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Autore: ale93    04/04/2014    3 recensioni
«Ciao, Haru.»
Si salutano sulla soglia della piccola casa di Haru, un tramonto ancora dolce e caldo alle spalle e un sorriso sottile che si spegne piano sulla bocca di Makoto.
[LINGUAGGIO]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note:
L'idea è nata da un prompt che ho trovato da-qualche-parte-nel-web. Makoto si trasferisce. Non so, volevo l'angst e volevo anche il fluff e non ho idea di che cavolo sia venuto fuori. Comunque nulla, sono fresca di rewatch e piena piena di feels, dovevo necessariamente scrivere qualcosa. Fatemi sapere!



 
November Blue
 
 
 
 
 
«Ehi, Makoto, non vieni?»
Nagisa si issa sul bordo piscina e lo guarda allegro. E poi si sbraccia, urla, non aspetta neppure una risposta, perché Rei è appena entrato in vasca e Nagisa ama infastidire Rei.
Più in là Haru resta a galleggiare in superficie, mentre Rin continua a gettargli acqua sul viso per prenderlo in giro.
Si sono diplomati all’inizio di quell’estate, hanno diciotto anni e tutto dovrebbe essere bello ed eccitante, ma Makoto ha solo paura di perdersi.
Vorrebbe gettare lontano i vestiti, divertirsi con gli altri, Makoto, ma non lo fa. Resta in disparte, seduto sul bordo, con l’acqua ai polpacci e la tuta arrotolata sulle ginocchia. Resta a guardare da lontano e va bene, va bene davvero.
 
Haru picchietta con la punta delle dita la fronte di Rin e «smettila», gli dice. Sta sorridendo. E Makoto vorrebbe pensare ch’è giusto così, certo, ma sa che qualcosa si sta rompendo o forse s’è già inceppato da tempo.
«Di fare cosa?», cantilena Rin vicino al viso di Haru. Nei suoi occhi screziati di viola sempre lo stesso sguardo di sfida per lui, solo lui. Quante volte l’ha già visto?
Makoto lo sa che tra loro, tra Rin e Haru, c’è un’elettricità, una tensione difficile da afferrare, qualcosa che li spinge vicini, l’uno nell’orbita dell’altro. Ha passato anni e anni e anni a chiedersi il perché e non l’ha mai capito, ma ha dovuto sbatterci contro, ad un certo punto.
 
(«Voglio nuotare con Rin.»
«Haru, questo è…»
«Voglio nuotare con Rin, Makoto.»)
 
E adesso è tutto un po’ più difficile, un po’ più strano. La fine della scuola e Rin sempre in giro, Haru che piano piano smette di chiedere la sua mano.
 
Si tira in piedi all’improvviso.
«Scusate, devo rientrare, prima che Ren e Ran distruggano la casa», sorride imbarazzato, passandosi una mano dietro la nuca.
«Ma Mako-chan…», bisbiglia Nagisa, ma Rei lo prende per un polso e scuota la testa, come a dirgli di lasciar perdere.
I suoi piedi lo portano lontano in fretta e prova a ridere di se stesso, Makoto, ci prova davvero perché dev’esserci qualcosa di profondamente sbagliato in lui se tutta la sua vita non fa altro che gravitare attorno ad Haru e le sue stranezze, Haru e i suoi occhi lontani. Haru e quel suo carattere impossibile a cui Makoto s’è abituato negli anni, quei gesti piccoli e silenziosi che ha imparato ad apprezzare. Haruka.
 
 
-
 
 
Qualche giorno dopo, Haru nasconde la bocca dietro una tazza di tè freddo. Il suo viso è un po’ scottato dal sole, dev’essere stato in spiaggia, quella mattina. In fondo l’oceano sarà caldo ancora per qualche settimana.
Makoto resta a guardarlo in silenzio, si prende ancora qualche scheggia di Haruka. Gli occhi che stranamente fuggono via da lui, le nocche bianche ai lati della tazza, le labbra strette e pallidissime. Ha già capito che qualcosa sta per cambiare irreversibilmente.
«Andrò a lavorare per un po’ in un villaggio di pescatori, proprio qui vicino», sospira finalmente Makoto.
Ci ha pensato a lungo, Makoto, ci ha pensato sin da quando si stava avvicinando la fine della scuola. E' una buona soluzione per la sua famiglia. E per lui, per Rin. Per Haru.
Non ha intenzione di rovinare tutto.
Continuerà a guardare da lontano, finché ogni pezzo di quell'enorme quadro sarà andato a posto. Poi Makoto troverà il modo di guarire se stesso.
Guarda Haruka abbassare lo sguardo sul legno ormai vecchio del tavolo, un piattino d’ananas al centro e Makoto che si sente disagio per la prima volta in quella casa. Tutto questo è inopportuno.
«Quanto tornerai?»
Makoto posa una mano sul tavolo e all’improvviso vorrebbe allungarla fino a sfiorare le dita di Haruka, dirgli che non lo sta abbandonando, che non è vero nulla, che gli sta facendo uno stupido scherzo. Ma Makoto non mente mai.
«Ciao, Haru.»
Si salutano sulla soglia della piccola casa di Haru, un tramonto ancora dolce e caldo alle spalle e un sorriso sottile che si spegne piano sulla bocca di Makoto.
Andrà bene.
 
 
-
 
Due mesi dopo
 
Non è arrabbiato, Haruka, non crede di esserlo mai stato davvero. Mentre torna a casa, però, gli capita di guardare l’oceano e quasi si aspetta di sentire la voce allegra di Makoto che gli dice «tornerà presto il caldo, Haru» e, girandosi, rimane stupito di vedere solo la strada vuota.
Makoto non c’è. Non c’è da troppo tempo. E Haruka non è spaventato, non è arrabbiato, non è nulla di tutto questo anche se Gou, Rin e Nagisa e addirittura Rei continuano a chiederglielo come se già conoscessero la risposta. Haruka sa che Makoto è responsabile e che la sua famiglia ha bisogno che lui lavori.
La signora Tachibana lo chiama, di tanto in tanto, e gli racconta di come Makoto vada a pescare con gli anziani, per imparare bene il mestiere, qualcuno gli ha insegnato ad intrecciare una rete. Makoto è bravo in queste cose, è sveglio, impara in fretta.
«Dovresti telefonargli», ha detto Rin una volta, facendo schioccare la lingua contro il palato. «Stai deprimendo tutti. Trova una soluzione.»
Ma Haruka non lo farà perché no, non c’è nessun motivo per chiamare Makoto. Se non l’ha fatto lui, con quella strana abitudine che ha –aveva?- di parlare e parlare e parlare con Haru di ogni cosa, forse è giusto che non si sentano.
Non si chiede neppure perché non gli abbia detto esattamente dove se ne sia andato, perché tanto non gli avrebbe di certo fatto visita. Prima o poi Makoto tornerà a casa, prima o poi si rivedranno lì, nel loro paese.
 
 
-
 
 
Sei mesi dopo
 
 
Il cielo è bianchissimo, lì fuori, come Haruka non ne ha mai visto uno. La terra del suo giardino è fastidiosamente fredda.
Rin si accuccia accanto a lui e «credi che nevicherà oggi, Haru?», gli chiede con quel suo naso dritto dritto per aria. È strano il profilo di Rin, ci ha pensato spesso nell’ultimo periodo. Le prime volte che se l’è ritrovato accanto, camminando, gli è sembrato assurdo vedere capelli rossi, occhi viola e quella bocca troppo sottile e troppo rossa. E un naso dritto, invece di quello un po’ sciocco sulla punta che s’aspettava di vedere tutti i giorni.
Questo è Rin, s’è dovuto dire. Ma nella sua testa, qualcosa urlava: questo non è Makoto.
«Non credo», sussurra, mentre caccia le mani arrossate dal freddo in fondo alle tasche.
Rin si volta verso di lui con uno strano sorriso. Non è una di quelle sue smorfie storte, sembra quasi un sorriso vero. «Ci potrebbe essere uno spettacolo che non abbiamo mai visto, però» e strizza l’occhio, prima di allontanarsi un po’. Haru guarda ancora verso l’alto: in mezzo a tutto quel bianco, c’è uno scorcio scuro di quell’assurdo cielo d'inizio Novembre, un pezzetto di blu.
 
Ha avuto tempo, Haruka, per rendersi conto che la presenza di Makoto era stata come un sottofondo che non aveva mai ascoltato con troppa attenzione. Se n’è accorto quando il suono s’era spento, quand’era già troppo tardi. Ha avuto tempo, Haru, per capire, per capire davvero, ma gli è successo nel momento più sbagliato di tutti.
Ci sono pezzi di Makoto che gli altri potrebbero solo intuire e che lui invece ha messo insieme senza saperlo.
I suoi occhi un po’ lucidi sul finire di un tramonto.
Le sue mani fresche e piacevoli sulla fronte quella volta ch’era rimasto con lui, sbuffando e ridendo insieme, perché aveva la febbre.
Le sue maglie troppo grandi nell’armadio.
E lo sguardo curioso e assonnato di Ran quella volta che li aveva guardati fare colazione insieme, in cucina. Makoto aveva comprato dello sgombro e Ran gli aveva chiesto perché. «E’ per Haru», aveva risposto Makoto, guardandosi le mani. È per Haru.
Ha avuto tempo, Haruka, ne ha avuto tanto e se fosse un altro adesso forse riderebbe di se stesso, perché ha capito troppo tardi.
Perché ha lasciato bruciare le sue energie in quella competizione continua con Rin, in quella tensione che li ha consumati entrambi e che non nascondeva nient’altro. Lo ha solo stancato e accecato quel tanto che bastava per non capire Makoto, per non capire se stesso.
Ma che importa adesso? Neppure avere a disposizione la piscina della nuova palestra in città sembra qualcosa di così importante. Il bordo della vasca è troppo alto e, senza la mano di Makoto a cui aggrapparsi, non ne uscirebbe mai.


 
***
 
 
 
Sul finire di Novembre un vento freddo e umido ha cominciato a soffiare lungo la costa e le nuvole sono sempre un blocco compatto e denso nel cielo.
Nagisa, Rei, Gou e Rin hanno preso l’abitudine d’invadergli la casa ogni fine settimana e Haru li lascia fare perché a lui non importa. Che stiano lì, se ne hanno voglia.
Alle sue spalle, in casa, Nagisa urla per essersi scottato mentre metteva su il tè. «Ti avrò detto di usare una presina almeno un migliaio di volte!», strilla Rei esasperato e forse un po’ preoccupato.
Probabilmente, Gou sta preparando la cena insieme a Rin. E forse dovrebbe aiutarli, forse dovrebbe accertarsi che usino per bene la griglia… forse.
Siede in veranda, Haruka, guarda le sue mani ruvide e seccate dal freddo. Non sa neppure a cosa dovrebbe pensare, adesso.
Un rumore però lo distoglie.
Solleva appena lo sguardo dalla punta delle sue scarpe quando sente la porta di casa aprirsi e richiudersi velocemente, quando un singhiozzo strozzato di Nagisa gli colpisce i timpani.
 
Non capisce subito ciò che vede. Sa che tutto questo gli fa ricordare in qualche modo quel giorno di giugno in cui ha guardato le spalle di Makoto farsi lontane e sempre un po’ più piccole. Pensa a una ampolla per pesci rossi lasciata al centro del tavolo in casa Tachibana. Pensa ad un paio di scarpe grandi che non ha più visto all’ingresso.
E poi Makoto è lì. Nagisa lo abbraccia e gli bagna il cappotto di pianto, Gou tiene le mani sul viso arrossato, mentre Rei leva gli occhiali per stropicciarsi gli occhi. E’ davvero lui, è davvero tornato? Se lo stanno chiedendo tutti.
«Siamo in ritardo, Tachibana!», ghigna Rin a braccia conserte, appoggiato allo stipite della porta.
Makoto lo guarda a lungo, fa un piccolo sorriso e poi china la testa. Lo sta ringraziando per qualcosa che Haruka non sa e che non vuole sapere.
 
Il viso di Makoto è ruvido di barba e basta questo perché Haruka si senta nervoso e irritato. «Ehi», borbotta. La voce viene fuori un po’ spezzata, un po’ roca. «Che ci fai, qui?»
Makoto sospira, trattiene un sorriso, mentre si passa una mano sulla nuca. È imbarazzato e impacciato, almeno questo non è cambiato. «Sono tornato.»
«Per restare?»
Haruka si leva in piedi pianissimo, gli occhi fissi in quelli di Makoto. Lui non risponde, batte le ciglia un paio di volte e guarda Rin per qualche istante.
 
 
-
 
«Rin. Che succede?»
«Che cazzo stai facendo, Makoto?»
«Che vuoi dire? Sto lavorando, Rin. Lo sai.»
«Che stai facendo con Haru, idiota. Chiamalo. Digli qualcosa. Non lo ammetterà mai, ma ne ha bisogno. Cazzo…», si fermò un attimo. «Makoto gli manchi. E non farmi ripetere queste stronzate.»
Un sospiro strozzato dall’altro capo del telefono.
«Rin... non posso…»
«No, tu devi capire. Non nuota più, Makoto. Galleggia come un pesce morto nell’acqua. Non fa più una sola bracciata. Non mi interessa che razza di problemi avete. Muovi il culo e vieni a risolverli.»
«Ci siete voi, per lui. Qualunque cosa gli stia capitando, puoi aiutarlo tu, Rin.»
E quel tono tagliente e indifferente, nella voce sempre dolce di Makoto, Rin non l’aveva mai sentito. Non era affatto credibile. Rin non riuscì a trattenersi; scoppiò a ridere. «Mio dio, Makoto. L’unico che può muovere Haruka sei tu. E adesso lui sta andando alla deriva. Devi riprenderlo.»
Poi Rin aveva chiuso la comunicazione con un click veloce, continuando a sghignazzare.
 
Qualche giorno dopo era arrivato un sms.
“Cercherò di tornare tra due settimane. Makoto”
Rin non ne aveva dubitato neppure per un attimo.
 
-
 
 
Nagisa, Gou, Rei e Rin si sono dileguati alla velocità della luce, strappando a Makoto la promessa di non andarsene di nuovo senza avvertire. Rin gli punta contro un dito, in segno d’avvertimento, «fai un’altra stupidaggine, Tachibana, e ti ci mando a calci in culo, fuori da questo paese!», gli dice ridendo. E Makoto giura con una croce sul cuore che non se ne andrà così presto.
Ma Haruka non ci crede, non ci crede perché in qualche modo più deciso e costante, anche a lui aveva promesso di non andarsene mai. E invece lo ha fatto.
«Dovrò tornare al villaggio per le ultime settimane di lavoro e poi sarò libero», sussurra all’improvviso Makoto, sedendosi in terrazza.
Haru non riesce a non guardarlo. Gli occhi verdi, le labbra pallide e piene, quel suo naso stupido, quel profilo che s’imprime di nuovo negli occhi, come se non avesse mai smesso di guardarlo. E forse è davvero così da sempre, forse non ha mai fatto altro che guardare un lato di Makoto, solo un lato. Ha creduto che Makoto fosse tutto lì, che finisse là dove lui era riuscito a guardare.
E invece non è mai stato vero, invece c’è sempre stato qualcos'altro che Haruka non capiva. Ma ora lo vede, ora lo sa. Finalmente, lo sa.
«Perché?», chiede e non ha bisogno di completare la domanda, spera di non doverlo fare.
(Perché te ne sei andato? Perché mi hai lasciato indietro? Perché mi hai abbandonato come tutti? Proprio tu…)
«Perché credevo che sarebbe stato meglio per te… io… ero geloso di Rin e…»
 
 
Makoto smette di parlare, riesce solo a fissarsi le mani che tremano, tremano e tremano. Haruka alle sue spalle guarda la sua schiena e la linea morbida della sua nuca. «Sei stato stupido.»
Makoto si volta verso di lui. Ha lo sguardo lucido, incerto.
Haru gli sfiora il viso con una mano, tira indietro i suoi capelli chiari e alla fine si china in avanti. Posa la fronte sulla sua.
«Non dovevi andar via. Non devi mai andar via.»
Makoto annuisce lentamente e sorride. Le ombre nel suo sguardo si ritirano veloci. Sussurra qualcosa che assomiglia ad un «Haru, posso…?» e poi lo bacia sulla bocca, piano come se Haru possa cacciarlo via. Come se possano farsi male davvero.
Quando la lingua di Makoto scivola piano sulla sua bocca, Haruka sente le labbra tirate in un sorriso.
Rin aveva ragione. E’ come se avesse nevicato.
È uno spettacolo che nessuno di loro ha mai visto.

 
   
 
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