*** Moonlight ***
Disclaimers:
Copyright
Inuyasha © Rumiko Takahashi e degli aventi diritto
Nota
di Ment:
Diciamo che questo è soltanto un esperimento…
Perché un giorno anch’io riuscirò a scrivere una storia bella
lunga!
Per ora, mi accontento di queste one piece, che scrivo in attimi di
pazzia, starà a voi poi giudicarle.
È solamente una sbirciatina alla vita del mio bonzo pervertito e la
dolce e bellissima Sango, personaggi che vengono snobbati dalle fan-writer,
grazie alla costante presenza del trio
Kagome - Inu Yasha – Kikyo… io essendomi affezionata a loro due in
particolare, ho deciso di curiosare e lasciarmi guidare dalle mie adorate
lettere ballerine, in un lungo pomeriggio di pioggia.
Forse un po’ triste…
Un kisu gigantesco e buona lettura!
p.s.: i commentini, sempre ben accetti visto che la mia casellina
di posta è sempre vuoticcia^^
Seduto sulla ringhiera della terrazza della
stanza che gli era stata affidata, era in perfetto equilibrio, nonostante la sua
gamba ciondolasse all’esterno.
Stava
osservando il palmo della sua mano destra, coperto da quel fazzoletto di stoffa
di malva e bloccato dal rosario, la catena che lo legava alla propria prigione
… e un’espressione triste quanto preoccupata si dipinse sul suo volto.
Conosceva
il suo destino…
Quale
più orribile cosa possa accadere all’uomo, sapere cosa ci aspetta, convivere
con la continua sensazione di non vivere appieno la vita, mistico dono
demoniaco.
Conosceva
la terribile fine che lo attendeva… calma e dormiente, tra le ombre oscure
delle tenebre, pacata e sicura che lo insidiava ogni volta che la palla di
fuoco si alzava dietro le montagne e quel taglio, purtroppo, lo aveva
avvertito, presto avrebbe conosciuto la signora vestita di nero, la bellissima
donna che impugnava la falce argentea, temuta da ognuno degli esseri viventi,
la morte.
Il
foro del vento, la sua maledizione, il segno che Naraku aveva imposto alla sua
famiglia, il ricordo di suo padre e di suo nonno, la glaciale ingiustizia che
gli attanagliava il cuore… si stava allargando sempre di più e poteva solo
significare che la sua fine si stava avvicinando, sempre più velocemente, lo
stava quasi raggiungendo silenziosa alle sue spalle.
Volse
un piglio malinconico alla foresta e osservò l’onda che le foglie dei salici
formavano accarezzate dalla rigida brezza notturna, abbassò lo sguardo ancora
una volta sulla sua mano e poi scese dalla ringhiera per rientrare in camera.
Si sdraiò sul futon e chiuse gli occhi lentamente…
Si svegliò di soprassalto.
I lunghi capelli corvini le si erano come incollati alla fronte
imperlata di sudore…
Uno stupido incubo, era riuscito a sconvolgerla a tal punto di
farla sobbalzare nel bel mezzo della notte.
Si lasciò cadere sul materasso e prese a inspirare profondamente cercando di rallentare i battiti del suo cuore, battiti che sentiva tra le costole insistenti, rumorosi, il muscolo cardiaco che cercava di scappare dal suo petto, di liberarsi dall’angoscia e dalle visioni che l’attanagliavano.
Si alzò, spalancò la
finestra e appoggiò le spalle al muro strizzando gli occhi, cercando di
allontanare i disegni creati dalla sua giovane mente, costretta a registrare
continui spargimenti di sangue… i sogni erano la cosa che temeva più di ogni
altra…
Si ritrovò a pensare, cercando di dimenticare a quel monaco che
era entrato nella sua vita, o meglio, lei era entrata nella vita di quel gruppo
di persone che ora chiamava “amici”.
“Amici”… una parola ricolma d’affetto, una parola alla quale
legare la propria vita.
… il solo guardarlo la faceva arrossire, lui che riusciva ad
infrangere tutte le sue barriere difensive.
S’infilò le ciabattine e uscì velocemente dalla sua stanza, alla
ricerca di aria fresca da respirare.
Il
caldo era insopportabile, l’aria che prima scuoteva le fronde degli alberi
sembrava scomparsa e oltre a sostenere il dolore che la ferita gli provocava
doveva piegarsi all’afa.
Si
alzò e uscì, dirigendosi verso una meta troppo poco precisa. Inconsciamente,
giunse alla cascata che si nascondeva dietro l’inizio della pineta, là almeno,
constatò, il caldo non era poi
così insopportabile.
Notò
una pietra dove l’acqua gelata e cristallina
sbatacchiava ritmicamente…
sfilatosi lentamente ciò che gli ricopriva il dorso, sedette a gambe
incrociate, godendosi la sensazione di refrigerio che l’acqua gli stava
regalando scivolando sulla sua schiena.
Camminando canticchiava una dolcissima canzone… una nenia che
aveva sentito cantare dalle anziane signore del suo villaggio, mentre persa nei
suoi mille pensieri, arrivò nei pressi della cascata e impallidì quando si
accorse della figura, nascosta dal velo trasparente creato dalla cascata.
I suoi capelli d’ebano, sciolti e bagnati, le sue iridi celate
dalle palpebre rilassate, il torso nudo…
… muscoloso quasi come scolpito, simile a quello di una statua
greca.
Il suo cuore cessò di battere per una frazione di secondo ed una
strana sensazione l’avvolse
mentre impietrita, l’osservava e non riusciva a distogliere lo sguardo
dal corpo del giovane.
Fece qualche passo, si sistemò su una roccia e affogò i piedi a
bagno, schizzando l’acqua come una bambinetta e ricominciando a cantare le poche strofe della canzone che aveva
interrotto…
…
la sua voce soave, calda e melodiosa attirò l’attenzione del monaco che vinto
dalla voglia di scoprire se quella voce appartenesse realmente a chi aveva
sospettato, aprì gli occhi lentamente e l’osservo pensando che fosse stata un
angelo donatogli dagli dei, a far sì che dimenticasse per un attimo tutti i
suoi pensieri cupi, mentre un sorriso colmo di dolcezza apparve sul suo
viso.
“Sango-chan,
- un fulmine a ciel sereno… perché la aveva chiamata in quel modo? Si
voltò verso di lui stupita mentre negl’occhi un velo di curiosità stava
strisciando come una serpe- che fai qui nel bel mezzo della notte?” chiese con
una punta di ironia nella voce insinuando ch’ella l’avesse seguito di proposito
“Pensa
per te! Se è per questo, non credo di
aver mai visto monaci sotto le cascate e il cielo stellato…” rispose facendogli
il verso.
Liberandosi
dalla maschera di uomo forte e sicuro di se che lo accompagnava ogni giorno il
tono della sua voce profonda si fece ancor più basso del solito, triste,
spezzato quasi da un dolore dell’anima, e le parole, quasi sussurrate, nascoste
dai rumori della natura dell’epoca Sengoku .
“Non
riuscivo a dormire… il foro del vento si sta allargando sempre di più e questo
altro non vuol significare ch--” venne interrotto “no, non è vero!”
le sue gote divennero
color porpora.
Che
le era preso? Non gli aveva
nemmeno permesso di continuare a parlare… confidarsi… che strana parola,
non era mai riuscito a farlo apertamente… perché, allora,perché proprio con
lei? Che il suo cuore riuscisse a guidarlo in questo modo ignobile,
impedendogli di opporre resistenza?
“Io,
cioè… volevo dire…” giustificarsi: inutile.
Non la fissò negli
occhi nemmeno un istante, alzatosi dalla roccia era sceso verso la ragazza dopo
essersi risistemato gli indumenti; si accomodò accanto a lei e ricominciò a
parlare mentre sentiva il suo profumo di pesca raggiungerlo e inebriarlo, la
sua pelle di perla, la vedeva brillare accanto a lui al riflesso della luce
eburnea della luna, e inspirando profondamente, si fece coraggio e
cominciò “…so cosa mi aspetta, e ormai
non manca molto … la mia vita potrebbe finire oggi come fra qualche anno … se
solo … se solo, io, riuscissi a sconfiggere Naraku…” la voce ridotta ad un
sibilo sfumato di rabbia.
Lo guardò
dolcemente. Vederlo così le faceva fin
troppo male… demoralizzato a tal punto, lui, la figura che aveva stimato più
d’ogni altra in quel gruppo, la persona nella quale rispecchiava la sua
tristezza.
Con il sorriso sulle labbra lo incoraggiò “non perderti d’animo
Miroku-kun! ci riusciremo vedrai” ci… noi ci riusciremo, insieme, perché le
nostre vite possano andare avanti senza rimorsi o maledizioni, senza paure…
la sua mano aveva sfiorato quella del monaco, le sue dita avevano accarezzato
le sfere del rosario mentre gli occhi di lui l’osservavano stupiti di quel
gesto…
Quelle
dita sottili, nivee e ceree nella loro leggerezza, lo stavano sfiorando
febbrilmente, quasi tremando, correvano sulla sua pelle dolcemente come la
carezza di ali di farfalla.
“…Dillo
di nuovo, ti prego” chiese quasi supplicando “…cosa?” rispose lei imbarazzata
“il mio nome… suona così bene detto da te” nessuno dei due si sarebbe mai
aspettato quelle parole… non più di un sussurro, perché mai, in nessuna
occasione le era capitato di chiamarlo per nome usando quel tono.
Arrossì
e poi avvicinandosi disse “…Miroku” con quanta più dolcezza poteva.
Quelle pozze di cioccolata raggiunsero gli occhi scuri del giovane fino ad incontrarsi timidamente…
una scintilla brillò, sempre più vicini, fino a che le loro labbra non si
sfiorarono, delicate come petali, unite in un dolcissimo bacio che li
imprigionò in un tornado di sensazioni.
“Sapevo che prima o poi mi avresti baciata” borbottò appena
allontanatasi da lui.
Le
loro labbra si erano finalmente incontrate, era riuscito a baciare quelle
labbra di lampone, assaggiarle e giocarci affettuosamente… e lei, non si era
tirata indietro.
La
guadava sorridendo.
Le
loro dita incrociate l’una nell’altra, i loro visi ancora vicini, i loro
respiri quasi affannati.
Quando
si riavvicinò a Sango, lei gli bisbigliò divertita “…bonzo pervertito” prima di
unirsi ancora e sfidare la luna, che
pallida brillava nel cielo, invidiosa della ragazza che le aveva rubato il
candore, la dolcezza e tutta la bellezza che possedeva.
… THE END