Ciao meraviglie! Per sopportare con maggior coraggio quest'altra pausa della nostra serie preferita vi regalo una piccola chicca. L'ho scritta io, ma il merito è sempre della mia love, Emy, che con i suoi sogni infestati di Olicity mi fa partire l'ispirazione. Tutto in verde per questa one shot, ma stavolta il riferimento non è al costumino sexy del nostro vigilante, bensì al sentimento che la sua IT girl prova. Felicity comincia ad essere un po' stanca di una certa situazione e dello stallo che sembra vivere con Oliver e una sera la proverbiale goccia fa traboccare il vaso della sua pazienza. La sua rabbia prenderà Oliver in contropiede. Vi auguro una buona lettura! A presto, anche se non so di preciso quando sarà. Ho la seconda parte della mia trilogia che aspetta! Bacioni!
Non
ne potevo più. I
miei nervi mi urlavano pietà. Ero sempre in uno stato di
perenne tensione. Gli
eventi avevano preso una piega inaspettata e rimanere a casa spesso mi
sembrava
una decisione sensata. Volevo vederlo meno possibile, volevo
allontanarlo come
lui già stava facendo. La mia parte razionale mi diceva che
lo stava facendo
per proteggermi, per non mettermi davanti al mirino di Slade, quella
più
impulsiva mi suggeriva che quella era sempre stata una fase della
tattica che
Oliver Queen usava per scaricare le ragazze. Non era del tutto esatto
come
verbo: scaricare implicava l’essere stati insieme per un
po’, quindi per me
sarebbe stato più adatto il verbo resettare. Eliminiamo
Felicity
dall’inventario femminile e vediamola come un utilissimo e
grazioso hardware!
Avvolsi
il piumone
attorno alle spalle e schiacciai con foga i tasti del telecomando. Un
vecchio
film d’amore iniziò a scorrere davanti ai miei
occhi, uno di quelli col lieto
fine obbligatorio in cui lui rimane affascinato da lei non appena la
vede, dove
bastano poche parole, poche battute per capire d’aver trovato
la compagna di
una vita. Già, bella schifezza. Dovrebbero mettere come
avvertenza che nella
vita reale non succede così, non a Starling City almeno. Non
di certo a me,
matematico. Lo ignorai deliberatamente e provai a sfogliare il primo
della pila
di libri che avevo lasciato prender polvere da mesi per mancanza di
tempo. Una
vita sociale intensa la mia, vissuta nel seminterrato di un pub
gettonatissimo
davanti al pc, a far da spettatrice a quella altrui. Iniziai a leggere
e dopo
qualche pagina ecco la solita scena ripetersi: lei che cadeva ai piedi
di lui
che, manco a dirlo ne rimaneva folgorato e decideva di averla ad ogni
costo.
Benissimo, un copione originale!
Ricercai
ancora una volta
il calore del piumone, coprendomi pure la testa. Volevo cercare una
nuova
dimensione, involvendo verso me stessa. Dovevo concentrarmi
più su di me in un
atto di sano egoismo. Ero stata troppo proiettata verso gli altri e
verso di
lui, per il quale non ero altro che una compagna di
“giochi” e non nel senso
malizioso del termine. Avevo bisogno di un diversivo, di qualcosa che
mi
potesse distrarre. Magari avrei potuto accettare l’invito di
Matt, il ragazzo
che si occupava delle consegne per il Verdant. Un viso pulito, due
occhi
limpidi e azzurrissimi, un sorriso solare. Era simpatico con me, mi
faceva
ridere e, requisito fondamentale, mi vedeva, era cosciente che io fossi
un
essere di sesso femminile per giunta della sua stessa specie.
Chissà, in fin
dei conti la primavera era alle porte come la stagione degli amori. Che
avevo
da perdere?
Dal
mio caldo covo
personale, recuperai il cellulare e mandai un semplice sms:
“È ancora valido l’invito per
sabato sera?”
Il
telefono squillò
dopo pochi secondi e la voce calda di Matt mi arrivò come
una carezza.
«Ciao
bellissima! Hai
cambiato idea?»
«No,
mi sono liberata
da quell’impegno che avevo.»
«Sicura
che
quest’impegno non abbia nome e cognome?»
Pensai
che a dire il
vero l’impegno aveva anche un’altra
identità e un milione di epiteti diversi
con cui la gente lo chiamava. Aveva anche una ragazza bionda e
atletica, vicina
e disponibile.
«Sicurissima.
Ci
vediamo al Verdant.»
«Va
bene. Poi ti porto
in un posto più tranquillo. Non mi va di dividerti con
nessun altro.»
Sorrisi.
Non ero
elettrizzata e non mi stava venendo l’istinto di mettermi a
saltellare per la
stanza, ma ero grata a Matt. Mi dava a suo modo sicurezza,
corteggiandomi e
facendomi sentire importante. Non mi dava solo ordini, non entrava a
muso duro nelle
stanza ringhiando, non mi lasciava senza una parola. Chiusi la chiamata
con un
saluto e gli occhi sul mondo. Una scia di luce verde sfumata
sembrò avvolgermi.
Un verde acceso, simile allo smeraldo più puro o al
sottobosco di una foresta
pluviale, carico di sensualità, avvolgente e ammagliante. Un
tepore rilassante
si impadronì di me fino a rilassarmi completamente.
Mi
sembrò fosse passato
solo qualche minuto quando li riaprii. Mi stavo fissando nello specchio
del
grande bagno nel covo sotto il Verdant. I riflessi di verde
c’erano ancora, ma
provenivano dalla stoffa del mio abito da sera. Un vestito favoloso,
serico al
tatto e lucido, tanto da far rimbalzare la luce dei faretti sopra lo
specchio.
Scollato al punto giusto, mi fasciava il corpo con una serie di
plissettature
abilmente sovrapposte, fino ad aprirsi e cadere morbido in uno
strascico
leggero. Uno spacco importante esaltava le mie gambe rendendomi
estremamente
sexy. Avevo
raccolto i capelli,
lasciando soltanto alcuni ciuffi scompigliati ad arte, e messo le lenti
a
contatto. L’insieme era davvero sofisticato. La
soddisfazione, tuttavia, durò
ben poco. La rabbia e la frustrazione arrivarono inesorabili.
Perché Oliver non
notava tutto questo? Avrei potuto mettermi davanti al pc mezza nuda che
non se
ne sarebbe nemmeno accorto, a meno che non avessi sbagliato qualche
coordinata
o avessi fatto qualcos’altro di poco efficiente. Con me
valeva sempre la regola
delle tre E: efficienza ed efficacia in un’economia di
sentimenti ed emozioni.
Che
si fottesse Oliver Queen!
Mi sarei goduta la serata con Matt, mi sarei lasciata corteggiare
concedendomi
il lusso di sentirmi al centro delle attenzioni di qualcuno e
l’avrei messo in
angolo della mente. Non avrei pensato né a lui né
alla sua perfetta ragazza,
non gli avrei permesso di mettere a soqquadro la mia vita dato che non
avevo
neppure il permesso di entrare in punta di piedi nella sua. Volevo
canalizzare
tutta la rabbia che provavo da mesi in un atto di distacco, quasi di
redenzione
da chi mi offriva solo qualcosa di sterile e preconfezionato.
Uscii
faticando a
controllarmi per non sbattere la porta, tanto ero carica di rabbia.
Un’ombra alta
e furente incombeva su di me. Cacciai un urlo portandomi le mani al
petto a
controllare il battito assordante del mio cuore.
«Oliver!
Mi hai
spaventata! Perché sei qui?»
Nell’aria
aleggiò un
silenzio innaturale per qualche attimo, finché Oliver con un
gesto di stizza
non diede un calcio al cestino, rovesciandone il contenuto. Mi si
avvicinò
sibilando.
«Dimmi
che non hai
davvero intenzione di uscire con quel cretino di Matt Joker!»
«Come
lo sai che devo
uscire proprio con lui? Mi spii, Oliver?»
Scosse
la testa
espirando e puntò nuovamente i gli occhi nei miei.
«Ti
sta aspettando di
sopra e si sta vantando come un pavone. Come fai a non capire che
è solo un
donnaiolo interessato a segnare un’altra tacca? Rischieresti
di incontrare
altre donne appena uscite dal suo letto in qualsiasi posto abbiate
intenzione
di andare!»
«Come
succede con le
tue ex, Oliver? Con un po’ di fortuna quelle di Matt non
saranno delle
psicopatiche assassine!»
«Non
fare così Fel. Tu
sai che…»
«No,
Ollie. Io non so
nulla e non mi interessa nemmeno la tua opinione. Voglio solo uscire e
divertirmi. Stare con un uomo che cerca le mie attenzioni e che non mi
ignora.
Un uomo che almeno mi vede!»
Oliver
alzò la testa di
scatto e il suo sguardo si riaccese fiero.
«Cos’hai
detto?
Potresti ripetere?»
«Non
mi va né di
discutere né di giustificarmi con te. Voglio solo andare di
sopra e dare inizio
alla mia serata.»
Lo
oltrepassai puntando
dritta alla scala, ma la sua mano si agganciò al mio gomito.
Il tono della sua
voce era salito e si era caricato di frustrazione. Oliver Queen non
amava
perdere il controllo della situazione, qualunque essa fosse. Non
ammetteva
varianti né tanto meno incognite. Ma questa volta si sarebbe
arreso
all’evidenza. Non avrei ascoltato le sue parole fraterne,
né i suoi consigli
interessati solo a salvaguardare la sua impiegata del mese, la partner
virtuale, perché quella reale era ben altra cosa.
«Ti
prego, voglio
saperlo. Che cosa intendevi dire? Non l’ho capito, ma ti
ripeto che quell’uomo
non fa per te.»
Mi
sembrò di sentire
crescere una bolla incandescente dallo stomaco. La mia ira stava
risalendo
lungo le mie arterie, facendomi diventare rossa in viso. Sapevo che in
seguito
mi sarei pentita di ogni parola, ma non riuscivo più a
trattenermi. Dovevo
dirgli quello che pensavo da tempo, dovevo fargli capire quanto male mi
stava
facendo col suo atteggiamento e mettere soprattutto in chiaro che chi
non si
prendeva responsabilità e oneri, non poteva nemmeno vantare
diritti.
«Ma
davvero? Quale
sarebbe l’uomo giusto per me, Oliver? Soprattutto, chi sei tu
per giudicare e
dirmi che cosa dovrei fare e con chi dovrei uscire?»
Liberai
il mio braccio
con uno strattone e mi avvicinai minacciosa. Lo incalzai
così tanto, pur
guardandolo per ovvii motivi dal basso verso l’altro, che
arretrò fino a
sbattere contro uno dei tavoli. Arrivai a sfiorargli il petto prima che
tentasse di parlare.
«Io
tengo a te e non
voglio vederti soffrire…»
Mi
partì una risatina
isterica. Come poteva non voler vedere la mia sofferenza ed esserne
contemporaneamente la causa?
«Ancora
questo verbo…
vedere. Se almeno mi vedessi sul serio!»
Riconquistò
terreno
piegandosi su di me e spingendo aria dalle narici come un toro pronto a
caricare.
«Cosa
cavolo stai
dicendo? Spiegati una buona volta! Se mi devi accusare di qualcosa,
fallo
apertamente!»
Gli
puntai un dito al
petto con fare accusatorio e furente.
«Vuoi
davvero saperlo?
Bene apri le orecchi e ascolta perché non lo
ripeterò. Anzi, so già che mi
pentirò moltissimo di quello che sto per dire, ma davvero
non so andare avanti
in questo modo. Vorrei che mi vedessi davvero, che aprissi gli occhi,
che mi
guardassi come una donna, non solo come la tua partner, la tua
segretaria, la
tua esperta di informatica! Non sono solo quello, Oliver! Non puoi
continuare
ad ignorarmi, a farmi sentire quasi trasparente, a fingere che sia
più
asessuata di un angelo! Ho anch’io un paio di tette, sai? E
soprattutto ho dei
sentimenti e il diritto a sentirmi apprezzata, desiderata, amata. Fare
da
semplice spettatrice alla tua vita mi sta uccidendo. Tutte le donne che
ho
visto passare dal tuo letto in questi mesi mi hanno fatto star male!
Non ti
hanno mai conosciuto davvero, non ti hanno mai guardato come ti vedo
io!»
Inspirai
aria in fretta
per paura di essere interrotta.
«Felicity…»
«No,
lasciami finire o
non riuscirò a farlo mai più. Voglio dirti
ciò che vedo in te: vedo un uomo
tormentato, che lotta coi suoi demoni ogni giorno per conquistarsi
quella
fiducia e quell’amore che pensa di non meritare
più. Un uomo che non ha bisogno
di essere giudicato, ma capito e amato. Hai diritto ad un porto sicuro
dove
rifugiarti, a delle braccia calde che ti accolgano su cui potrai far
sempre
affidamento. Hai bisogno di vivere, Oliver, non solo di sopravvivere
come hai
fatto sull’isola! Hai bisogno di una donna con cui fare
l’amore. Hai mai fatto
l’amore, Oliver? Hai mai amato davvero qualcuno o sei mai
stato amato in questo
modo? Tu meriti di essere guardato e di imparare a vedere
davvero!»
Il
silenzio che ne
seguì divenne assordante, mentre le lacrime mi pungevano gli
occhi. L’ondata
adrenalinica era scemata, lasciandomi esausta. Speravo almeno di non
uscire del
tutto sconfitta da un confronto così aperto e ne cercai
conferma, carica di
frustrazione.
«Guardami
Oliver. Che
cosa vedi?»
Prese
un respiro
profondo e fece per parlare, ma rimase senza parole, a bocca aperta di
fronte
ad un’amara constatazione, quella di non avere proprio nulla
da dire
evidentemente. Il peso della situazione gravò improvviso
sulle spalle e la
voglia di scappare via si fece pressante.
«Come
temevo. Non fa
nulla, anzi perdonami e continua pure a fare… qualsiasi cosa
tu stessi
facendo.»
Mi
avviai sconfitta
verso le scale, ma invece di salire sul primo gradino mi trovai con la
schiena
agganciata al suo petto granitico, le braccia strette alla mia vita in
un gesto
di chiaro possesso. Le sue labbra mi sfiorarono l’orecchio e
il suo fiato caldo
me lo solleticò. Il suo profumo virile mi invase le narici.
«Io
ho paura. Ho paura
di vederti, di aprire gli occhi davvero, perché se lo
facessi sarei un uomo
perduto, Felicity. Ho paura di tutto ciò che mi fai provare,
di tutto quello
che potrei scoprire standoti accanto. Ho dei sentimenti
anch’io, ma, da
vigliacco quale sono, li ho ignorati e negati, fino a rinchiuderli in
fondo
all’oscurità della mia anima. Non ti merito ancora
e forse non ti meriterò mai.
Ma non devi mai pensare che io non ti desideri!»
Le
sue mani si posarono
ferme sulle mie spalle e mi girò delicatamente verso di lui.
Si mordeva le
labbra per non farle tremare. Non lo avevo mai visto così
esposto, così nudo.
Mi circondò il viso, accarezzandomi gli zigomi con i
pollici, in un gesto lento
e delicato.
«Sei
così bella, così
dolce e fiera, Felicity. Solo… perché hai scelto
proprio me? Perché credi che
io meriti di essere salvato?»
I
suoi occhi velati di
lacrime mi straziarono, facendo crollare ogni barriera eretta dalla
rabbia.
Volevo solo stringerlo a me, farmi carico delle sue pene, alleviargli
il peso
delle colpe che pensava di dover espiare e di quelle che su di lui
cadevano
comunque. Posai le labbra sulle sue delicatamente, lasciandogli un filo
di
rossetto, che tolsi coi pollici sorridendogli.
«Perché
io voglio
viverti Oliver e insegnarti a farlo.»
La
sua bocca tornò
sulla mia con dolcezza disarmante. Mi sfiorò le labbra
toccandomi la punta del
naso con il suo e depositando piccoli buffetti sulle mie labbra.
Sembrava che
si stesse trattenendo, che avesse paura a farmi del male.
Così lo incalzai,
offrendogli la bocca socchiusa. Colse al volo l’invito e mi
baciò
profondamente, premendomi contro il suo corpo come avessi potuto
entravi.
Volevo recuperare il tempo perduto e lasciai che le mie mani vagassero
sul suo
corpo teso, sui suoi muscoli tonici anche oltre la stoffa tesa del
completo che
indossava. Ero persa nei miei pensieri, galleggiavo su soffici nuvole
rosa
quando all’improvviso si staccò da me, fissandomi
con apprensione.
«Va
tutto bene, Fel?»
Mi
guardai velocemente
attorno e tornai su di me, fissandomi dalle mani alle scarpe. Pensavo
davvero
che ci fosse qualcosa di strano su di me, ma poi vidi Oliver fissarmi
con
dolcezza, la stessa che si usa con un cucciolo ai primi giochi.
«A
dire il vero fino a
poco fa andava tutto benissimo. Non mi spezzo per così poco,
Ollie. Non mi fai
male. Ma forse sono io il problema? Non sono esperta, lo so, non sono
come le
altre, io…»
La
bocca di Oliver mi
succhiò rabbiosa e la sua lingua tornò ad
invadermi con prepotenza. Feroci
stoccate e leccate voraci mi infiammavano. Ardevo per lui, per sentirlo
più a
fondo, per averlo tutto e tutt’intorno a me. Non volevo
più aver percezione dei
confini tra noi, volevo sentirlo mio in ogni senso, anima e corpo,
cuore e
mente. Mi prese il viso tra le mani e mi strattonò
leggermente i capelli per
farmelo alzare verso di lui. Mi parlò sulle labbra,
baciandomi nello scandire
ogni sillaba.
«Tu
non sei come le
altre, tu sei unica.»
Unita
a lui, saldata in
un’unione fisica possente e lenita dalla dolcezza delle sue
parole, mi lasciai
trasportare in un mondo tutto nuovo, dove ogni cosa sfumò,
perdendo importanza
e lasciandomi un nuovo ruolo. Un ruolo senza nomi precisi per il
momento, ma
con un luogo ben preciso: al fianco di Oliver.