, la testa gli ricade sul petto.
Rin mette per un attimo tutto da parte perché ora riesce solamente a chiedersi come cazzo si fa ad addormentarsi in quella maniera.
Il petto nudo di Haruka si muove a ritmo del suo respiro ancora un po’ affannato. Molto probabilmente non ha nemmeno fatto in tempo a mettersi sotto la doccia, è caduto nel sonno non appena è uscito dalla piscina. Chi potrebbe dirlo se si sia già lavato o meno, in entrambi i casi indosserebbe sempre il costume.
Rin li ha contati, i giorni che sono passati da quando Haru si comporta in quel modo. Appena prima di cena -è sempre ben attento ad evitare che mangino insieme-, va in piscina e nuota fin quando non è stremato, a volte ci vuole tutta la notte perché la forza dell’acqua lo sfinisca, e poi si addormenta negli spogliatoi per la stanchezza. Quando Rin ha provato a chiedergli spiegazioni, marcando sul fatto che uno non può dormire per sedici notti di seguito su una panchina di legno, Haru si è limitato ad alzare un sopracciglio, domandando serio e impassibile «Tieni i conti su un calendario?». A quel punto Rin non aveva potuto far altro che sbattere la porta mentre usciva, lasciando un Nanase che si domandava sottovoce «Perché se la prende?»
Ancora adesso Rin, mentre raccoglie i vestiti di Haru e il suo asciugamano abbandonati lì per terra, si domanda cosa sarebbe stato di loro adesso se lui non glielo avesse mai chiesto. Se si fosse fatto gli stramaledetti cavoli suoi, forse in questo momento si sarebbero ritrovati di fronte al televisore, Haru che guardava il documentario sui delfini che gli aveva chiesto di registrare, lui che faceva finta che gli interessassero i periodi di migrazione del mammifero, la testa poggiata su una coscia di Haruka.
E invece ora si ritrova a rincorrerlo, come del resto ha sempre fatto da quando cerca inutilmente di superarlo nello stile libero. Ma quello è un altro contesto, perché non sono in vasca e quella, anche se lo sembra, non è una gara. E Haru non è un premio.
 
 
«Allora, non rispondi?»
Haruka lo guarda allibito.
«Ora non mi va.»
«Che cazzo vuol dire ‘non ti va’?» sfiata Rin, allucinato.
Haru alza le spalle mentre continua a pelare le patate.
 
 
Si avvicina e si lascia cadere sulla panca. Con una mano si strofina gli occhi stanchi, l’altra tira indietro infastidita i ciuffi di capelli che gli ricadono sulla fronte.
Haru non dà cenno di volersi svegliare molto presto e Rin non sa se in fondo ha voglia che lui lo faccia, perché ha aspettato troppo a lungo per pensare che quella che Haruka gli darà, se la dirà, sia un risposta positiva. A quel punto pensa che sia meglio lasciarlo dormire per sempre, solo per tenerlo ancora lì con lui.
È solo quando Haru inizia a scivolare quasi fuori dalla panca e rischia di cadere a terra che Rin si vede costretto ad afferrarlo da sotto le ascelle e issarselo addosso.
E adesso, cosa fare? Portarlo a casa in braccio?
Non è una cattiva idea, anche se non la migliore, e almeno in quel modo Haru non lo eviterebbe più. Si abbassa leggermente, facendo in modo di caricarsi tutto il suo peso su una spalla, poi distende nuovamente le ginocchia.
Eccolo il suo premio, se lo sta portando via. Rin sente tutto il peso dell’altro sulla spalla, i capelli corti che gli solleticano la schiena mentre oscillano ad ogni suo passo.
 
«Mettimi giù.»
La voce di Haru è calda, ancora un po’ impastata dal pesante sonno. Rin sbuffa, lo fa sempre quando gli dà ordini con quel tono che in fondo non sembra darne, e lo molla pesantemente a terra. Incrocia le braccia al petto, cerca di creare un fossato tra lui e la figura mezza nuda che si ritrova davanti.
«Perché sei venuto qui?»
Davvero Haru gli sta chiedendo questo? Deve rispondere, dare una maledettissima risposta, non domandare.
«No, perché sei venuto tu qui?» non è più una domanda quella che Rin gli pone, è diventata quasi un’accusa.
Haruka gira il viso di lato, sbatte il suo nasino verso l’alto e non si cura nemmeno di guardarlo negli occhi.
Ma Rin non ci sta ad essere trattato così. Con un solo passo gli si lancia contro, ricoprendo immediatamente la distanza tra loro e lo afferra per le spalle, affondandogli le unghie nella pelle. Haru sgrana gli occhi, mentre riesce a non cadere solo perché arpionato dalle mani ruvide di Rin.
«Adesso sono stanco, mi devi dire che cazzo ti passa per quella testa!»
Haruka sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Aveva lasciato correre i giorni, ansioso di sapere quanto ci avrebbe messo Rin a crollare e a mettere da parte l’orgoglio per domandarglielo nuovamente dopo essere stato ignorato così a lungo.
 
 
«Sono entrato in Nazionale!»
Haru abbassa il volume della televisione, ma non si alza. Rin si butta sul divano con lui, gli affonda la testa nell’incavo tra le cosce e il torace.
«Beh, non mi fai nemmeno i complimenti?», lo schernisce, un po’ risentito.
Haru socchiude per un momento gli occhi mentre sorride, prima di dargli un colpetto sulla fronte con il palmo della mano.
«Non nuoterai più con noi?»
«C’è Rei adesso, no?»
«Sai che voglio dire.»
Rin lo sa che Haru intende dire “non nuoterai più con me”.
«Potremmo continuare ad allenarci insieme.»
Haru lo trova meschino, perché sa che entrare in Nazionale vuol dire che Rin avrebbe dovuto trasferirsi molto presto, lasciandolo indietro. Di nuovo.
«Non possiamo se tu ti trasferisci.»
«Possiamo, se tu vieni con me.»
Non è così che intendeva chiederglielo, ma con Haru essere diretti è più efficace.
Haruka era stato avvertito da Makoto che prima o poi quel momento sarebbe arrivato –Makoto riesce sempre a vedere molto più lontano del suo naso-, ma rimane comunque un po’ spiazzato quando riceve la proposta. Ormai se lo aspetta da così tanto che in lui è penetrato un velo di astio verso Rin per non averglielo proposto prima, come avvertimento se mai lo avessero preso. Così, tutto l’astio che ha taciuto fino a quel momento sta quasi per tramutarsi nel “No, non verrò con te” che gli è scivolato dalle viscere fin sulla punta della lingua, ma che ha poi morso per tacerlo quando i suoi pensieri si sono scontrati con l’amore che sa di provare per Rin.
«Perché me lo chiedi adesso?» risponde, cercando di perdere tempo. Rin sa che qualunque cosa diversa da un ‘sì’ è per forza un ‘no’, ma lui se lo vuole sentir dire comunque.
«E quando dovrei farlo?»
Haru se lo scrolla da dosso e si alza, dirigendosi verso il centro del salotto.
«Ti va se cuciniamo qualcosa insieme, sta sera?»
Rin cerca in tutti i versi un modo per non farlo andare via, anche se può già vedere metà del suo piede fuori dalla porta. Se Haru si voltasse a guardarlo scoverebbe sul suo volto tracce della disperazione che la sua voce ferma e disinvolta cerca di nascondere, come ad esempio le sopracciglia aggrottate, o gli occhi pieni di tristezza.
Ma Haru scrolla le spalle, come per liberarsi di un senso di colpa che sa non essere suo.
«Vado in piscina.»
 
Quella notte Haru si sarebbe addormentato negli spogliatoi, stremato per le troppe vasche.
 
 
«Haru…»
Eccola, la stessa disperazione di quella sera, solo che questa volta Haruka ce l’ha di fronte agli occhi.
«Senti, non ti sto obbligando, ma devi darmi una risposta.» Più che disperato, ora Rin sembra spazientito. E arrabbiato, perché non gli piace essere ignorato.
«Sì, invece, mi stai obbligando a rispondere», butta lì Haruka. Gli occhi di Rin si velano di incredulità.
«Certo che ti sto obbligando a rispondere, sono più di due settimane che mi eviti!», fa un passo indietro, forse ha paura che Haru all’improvviso butti fuori la sua risposta e cerca di prendere le distanze per ripararsi, perché sa che al novanta per cento non sarà quello che spera.
«Mi stai mettendo pressione», lo incalza Haru.
«Tra una settimana parto, che cazzo ti aspetti?» Rin sospira, a lungo, deve per forza riempire in qualche modo quel silenzio, altrimenti non reggerebbe.
«Senti, Haru,» è giunto il momento, «non ti sto obbligando, devi decidere tu di venire, altrimenti io… non ti voglio.»
Quelle ultime parole rimbombano nelle tempie di Haruka e per un po’ non riesce a formulare nemmeno il più frivolo pensiero.
Stanno passando troppi attimi, troppi secondi che sembrano millenni, e Haru non dice una sola parola. Quel silenzio ferisce entrambi e Rin non riesce più a sopportare il dolore.
«Ho capito.»
Si gira e cammina via. Ancora una volta Haru è costretto a vedere la sua schiena che diventa sempre più piccola man mano che si allontana. Ad un certo punto Rin si blocca e torna indietro, ripercorre gli stessi passi di prima mettendo i piedi esattamente negli stessi punti, ma è solo per lanciargli addosso i suoi vestiti che ha raccolto dal pavimento della palestra.
Poi se ne va sul serio.

 
~°~
 
Quella mattina Rin è nervoso perché manca solamente un giorno alla sua partenza e ancora deve finire di preparare i bagagli. E poi c’è il certificato medico agonistico che deve andare a ritirare, non può non averlo con sé quando arriverà nella nuova squadra.
L’appartamento è un po’ in disordine, quelle poche cose sparse in giro che non sono state imballate creano più confusione di quando lì c’era tutto il suo inventario al completo.
È talmente occupato nella ricerca dei pantaloni della tuta che non si accorge di aver lasciato la porta aperta. Va bene che in quel palazzo abitano solamente lui e una signora al primo piano, ma non si può mai sapere. O forse la lascia inconsciamente aperta sperando di vederlo arrivare, magari con il suo costume addosso.
«Ai!»
Sente uno squittio da dietro la porta che ha appena sbattuto, una piccola resistenza sulla cornice e per questo ha dovuto far forza per chiuderla. Si vede costretto a riaprirla per assicurarsi di non aver avuto l’ennesima allucinazione, solo l’ultima di una lunga serie in quei giorni appena trascorsi.
È solamente dopo aver sgranato e sbattuto le palpebre a ripetizione per un paio di volte che Rin capisce alla fine che non si tratta di un’allucinazione, che è davvero lui sull’uscio della sua porta.
È Haru quello che si massaggia il naso un po’ dolorante e, non appena lo vede, Rin reprime quasi immediatamente l’istinto di chiudergliela di nuovo in faccia, la porta. Invece si scansa, in un muto invito ad entrare.
Si incrocia le braccia al petto, come fa tutte le volte che cerca di proteggersi, come se chiudersi in quella specie di abbraccio gli eviti di cadere a pezzi.
Non sa cosa fare ora che Haru è lì; ha immaginato quel momento tante volte, ma sempre con la consapevolezza che non si sarebbe mai realizzato, quindi non si è preparato ad inventare una reazione.
«Quando sei tornato dall’Australia,» è proprio Haruka invece a rompere il silenzio, «mi sono promesso che avrei fatto in modo che nuotassimo insieme, di nuovo.»
Rin si acciglia ancora di più, come se facesse fatica a recepire quelle parole.
«E intendo mantenere la promessa.»
Non ne coglie subito il significato, così si ritrova a fissare il volto di Haru, aspettando che finisca il discorso, perché a Rin le parole arrivano in ritardo, come al rallentatore. È solo quando Haruka gli sventola una mano davanti per riportarlo lì, insieme a lui, che comprende a pieno il significato di ciò che gli è appena stato detto.
Haru gli ha appena confessato, nel suo modo strano, proprio solamente di quello che Rin gli ha sempre rinfacciato come “caratteraccio”, che vuole stare insieme a lui. È schietto, poco romantico, ma a Rin non hanno mai interessato i fronzoli, e quelle poche parole gli bastano. Sul suo volto appare un accenno di sorriso, ma prima di concluderlo deve accertarsi di aver capito bene.
«Non ti devi sentire costret-»
«Va bene», lo interrompe Haru.
Haruka ha pensato a lungo in quei pochi giorni, valutando tutti i pro e i contro. Quando Rin gli ha comunicato che se ne sarebbe andato, ancora una volta, ha ritenuto che perdere tutto ciò che aveva lì, vale a dire Makoto, Nagisa, Rei e tutti gli altri, non sarebbe mai stato così dilaniante quanto dover sopportare la sua mancanza.
Perché ha bisogno di Rin, più di quanto non abbia bisogno di sentirsi felice. Ma poi ha anche realizzato che stare con Rin è la felicità (anche se è difficile convivere con tutte le sue stranezze e sbalzi d’umore), e che solo lui avrebbe potuto colmare la perdita di tutto il resto.
 
«Ve bene», ripete, e Rin premia lo sforzo di quella confessione con un sorriso.
«Va bene», gli fa eco, mentre gli si avvicina per baciarlo. Non appena sente che Rin sta per staccarsi, Haru gli poggia una mano dietro la nuca e se lo tira addosso, per sentirlo pienamente suo.
Poi però è Rin ad afferrarlo per un polso e a condurlo verso la camera da letto, dove avrebbero ritrovato quella felicità che negli ultimi giorni avevano messo da parte, che probabilmente si era nascosta sotto il cuscino dall’ultima volta che avevano fatto l’amore. Perché Rin è fatto così, lui non chiede, prende e basta.
E Haru è felice di dargli tutto se stesso.






















n/a
La storia partecipa al "Ispirandovi alle immagini" Contest di AoKise92 e Sara.1994

Salve a tutti! Questo è il mio debutto sul fandom di Free! e sono alquanto nervosetta.
Volevo aspettare i risultati del contest per pubblicare questa storia. Ma se poi andasse male finirei per cancellarla dal computer a causa del totale crollo di autostima xD, perciò meglio togliersi il dente.
Spero che qualcuno si faccia sentire, più che altro per sapere come me la sono cavata vista la mia totale inesperienza riguardo il fandom. 
A presto!





 
 
 
  
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